Sonia & Tommaso
Capitolo 4 - IL SAPORE DEL SEGRETO
Il suono insistente del bussare alla porta si è fatto un fastidio lontano che la mia mente confusa registrava a malapena. Mi sentivo come se un camion mi fosse passato sopra. La nebbia del sonno e di chissà quali altre sostanze si stava diradando, lasciando spazio a un dolore sordo alla testa e una strana pesantezza tra le gambe. Non avevo bisogno di toccarmi per sapere che la mia fica era stata usata a fondo, svuotata e poi riempita fino all'orlo.
Sentii un tocco leggero sulla guancia. Era Tommaso. La sua voce, ancora impastata dal sonno, mi chiamò: "Sonia? Ehi, Sonia, svegliati."
Gemetti, infastidita. L'ultima cosa che volevo era affrontare la realtà. "Mmmh... ancora cinque minuti, Tommi..." la mia voce era un lamento rauco, strozzato dal sonno e dagli eccessi. Volevo solo sprofondare di nuovo in quell'oblio, nascondermi dai ricordi vividi e spudorati che iniziavano a farsi strada.
Tommaso insistette, la sua voce ora più preoccupata. "Sonia, dobbiamo alzarci. Hanno già bussato le donne delle pulizie. Cos'è successo? Mi sento stranissimo..."
Mi sono messa seduta a fatica, i muscoli indolenziti, le gambe che mi dolevano un po'. Tra le cosce ho sentito una scia umida e appiccicosa, il residuo inconfondibile di quella sborra che la doccia veloce che mi ero fatta prima di crollare non era riuscita a cancellare del tutto. Era un segno, una macchia indelebile che portavo dentro. Avevo lavato via i segni più evidenti, ma non il ricordo, né la sensazione di quel seme che doveva essere ancora annidato in me.
Mi sono alzata dal letto, nuda, senza curarmi del suo sguardo. Il mio corpo, ancora segnato dai lievi rossori lasciati dalle mani di Mario e dalle lenzuola, era un ricordo vivido della notte. Per fortuna, nulla che potesse essere notato facilmente. Avevo bisogno di coprirmi, di ritrovare una parvenza di normalità.
Afferrai un vestitino leggero in cotone. Dalla valigia, ho tirato fuori un completo intimo color cipria, un lusso invisibile sotto la stoffa semplice. Il reggiseno a balconcino, con un leggero pizzo sul bordo superiore, mi sollevava il seno tondo, i cui capezzoli, ancora sensibili e guizzanti, non avevano dimenticato la stretta delle mani di Mario. Poi ho preso le mutandine abbinate, un brasiliano in pizzo elasticizzato. Si adattavano perfettamente al mio culetto tondo, mettendo in risalto la linea dei glutei, e sul davanti, lasciavano intravedere appena il mio triangolino pubico scuro, curato ma deciso. Mi sono infilata il vestito sopra, lasciando che il tessuto leggero accarezzasse la mia pelle e nascondesse le tracce della notte. Sembravo di nuovo la brava ragazza che Tommaso conosceva, ma sotto... sotto ero un incendio, e il pensiero di quei due cazzi che mi avevano riempita mi fece pulsare la figa di un desiderio sordo.
Tommaso, povero ingenuo, era ancora lì, sul letto, la sua espressione un misto di confusione e crescente preoccupazione. Mentre mi stavo infilando il vestitino – lo sentii chiedermi. "Sonia, cos'è successo? Non mi ricordo niente dopo la cascina… Abbiamo bevuto così tanto?"
La sua innocenza mi faceva sentire quasi sadica. Ho cercato di mascherare il mio rossore, mentre la mia vagina continuava a pulsare e a ricordarmi ogni singola spinta di Mario e ogni affondo di Enzo. "Ma figurati, Tommi! Non ricordi? Ti sei addormentato come un sasso appena abbiamo messo piede alla cascina. Quella roba che ci hanno dato era fortissima!" La mia voce era un misto di finta irritazione e stanchezza autentica. "Quei due, Mario ed Enzo, si sono stufati di aspettarti e ci hanno riportati qui. Che noia! Avevano promesso locali esclusivi, un giro pazzesco per la Riviera, e tu mi hai rovinato tutto con il tuo sonno profondo!"
