Sonia & Tommaso

Capitolo 5 - IL VELENO E L'ULTIMA SOGLIA

Sonia
5 hours ago

La mia mano stringeva il piccolo flaconcino, ma il mio cuore non batteva all'impazzata per la paura, bensì per l'eccitazione di quel potere appena conquistato. Mario mi aveva dato la soluzione, il lasciapassare per quel mondo che ormai bramavo. Guardai Tommaso, quell'idiota, beato nella sua ingenua ignoranza, totalmente assorto nella musica banale.

Non esitai. Quando si girò un attimo per chiedere a Enzo se volesse un'altra birra, le mie dita, prive di tremore, ma cariche di fredda determinazione, aprirono il flaconcino e ne versai il contenuto nel suo bicchiere. Cinque gocce, Mario aveva detto. Ma io ne misi qualcuna in più, per essere assolutamente certa che il mio fidanzato dormisse davvero come un sasso. Volevo essere libera, completamente e senza interruzioni.

Tommaso tornò a bere il suo Spritz, ignaro del dolce veleno che gli stavo somministrando. Continuammo a chiacchierare un altro po', lui che si lamentava ancora della sua strana sonnolenza del mattino, io che lo rassicuravo con la mia voce più dolce. Poi, quando vidi che i suoi occhi iniziavano a farsi pesanti, lo interruppi.

"Tommi, non ce la faccio più," dissi, fingendo uno sbadiglio perfettamente credibile. "Sono proprio stanca morta. Credo che andrò a letto."

Lui annuì, già mezzo assente. "Sì, hai ragione, sono stanco anch'io. Perdonami, So', ti rovino sempre le serate." La sua voce era un lamento, e io, per un istante, provai una fitta di colpa che liquidai con disprezzo. Fu subito soppressa dal desiderio bruciante e dalla sfrontata euforia che mi pervadeva.

Salutammo Mario ed Enzo. I loro sguardi erano complici, carichi di un'attesa perversa che mi faceva fremere. Mario mi fece un occhiolino quasi impercettibile, e io risposi con un sorriso malizioso che solo lui poteva capire.

Lungo la strada verso l'hotel, Tommaso barcollava un po', la sua voce sempre più impastata. "Non so... cosa mi prende, So'... Sono così... stanco... Perdonami..." farfugliava, e la sua figura vacillante era la prova che le gocce avevano funzionato alla perfezione. In ascensore, si appoggiò a me, il suo peso morto quasi mi faceva cedere. Era un peso che mi dava un inebriante senso di controllo.

Una volta in camera, crollò sul letto con un tonfo, vestito, senza nemmeno togliersi le scarpe. Lo guardai un istante, addormentato così profondamente da non potersi accorgere di nulla. Con una strana freddezza, gli sfilai i vestiti, lo coprii con il lenzuolo e lo sistemai sul letto. Era solo un corpo inerte, il fantasma della mia vecchia vita, il simbolo della mia libertà appena conquistata.

Mi avvicinai al bagno. Sentivo il calore tra le gambe, la mia fica che pulsava e doleva leggermente. Mi sfilai la minigonna e la canotta. Il pizzo color cipria era l'unica cosa che mi restava addosso. Era appiccicoso e umido, quasi inzuppato, una prova visibile e odorosa della fame che mi aveva divorata al tavolo. Lo lasciai cadere a terra con disprezzo.

Mi infilai il mio abito da guerra: un vestito di pura seta nero, corto, che mi fasciava i fianchi e scivolava sulle cosce nude con dei piccoli spacchetti laterali. La seta non nascondeva nulla, anzi, suggeriva tutto, facendomi sentire come una pantera desiderabile e, finalmente, pericolosa.

Un'ultima occhiata al mio fidanzato che dormiva beato, ignaro del mio corpo nudo e di ciò che stavo per fare. Spensi la luce della camera. Aprii piano la porta, e uscii. Furtiva e affamata, con il cuore che mi batteva forte di anticipazione.

Scesi le scale, cercando di non fare rumore, la seta fredda che mi accarezzava le gambe. Fuori dall'hotel, a pochi metri, un'auto scura mi aspettava, i fari spenti, come un predatore in agguato. Era la mia notte, il mio destino in seta nera.

