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Lei è in una Fiat Doblò grigia, parcheggiata tra due pini in un anfratto del bosco, nel punto esatto indicato nel messaggio arrivatomi mezz’ora fa.
Il luogo col buio si affolla di coppiette, di giorno invece è trafficato dai podisti, ma in questa fascia oraria, in cui il tramonto si incendia e sfuma lentamente nel blu scuro della prima sera, è piuttosto solitario. O almeno lo è in questo momento. Sono acquattato a qualche metro dalla macchina, dietro un cespuglio di rovi, con un’ottima visuale sull’abitacolo. Vedo soltanto lui, inizialmente, semidisteso sul seggiolino, la testa reclinata, bocca aperta e occhi chiusi. È pelato, con un viso rubizzo e pasciuto. Niente baffi né barba, un naso piccolo e affilato che a stento regge un paio di occhiali da vista stile vintage, che ha riposto nel vano portaoggetti una volta spento il motore. Ha una mano poggiata sulla testa di lei, che si dà da fare a succhiarglielo e menarglielo finché non lo riterrà opportuno.
Quando emerge dalle cosce dell’amante indossa solo il reggiseno e la gonna corta di jeans. Le parigine nere non le vedo, ma so che le ha, perché ho visto com’è uscita di casa stamattina. Con un movimento felino si mette a cavalcioni su di lui, gli afferra il coso, se lo struscia un po’ fra le gambe e poi lo ingoia per intero, cominciando a muoversi piano, prima su e giù, poi ruotando il bacino in senso orario e antiorario. Lui lascia fare e intanto le sgancia il reggiseno, liberando i piccoli seni a pera, sodi e insensibili alla forza di gravità. Si riempie le mani della carne tenera, si struscia i capezzoli contro il viso, poi prende a leccarli avidamente, prima uno, poi l’altro, fin quando non sceglie il destro da succhiare, mentre col palmo della mano destra stropiccia l’altro grilletto.
Lei sembra gradire e spinge verso di lui il busto, mentre intensifica il ritmo della cavalcata.
Vanno avanti così, con l’auto che si agita ai loro movimenti, fin quando lei non getta un acuto forte e prolungato e non si accascia su di lui. L’uomo deve ancora venire ed ha una certa impellenza. Tira giù il seggiolino del passeggero, lei capisce a volo e vi si posiziona su a quattro zampe, la gonna accartocciata sulla groppa, agitando il culo come una cagna in calore. Lui, non senza difficoltà e impaccio, riesce a posizionarsi tra lei e il cruscotto, con le grosse chiappe pelose poggiate sullo sportellino dell’airbag.
Il cazzo rampa a pochi centimetri dalle natiche michelangiolesche di mia moglie, ed è un cazzo grosso, sia lungo che largo, col tronco solcato da vene gonfie come gomene e sormontato da una cappella violacea, turgida e del tutto simile ad una melannurca.
Non sono stupito perché quel membro corrisponde alla descrizione fedele e dettagliata che mi ha fatto lei qualche sera fa, raccontandomi della foto che il suo collega le aveva inviato via WhatsApp. Senza scollare gli occhi dallo spettacolo in corso, tiro giù la lampo e libero il compare già tutto inteccherito, lo stringo nel pugno della destra e comincio a segarmi nel momento in cui il cazzone del tipo, dopo aver giggioneggiato per un po’ nell’edenico solco delle delizie, non affonda fra le chiappe di marmo, grugnendo per la soddisfazione. Sincronizzo il ritmo della raspa su quello del bacino dell’uomo, che spinge e si ritrae, spinge e si ritrae, in modalità adagio, tenendosi saldamente alle ossa iliache di lei, che risponde rinculando ad ogni affondo, gustandosi uno per uno tutti i centimetri di quel manganello di carne. Si procede così per diversi minuti, poi, con un secco colpo di reni, e nitrendo come uno stallone nel pieno della monta, il ciccione priapico comincia a fottersela selvaggiamente, dando sfoggio di una vigoria che non si sarebbe mai attribuita ad un corpo così massiccio e adiposo.
Lei ansima forte, poi grida, infine crolla sul seggiolino, sfinita, ma lui continua imperterrito, indomito continua a chiavare forte, tenendo su il culo stretto nella morsa delle mani tozze e pelose, sbanfando e muggendo, il sudore che gli imperla la pelata e cola lungo le tempie e le guance vermiglie, afflitte dal precoce rilassamento che prolassa la pelle sugli angoli della bocca sottile. Anche sul petto e il ventre villosi brillano migliaia di gocce, così come sulle braccia, ma il maschio infoiato non molla, non cede di un millimetro, fino a quando, inarcando la schiena e stringendo le chiappe, non spruzza tutta la sua roba nel grembo di mia moglie, provvidenzialmente infecondo in virtù della pillola anticoncezionale.
