Vita e opinioni di un proprietario di schiave

Capitolo 2 - 1 da qualche parte bisogna pur iniziare

1 da qualche parte bisogna pur iniziare

Onestamente, non posso dire di annoiarmi. Non ho intenzione di acquistare nulla a quest'asta, però la merce in vendita è certamente interessante. E attraente. Il problema è che sono per lo più scarti, e anche costosi. Non che sia privo di mezzi, ma penso ci siano modi migliori per spendere. A meno che, ovvio, non mi capiti una buona occasione. A dire il vero, finora, di occasioni (buone o meno buone) non me ne sono ancora capitate, ma c'è sempre la possibilità. Forse oggi è la volta giusta. Da qualche parte bisogna pur iniziare, no?

Il riccone per cui lavoro part-time ha approfittato di un lungo ponte festivo per organizzare un meeting, un evento sportivo, nella pista da corsa della sua Tenuta. È inusuale che vengano disputate competizioni infrasettimanali. Una volta assegnati i premi e chiuse le scommesse, è prassi tenere un'asta privata, una sorta di mostra-mercato per gli intervenuti e gli aficionados. Io, certo, non posso competere con i presenti, con i portafogli appesantiti da carte di credito gold, platinum, mithril e oricalco. Sono qui per curiosità, per passione, per vedere la merce, per avere un'idea dei prezzi. E per aiutare, dopotutto lavoro qui.

Le seggiole pieghevoli su cui siamo seduti sono piuttosto scomode. Parecchi intorno a me si agitano un po' per dare sollievo alle natiche. L'organizzazione deve avere qualche problema. Siamo all'aperto, nel prato di fronte alla magione principale della Tenuta, e la merce in vendita è conservata in una tenda dietro al pulpito del banditore. Siamo in attesa che qualcuno dia inizio all'asta, ma dal tendone non si sentono che urla soffocate, probabilmente da bavagli, e minacciosi ordini ringhiati sottovoce. E schiocchi di frustino. E colpi. E schiaffi. E pianti.

Tom non è mai stato bravo a mantenere la disciplina. È capace solo di usare le maniere forti, e va sempre in giro armato di una sferza dall'aria minacciosa. La sferza è sua personale, non della scuderia. Si è fatto questo regalo perché trovava troppo leggere le fruste in dotazione. Io non posso dire niente perché lui ha il doppio dei miei anni e molta esperienza, e il padrone lo tiene in gran conto, ma non sono d'accordo sull'uso sconsiderato della violenza. Se è necessario, non esito a brandire anch'io uno strumento coercitivo; solo, finora non ne ho avuto bisogno, perché esistono mezzi più efficaci della frusta o del bastone, anche se meno immediati.

Il pubblico comincia a vociare, e il padrone si guarda attorno e chiama «TOM» senza alzare la voce. Non ne ha bisogno. Dal tendone esce subito il suddetto, che evidentemente oggi funge da banditore. Pessima scelta, a mio avviso: è incapace di mettere in risalto le qualità della merce, riesce solo a sollecitare i rialzi con voce inutilmente stentorea. Si trascina dietro il primo pezzo in offerta: una ragazza bruna, carina, alta e snella. Fisico asciutto e tonico. Nuda. Ovviamente, è imbavagliata, ha le mani dietro la schiena e porta un collare con una corta catena a mo' di guinzaglio. Zoppica vistosamente e lui deve sostenerla perché non si afflosci a terra.

La conosco. Non bene, ma la conosco. Fa parte di uno dei due equipaggi che il mio collega supervisiona direttamente, anzi, faceva parte, perché ora è all'asta. Deve aver subito un danno grave alla gamba sinistra, ieri od oggi, e lui è senza pietà: in casi come questo, chiede subito al padrone di liberarsi della ragazza e di procurarsi un rimpiazzo. La scuderia tiene sempre qualche pulzella di riserva, in modo da avere sempre gli equipaggi al completo. I soldi non sono un problema, quando si tratta di comprare un'altra schiava.