Aprii la portiera posteriore e scivolai dentro l'auto. L'abitacolo era buio, illuminato solo dai deboli riflessi del cruscotto. La portiera si chiuse con un click definitivo, sigillandomi dentro un mondo che mi avrebbe condotta a fondo. Ero nel mio miniabito di seta nero, totalmente svestita sotto, a poca distanza dal mio fidanzato che dormiva, diretta verso l'ignoto. L'auto partì subito, senza una parola, senza esitazione.

Il clima nell'abitacolo era allegro, euforico. Le risate di Mario ed Enzo riempivano lo spazio, un suono contagioso che mi trascinava in quell'ondata di libertà proibita. La preoccupazione e la colpa per Tommaso erano soltanto un vago ronzio, subito soppresse dalla foga. Ero io, Sonia, a decidere, e in quel momento, questo potere mi era più afrodisiaco di qualsiasi carezza.

Mario, seduto davanti, si girò quasi completamente all'indietro, il braccio che si allungava verso di me. La sua mano, grande e ruvida, si posò sulla mia coscia nuda, risalendo lenta, deliberatamente, sotto il tessuto di seta. Sentii il calore del suo tocco, la sua pressione che mi faceva fremere. Le sue dita arrivarono fino al bordo della mia fica, accarezzando la pelle sensibile.

"Sei senza mutandine, cagna?" La sua voce era un sussurro rauco, carico di un'eccitazione che mi faceva venire i brividi.

Non risposi. Non potevo. Annuii appena, il fiato sospeso.

"Ah, la mia puttanella ha voglia di farsi scopare!" Il suo pollice premette sul mio clitoride, un tocco leggero ma devastante che mi fece gemere. "Apri le gambe, Sonia. Voglio sentire quanto sei bagnata."

La sua voce, le sue dita, erano un comando. Obbedii. Aprii leggermente le gambe, offrendogli un accesso più facile alla mia figa che già pulsava e si contraeva, completamente bagnata, grondante di desiderio e del ricordo del suo cazzo che mi aveva riempita. La sua risata si fece più roca, più appagata.

"Brava, cagnolina! Vedo che hai imparato la lezione." Mario continuò a stuzzicarmi, le sue dita che si muovevano con perizia tra le mie labbra umide, massaggiando, esplorando, mentre l'auto sfrecciava nella notte. Le sue parole erano come frustate di piacere, che mi spingevano sempre più a fondo in quella dimensione senza freni.

Non so quanto durò il viaggio. Ero persa in un limbo di sensazioni, finché l'auto rallentò, si addentrò in una strada sterrata e si fermò. Il rumore dei pneumatici sulla ghiaia era inconfondibile. Eravamo di nuovo lì. La vecchia cascina.

Questa volta, però, non c'era Tommaso. Questa volta, ero sola. Sola con Mario ed Enzo, nella loro tana, pronta a vedere fino a che punto mi avrebbero spinta e fino a che punto io stessa avrei voluto andare.

L'auto si fermò, e ancora prima che potessi rendermi conto di dove fossimo, la portiera si aprì. Mario ed Enzo mi tirarono fuori, le loro mani svelte e decise che mi strappavano via l’abito. Il tessuto leggero scivolò via, cadendo sulla ghiaia sporca, e in un istante mi ritrovai completamente nuda sotto le stelle, con addosso solo i miei sandali a tacco alto. L'aria notturna mi accarezzò la pelle, ma non sentii freddo, solo una scarica di adrenalina e un'eccitazione che mi faceva vibrare. Le loro risate mi circondarono, cariche di un trionfo che mi fece sentire una vera preda, e mi piaceva da morire.

Mi spinsero verso l'ingresso della cascina, i miei tacchi che affondavano leggermente nel terreno sconnesso. L'odore che mi accolse era lo stesso, ma ora non lo percepivo come squallido, bensì come un profumo ruvido, primitivo, di sporco, fieno, sperma secco e sudore maschile, un mix che mi inebriava come un costoso chypre.