Tommaso mi guardò, ingenuo, con gli occhi grandi e colpevoli. "Oddio, Sonia, mi dispiace così tanto! Non so cosa mi sia preso... Mi sento ancora rintronato." Si strofinò la fronte, e io, per un istante, provai quasi tenerezza. Era così facile mentirgli, così facile nascondere il baratro in cui ero precipitata, e che lui non aveva nemmeno sfiorato. La cosa mi infondeva un'eccitazione insidiosa, una sottile ebbrezza del segreto che velava il mio iniziale senso di colpa. Ero io, a custodire la verità, e questo mi conferiva un inebriante senso di controllo sulla nostra vita. Certo, c'era quella sensazione fastidiosa che qualcosa in lui non tornasse, ma Tommaso era troppo preso dal senso di colpa per approfondire. Pazienza, era il suo destino.
Scesi a fare colazione con lui, cercando di sembrare il più normale possibile, masticando una brioche senza sentirne il sapore. I miei pensieri erano un turbine, la mia mente vagava.
Più tardi, nel pomeriggio, mi sono ritrovata stesa sul lettino in spiaggia, a pancia sotto, con il sole caldo che mi accarezzava la pelle. Non riuscivo a stare ferma, la testa piena dei fantasmi di quella notte. Ero in un bikini color lavanda che, adesso, mi sembrava urlare la mia ritrovata sensualità, un inno alla trasgressione. Il top, a triangolo... metteva in risalto i miei seni tondeggianti, ancora un po' dolenti, quasi volessero ricordarmi il modo in cui le mani di Mario li avevano stretti. Lo slip era a vita bassa... Lasciava scoperta la parte alta del mio triangolino pubico scuro, quella zona che era stata il centro di tanta perversione poche ore prima. Era un costume da "brava ragazza", certo, ma sul mio corpo, adesso, aveva un che di osceno, di proibito, almeno ai miei occhi.
Il sole mi scaldava la schiena, ma dentro di me era un mare in tempesta. La vergogna era solo la superficie, il carburante per il vero motore: l'eccitazione. Non avevo mai goduto così tanto in vita mia. I ditalini dei miei ex, il sesso con Tommaso – pur adorabile – erano stati un'ombra, una pallida imitazione rispetto a quello che mi avevano fatto provare Mario ed Enzo. La loro ansimante violenza, i cazzi enormi che mi avevano riempita fino in fondo, gli schiaffi leggeri sul culo, gli insulti... Era stato sconvolgente, liberatorio, e il mio corpo, la mia fica, aveva risposto con una fame insaziabile, raggiungendo orgasmi che nemmeno sapevo esistessero.
L'idea del loro sperma ancora dentro di me, o che aveva sporcato il mio pancino, mi ha fatto serrare le gambe, quasi a voler trattenere quei ricordi, quei liquidi che mi avevano marcata. Era la prova del mio segreto, il mio intimo feticismo. Stringevo in mano il bigliettino con il numero di Mario, un pezzo di carta stropicciato che sembrava bruciarmi la pelle. Dovevo buttarlo via, dovevo dimenticare tutto. Ma una parte di me, quella parte oscura e perversa che si era appena risvegliata, non voleva. Voleva di più. Voleva sentire di nuovo quelle mani, quei cazzi, quelle parole. Il mare mi sembrava lontano, il suono delle onde solo un sottofondo alla tempesta che avevo dentro.
Il sole continuava a picchiare sulla spiaggia, ma sulla mia schiena, sdraiata a pancia sotto sul lettino, sentivo un brivido freddo. La mano che stringeva il bigliettino di Mario tremava leggermente. Un attimo lo avrei voluto strappare in mille pezzi, cancellare quella notte, tornare indietro ad essere la Sonia che si era preoccupata di prendere la pillola, la Sonia che Tommaso meritava. Quella Sonia, pulita, ingenua, terribilmente noiosa.