Tom si avvicina al podio, accende il microfono e sbraita «Prova! Prova!». La ragazza crolla a terra, non più sostenuta. Posso vedere che le lacrime le imbrattano la faccia, le scende muco dal naso, i lineamenti sono contorti dal dolore. Questo è troppo. Mi alzo e mi avvicino al capo garzone, indico la merce raggomitolata ad un passo da lui e gli chiedo «Posso esaminarla?»

Come mi aspettavo, lui reagisce male. Mi guarda con aria sprezzante, poi mi fa gli occhiacci, indica la mia seggiola e con tono derisorio mi sbraita «Stai al tuo posto, bimbo! Queste sono cose da ADULTI! Non ti immischiare!». Aggiunge qualche imprecazione e alcuni molto volgari riferimenti a mia mamma. Lo ignoro e mi giro verso il padrone, scomodamente seduto poco lontano. Lui mi fa stancamente un gesto con la mano, ad indicare che posso procedere. Tom mi si para davanti, lo schivo, lo ignoro e mi chino sulla ragazza. Adele, leggo sulla targhetta appesa al collare. Non credo sia il suo nome di battesimo. Prendo in mano la caviglia facendola sussultare. Mi spiace, dovrò farle un po' di male. La caviglia è ingrossata e infiammata. La tasto e la esamino cercando di fare piano, ma lei si contorce e spasima e grugnisce e geme sotto il bavaglio. È evidente che non finge. Noto che le cosce, il petto e il ventre sono coperti dai segni della sferza. Probabilmente anche la schiena e i glutei. Hanno cercato in tutti i modi di farla correre, e alla fine è crollata e devono aver deciso di disfarsi di lei. Poveretta.

Mi rivolgo al padrone: «Capo, sospetto che il tendine sia leso gravemente, forse già spezzato. Non è in grado di camminare, ha bisogno di stampelle o di una sedia a rotelle.» Tom cerca di impedirmi di continuare, alza la voce e strilla qualcosa che non capisco ma sicuramente è offensivo per me, per Adele o per entrambi. Il padrone con un gesto lo mette a tacere e mi chiede «Potrà tornare a correre?» Io cerco di non far trasparire nella voce quello che penso della domanda. «Senza un ricovero in ospedale e un adeguato periodo di riposo? Se il tendine non è rotto e rimane ferma per una quarantina di giorni, potrà forse tornare a camminare ma sicuramente non a correre. Se il tendine è rotto, trascinerà la gamba per il resto della vita.» Sento la ragazza singhiozzare. Una prognosi decisamente infausta, lei lo capisce al volo. Senza l'uso di una gamba, non può nemmeno sperare di essere comprata per diventare una schiava sessuale, o una prostituta da bordello. Chi mai vuole un'amante che zoppica o si trascina, quando può averne una sana?

Ricoverarla in ospedale è fuori discussione. Queste ragazze ovviamente non hanno assicurazione sanitaria, non hanno nemmeno un codice fiscale, o dei documenti. Semplicemente non esistono. Curarle in via discreta e privata è costosissimo. Si fa prima a gettarle via e comprarne delle nuove. Solo quelle di cui il padrone è innamorato possono sperare in un trattamento migliore. E sottolineo 'sperare'. Usualmente, le ragazze che invecchiano, imbruttiscono, si ammalano o semplicemente non sono più in grado di svolgere i compiti per cui sono state comprate, fanno una brutta fine. La loro aspettativa di vita diminuisce drasticamente. In un normale bordello, va da qualche mese ad un paio d'anni. In un bordello 'particolare', dove la violenza è normale, le ragazze raramente durano più di un anno. Se diventano schiave 'da frusta' durano al più qualche mese. E con 'frusta' non intendo quelle in uso da noi. Intendo quelle in nerbo di bue, quelle fatte per scorticare, per mettere a nudo le ossa, per uccidere lentamente. Ma quelle che durano meno in assoluto sono le ragazze destinate allo 'snuff': sessioni di tortura lunghe ore, giorni e talvolta anche settimane, dove le vittime vengono lentamente fatte a pezzi per il divertimento di un piccolo, scelto e depravato pubblico, che spesso partecipa con entusiasmo e addirittura può cucinarsi un cosciotto della vittima. I filmati con una selezione delle riprese più raccapriccianti e sanguinolente vengono venduti a caro prezzo agli amatori del genere. Ovviamente, non si trovano su Amazon o su eBay...