Senza darmi tempo di respirare, mi ritrovai sul sudicio divano, il trono della mia umiliazione e del mio piacere. Mario si mise di fronte a me, spingendo la mia testa verso il suo inguine. Il suo cazzo grosso e turgido era già lì, imponente. Senza esitazione, lo presi in bocca, le mie labbra che si chiudevano avidamente intorno alla sua carne. Contemporaneamente, sentii la lingua ruvida di Enzo che si avventava sulla mia fica. Era un assalto simultaneo ai miei sensi. La mia figa si strinse e pulsò, la sensazione era sconvolgente, una scarica elettrica che mi fece gemere, il mio corpo che si inarcava in una resa totale.

Mario spinse più a fondo nella mia bocca, la sua sborra che quasi soffocava il mio palato. Enzo, intanto, continuava a lavorare sulla mia fica, la sua lingua che si muoveva con perizia, portandomi al limite. Non appena Mario si ritrasse, soddisfatto, mi sollevò di nuovo sul divano, le mie gambe che si aprivano quasi automaticamente. Il suo cazzo non perse tempo, spingendosi con una violenza che mi fece gridare. La mia figa era già così bagnata, così pronta, così affamata, che lo accolse con una facilità sconcertante.

La voglia che avevo covato per tutto il giorno esplose in un'onda di piacere puro e animalesco. Non c'era più freno, non c'era più vergogna. Solo il mio corpo che implorava di più. "Sì! Sì! Scopami! Ancora!" urlavo, la voce rauca, incitando Mario a non fermarsi, a darmi tutta la sua foga. Le sue spinte erano veloci, profonde, e io mi muovevo con lui. Era come se il mio interno volesse inghiottire completamente il suo cazzo. Non passò molto che Mario si contrasse, e sentii la sua sborra calda e abbondante inondarmi, riempiendomi completamente.

Non appena Mario si sfilò, lasciando la figa devastata e felice, pulsante e gocciolante, Enzo si mosse subito, posizionandosi dietro. Sentii la punta del suo lungo cazzo premere contro il mio culetto esposto. Il terrore si mescolò a un desiderio perverso. Era l'anale, la soglia definitiva. Il mio corpo si irrigidì, e un lampo di lucidità mi fece mormorare: "No... Enzo... Ti prego... lì no..." La mia voce era tremante, un atto troppo grande, anche per la nuova Sonia.

Fu in quel momento che Mario si avvicinò, con in mano una piccola bustina trasparente. Non erano carezze, ma un'offerta di totale oblio. Mi prese la testa e l'inclinò all'indietro, mentre versava una piccola quantità di polvere sul mio labbro inferiore. Il gusto amaro e chimico si diffuse in bocca, ma quasi subito, un'onda di calore e di pura, sfrontata euforia spazzò via ogni residuo di paura. Il sapore chimico era il sapore della vera libertà. La mia mente, ormai sciolta, urlò al mio corpo di non fermarsi. "Sì..." sussurrai, la voce roca e innamorata del caos, "Sì... voglio... voglio provare..." Accettai il mio destino e il suo cazzo.

La coca mi aveva bruciato via ogni residuo di paura, lasciando solo una brama irrefrenabile di provare, di spingermi oltre. Le mie parole, "Sì... voglio... voglio provare...", risuonarono come un invito al peccato, e io ero più che disposta a ricevere.

Enzo mi fece girare sulla pancia, le mie natiche tornite esposte. Sentii un tocco freddo e untuoso. Prese una manata di strutto animale da un barattolo. L'odore era forte, quasi selvaggio, ma non mi disgustò. Anzi, un brivido sottile mi percorse la schiena. Spalancò le mie natiche e iniziò a spalmarmi quello strutto sul mio buchetto, con le dita che lavoravano con una perizia quasi inaspettata. Si spalmò lo stesso strutto sul suo cazzo, rendendolo lucido e scivoloso.

Enzo spinse lentamente. Il primo tocco fu una pressione, poi una sensazione di stiramento. La combinazione dello strutto e della coca aveva attutito la tensione, trasformando la paura in una curiosità bruciante. Poi, con un affondo deciso, sentii il suo cazzo entrare completamente nel mio culetto.