Ma poi, il ricordo tornava, irresistibile, vivido, e mi faceva vibrare fin nelle ossa. Le spinte brutali di Mario, il suo cazzo grosso che mi riempiva fino a farmi male e godere allo stesso tempo. Il suo sperma caldo che mi inondava l'interno. E poi Enzo, il suo cazzo lungo e le sue dita maliziose che giocavano con la mia figa già devastata. Gli insulti, le risate, il sentirmi chiamare "puttana" e "cagna" mentre ero lì, nuda, usata, sotto i loro corpi, e con Tommaso che dormiva beato a poca distanza. Quella sensazione di abbandono totale, di sentirmi sporca, ma in un modo così eccitante, così liberatorio. Mi era piaciuto. Dio, se mi era piaciuto!
La lotta dentro di me non era morale, era una crisi d'astinenza furiosa. Una parte della mia mente gridava allo scandalo, alla vergogna, alla formalità borghese. Ma l'altra parte... quella parte era più forte, più famelica. Era la Sonia selvaggia, quella che aveva scoperto la soglia di un mondo fatto di penetrazioni violente, di insulti che eccitavano, di un piacere masochistico che l'aveva fatta implodere in orgasmi così profondi e sconvolgenti. Era come se mi avessero aperto una porta, e ora non potevo non volerla varcare di nuovo.
Il mio pollice accarezzò il bordo ruvido del bigliettino. Non c'era tempo per l'esitazione borghese. La mano scese piano, quasi di nascosto, ho preso il telefono sotto l'asciugamano. Con le dita che tremavano leggermente, ho digitato il numero di Mario. Non l'ho chiamato, non subito. Ma l'ho memorizzato. "Luca Meccanico", ho scritto. Un nome di copertura, un piccolo, perverso codice segreto. Un sorriso malizioso mi ha increspato le labbra. Mi sentivo una spia, una traditrice, e un brivido di sfrontato piacere mi ha percorso.
Accanto a me, Tommaso si era rigirato, il suo russare leggero e regolare. La sua calma placidità, prima così rassicurante, ora cominciava a provocarmi, a irritarmi profondamente. Era così ignaro, così innocente nel suo mondo fatto di sicurezze e routine. Non aveva idea della tempesta che mi agitava dentro, della figa che pulsava accanto a lui. La sua tranquillità era un contrasto così stridente con la mia irrequietezza, con la mia fame di più. Ero sul punto di urlare, di scuoterlo, di costringerlo a ingoiare la verità. Ma mi sono limitata a stringere il telefono nella mano, il numero di Mario, quel "Luca Meccanico", una promessa silente di ciò che mi aspettava.
Quella irrequietezza cresceva, diventando un prurito sotto la pelle, una necessità quasi fisica di muovermi, di fuggire da quel lettino che sembrava stringermi, di allontanarmi da Tommaso e dal suo sonno beato. Non potevo più fingere. Mi sono rigirata, sentendo il bikini che mi si attaccava un po' alla pelle umida del sudore, un sudore freddo che non c'entrava nulla con il sole.
Mi sono alzata, lentamente, quasi a non voler disturbare quella calma che mi irritava così tanto. Il mio corpo, nudo sotto il costume, pulsava ancora dei ricordi della notte. Mi sono avvicinata al lettino di Tommaso, la sua figura sdraiata, la bocca leggermente aperta, così innocente. Mi chinai su di lui... "Tommi..." sussurrai... Lui mugugnò qualcosa... Un brivido di insofferenza mi ha percorso. "No, dai, stai qui. Riposati. Mi serve solo un po' d'aria." Il mio tono era dolce, ma dentro di me urlavo. L'ultima cosa che volevo era la sua compagnia, la sua ingenua presenza che mi ricordava la Sonia che ero stata e che, in quel momento, detestavo.