Il padrone rimane pensieroso, e Tom ne approfitta per riprendere in mano la situazione. Ritorna al microfono, e con un ampio gesto si rivolge al pubblico inquieto: «Signori, scusate per l'interruzione. Il ragazzino, qui, ha voluto fare il saputello, ma sappiamo tutti che la migliore cura per una ragazza pigra è la frusta!» Risatine e commenti da parte del pubblico. Lui, soddisfatto, prosegue: «Questa schiava è in condizioni fisiche non perfette, ma con un po' di riposo tornerà come nuova! È pulita, educata, gentile, carina e, quel che più conta, è servizievole ed obbediente. MOLTO obbediente!» Un occhiolino e una pausa sottolineano l'ultima affermazione.

«Una ragazza di diciannove anni, così bella e già addestrata, normalmente costerebbe una fortuna, sicuramente almeno venti o trentamila dollari… ma abbiamo deciso di disfarcene in fretta, e vi chiederò solo mille dollari come prezzo base d'asta!» Rapidamente, si corregge, gli basta un'occhiata per valutare la freddezza del pubblico: «Anzi, per invogliarvi ve ne chiederò solo cinquecento! Ripeto, solo cinquecento dollari per questa bellezza teen-ager che sa bene come far felice un uomo!» Altro occhiolino al pubblico, che non sembra convinto. I presenti sono per lo più dei riccastri, alla pari del padrone della tenuta. Non hanno penuria di schiave che si concedano sessualmente. Sono interessati a quelle che corrono bene, e Adele non è più fra queste, e non è nemmeno una bellezza fuori dall'ordinario. Carina, certo. Molto carina, se non fosse attualmente in uno stato pietoso. Ma non tanto bella da ignorare la gamba inferma.

Nessuno offre la cifra richiesta, per quanto ridicolmente bassa. Il banditore continua a sollecitare offerte senza descrivere la ragazza se non come 'giovane, bella e obbediente', ma queste sono caratteristiche comuni a tutte le schiave di proprietà dei presenti. Nessuno, infatti, spende una piccola fortuna per far correre delle ragazze che non siano giovani e belle. E quanto all'obbedienza… le fruste esistono per questo!

Vedo che il padrone sta per intervenire per spingere Tom a continuare l'asta, visto che il pubblico è indifferente e distratto. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare, mi dico sempre. Alzo la mano e intervengo: «Cinquecento è troppo per le mie tasche e per una ragazza così malconcia. Ne offro cento!»

Tom non gradisce. Mi lancia un'occhiata torva e ripete il suo monotono richiamo. Io cerco di sovrastarlo e ripeto: «Offro CENTO!» Il pubblico si riscuote un po' nel vederci battibeccare e riprende a vociare. Il padrone non sembra apprezzare la confusione e ci ferma con un gesto. Si rivolge a me: «Non correrà più? Sei sicuro?»

«Assolutamente, Capo. Se anche dovesse mai tornare a correre, e non lo credo, non sarà mai più competitiva. E comunque è impossibile se non viene curata adeguatamente.»

«E tu saresti disposto a fartene carico? Bada che mantenere una schiava è costoso. Non ti basta certo lo stipendio che prendi qui!»

«Sono disposto.»

«E allora puoi prendertela. Gratis. Offrire solo cento dollari è un insulto a questa scuderia. A dire il vero, anche cinquecento sono un insulto. Allora, prendila, è tua. Hai sempre desiderato una scuderia tua, vero? Non so se questa ragazza ti servirà a qualcosa, ma ti faccio i miei auguri! Sistema più tardi i documenti con Alex. …e tu, Tom! Vai avanti con l'asta!»

Alcuni fra i presenti si mettono a ridere, altri fischiano o battono i piedi a terra. La decisione inattesa del padrone ha destato l'entusiasmo del pubblico. Tom, invece, si è fatto ancora più torvo. Direi che ora mi sono fatto un nemico, se non fosse che è già un mio nemico dal giorno in cui ci siamo conosciuti.