Un brivido mi scosse, dalla testa ai piedi. Era una sensazione completamente nuova, così stretta, così piena, così profonda. Un piacere inatteso mi invase, e le mie gambe si strinsero quasi convulsamente. "Oh, Dio...!" gemetti. Un pentimento amaro, ma allo stesso tempo dolcissimo, mi attraversò: perché avevo aspettato così tanto per provare questa estasi proibita?

Enzo iniziò a muoversi. Ogni affondo era un'ondata di piacere che spazzava via ogni residuo di inibizione. "Ancora... Enzo! Scopami! Fallo a fondo!" urlavo, la mia voce un lamento di puro desiderio. Sentii la mia figa, davanti, bagnarsi a dismisura, quasi per solidarietà. Le sue spinte si fecero più veloci, più furiose, finché con un gemito rauco, sentii un'ondata di calore inondarmi il culetto. Enzo mi aveva sborrato dentro, completamente, la sensazione del suo seme caldo che si riversava nel mio ano era sconvolgente e deliziosa al tempo stesso.

Non c'era tempo per riprendersi. Mario si avvicinò con un'altra bustina. Senza chiedere, mi versò un'altra dose di coca sul labbro. Il sapore amaro, la scarica di euforia che ne seguì, era il mio lasciapassare per il livello successivo. Anche loro ne presero, e i loro occhi si fecero più lucidi, più famelici.

Il mio culetto pulsava, pieno del seme di Enzo, mentre la cocaina continuava a ronzarmi nel cervello, amplificando ogni sensazione. Loro, Mario ed Enzo, si muovevano stanchi, appagati, ma i loro occhi erano già famelici. Avevano bisogno di riprendere vigore, e io ero lì, la loro puttanella a completa disposizione.

Mario si avvicinò per primo, il suo cazzo grosso e scuro ancora molle ma che già si risvegliava. Senza una parola, lo presi in bocca, succhiando con avidità. Contemporaneamente, Enzo si abbassò davanti a me, il suo cazzo lungo e rosa che si ergeva lentamente. Erano lì, entrambi, di nuovo nelle mie fauci.

Mentre li succhiavo con devozione, Mario armeggiò e mi trovai davanti... un salame. Grosso, scuro, stagionato. Mario mi sfilò il cazzo di Enzo dalle labbra e mi sussurrò, con la voce rauca: "Guarda cosa ti piace, cagna."

Enzo tornò con una bottiglia vuota a collo lungo. Mario spalmò generosamente lo strutto animale sul salame e poi sulla bottiglia. "Adesso vediamo quanto sei vogliosa, puttanella," disse Mario.

Il sapore amaro della coca mi inondava la bocca. Avevo entrambi i loro cazzi nelle fauci un istante prima, e ora mi trovavo davanti un salame unto di strutto e una bottiglia lucida. Mario ed Enzo erano lì, i loro sguardi eccitati.

Mario prese il salame, e con una mossa decisa, mi fece girare sulla schiena, le gambe spalancate e la figa che pulsava e grondava. Enzo mi teneva le cosce aperte, mentre Mario si posizionava tra le mie gambe. Con una spinta ferma, iniziò a inserire il salame nella mia figa.

Era grosso, e la sensazione di pienezza fu immediata, quasi dolorosa ma allo stesso tempo incredibilmente eccitante. Mario lo spingeva a fondo, con movimenti lenti e decisi. Sentii il mio corpo dilatarsi, e la mia figa cominciò a stringersi e rilasciarsi intorno al salame, come se fosse un cazzo vero. "Sì! Oh, sì!" ansimavo.

Mentre Mario era occupato, Enzo mi fece girare leggermente di lato. Aveva in mano la bottiglia a collo lungo, anch'essa lucida di strutto. Sentii il collo della bottiglia spingersi lentamente dentro, dilatando il mio ano con una pressione intensa. Era una sensazione strana, più fredda, più dura, ma allo stesso tempo così piena, così inaspettata.