Mi sono incamminata verso la battigia... Sentii le prime battute, i fischi, i commenti sul mio corpo nel bikini. "Bella ragazza!" "Dove vai da sola?" "Dai un sorriso!" Ero abituata a essere corteggiata, a ricevere attenzioni. Per un istante, l'idea mi sfiorò. Ma poi, la mia mente tornò alla cascina. A Mario. A Enzo. Ai loro cazzi che mi avevano riempita. Agli insulti. A come mi ero sentita sporca e libera allo stesso tempo. E capii che no, non era quello che cercavo. Quelle battute innocenti mi sembravano incolori, prive della profondità oscura e perversa che avevo assaggiato. La mia mente era altrove, su giochi più pesanti, più rischiosi.
Mi sono allontanata, ignorando gli sguardi e i commenti. Vidi un pattino rovesciato sulla sabbia più in là. Mi ci sono seduta sopra, la superficie fredda sotto i glutei. La lotta si faceva sempre più intensa. Il mio tormento risiedeva in quel desiderio viscerale di andare oltre, di esplorare la mia stessa perversione.
Fissai l'orizzonte per un tempo che mi sembrò infinito. Poi, con un respiro profondo, tirai fuori il cellulare dal telo. "Luca Meccanico". Il nome brillava sullo schermo.
Ero lì, seduta sul pattino rovesciato, il cellulare in mano, il numero di Mario che mi bruciava nello schermo come un marchio a fuoco. "Luca meccanico". Un nome così innocuo per un tale abisso di trasgressione. La mia irrequietezza era diventata una fame viscerale, un prurito che nessun innocente bagno di sole o passeggiata sulla battigia avrebbe potuto placare. La calma di Tommaso, il suo russare pacifico nel letto, mi faceva quasi ribrezzo. Io volevo la tempesta, volevo il caos, volevo quel tipo di piacere che mi aveva purificata e liberata allo stesso tempo.
Un respiro profondo, quasi un gemito. Le mie dita tremavano leggermente mentre aprivo la chat. Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto, come un tamburo.
Sonia: Ciao Mario. Sono Sonia. 😊
Mario: Sonia, la puttanella della cascina? 😉 Non pensavo avresti avuto il coraggio di scrivermi. Non ti sarai già pentita di aver passato una notte così indimenticabile con me e il mio amico, vero? 😈
La sua risposta arrivò quasi subito, sfacciata, diretta. Arrossii di colpo, ma un brivido caldo mi ha percorso la schiena. "Puttanella". Quella parola, che prima era un insulto, ora mi eccitava in modo sfrontato.
Sonia: Ciao. Beh, sì, sono io. Come stai? Tutto bene? Non è che mi pento, ma è stata una notte un po'... intensa. 😳
Mario: Intensa dici? 😂 Ti è piaciuta, eh? La tua figa parlava chiaro mentre ti riempivo. 🍆💦 Non fare la finta tonta, lo so che ti è piaciuto sentirtelo tutto dentro. Vero, cagnolina? 😏
Sentii il calore invadermi il viso e la figa si strinse in un fremito. Quella volgarità diretta, così diversa dalla mia vita "per bene", mi colpiva nel profondo, risvegliando il mio lato più oscuro: la mia vera essenza.
Sonia: Non essere volgare! 😠 Eravamo tutti un po' su di giri. Forse l'alcol e... Sai. Poi Tommaso... 🤦♀️
Mario: Ah, Tommaso. Il tuo bravo fidanzatino. Peccato che mentre tu godi come una porca, lui dorme come un angioletto. Non credi che ti meriti di più? Qualcosa di più vero, di più profondo? 🔥
Sonia: Non dire sciocchezze! Tommaso è il mio ragazzo. E non sono una... insomma, non sono così. 🙄
Mario: Ah no? Allora perché la tua figa si è fatta scopare da me e da Enzo senza fare una piega? 🍆🍑 E perché ti è piaciuto così tanto che ti si è inzuppato pure il perizoma? Te lo ricordo io, eri una fontana! 😜 Non mentire a te stessa, Sonia. Sai benissimo cosa vuoi. E lo voglio anche io. 😈 Ci rivediamo stasera? Ti porto in un posto dove potrai essere davvero te stessa. Senza Tommaso. Solo tu e noi. 😉
La provocazione era fortissima. Il mio viso era in fiamme, ma la mia figa era già grondante. Era un tiro alla fune che stavo perdendo, e mi faceva godere da morire. La domanda, "O preferisci continuare a fingere con il tuo fidanzato?" era il colpo di grazia. Misi via il telefono, senza rispondere. Non potevo cedere subito, non ancora. Mi piaceva prolungare l'agonia, il gioco del gatto col topo.