Qualche istante dopo sborro anch’io, schizzando copiosamente tra i rovi. Mi pulisco con un paio di klinex, che appallottolo e ficco nella tasca della giacca, e rinfodero l’attrezzo tirando su la lampo. Quando rialzo lo sguardo sulla macchina, l’uomo è ancora piantato dentro mia moglie ed ha ripreso a lavorare di bacino, affondando stoccate profonde e lente, come per riattivare le funzioni vitali della donna e riattizzarne le braci del desiderio.
Ma lei non dà ancora segni di ripresa e rimane inarticolata, abbandonata come una bambola tra le mani dell’uomo che la tiene intrecciando le dita sul suo ventre, per tenerla su con più efficacia. Frustrato dall’infruttuosità del suo daffare, l’orso estrae dalle muliebri chiappe la lancia umida e straordinariamente temprata, ribalta il corpo inanimato ponendolo supino sul seggiolino, ne solleva le gambe (noto che una parigina è scesa fino a metà polpaccio e l’altra è arrotolata alla caviglia, e quella scompostezza, frutto del recente esagitato amplesso, mi procura un’intensa fitta all’inguine che infonde nuova linfa al membro, che percepisco gonfiarsi rapidamente, come un pavone che fa la ruota con la coda) poggiandosi le cosce sulle spalle, in modo che lei risulti sospesa per intero, eccezion fatta per la testa che, spargendo tutt’intorno i lunghi riccioli biondi, rimane inchiodata al poggiatesta, e comincia a brucare fra il pelo della fica, facendo vibrare nell’aria satura di ormoni e sudore la lingua da formichiere, incaricata di stanare il clitoride – chimerico epicentro di piacere – dal suo alveo.
Dagli immediati contorcimenti del corpo di lei (che so essere particolarmente sensibile alle malie del cunnilingus) capisco che il tipo ci sa fare anche con la lingua e, dopo aver fatto il pieno di miele stillante da quel favo, una volta che la palla da bowling che ha avvitata sul collo taurino viene stretta con forza dalle cosce di lei, si libera con ambo le mani della morsa, divarica a compasso le ganasce che lo stavano poco prima portando all’iperventilazione, e infilza ancora una volta la sua preda, gravandole sopra con tutta la mole sudaticcia e pompandola forte, come se non chiavasse dalla notte dei tempi e quella fosse l’ultima scopata messagli a disposizione dagli dèi.
Mia moglie gli si avvinghia con braccia e gambe, come un rampicante sulla sua pertica, e urla completamente fuori di sé, inneggiando alle prodezze del suo chiavatore e incoraggiandolo – quasi supplicandolo – a spaccarla, annientarla, riempirla col suo grosso sac a poche. Per tutta risposta, ancora una volta con insospettabile forza e agilità, l’uomo neandeerthaliano si tira su con tutta la donna abbarbicata addosso e, complice l’altezza della Doblò, poggiato col culo sul cruscotto, prende a pugnalarla dal basso verso l’alto e con tanta forza che, dopo aver dato un paio di testate al tettuccio, lei è costretta a piegare il collo innaturalmente, curvando la schiena fino a schiacciare la fronte sul petto fradicio di lui. La Doblò oscilla come un pendolo, le grida di piacere di mia moglie fuoriescono dall’abitacolo come i venti dal vaso di Pandora, e a me non resta che tirarlo di nuovo fuori e scartavetrarmelo furiosamente, eiaculando fra le spine, ma stavolta qualche minuto prima che, con un ruggito da re della foresta, la sex machine travestita da ragioniere si liberi di tutto lo sbrodo presente nei coglioni da toro.
Restano qualche minuto distesi, sfatti, a riprendere fiato, ognuno al proprio posto. Poi lei si tira su, si volta verso di lui, che intanto ha calato il finestrino e acceso una sigaretta, gli dice qualcosa, lui annuisce e la mia dolce metà scende dalla macchina. Ha il seno ancora scoperto, si sistema la gonna, coprendo il sesso peloso, tira su le parigine, si guarda intorno e poi punta dritto verso il cespuglio dove sono rintanato. Lo circumnaviga il necessario per evitare i rovi, trova un anfratto, ci si infila e mi raggiunge, accovacciandosi di fronte a me. Ha le palpebre molli e gli occhi che trattengono tracce di frenesia, un sorriso che tende le estremità delle labbra quasi a toccare le orecchie. Ci baciamo con avidità, mentre il flusso caldo del suo piscio irrora l’erba e la terra secca e screpolata.
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