Sonia & Tommaso

Capitolo 3 - La cascina

Sonia
2 days ago

Li guardai. «Mario, Enzo... che ci facciamo qui? Pensavo andassimo in qualche locale, o alla villa...» La mia voce, però, tradiva più curiosità che vera apprensione. L'eccitazione che mi scorreva nelle vene era troppo forte per lasciar spazio alla paura; era come un calore umido e persistente tra le mie cosce che mi diceva di andare avanti.

Mario mi rivolse uno sguardo complice, la sua mano che si posò sulla mia spalla, un tocco troppo vicino, troppo lungo. «Ah, Sonia, scusa! Enzo doveva passare un attimo in cascina per una cosa, roba veloce. Già che ci siamo, perché non entrate? C'è un posto dove stare al caldo, al riparo dal vento. E poi, abbiamo anche qualcosa da bere e da stuzzicare.» La sua parlantina era convincente, le sue parole un'esca perfetta per la mia sete di avventura. Tommaso, intanto, si guardava intorno, gli occhi sgranati, ma la mia mano stretta nella sua lo rassicurava.

Ci condussero all'interno. La porta di legno massiccio si aprì su un'oscurità più profonda, interrotta solo dalla luce fioca di una lampadina appesa al soffitto. Non era affatto un locale, né una villa. Era una cucina, vecchia e incredibilmente sudicia. Il pavimento di cemento era macchiato, il tavolo di legno grezzo coperto da uno strato di polvere e briciole. Un odore pungente di vecchio, di muffa, di umido, e qualcosa di animale, quasi ferroso, mi riempiva le narici. Tommaso strinse la mia mano con più forza.

«Accomodatevi pure, ragazzi!» disse Enzo, indicando un sudicio divano sformato appoggiato a una parete. Ci sedemmo, sprofondando tra i cuscini polverosi. Mario posò sul tavolo un salame già tagliato e due bottiglie di vino rosso, senza etichetta. «Dai, brindiamo alla serata!»

Il vino era aspro, ma lo mandai giù senza problemi. Mario ed Enzo continuavano a versare, e presto la testa cominciò a girarmi. Parlavano di cose banali, ma la mia mente era già altrove, in un vortice di eccitazione. Tommaso, seduto accanto a me, si faceva sempre più silenzioso. I suoi occhi cominciavano a velarsi, la testa gli cadeva di lato, appoggiandosi alla mia spalla. Tommaso non era solo ubriaco. C'era qualcosa di strano in quel vino, qualcosa di pesante che lo stava spegnendo. Un brivido gelido mi percorse la schiena, un brivido che si mescolava subito a un'eccitazione incontrollabile: era l'adrenalina del pericolo, e mi piaceva.

Mario tirò fuori una canna, già rollata. «Che ne dite di un po' di fumo, per rilassarsi?» Tommaso mugugnò qualcosa, già mezzo addormentato. Ma io ero su di giri. La mia mente era una giostra impazzita. Presi la canna senza esitare, facendo un tiro profondo, sentendo il fumo denso che mi bruciava i polmoni. L'effetto fu immediato: il mondo intorno a me cominciò a rallentare, le risate di Mario ed Enzo sembravano provenire da lontano. Il mio corpo era leggero, quasi fluttuante.

Tommaso era ormai addormentato, un peso morto accanto a me. Ora eravamo solo io, il buio della cascina, e due sconosciuti sorridenti.

Ed è stato in quel momento che Mario si è seduto alla mia destra e Enzo alla mia sinistra. Erano vicini, troppo vicini. Sentii il calore dei loro corpi. La mia fica era già bagnata, grondante, una goccia di umidità che mi scivolava lungo la coscia interna. I miei capezzoli erano durissimi, quasi dolorosi, premendo contro il tessuto del mio vestito.

Fu Mario a porgermi un piccolo specchietto con una striscia di polvere bianca. «Un po', Sonia? Per spingere un po' di più, eh?» La coca. I miei occhi brillarono. Annuii con foga, prendendo la cannuccia. Un tiro, e un bruciore gelido nel naso, e poi un'ondata di euforia pura che mi travolse. La paura era scomparsa, sostituita da un desiderio insaziabile di tutto.