"Tommi!" lo chiamai, tornando verso il nostro lettino. Lui si stiracchiò, ancora un po' intontito. "Dai, su, che caldo. Andiamo su in hotel. Ho bisogno di un bagno." L'acqua dell'Adriatico, per quanto limpida, mi sembrava troppo volgare. Avevo bisogno di un bagno vero, rilassante, per lavarmi via di dosso non solo la sabbia, ma anche i ricordi appiccicosi della notte. O almeno, così mi illudevo.
In hotel, la piscina era un invito al fresco. Nonostante le parole di Mario continuassero a ronzarmi fastidiosamente nella testa, decisi di ignorarle. Mi meritavo un po' di relax. Tommaso, dal canto suo, optò per l'aperitivo del pomeriggio, dicendo che mi avrebbe raggiunto dopo. Meno male. Avevo bisogno di un attimo per me, per cercare di mettere ordine nel caos che avevo dentro.
Mi sono immersa nell'acqua tiepida, sentendo il sollievo immediato sulla mia pelle che ancora pizzicava un po'. Il mio bikini lavanda era una menzogna. Nuotai pigramente fino al bordo, appoggiando i gomiti e chiudendo gli occhi.
Poco dopo, sentii due voci maschili vicino a me. "Permesso?" disse una. Aprii gli occhi. Due ragazzi, più o meno della nostra età, mi sorridevano. Erano carini, con fisici atletici e sguardi allegri. Uno aveva i capelli chiari e l'altro un po' più scuri.
"Ciao," risposi con un sorriso leggero.
"Ti stai godendo il relax?" chiese quello con i capelli chiari, un lampo nei suoi occhi azzurri.
"Sì, molto," dissi, la mia voce più rilassata di quanto avessi pensato. "Dopo una giornata così... impegnativa." Mi venne da ridere, pensando alle bugie che avevo raccontato quella mattina.
"Ah, queste giornate di mare," scherzò l'altro, quello scuro, con un sorriso. "Io sono Marco, e lui è Luca."
"Piacere, Sonia," risposi, e per un attimo, le parole di Mario, il suo "Luca Meccanico", svanirono dalla mia mente. Questi due erano la mia maschera borghese, un corteggiamento discreto che mi faceva sentire di nuovo la "ragazza per bene" che Tommaso conosceva. Per un momento, quasi mi sono dimenticata di Mario, della cascina, di tutto. Era bello sentirsi desiderata in un modo così leggero, così innocuo.
Cominciammo a chiacchierare, di vacanze, di progetti, di musica. Mi piacevano. Erano simpatici, e mi corteggiavano con discrezione, ma con uno sguardo che faceva capire che mi trovavano attraente. Mi lasciai andare a un'allegria quasi autentica.
Poi, sentii una voce familiare. "Sonia! Eccoti!" Era Tommaso, con in mano un bicchiere di Spritz. Mi raggiunse a bordo piscina, il suo sorriso sereno e ignaro.
"Tommi! Guarda, ti presento Marco e Luca. Li ho appena conosciuti."
Tommaso strinse loro la mano, il suo sorriso invariato. "Piacere! Io sono Tommaso, il fidanzato di Sonia." Non c'era traccia di gelosia nel suo tono, solo una calma placidità che, in quel momento, non mi irritò. Ero troppo impegnata a godermi quel momento di "normalità", a recitare la parte della brava ragazza in vacanza.