Raccolgo Adele da terra con la massima delicatezza e la porto in braccio fino all'ultima fila di seggiole. La depongo su una libera. Lei mi guarda negli occhi, come per cercare di capirmi. Sa chi sono, ma non ci siamo mai parlati, penso che sia spaventata e cerchi una rassicurazione. Ma non è tempo di chiacchiere: non le tolgo il bavaglio e non la slego. La lascio sulla scomoda seggiola, tanto con quella caviglia non può andarsene da sola. Sento che trema, penso più per lo shock e il dolore che per il freddo. Se avessi una coperta la coprirei, ma ovviamente non sono preparato adeguatamente. E chi si porta dietro una coperta nell'eventualità di doversi occupare di una ragazza nuda, ferita e sotto shock? (Io no, evidentemente…)

Tom nel frattempo ha tirato fuori dal tendone una seconda schiava. Anche lei zoppica vistosamente. Evidentemente, un'altra corsiera si è infortunata alla gamba sinistra. Ma, a differenza di Adele, questa sembra che riesca a poggiare il piede, anche se con dolore. Comunque, la sua andatura non promette bene. Senza il sostegno, rimane in equilibrio su una gamba sola per un po', con le mani dietro la schiena, poi si getta a terra scompostamente e lancia un grugnito e un gemito, soffocato dal bavaglio, quando urta il piede infortunato. Il capogarzone le assesta un paio di colpi col piede per reprimere i suoi lamenti, quindi la ignora. La fanciulla con difficoltà cerca di assumere una posizione più dignitosa: per quanto abituata ad essere esibita nuda, evidentemente si sente a disagio a gambe larghe e con l'inguine esposto alla vista del pubblico. Mi piace questa sua manifestazione di modestia e di imbarazzo. Fisicamente, ricorda un po' Adele. Questa seconda ragazza è castana, sembra alta, è snella e con seni piccoli e puntuti, più piccoli di quelli di Adele. D'altronde, le migliori corsiere sono fatte così: molto muscolo e poca ciccia. Le mie preferite, senza dubbio.

Lo sguardo del padrone spinge il banditore a procedere celermente. Chiede mille dollari, poi dimezza la richiesta. Sto raggiungendo il mio posto, a fianco del padrone, ma un suo gesto col mento mi spinge ad avvicinarmi al podio. Ignoro Tom, che sicuramente mi sta facendo le boccacce e ripete la sua questua a voce sempre più alta. Mi sembra che il pubblico mi dedichi ora più attenzione, forse colpito dalla fiducia che il padrone riserva alle mie capacità diagnostiche. Mi accovaccio presso le gambe della giovane. Irina. Guardandola, non mi sembra di origine slava. Forse Irina è il nome impostole da schiava. Le tasto il piede sinistro. Mmm. Prendo in mano il destro, per confronto. Non ho dubbi, il metatarso è rotto e sembra dislocato, anche le dita del piede sinistro sono fuori posto. Irina soffre mentre tasto il piede, ma si rilassa quando lo lascio. Deve essere caduto qualcosa di pesante, qualcosa che le ha quasi sbriciolato le ossa, pesante ma non duro, direi, perché non ha grosse lacerazioni. Comunque, il tendine sembra a posto.

Vorrei avere maggiori informazioni sull'infortunio. Durante la gara di tiro a quattro femminile, ricordo che un equipaggio ha avuto un incidente, ma in quel momento stavo lavorando e non potevo seguire la competizione. Mi rivolgo verso il pubblico: «Scusate, qualcuno sa dirmi come si è infortunata la corsiera? Per caso è rimasta coinvolta nell'incidente del tiro a quattro?» Un tale che non conosco si alza: «Sono il suo proprietario. Questa stronza è finita a terra durante la gara ed è stata travolta da un paio di sulky perché non è stata abbastanza furba da ritirare le gambe. La mia scuderia è stata ammonita per colpa di questa stronza e non voglio più vederla d'attorno. Potrà tornare a correre?»

«Senza una operazione piuttosto impegnativa? No, al massimo camminerà zoppicando.»

«Allora non posso nemmeno venderla come corsiera.»

Tom decide di intervenire «Forse qualcuno la comprerà per cinquecento…» ma il proprietario lo interrompe «Chi ti ha permesso di chiedere così poco? Mille è già un insulto!» e quindi si rivolge a me «E tu NON OSARE propormi cento dollari! La vuoi?»