Sentii le mani di Mario sul mio fianco, che scivolavano sotto il vestito. Contemporaneamente, le dita di Enzo si infilarono nella scollatura del mio vestito, accarezzando il mio seno nudo. Nessun reggiseno, solo la mia pelle calda. Le loro mani erano ovunque, i loro respiri pesanti sul mio viso. Stavano ridendo, una risata bassa e roca che era allo stesso tempo minacciosa e eccitante.

«Guardatela, la nostra Sonia!» sghignazzò Mario, le sue mani che mi strappavano i bottoni del vestito, uno dopo l'altro, con una facilità disarmante. «Non vede l'ora di giocare, la nostra puttanella in calore!»

Enzo mi sfilò il vestito in un gesto rapido, lasciandomi solo con il mio perizoma di pizzo nero. Le sue mani scesero veloci, tirandomelo via senza preavviso. Sentii l'aria fredda colpire la mia fica ormai completamente esposta e grondante. La loro risata si fece più forte.

«Già tutta bagnata, eh?» mi stuzzicò Enzo, le sue dita che mi sfioravano il triangolino pubico scuro, i peli umidi. «Non vedi l'ora di prendere un bel cazzo, vero, Sonia? Una vera cagna in calore!»

La loro volgarità, le loro parole che mi umiliavano, avrebbero dovuto spaventarmi. Ma la coca, l'alcol e la mia stessa, innata brama di trasgressione avevano preso il sopravvento. Un gemito mi sfuggì, non di terrore, ma di puro, incontrollabile desiderio. Mi sentivo una puttana, una cagna, esattamente come mi chiamavano, ed era incredibilmente eccitante.

E poi, si scostarono leggermente. Davanti ai miei occhi, si abbassarono i pantaloni. Entrambi avevano delle erezioni enormi. Il cazzo di Mario, grosso e scuro, pulsava. Quello di Enzo, un po' più lungo, era di un rosa acceso. Erano enormi, massicci. Tommaso... il mio povero Tommaso non lo aveva così. I miei occhi si sgranarono. La mia fica si strinse e rilasciò un'altra ondata di umidità. Erano lì, turgidi, minacciosi e invitanti.

I loro cazzi erano lì, enormi, pulsanti. La mia fica, ormai una pozza di umidità bollente, si strinse, pronta. Non c'era tempo per esitazioni. Mario si chinò su di me, il suo respiro caldo sul mio viso. «Allora, Sonia, ti piacciono, eh? Che aspetti? Dai, prendili in bocca. Falli tuoi.» La sua voce era roca, un ordine che mi risuonava nella testa, amplificato dalla coca.

Non so cosa mi abbia spinto. Forse il desiderio di piacere, la curiosità, o semplicemente la totale disinibizione. Senza pensarci un attimo, la mia testa si mosse in avanti. Il cazzo di Mario, grosso e scuro, mi sfiorò le labbra. Era caldo, con un odore pungente di maschio e di sesso. Lo presi in bocca, sentendo la punta umida e dura sulla mia lingua. Era enorme, quasi non entrava. Iniziai a succhiare goffamente, senza molta tecnica, ma con una foga dettata dall'istinto. Il sapore era salmastro, ma non mi dispiaceva affatto. Anzi, mi eccitava ancora di più.

Enzo, intanto, mi tirò su di peso, facendomi mettere in ginocchio sul divano sporco. «Brava, puttana! Vedi che impari subito?» mi schernì, e la sua mano si abbatté sulla mia natica nuda con uno schiaffo sonoro. Sentii il bruciore, ma un brivido di piacere mi percorse la schiena. Mi piaceva, cazzo, mi piaceva sentire il loro dominio.

Mentre succhiavo Mario, Enzo mi afferrò la testa, guidando i miei movimenti. Sentivo il suo cazzo che mi premeva contro la guancia, e ogni tanto mi sfregava il naso, come a volermi ricordare la sua presenza. Le loro risate erano continue, e le parole che mi vomitavano addosso erano sempre più volgari.

«Succhiala bene, cagna! Fallo vedere quanto sei in calore!»

«Bella la nostra zoccola! Apri la bocca, prenditelo tutto!»