La cena in hotel era scivolata via, stranamente tranquilla, quasi surreale. Le voci intorno a noi, il tintinnio dei bicchieri, erano solo un brusio lontano nella mia testa, che continuava a riprodurre in loop le immagini e le sensazioni di quella notte. Mario, Enzo, i loro cazzi, la sborra che mi aveva riempita, gli insulti che mi avevano fatto godere... Era tutto lì, vivo, sotto la superficie della normalità.
Anche la serata seguì lo stesso copione, una tranquillità che mi soffocava. Tommaso ed io siamo usciti per una passeggiata lungo le vie affollate di Rimini. Le luci, la gente, la musica che usciva dai locali... Tutto mi sembrava piatto, privo di quel brivido autentico che avevo assaggiato. Arrivammo in un pub dove c'era musica dal vivo, un gruppo che suonava country. Tommaso si accomodò, e io mi sono seduta accanto a lui, cercando di nascondere il turbine che mi agitava dentro.
"Tutto bene, So'?" mi chiese Tommaso, la sua voce un po' preoccupata. Mi guardò negli occhi. "Ti noto strana stasera, un po' taciturna. Sei persa nei tuoi pensieri."
Un brivido mi percorse. Era così attento. La sua calma, la sua normalità, mi stavano dando sui nervi. La sua virtù mi era diventata intollerabile. Erano passati solo tre giorni di vacanza, e la mia iniziale voglia di divertirmi, di trasgredire, si era trasformata in qualcosa di inatteso, qualcosa di molto più oscuro e profondo di quanto avessi mai potuto immaginare. Marco e Luca, i ragazzi conosciuti in piscina, mi tornarono in mente. Erano carini, simpatici, tranquilli ed educati. Un tempo, mi sarebbero bastati per un flirt innocente. Ma ora... ora erano troppo educati, troppo innocui per me. La loro innocenza quasi mi infastidiva.
"No, no, tranquillo, Tommi," mentii, sforzando un sorriso. "Sono solo un po' stanca, la giornata in spiaggia mi ha stancata." La stanchezza era reale, certo, ma era una stanchezza dell'anima, non del corpo.
Lui mi prese la mano, ingenuo. "Vuoi tornare in hotel allora? Così ti riposi."
"No!" La mia risposta fu troppo veloce, troppo forte. Mi sentii arrossire. "No, dai, non voglio. Sto bene qui, mi va di ascoltare la musica." La verità era che ero terrorizzata all'idea di tornare in quella camera, di trovarmi sola con i miei pensieri, di rivivere ogni dettaglio di quella notte, tormentata dai rimorsi e, ancora peggio, dal desiderio bruciante di ripetere tutto. Sapevo che avrei passato una notte insonne, tormentata dai ricordi dei cazzi di Mario ed Enzo, della loro sborra dentro di me, e di quanto mi fosse piaciuto.
Tommaso si accorse della mia reazione, ma non insistette. Si limitò ad annuire e a tornare ad ascoltare quella musica country che a lui sembrava tanto divertente. Io, invece, ero da un'altra parte. La mia testa era ancora sulla spiaggia, sul numero di "Luca Meccanico" salvato nel mio cellulare, e sulla sensazione persistente di quel seme che mi aveva inondata, la prova fisica della mia corruzione desiderata.
La musica country continuava a ronzarmi nelle orecchie, monotona e fastidiosa. Tommaso accanto a me si dondolava leggermente, beato nella sua inguaribile ignoranza. Io, invece, ero un groviglio di nervi, la testa piena di pensieri che mi bruciavano, un desiderio che non riuscivo a placare. Ero terrorizzata all'idea di tornare in hotel, di affrontare il buio e il silenzio con i miei demoni.
Fu in quel preciso istante che un ronzio appena percettibile mi fece sobbalzare. Il mio telefono. Lo presi quasi con reverenza, il cuore che mi balzava in gola. Un messaggio. Il mio sangue si gelò e, allo stesso tempo, un'ondata di calore proibito mi invase. Era Mario.