«Sì, signore!» rispondo immediatamente. Non riesco a credere alla mia fortuna! Due OTTIME occasioni, una dopo l'altra!

«E allora prenditela! Se non ho capito male, desideri una tua scuderia, anche se sei così giovane?» al mio cenno affermativo, riprende «Non so cosa te ne farai di due corsiere che non possono più correre, ma è un problema tuo! Te la regalo! Basta che me la togli di torno alla svelta! E non pensare nemmeno a cambiare idea! E ora andiamo avanti con questa asta del put!»

«Mille grazie, signore!» rispondo, un po' banale, lo ammetto, ma cosa dire a chi ti ha appena regalato una vita? Comunque, sono certo che il proprietario, anzi ex-proprietario, non mi stia più ascoltando. Si è girato verso la vicina di seggiola. Per lui, non contiamo nulla, né io né Irina. Meglio così.

Prendo Irina in braccio come ho fatto con Adele e la poso sulla sedia vicina a quest'ultima. Irina è più calda, e riesco ad apprezzare la dolcezza dei suoi fianchi e la morbidezza delle sue natiche mentre la porto. Lei tiene le cosce serrate, ma non si sottrae alla mia presa. Beh, se lo facesse cadrebbe a terra, ma mi illudo di non esserle proprio sgradito del tutto.

Torno dal padrone. Ho un favore da chiedergli. Mi sembra di buon umore, quindi oso: «Capo, ho un grosso problema»

«Hai cambiato idea? Mal per te, perché quella non me la riprendo indietro…»

«No, no, Capo, sono anzi contentissimo. Il mio problema è proprio come portarmele a casa. Proprio non ci stiamo, in tre in bicicletta, anche se elettrica. Potrei farle trottare davanti a me, ma, appunto, non camminano…»

Il padrone sta ammirando i glutei della schiava offerta in questo momento, ma rivolge lo sguardo verso di me. Sembra chiedersi se sto scherzando. Evidentemente, decide che sono serio: «Fatti dare le chiavi da Tom più tardi.» Lo ringrazio di cuore. Colui ha preso esclusivo possesso di uno dei furgoni della tenuta e lo considera come proprio (tranne quando bisogna pagare le tasse o metterci carburante, ovviamente!), farmelo dare sarà un'impresa. Altrimenti, dovrò tornare a casa a piedi trascinando due ragazze non deambulanti appollaiate sulla bicicletta.

Mentre medito sulla strategia cercando ispirazione nel sedere della schiava in mostra, un tizio mi si avvicina. Non sembra uno dei ricconi, ha l'aria di un assistente, factotum o segretario. Infatti si rivela come tale: «Sei tu quello che colleziona schiave-spazzatura?» Ha detto proprio così! 'Crap-Slaves'! Okay, non valgono molto, anzi non valgono nulla, ma mi offende sentire definire spazzatura le mie proprietà. Perché, hey, sto per diventare un proprietario anch'io! Appena avrò firmato i documenti di cessione, le due ragazze saranno mie! Un po' malconce, ma mie!

Lo guato. Lui ricambia lo sguardo, inespressivo. Sospiro: «Sì, credo di essere io.» Lui ricambia il sospiro: «Allora, se ne vuoi un'altra, il mio padrone te la regala, a patto che te la porti via subito. La vuoi?»

«Come, scusa?» faccio fatica a focalizzare. Che significa? Me la regala? Cosa? Come? Perché?

Il tizio sbuffa. Per lui, tutto chiaro! «Se non la vuoi, devo chiedere al padrone di questa tenuta come fare per disporre di una schiava. Il mio padrone dice che la ragazza non durerà fino al nostro ritorno a casa, e non vale la pena ricoverarla.» Chiedo lumi: «Una corsiera si è infortunata ora qui nelle scuderie? È grave?» perché 'disporre di una schiava' significa farne sparire il cadavere, oppure 'terminarla' (ovvero ucciderla) e farne sparire il cadavere. Nulla in cui voglia essere coinvolto.

Il tizio risbuffa. «Ti interessa o no? Perché, se non ti interessa, non ha senso star qui a discuterne.»