Ogni insulto, ogni spinta del loro corpo contro il mio, ogni manata sul sedere, mi faceva fremere. La mia fica era un fuoco, e sentivo l'umidità che continuava a fuoriuscire, imbrattando le mie cosce. La cocaina mi aveva trasformato. Non ero più la Sonia titubante. Ero una creatura affamata di piacere, pronta a tutto.

Mario gemette, e sentii il suo cazzo gonfiarsi ancora di più in bocca. Stava per venire. Cercai di prenderlo più a fondo, di inghiottirlo tutto, la gola che mi bruciava. Poi, con un ruggito, la sua sborra calda mi riempì la bocca. Era tanta, tantissima. La sentii scivolare giù per la gola, un sapore denso e forte. Mario si sfilò, lasciandomi con la bocca piena, e un sorriso soddisfatto sulle labbra.

«Adesso tocca a me, puttanella!» sibilò Enzo, e non mi diede nemmeno il tempo di deglutire. Mi afferrò per i capelli, tirando la mia testa verso il suo cazzo già turgido e grondante di voglia. La sua cappella mi premette contro le labbra, e io, senza esitare, la presi in bocca. Il suo sapore era simile a quello di Mario, ma con una nota più metallica. Iniziai a succhiare con più decisione, sentendo la sua erezione crescere ancora di più tra le mie labbra.

Enzo mi diede un altro schiaffo sul sedere. «Così, brava! Ti piace il cazzo nero, eh?» Non era nero, ma capii subito il riferimento. Erano lì per degradarmi, per farmi sentire una puttana, e io stavo prendendo gusto a tutto questo.

Poi, senza preavviso, mi sentii afferrare per le gambe. Mario mi sollevò, portandomi contro il suo corpo. La sua mano si posò sulla mia fica, spalmando i miei stessi fluidi sulle mie labbra, e poi infilando un dito dentro di me. Contemporaneamente, sentii il cazzo di Enzo che mi premeva contro il sedere. Erano pronti a scoparmi.

«È ora di farti riempire per bene, zoccola,» ringhiò Mario, e un attimo dopo sentii il suo cazzo spingere con forza dentro di me. Era un dolore misto a piacere, la mia fica si stava dilatando, pronta ad accoglierlo.

Il cazzo di Mario, grosso e scuro, si muoveva dentro di me con una forza che non conosceva pietà, una spinta animale che mi sbatteva contro il suo bacino. Non era il sesso che avevo immaginato nelle mie fantasie più audaci, quelle fantasie da ragazza borghese che sognava la trasgressione con un pizzico di romanticismo. Questo era brutale, sporco, viscerale, eppure... eppure mi stava facendo godere come mai in vita mia. Ogni affondo mi strappava un gemito profondo, roco, che non sembrava nemmeno mio. La mia fica, così inesplorata fino a pochi istanti prima, era diventata un pozzo senza fondo, avida di quella violenza che la riempiva e la dilatava. Sentivo le mie pareti interne spremere e rilasciare la sua carne, come se volessi inghiottirlo, non lasciarlo andare mai più.

Il sudore imperlava la mia fronte, scendeva lungo le mie tempie e si mescolava all'odore stantio della cascina, al fieno umido, all'odore pungente del sesso che saturava l'aria. Le sue mani non erano più solo sui miei fianchi; una mi teneva ferma la testa, costringendomi a guardarlo negli occhi mentre mi scopava, un misto di trionfo e cruda eccitazione nel suo sguardo. L'altra mano mi accarezzava il seno, le dita grosse e callose che stringevano i miei capezzoli duri, tirandoli con una dolcezza perversa che mi faceva arcuare la schiena. Erano così sensibili, quasi in fiamme.

Enzo, dall'altro lato, non smetteva di provocarmi. Il suo cazzo lungo e rosa acceso premeva insistentemente contro la mia natica sinistra, la sua eccitazione era palpabile, quasi una promessa. La sua mano si era fatta più audace, risalendo lungo la mia coscia interna e arrivando alla mia fica aperta, ancora penetrata da Mario. Le sue dita si muovevano con estrema delicatezza tra le mie labbra umide, esplorando l'ingresso, sfiorando il mio clitoride già gonfio e pulsante. "Guarda come le piace, Mario! È una cagna nata!" urlò Enzo, la sua risata sardonica che mi perforava le orecchie, e io non potevo fare altro che ansimare, stringere le gambe attorno al corpo di Mario e muovere il bacino in risposta alle sue spinte.