Ora ero lì, completamente nuda, con un salame che mi spaccava in due la figa e una bottiglia che mi penetrava il culetto. La sensazione di pienezza estrema, di essere completamente usata e riempita in ogni orifizio, mi travolse. I miei capezzoli erano duri e puntuti, e la mia lingua si mosse per leccare le labbra, assaporando il retrogusto amaro della coca e il sapore di carne e strutto che mi era rimasto. Ero la loro puttanella, il loro giocattolo, e la doppia penetrazione mi stava portando in un altro livello di estasi e degrado.

Il mio corpo era una fornace ardente, dilatato e completamente riempito. Davanti a quello spettacolo, Mario ed Enzo non resistettero a lungo. I loro cazzi erano già turgidi. Mario mi tolse il salame dalla figa con un movimento brusco, lasciando il mio interno dilatato e grondante. Un attimo dopo, sentii il suo grosso cazzo spingersi con foga al suo posto. Era un ritorno al piacere più conosciuto, ma amplificato dalla precedente dilatazione, che mi riempiva completamente.

Contemporaneamente, Enzo sfilò la bottiglia dal mio culetto. L'apertura era già morbida e vogliosa, unta di strutto. E senza esitazione, il suo cazzo lungo mi penetrò. La sensazione era ancora più profonda, un'invasione completa, un riempimento totale che mi fece ansimare. Ero di nuovo doppiamente penetrata, ma questa volta dalla loro carne, dal loro calore.

I due si mossero con un ritmo selvaggio, sincronizzato. Mario mi scopava la figa con una brutalità che mi faceva gemere, mentre Enzo mi inculava con una profondità che mi portava alle lacrime di piacere. "Sei la nostra puttanella, Sonia! Ti piace farti usare, eh?" urlava Mario. "Goditi i nostri cazzi, cagnolina! Siamo fatti per te!" aggiungeva Enzo.

E io godevo. Godevo come mai in vita mia. I miei capezzoli erano durissimi, e le mie gambe si stringevano per intrappolarli, per sentirli ancora più dentro. Venivo in continuazione, in un susseguirsi di spasmi che mi lasciavano senza fiato. Non volevo che finisse, volevo solo che mi scopassero ancora, e ancora, fino all'alba.

I cazzi di Mario ed Enzo si muovevano dentro di me con una furia implacabile, riempiendo la mia figa e il mio culetto fino all'orlo. Ero un mare di spasmi, ogni muscolo che si contraeva per il piacere ininterrotto che mi stavano infliggendo. La cocaina mi aveva spinto in uno stato di euforia pura. Ma non era abbastanza. Loro volevano di più. Volevano la mia mente, volevano che il mio piacere si tingesse di una perversione ancora più nera.

Mario mi afferrò il viso, costringendomi a guardarlo negli occhi mentre il suo cazzo mi martellava la figa. "Ti piace, Sonia, eh? Ti piace farti scopare da noi mentre il tuo bravo fidanzato dorme come un deficiente?" La sua voce era un ringhio, e un brivido freddo, ma al tempo stesso eccitante, mi percorse la schiena. "Come ti senti a tradirlo, puttanella? Non ti senti una troia?"

Enzo, dietro di me, mi sferrava delle spinte profonde nel culetto, i suoi commenti che si mescolavano a quelli di Mario. "Immagina, Sonia, se Tommaso sapesse. Se vedesse la sua fidanzatina, la sua 'brava ragazza', così, con il mio cazzo nel culo e quello di Mario nella figa. Cosa direbbe, eh?"

Ero persa. La mia mente, annebbiata dalla droga e dal piacere, non aveva più filtri. Le loro parole mi scavavano dentro, risvegliando un lato oscuro che non sapevo di possedere. Le mie labbra si aprirono, e le parole mi uscirono di bocca, parole che non avrei mai immaginato di dire. "Lui non sa niente... non capirebbe... È un ingenuo... Un pivello..." La mia voce era roca, quasi irriconoscibile. Era la Sonia puttana che parlava, non più la Sonia di Tommaso.

