Sonia & Tommaso
Capitolo 2 - La Prima Soglia
Tommaso aveva scelto l'ovvietà: un grazioso hotel a quattro stelle a Rimini, comodo alla spiaggia, pulito, con una buona animazione... in una parola, soffocante. Eppure, ero contentissima per quella vacanza. Finalmente, due settimane lontane dagli occhi inquisitori di Mamma e dalle cene silenziose. Quando partimmo, sul mio viso splendeva un ampio sorriso, un'espressione sincera che nascondeva un piano ancora informe, ma bruciante, di liberazione.
Prima della partenza, all'insaputa di Mamma, mi ero concessa un piccolo peccato di stile, tra cui, qualche costume e un corredo di lingerie nuovo. Niente di volgare, ma giusto adatto alle serate in riviera. Ero stanca dei soliti abiti castigati a cui ero abituata e sentivo un piccolo, innocente desiderio di osare. Il lusso per me iniziava con la seta e il pizzo nascosti sotto il cotone borghese.
Il viaggio fu una corsa verso il sogno. Ero euforica, e Tommaso anche. Mentre l'autoradio diffondeva musica nell'abitacolo della sua impeccabile auto, la mia mente viaggiava più veloce, fantasticando di scatenarmi tra i locali, di notti movimentate in cui la mia vera identità potesse respirare. Mi sembrava il culmine della trasgressione: ballare, ridere, e soprattutto farmi guardare da chiunque, purché non mi conoscesse.
Quando arrivammo, sbrigammo il check-in e prendemmo subito possesso della nostra camera. Felice, sistemai la mia roba nell'armadio e lo stesso feci con quella del mio fidanzato. Mi spogliai per cambiarmi e mettere subito il costume.
Tommaso mi guardava già eccitato, seduto sul letto sfatto. Ero un po' imbarazzata, perché non ero abituata a tanta intimità. La nostra vita sessuale, fino ad allora, si svolgeva quasi sempre in macchina, in un parcheggio isolato, uno di quelli frequentati da coppiette come noi. Lì facevamo l'amore, un gesto rituale, frettoloso e privo di autentico trasporto da parte mia. Tommaso, sempre frettoloso, finiva invariabilmente troppo presto, lasciandomi insoddisfatta e con una sensazione amara di un'occasione sprecata. Era un dovere, più che un piacere.
Una delle cose che più mi eccitava di quella vacanza era proprio la possibilità di fare l'amore con lui, finalmente in un letto. Un letto vero, con lenzuola profumate, senza la paura che qualcuno potesse bussare al finestrino o il disagio dei sedili reclinati. Un letto che speravo potesse essere il palcoscenico della mia prima vera liberazione sessuale.
Mi sfilai i pantaloncini e la maglietta. Rimasi in reggiseno e mutandine di cotone bianco, le stesse mutandine anonime che usavo per la maggior parte del tempo. Mi chinai per afferrare il bikini. Tommaso fu in piedi dietro di me in un attimo. Sentii il suo fiato caldo sul collo e poi la pressione della sua mano che mi accarezzava il fianco, prima di stringersi sulle mie natiche sode.
«Sei bellissima, Sonia. Vieni qui, subito...» mi disse, la voce roca.
Mi voltai, i suoi occhi erano già annebbiati dalla fretta. Mi baciò sulla bocca, con il sapore di viaggio e caffè. Mi spinse sul letto. Mi lasciai fare, ancora ignara che l'eccitazione che provavo in quel momento era solo il flebile preludio e la castigata promessa del vero piacere che stava per travolgermi in quella stessa città.
Ero eccitata, profondamente. E sentii la mia fica bagnarsi in un lampo di calore come raramente mi capitava nel parcheggio di Cremona. Eravamo lì, finalmente soli in una stanza d'albergo, senza i vestiti che ci impedivano i movimenti, senza la paura. Era l'intimità che avevo desiderato, un gesto che mi sembrava quasi sacro, lontano dalla fretta rubata.
Mi lasciai spogliare, baciare, fino a quando fummo entrambi nudi. Tommaso era sopra di me, il suo corpo caldo, e io sentivo l'odore della sua eccitazione, un misto di dopobarba e sudore maschile. I suoi baci erano intensi, ma privi di quella sottile ferocia che, inconsciamente, sapevo di desiderare. Il suo cazzo, pur eretto e duro, non si fermava in inutili carezze. Lui non si curava dei preliminari; per lui, l'atto era un punto di arrivo, non un viaggio.
Senza tanti indugi, Tommaso mi penetrò. Ero bagnata e l'ingresso fu facile, ma non indolore per l'intensità della sua fretta. Ero eccitata, molto, ma la mia mente era già in attesa di qualcosa di più che non arrivava mai. Mi concentrai sulle sensazioni, spingendo con il bacino contro il suo, cercando di strappare un piacere che non voleva farsi trovare.