La coca mi rendeva ogni sensazione amplificata, ogni tocco era un'onda, ogni spinta un terremoto. La vergogna, se c'era stata, era svanita, inghiottita da un'onda di piacere puro e animalesco. Non ero più Sonia, la ragazza di buona famiglia; ero una puttana in preda al suo più profondo desiderio di degrado, che urlava il nome del piacere mentre un uomo sconosciuto mi entrava dentro con forza, e un altro mi accarezzava lì sotto, pronto a prendere il suo posto. La mia fica era ormai completamente bagnata, grondante non solo del mio umore, ma anche di quello di Mario che si mescolava al mio. Il suo sperma doveva essere già lì, nel mio interno, anche se lui non era ancora venuto. E la sensazione di quella mescolanza, di quel calore profondo, mi fece gemere ancora più forte.

Sentivo il divano, o quello che fosse, tremare sotto i nostri corpi. Il cigolio delle molle, l'odore forte e dolce del sesso, i miei stessi gemiti... era una sinfonia di perversione che mi incantava. Non volevo che finisse. Volevo più degrado, più spinte, più profondità.

Le spinte di Mario si fecero più veloci, più profonde, la sua ansimante respirazione che echeggiava nelle mie orecchie. Sentii un ultimo, poderoso affondo che mi fece inarcare la schiena, un brivido caldo che partiva dal profondo della mia pancia e si irradiava ovunque. Un gemito strozzato mi uscì dalla gola mentre Mario veniva, una cascata bollente che inondò la mia fica già bagnata. Era la prima volta che sentivo la sborra calda e abbondante riversarsi dentro di me, e la sensazione era così forte, così irrevocabile, che mi fece stringere le gambe intorno al suo bacino, come a volerla trattenere tutta. Il contrasto tra la mia ingenuità borghese e la cruda realtà di quello sperma che mi riempiva mi fece tremare, e un'ondata di piacere proibito mi travolse completamente.

Mario si ritrasse lentamente, lasciando la mia fica dilatata e ancora pulsante, grondante del suo liquido. Potevo sentire le gocce scivolare lungo le mie cosce, calde e appiccicose. Non c'era tempo per riprendere fiato. Enzo, che fino a quel momento mi aveva stuzzicato e preparato, si mosse subito, prendendo il posto di Mario. Il suo cazzo, che avevo sentito fremere per tutto il tempo, si posizionò contro la mia fica aperta, ancora umida e vibrante per l'orgasmo appena sfiorato e il seme di Mario.

"Adesso tocca a me, puttanella," sussurrò Enzo con una voce roca, un sorriso sardonico stampato sul viso mentre mi guardava negli occhi. La sua mano si posò sulla mia coscia, spingendola leggermente per aprirmi di più. Non ci fu bisogno di altro. Spinta dalla cocaina e dalla mia stessa eccitazione, non opposi alcuna resistenza. Anzi, la mia fica sembrava implorare di essere riempita di nuovo.

Enzo spinse con decisione, e il suo cazzo scivolò dentro di me con una facilità sorprendente. Era meno grosso di quello di Mario, ma più lungo, e sentii la sua punta raggiungere una profondità che mi fece ansimare. Era una sensazione diversa, più affilata, ma altrettanto eccitante. Il suo ritmo era più costante, meno brutale di Mario, ma non per questo meno possessivo. Si mosse con movimenti lenti e profondi all'inizio, poi accelerò, il suo bacino che si sbatteva contro il mio con una ritmicità ipnotica. Sentivo il suo respiro affannoso sul mio viso, il suo odore che si mescolava a quello di Mario e al mio.

Guardai di sfuggita Tommaso, la sua figura inerme sul divano, e un'ondata di perverso piacere mi travolse. Era lì, il mio fidanzato, addormentato, mentre io venivo scopata da due uomini, completamente nuda e indifesa. E mi piaceva. Dio, quanto mi piaceva! Ero una cagna in calore, proprio come mi chiamavano, e la sua indifferenza era il mio passaporto per un godimento senza limiti. Ogni spinta di Enzo mi portava più in là, in un mondo dove la morale non esisteva, solo il piacere più puro e sfrontato.