"È vero," continuò Mario, le sue spinte che si fecero ancora più potenti. "Lui è solo un ragazzino. E tu sei una donna, una cagna che vuole il cazzo vero! Non è così, Sonia? Dillo! Dillo che il suo pisellino non ti dà nulla in confronto a questo! Dillo che lo disprezzi!"

"Sì... sì! Il suo è piccolo... non mi fa niente!" urlai, la mia voce un lamento che si perdeva nei gemiti di piacere. "Non mi ha mai fatto godere così! Non è un uomo! Non è come voi!" Stavo umiliando Tommaso, il mio Tommaso, nel modo più completo e vile. Confessai un disprezzo per la sua innocenza che mi sembrava improvvisamente così liberatorio.

Enzo mi diede una pacca sul culo, le sue spinte nel mio buchetto che mi portavano a un nuovo orgasmo. "Sei perfetta, Sonia! Una vera puttana! Dimostragli chi comanda! Fagli vedere che sei la nostra cagna!"

Ero presa da una furia cieca di piacere e di degradazione. Non c'erano più freni. Le mie parole erano un fiume in piena di volgarità, di umiliazione per il mio fidanzato assente.

I cazzi di Mario ed Enzo si mossero all'unisono, le loro spinte finali che mi sbattevano contro il divano. Sentii un'onda di calore travolgermi, un misto di sborra e puro piacere che mi inondava la figa e il culetto contemporaneamente. Urlai, un grido strozzato di puro godimento, mentre i loro corpi si irrigidivano e poi si riversavano dentro di me, lasciandomi sfinita, grondante e tremante.

Rimasero per un attimo sopra di me, ansimanti, poi si ritrassero, lasciandomi stesa sul divano. Ero fatta, distrutta, ogni muscolo indolenzito, la mente annebbiata dalla coca e dagli orgasmi. Nonostante la stanchezza, quella parte perversa che si era risvegliata non voleva che finisse.

Le loro voci mi arrivavano ovattate. Confabulavano, ridevano. Poi, Mario si chinò su di me. "Dai, puttanella, si è fatto tardi. Ti riaccompagniamo."

Un'ondata di delusione mi pervase. Non volevo che finisse. Ma annuii, troppo esausta per protestare.

Mi alzai a fatica. Sentivo il loro seme scivolare lungo le mie cosce. Fuori dalla cascina, nell'aria fresca della notte, raccolsi il mio miniabito nero dalla ghiaia sporca. Lo indossai, sentendo la seta fredda sulla pelle ancora calda e appiccicosa.

L’auto procedeva veloce, ma il clima nell'abitacolo era cambiato. I due si lanciavano occhiate complici. Poi Mario, con un tono sfrontato che mi fece gelare il sangue, mi disse: "Allora, Sonia, ti è piaciuto farti scopare? Sei la nostra puttana, adesso. E le puttane lavorano, no?"

Mi sentii raggelare. "Cosa... cosa dici?" balbettai. Cercai di credere che stessero scherzando, ma i loro sguardi non scherzavano.

"Ti portiamo a battere, Sonia. È ora che ripaghi il favore," aggiunse Enzo, la sua voce piatta, priva di ironia o compassione.

Il cuore mi balzò in gola. No. Non poteva essere vero. Io, Sonia, la ragazza per bene, a battere? Mi irrigidii. "No! Siete impazziti? Non lo farò mai!"

L'auto rallentò, si fermò sul ciglio di una statale buia. Era quasi l'alba, le luci della città ancora lontane. Mario si voltò, e nel buio, vidi che mi lanciava qualcosa. Caddero sul sedile accanto a me, un piccolo pacchetto argentato. Preservativi.

"Scendi, Sonia," disse Mario, la sua voce un ordine inappellabile. "Se vuoi tornare in hotel, devi battere per noi. Ti diamo noi la roba, non preoccuparti." Enzo si girò, con in mano un'altra bustina di coca. Me la porse. Senza pensarci, la presi, e la tirai su. Il sapore amaro, la scarica di euforia, mi diedero il coraggio che mi mancava.

Le mie gambe tremavano mentre aprivo la portiera. Erano le quattro del mattino. Poche auto passavano, ma ognuna era un predatore. Ero lì, nel mio miniabito, senza mutandine, a battere.