«Certo che mi interessa. Ma vorrei altri dettagli. Neanche l'ho vista! Non so come sta…»

«A caval donato non si guarda in bocca.» mi interrompe «Se ti interessa, vieni. Se no, resta.»

«Okay, andiamo.» Non che sia convinto, ma mi disturba il pensiero che una ragazza possa essere 'terminata' solo perché non sono andato a vederla. Il padrone sembra stupito che io mi allontani con il tizio anziché chiedere le chiavi al subordinato. Gli parlerò più tardi.

Raggiungiamo in fretta gli alloggi delle femmine. Nella tenuta ci sono diverse stalle, la più grande è quella riservata alle corsiere (dette anche ponygirl, o runner), alle conduttrici (o driver) e talvolta anche alle addestratrici (o trainer), se di condizione servile. I driver siedono sui carrozzini trainati da due o quattro corsiere, le incitano con la voce e con la frusta, le guidano con il morso e con le redini e seguono le indicazioni dei trainer per la condotta in gara. Abbiamo anche delle ponies addestrate al dressage.

La stalla è piuttosto ampia ed è stata convertita all'uso umano. Al piano terreno ci sono gli stabbi per gli equipaggi della tenuta. Ogni equipaggio è composto di quattro corsiere, un driver e un trainer. Il trainer funge anche da direttore di gara nelle competizioni e raramente è servile, ma può capitare. In gara, il driver spesso è il proprietario, o un suo amico. Una squadra è composta da due equipaggi più le riserve, quindi otto corsiere titolari, due driver, uno o due trainer, una o più corsiere di riserva se le titolari si infortunano prima della gara. La nostra tenuta ha un terzo equipaggio, formato dagli scarti che gli altri equipaggi non volevano nemmeno come riserve. Al momento, io sono il coach di questo equipaggio…

Oltre ai quattro stabbi, normalmente riservati alla squadra di casa, ovvero alla nostra, al piano terra ci sono docce e servizi e c'è una piccola zona di addestramento con cyclettes e tapis-roulant per mantenere in forma le corsiere anche quando non possono scendere in pista. E questo accade spesso, perché i driver siamo io, Tom e Stu, un altro garzone che si occupa specificamente del secondo equipaggio. Io sono fermamente convinto che anche il driver debba essere una ragazza, ma nessuno mi sta a sentire. In origine, il driver era uno solo, ovvero il padrone, che si divertiva a fustigare personalmente le chiappe delle corsiere del suo unico equipaggio. Poi la scuderia è cresciuta, e il capogarzone ha preso la conduzione del secondo equipaggio; infine il padrone è invecchiato e ora preferisce bersi una bibita mentre chiacchiera con i suoi sodali e discute con loro di cosce e culi. E non serve a nulla rimarcare che le scuderie vincenti hanno driver giovani e magri, non dei panzoni allupati di mezz'età… Comunque, la realtà è che Tom è troppo occupato con altri incarichi alla tenuta e non allena le sue ragazze, Stu deve occuparsi di due equipaggi e non ha la voglia e il tempo per farle correre, e io sono qui part-time e alla fine della stagione riprenderò a frequentare l'università perché a Medicina ci sono laboratori che non posso semplicemente saltare, come di norma faccio con le lezioni.

Le squadre ospiti sono alloggiate al primo piano, dove un tempo veniva conservato il fieno. Ovviamente, il pavimento è stato rinforzato, perché le corsiere, per quanto magre, pesano decisamente di più. Seguo il tizio su per la rampa che porta di sopra, fino allo stabbio dove una ragazza minuta è raggomitolata a terra. Sta immobile e non si lamenta, e credo sia un brutto segno. C'è del sangue a terra. È stata coperta, ma visto che la testa spunta fuori, deduco che sia ancora viva. Mi chino su di lei e scosto la coperta. Una specie di paletto le spunta dal ventre. Non capisco cosa sia.