Enzo si mosse con una foga crescente, le sue spinte sempre più veloci e profonde. Il suo respiro si fece un ansimo gutturale, e un ultimo, potente affondo mi fece arcuare la schiena, mentre un'ondata di calore si riversava nella mia fica. Sentii il suo sperma, meno denso di quello di Mario ma altrettanto abbondante, inondare il mio interno. Poi, con un gemito di puro sollievo, si ritrasse, e vidi il suo cazzo lungo ancora gocciolante. Una parte del suo seme, scivolando via dalla mia fica, finì sul mio pancino piatto e si mescolò ai peli pubici, lasciando una scia lucida e calda. Era una sensazione strana, appiccicosa, ma in qualche modo eccitante, una prova inconfutabile di ciò che era appena accaduto.

Enzo si sdraiò accanto a me, ansimante ma con un sorriso soddisfatto che gli allungava le labbra. Mario, seduto sull'altro lato, mi passò una mano tra i capelli. Non c'era più la brutalità di prima, solo una stanchezza appagata. "Allora, Sonia, ti è piaciuto il nostro piccolo party privato?" chiese Mario, la voce roca ma con un tono quasi scherzoso.

Mi sentii avvampare. La cocaina, pur non essendo ancora svanita del tutto, lasciava spazio a una strana lucidità. La vergogna mi pizzicava la pelle come mille aghi, specialmente quando il mio sguardo cadde su Tommaso, ancora ignaro e addormentato. Come avevo potuto? Io, Sonia, la ragazza per bene, la fidanzata fedele, mi ero appena fatta scopare da due sconosciuti, nella cascina più sporca che avessi mai visto. E non solo... mi era piaciuto. Dio, quanto mi era piaciuto! La sensazione dei loro cazzi dentro di me, gli insulti, il degrado... una parte di me lo aveva adorato.

Cercai di coprirmi con le mani, ma Mario ridacchiò. "Non fare la santarellina adesso, cagna. Ti abbiamo sentito godere come una pazza."

Un rossore ancora più intenso mi invase. "Ma... io..." balbettai, e non seppi cosa dire. Era tutto vero. "È stato... strano," ammisi, la voce a malapena un sussurro. "Non... non me l'aspettavo." E mi scappò un mezzo sorriso, imbarazzato ma sincero. La perversione era stata così travolgente, così sconvolgente, da farmi dubitare di tutto ciò che credevo di essere.

Mario mi diede una pacca sul culo, facendomi sobbalzare. "Strano, ma buono, eh? Ti abbiamo fatto diventare una vera donna, Sonia." Enzo si sporse e mi pizzicò un capezzolo, facendomi gemere. "Già, e guarda come sei bagnata. Ti è proprio piaciuto, puttanella."

Il mio imbarazzo si mescolò a una sottile, crescente eccitazione. Era vero, mi era piaciuto. E mi piaceva anche il modo in cui mi parlavano, il modo in cui mi avevano trattato. Ma poi, la realtà mi colpì come un pugno nello stomaco. "E Tommaso?" chiesi, la mia voce improvvisamente preoccupata. "Cosa... cosa facciamo con lui?"

Mario sbuffò una risata, quasi divertito dalla mia domanda. "Lascialo dormire, Sonia. Tanto non si è accorto di niente. Lo riportiamo in hotel appena si fa giorno, lo lasciamo in stanza e tu fingi che non sia successo un cazzo. Gli dici che vi siete addormentati in macchina e basta." Enzo annuì, aggiungendo: "Sì, fingi di essere un angioletto. Nessuno saprà mai quanto ti sei divertita, cagnolina."

Mi sentii un brivido freddo percorrermi la schiena, un misto di sollievo per la "soluzione" e una consapevolezza agghiacciante di quanto la mia vita fosse cambiata in poche ore. Ero diventata complice di un segreto che mi avrebbe legata a loro per sempre.