Un'emozione quasi travolgente mi colse: era un misto di paura per l'azzardo, ma anche una gioia immensa. In spiaggia non gli avevo risposto, e, nel mio profondo, avevo temuto che non si sarebbe più fatto sentire. Invece era lì, a bussare di nuovo alla porta della mia perversione.
Mario: Allora, puttanella, ti sei decisa? O la tua fica è ancora in letargo? 😉
Un brivido mi percorse tutta, scese lungo la schiena e si fermò proprio lì, in quel punto che aveva ancora la memoria delle sue spinte. Non potei fare a meno di sorridere, un sorriso che Tommaso non avrebbe mai capito. Sentivo un'energia nuova, una consapevolezza maliziosa. Non volevo che la cosa finisse. Volevo giocare.
Sonia: Sei sempre il solito... rozzo. 🙄 Non è detto che se rispondo sia per quello che pensi tu. Forse volevo solo sapere se non ti eri perso. 😜
Mario: Ah sì? E perché mai dovrei perdermi? Io so sempre dove andare, specialmente quando c'è una cagna in calore che mi aspetta. 😈 Ammettilo, Sonia, ti brucia la figa e non vedi l'ora di sentirtelo di nuovo dentro. 🍆💦
Sonia: Guarda che esageri! 😠 E poi, sono a Rimini con il mio ragazzo. Non è così facile come credi. E comunque, a me le cose "rozze" non piacciono. Sono una ragazza raffinata, io. 😉
Mario: Raffinata dici? 😂 La tua figa non mi sembrava così raffinata ieri sera, mi sembrava piuttosto vogliosa di essere scopata a fondo. E ti assicuro che quando ti riempio, non pensi certo ai pizzi e ai merletti. Ti va di rivederci stasera? Ti prometto che sarò meno rozzo. Forse. 😎
Sonia: Mmmh... non lo so. Stasera abbiamo già programmi. E poi, non è che io sia così "libera" come pensi. Ho una reputazione da mantenere. 💁♀️
Mario: Reputazione? La tua reputazione è finita quando ti ho sentito gemere sotto di me, puttanella. E non fare la preziosa. So che vuoi. Sento la tua voglia fin da qui. Ti aspetto fuori dal tuo hotel tra un'ora. Se non ci sei, vado a cercare qualcun'altra che abbia più coraggio. Ma so che verrai. Non sai resistere al mio cazzo. 😈 Tick-tack, cagna... il tempo scorre. ⏳
Il suo ultimatum era sfrontato, volgare, eppure... eppure mi eccitava come non mai. La sua certezza, la sua arroganza, erano come una sfida a cui la mia parte più selvaggia non riusciva a resistere. Tommaso era lì accanto, perso nella sua musica, ignaro del fuoco che mi stava divorando.
Sonia: Sii ragionevole, Mario. 😕 Vorrei, sì, lo ammetto, ma ho il mio ragazzo qui. Non so proprio come potrei liberarmi. Non posso mica lasciarlo qui da solo. 🤷♀️
Inviai il messaggio, la mano che tremava leggermente. Volevo, ma l'idea di dover inventare una scusa credibile per Tommaso mi paralizzava.
La risposta arrivò quasi istantaneamente. Spalancai gli occhi. Era una foto. Il suo cazzo. In tutta la sua imponente grandezza, scuro e turgido, occupava l'intero schermo. Non c'era nulla di artistico, solo la cruda, spudorata realtà del suo membro eretto.
Un sussulto mi scosse. Sentii un calore improvviso diffondersi tra le mie gambe, un'ondata di umidità che mi fece stringere le cosce. La mia fica stava letteralmente grondando. La visione di quel cazzo mi aveva completamente sconvolta, rievocando in un istante ogni singola sensazione di quella notte. Mario sapeva esattamente come colpirmi.
Mario: Ti basta questo per farti venire voglia di trovarti una scusa? 😉 Dimmi dove sei.