«Abbiamo tranciato il bastone e lasciato solo una spanna fuori dalla ferita. Non lo abbiamo estratto perché non sapremmo come fermare l'emorragia. Non siamo attrezzati per curarla. Le abbiamo solo dato degli antiinfiammatori e degli analgesici. Ora è tranquilla, se non la si muove.» Il tizio mi aggiorna in breve. Non scende nei dettagli su come si sia infilata un bastone nella pancia, ma non credo che abbia fatto tutto da sola. Le compagne di squadra ci circondano, con espressioni vuote. Evidentemente, cercano di non pensare e di non reagire. Probabilmente hanno paura. Guardano la ragazza a terra, con le tipiche facce di chi assiste ad un funerale. Mi sa che non è la prima volta che vedono morire una di loro.

Oltre alle ragazze, c'è un uomo. Mi ricorda Tom. Fa finta di nulla, come se non fosse coinvolto, ma quelle evitano accuratamente di guardare verso di lui. Non mi stupirei se saltasse fuori che è stato lui a infilzare la giovane schiava. Grosso com'è, spero non sia lui il driver. A pensarci bene, anche Tom è della stessa stazza, eppure si picca di saper condurre i carretti meglio di chiunque altro. Uomini!

Il tizio richiama la mia attenzione. Mi porge carta e penna. Ha ragione, non sono qui per investigare e nemmeno per curare quella povera figliola. Devo solo portarla via e 'disporre' di lei, se necessario, scaricando così la sua squadra delle preoccupazioni.

«Prima di accettare, devo sapere se mi darete una mano a portarla fino al parcheggio. Non posso caricarmela in spalla.» Mi sembra una richiesta ragionevole. Ma il tizio guarda l'uomo che fa un cenno di diniego, e scrolla la testa. Una delle corsiere sta per parlare, ma viene fermata da una compagna che la urta con l'anca. Merda. Non posso lasciarla lì a morire. E il padrone non sarebbe felice di trovarsi un cadavere nella stalla. Insisto: «Mi serve una persona sola. Altrimenti me ne vado.» Questa volta, il tizio sospira: «Ti basto io?»

Sospiro di rimando: «Dovrò accontentarmi, a quanto pare. Se siamo solo in due, servirà qualcosa per portarla. Non muovetela, torno subito.» Scendo a piano terra e cerco qualcosa che assomigli ad una barella. In uno sgabuzzino trovo una scaletta in alluminio. Una volta allungata, dovrebbe andar bene. È stretta, ma la ragazza è minuta. Non si direbbe una corsiera. Forse non lo è. Raccatto un po' di coperte. Prima di salire la rampa, getto uno sguardo al terzo stabbio, quello dove alloggia l'equipaggio che mi è stato affidato. Dovrebbe essere vuoto, a quest'ora, e invece, miracolo!, le ragazze sono lì! Quel fancazzista di Huck non le ha portate ad allenarsi. Le recluto immediatamente e saliamo al primo piano.

Firmo la cessione e scopro che l'infortunata si chiama Clio. Bel nome, le si addice. Il tizio è visibilmente sollevato quando vede che ho portato rinforzi. Ma cos'ha questa gente? Sono curioso e mi piacerebbe investigare, ma la figliola non sembra avere molto tempo. Allungo la scala, ci butto sopra un po' di coperte, prendiamo l'infortunata e la depositiamo delicatamente sopra, la avvolgiamo nelle rimanenti coperte e partiamo. Ovviamente, ho lasciato alle quattro ragazze il compito di portare la scala: sono perfettamente addestrate a camminare in sincrono. La corsiera si è risvegliata dal suo torpore e geme e si lamenta. Meglio gemebonda che moribonda.

Porca miseriaccia nera, non ho le chiavi del furgone! Mi tocca lasciare nel parcheggio due ragazze con Clio e la scala. Se mi vedesse Tom, farebbe il diavolo a quattro: lasciare due schiave incustodite e libere! Ma non ho alternative e non ho manette con me, e anche se le avessi non le userei: mi hanno aiutato con tutto il cuore e spontaneamente.

Vado con due ragazze nel cortile dove l'asta è ancora in corso. Mi infilo alle spalle del banditore, aspetto che riprenda fiato fra uno sproloquio e l'altro e gli sussurro «Il Capo ha detto che devi darmi le chiavi del furgone.» Lui fa finta di nulla. «Devo dirgli che hai disubbidito ad un suo ordine?»

Tom si gira, mi squadra e «A che ti serve il mio furgone?»