L'aria fresca della notte, alle tre del mattino, mi colpì il viso mentre Mario si caricava in spalla Tommaso, adagiandolo con il corpo inerte sul sedile posteriore dell'auto. Mi misi accanto a lui, la sua testa che ciondolava mollemente sulla mia spalla. L'odore del fieno e del sesso mi era ancora addosso, un misto inebriante che mi fece sentire al tempo stesso sporca ed eccitata. Mario ed Enzo, seduti davanti, scherzavano a voce bassa, ma le loro risate e i loro sguardi nel retrovisore erano carichi di sottintesi perversi. "Ancora sveglia, cagnetta?" mi chiese Mario, e io mi sentii arrossire, ma un brivido di eccitazione mi percorse la schiena. "Hai ancora voglia di giocare, eh?" aggiunse Enzo, e il suo sorriso malizioso mi fece sentire la fica pulsare, nonostante la stanchezza.

Arrivammo all'hotel che l'alba cominciava appena a tingere di rosa il cielo. Il portiere di notte, un uomo anziano e sonnacchioso, ci guardò con un'espressione confusa e vagamente preoccupata mentre Mario ed Enzo, con una naturalezza disarmante, si caricavano Tommaso e lo portavano in ascensore. Io li seguivo, i muscoli delle gambe che protestavano, ma la mente già persa in un misto di sollievo e anticipazione. In camera, adagiarono Tommaso sul letto. Gli sbottonarono la camicia, gli sfilarono i jeans e lo coprirono con il lenzuolo, come se fosse la cosa più normale del mondo. Sembrava così innocente, così beato nel suo sonno indotto.

Mi sembrò che fosse finita, che si sarebbero limitati a lasciarci lì. Ma i due non se ne andarono. Si voltarono verso di me, i loro sguardi che si posarono sul mio corpo stanco, e ancora appiccicoso del loro seme. Mario mi afferrò per i fianchi e mi sollevò di peso, buttandomi sul letto accanto a Tommaso. "No, dai..." sussurrai, ma la mia voce era debole, priva di vera convinzione. Persino a me suonava come una finta resistenza. La verità era che la mia fica già doleva un po', ma era anche pronta, fremente per un altro round.

Mario mi si mise a cavallo, mentre Enzo si posizionava al mio fianco, le sue mani che mi accarezzavano le cosce. Il cazzo di Mario era già turgido, pulsante, e si fece strada senza esitazione nella mia fica ancora umida e allargata. Gemetti, un suono che cercai di soffocare, ma era troppo tardi. Le sue spinte erano decise, forse meno brutali di quelle della cascina, ma cariche di un nuovo tipo di possesso, più intimo, più sfrontato, data la vicinanza del mio fidanzato. Mi si piegava sulle ginocchia, le gambe tremavano.

Enzo si chinò su di me, il suo cazzo che sfiorava la mia guancia, e poi la mia bocca. Non ebbi bisogno di incoraggiamento. Lo presi in bocca, succhiandolo con avidità mentre Mario mi scopava senza sosta. Non c'era più vergogna, solo il piacere che mi travolgeva in onde sempre più forti. Le mie labbra si chiusero intorno alla sua erezione, la lingua che danzava, mentre il corpo di Mario mi sbatteva contro il materasso dell'hotel, accanto al mio ignaro fidanzato. Ero una puttana, una cagna, e lo stavo adorando. La sua figura addormentata accanto a me, la prova tangibile della mia corruzione, mi spingeva ancora più in là.

Quando finirono, esausti ma appagati, entrambi mi vennero dentro, l'ultimo fiotto di sborra calda che mi riempiva completamente. Si ritrassero, lasciandomi stesa, nuda, grondante dei loro liquidi, accanto a Tommaso che russava dolcemente. Mario mi passò un bigliettino. "Questo è il nostro numero, Sonia. Quando ti viene voglia di divertirti di nuovo, chiamaci." Enzo mi diede una pacca sulla fica, un gesto ruvido ma in quel momento quasi affettuoso. "Sei stata bravissima, cagnolina."

Mi lasciarono lì, alle prime luci dell'alba. Ero esausta, il corpo dolorante ma la mente in un turbine di sensazioni. Il mio interno pulsava, pieno del loro seme. Incredula, mi toccai la fica, le dita sporche di un misto di fluidi e lacrime di piacere. La mia vita, quella notte, era cambiata per sempre. Non c'era più l'ingenua Sonia, solo una donna che aveva scoperto un piacere oscuro e irresistibile, accanto al suo fidanzato che dormiva beato, ignaro di tutto.