Il suo messaggio, così diretto, così sicuro della mia reazione, era una pura provocazione. E aveva ragione. La mia resistenza era crollata come un castello di carte. Non pensai più a Tommaso, alla reputazione, al resto. Volevo solo quel cazzo di nuovo dentro di me.
Sonia: Siamo al Beach Bar, quello con la musica dal vivo. 🎶
Mario: Perfetto. Non ti muovere. Arriviamo. 😈
I minuti passavano e ogni secondo mi sembrava un'eternità. Ero seduta lì, accanto a Tommaso, fingendo di ascoltare la musica, mentre dentro di me un uragano di desiderio mi stava travolgendo. Indossavo una minigonna di jeans leggermente svasata, sopra una canotta attillata che metteva in risalto il seno, e sotto, quel brasiliano di pizzo cipria. Era un outfit da ragazza "normale", ma sotto, la mia pelle bruciava di anticipazione.
Poi li vidi. Entrarono nel pub, Mario con la sua mole imponente ed Enzo con il suo sorriso malizioso. I loro sguardi incrociarono i miei per un istante, un lampo di intesa che mi fece battere ancora più forte il cuore. Poi finsero di guardarsi intorno, come se fossero capitati lì per caso. Mario si avvicinò al nostro tavolo, un sorriso forzato sul viso.
"Ma guarda chi si rivede!" esclamò Mario, fingendo sorpresa. "Ciao Sonia! Ciao Tommaso! Che coincidenza!"
Tommaso, ingenuo come un bambino, si illuminò. "Mario! Enzo! Che piacere rivedervi! Non ci speravo! Scusate ancora per ieri sera, non so cosa mi sia preso, mi sono addormentato come un sasso. Vi ho rovinato la serata, vero?"
I due si sedettero al nostro tavolo, Mario accanto a me, Enzo di fronte. "Ma figurati, Tommaso! Capita, no? Niente di grave," disse Mario, con una pacca sulla spalla a Tommaso. Le loro voci erano amichevoli, quasi rassicuranti. Ma io sentivo già l'aria farsi densa di tensione sessuale.
Tommaso si voltò per ordinare da bere. In quel preciso istante, la mano di Mario scivolò sulla mia coscia, nascosta dalla minigonna e dall'ombra del tavolo. Un tocco leggero, ma deciso. Sentii il calore della sua pelle sulla mia, e sussultai, ma nessuno se ne accorse. La sua mano risalì, lenta, decisa, infilandosi tra la stoffa della mia minigonna e la mia coscia nuda, fino ad arrivare a sfiorare il bordo del mio brasiliano. Le sue dita si mossero con una familiarità che mi fece tremare, raggiungendo la mia figa che già pulsava.
Mario (bisbigliando, quasi impercettibile): Cagna, sei già bagnata, non è vero?
La sua voce era un sussurro rauco, e la sua mano si spinse ancora più a fondo, massaggiando il mio clitoride attraverso il tessuto del mio intimo. Tremavo. La paura che Tommaso si accorgesse di qualcosa era un misto di adrenalina e pura eccitazione. Al tempo stesso, aprii leggermente le gambe sotto il tavolo, offrendogli un accesso più facile. Volevo che continuasse.
Sonia (bisbigliando, quasi senza voce): Ti prego... no... non qui... Ho paura...
Mario (bisbigliando, le sue dita che premevano): Paura o voglia, puttanella? Ti sento, sei una fontana. La tua fica urla per il mio cazzo.
Sonia (bisbigliando, la mia voce un lamento): Vorrei... ma... Tommaso... non so come fare...
Mario ritirò la mano per un istante. Poi, con un movimento quasi impercettibile, mi passò un piccolo flaconcino scuro. Era minuscolo, non più grande del mio pollice. "Quando non guarda, mettigliene cinque gocce nel bicchiere. Lo farà dormire come un sasso. Poi veniamo a prenderti." Il suo sguardo era torbido, promettente.
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