«Non è tuo e non sono affari tuoi. Il Capo ha detto che devi darmi le chiavi del furgone. Allora?»

Si volta verso il padrone che ha capito la situazione e gli fa un cenno col mento. C'è poco da scherzare. Si fruga in tasca e tira fuori un anello portachiavi con una targhetta dove è riportato il logo della tenuta e il numero di targa del furgone. Anziché darmelo, lo lascia cadere a terra. Guardo il padrone per assicurarmi che abbia visto il gesto scortese, quindi lentamente mi chino e raccolgo le chiavi.

Una giovane si avvicina. Piuttosto formosa, lunghi capelli tinti di un biondo rossastro. Non sembra una corsiera. Non è nuda, ma nemmeno molto vestita. Il reggiseno non le copre le mammelle e si limita a reggerle, e, d'altronde, è il suo compito, la sua ragion d'essere. Vedo chiaramente i capezzoli. La vita è strizzata, forse indossa una guêpière. La gonna arriva al ginocchio ma i tagli su entrambi i lati le scoprono le cosce mentre cammina. I sandali con tacchi alti la costringono a stare in punta di piedi, per cui il sedere sporge e si solleva. Insomma, un bell'esemplare, direi. Anche il viso non è male, con zigomi sporgenti e labbra un po' troppo carnose, forse ritoccate. Porta un collier di cuoio con incastonata una piccola gemma. Sembra un gioiello, ma sono sicuro che fra le cuciture si cela un anello per attaccare un guinzaglio. Quello è un collare, anche se travestito. Questa donna è probabilmente una schiava da letto, l'amante del suo padrone. Porta dei fogli con sé, forse funge anche da assistente o simili. Senza dire nulla, mi porge i fogli. È il contratto di cessione di Irina. Lo firmo e la ringrazio. Lei ancora non parla, si limita ad annuire col capo.

Sono curioso: è muta o semplicemente le è vietato parlare? Le chiedo «Come ti chiami?», mi sembra un approccio banale e innocuo. Lei abbassa gli occhi e non risponde. «Non puoi parlare?» insisto. Le mi guarda, solleva il mento e sventola una mano vicino al collo, con le dita rigide in orizzontale, ad angolo retto rispetto al palmo. Lo stesso gesto che chiede a qualcuno di tagliar corto. Interpreto il gesto nell'unica maniera che credo possibile. Lei non parla perché è stata privata della parola. È pratica comune presso certi proprietari. Non la approvo di certo. Zittire poi definitivamente la propria amante mi sembra una cosa così… così… così… beh non ho parole!

La donna si allontana e raggiungo le mie ragazze che ho lasciato vicino ad Adele e Irina. Prendo in braccio Irina mentre loro si caricano Adele e facciamo un fugone verso il furgone. A dirla tutta, sono un po' preoccupato: ho dato fiducia alle figliole e le ho lasciate incustodite, e non si sa mai…

Le ragazze sono dove le ho mollate. Sono così sollevato che vorrei baciarle e abbracciarle, ma non posso esternare i miei sentimenti perché sono il loro coach, devo essere rigido con loro. Duro come una pietra. Sensibile come un sasso. Un pezzo di legno.

Carichiamo Clio compresa di scala e coperte per non svegliarla, e rinchiudo Irina e Adele nel furgone. Mi porto via la chiave, non si sa mai… Riporto le corsiere alla stalla e le chiudo nel loro stabbio dopo averle ringraziate di cuore. Non prometto loro nulla, ma già penso a cosa portare loro per sdebitarmi. Sono schiave, non possiedono nulla, quindi la cosa migliore è portare loro del cibo.

Faccio una corsa fino al furgone. Mi sento un SuperMan! Sono riuscito a fare tutto e non ho nemmeno il fiatone. Ma ora inizia il difficile. Salvare la vita a Clio. Ridare mobilità a Irina e Adele. Normalmente, sono molto confidente in me stesso. So di essere intelligente, e so di avere un corpo robusto, agile ed allenato. Raramente devo affrontare sfide che non sono sicuro di vincere. Quando ho un compito impegnativo, cerco di prepararmi e di essere pronto al massimo, o quasi…