Purtroppo, la delusione arrivò subito, prevedibile come il suono delle campane domenicali. Mi sentii spingere ancora una volta, con foga, poi lui si ritrasse frettolosamente. Sentii il suo sperma schizzare caldo e denso sulla mia pancia. Mi irrigidii, la mia fica aveva appena iniziato a pulsare, ma il motore era già spento.
Prendevo già la pillola da anni, ma Tommaso non mi veniva mai dentro. Per sicurezza, diceva. Non era l'amore a fargli paura, era il rischio del disordine. Lui era così. Preciso, meticoloso, perfino nella sua sessualità.
Si scusò subito, il suo viso arrossato e i suoi occhi pieni di quell'imbarazzo che mi faceva sentire più sua madre che la sua amante.
«Scusami, Sonia. Ero troppo eccitato. Promesso, stasera sarò più bravo. Voglio che godiamo insieme...» mi disse, accarezzandomi la guancia.
Annuii con un sorriso dolce, che era una bugia. Mi alzai senza guardarlo, la pelle appiccicosa del suo liquido seminale sulla pancia. Andai in bagno, mi asciugai in fretta con un fazzoletto di carta ruvido, e mi misi il costume.
Mentre abbassavo il costume sui fianchi, mi guardai allo specchio. Il mio corpo era bello, sodo, il mio seno, anche se non grosso, era pieno. E la mia vagina era calda e tradita, come se avesse atteso un banchetto e avesse ricevuto solo un boccone veloce. La delusione era un carburante che mi spingeva lontano. La speranza di un "poi sarà meglio" era l'ultima, sottile maschera prima che la mia vera sete si svegliasse.
Scendemmo in spiaggia dopo la delusione mattutina. Appena arrivati al nostro ombrellone prenotato, mi sdraiai subito sul mio lettino, esponendo la pelle ai raggi caldi del sole. Quanto era bello sentire quel calore sulla pelle, un abbraccio rovente che scioglieva la rigidità della vita di Cremona. Chiusi gli occhi, assaporando la sensazione.
Tommaso, invece, preferiva starsene sotto l'ombrellone, all'ombra. Il suo ideale di relax era leggere la Gazzetta dello Sport, la sua mente concentrata sul calcio, lontana da ogni turbamento. Presto, come al solito, lo sentii parlare con i vicini di ombrellone, affabile come sempre, pronto a scambiare opinioni sul campionato. La sua voce mi giungeva ovattata, lontana, un sottofondo noioso al mio incipiente piacere. Mi appisolai per qualche minuto, cullata dal rumore del mare e dalla sua chiacchiera innocua.
Salimmo per il pranzo al ristorante dell'hotel. Ebbi subito modo di notare che la clientela era tutta abbastanza raffinata. Niente gruppi chiassosi, niente volgarità. Persone di un certo livello, il genere di ambiente che Mamma avrebbe approvato.
Dopo pranzo, Tommaso si fermò in camera a riposare, il suo rito sacro del riposino post-pasto. Io, invece, non riuscivo a stare ferma. L'eccitazione della mattinata, anche se interrotta, aveva lasciato una traccia. Andai subito in spiaggia, lasciandolo dormire nella camera profumata.
Sola. In quel momento, quella parola mi sembrava la cosa più lussuosa del mondo. Mi sentivo improvvisamente gli sguardi dei ragazzi e dei signori addosso. I miei occhi chiari, la mia figura snella nel costume appena comprato, attiravano attenzione. Qualche battuta da parte dei bagnini, qualche sguardo più lungo dai signori maturi... rispondevo con dei sorrisi appena accennati, flirt innocenti che mi piacevano tantissimo. Per la prima volta, mi sentii davvero libera e al centro dell'attenzione, senza l'ombra protettiva, ma soffocante, di Tommaso.
Tommaso in camera, nessuno che mi conosceva... Mi accorsi di essere eccitata. Era un'eccitazione dolce, una marea lenta che mi risaliva dal ventre. E il mio corpo subito reagì.
Sentii i miei capezzoli irrigidirsi, diventare duri come bottoni, premere contro il tessuto bagnato del costume. La mia fica aveva iniziato a pulsare sommessamente. Avvertii quel familiare calore che si diffondeva tra le mie cosce. Ero così bagnata che ebbi paura che si vedesse sul tessuto del bikini, proprio lì, al centro. La sensazione era meravigliosa: il sudore sulla schiena che si mescolava alla salsedine, l'odore acre e marino che si univa all'odore più dolce e intenso della mia secrezione vaginale.
Chiusi di nuovo gli occhi, ma questa volta non per dormire. Portai una mano sull'inguine, fingendo di sistemare l'elastico del costume, e con un dito premetti delicatamente sul mio clitoride attraverso il tessuto. Un piccolo, rapidissimo tocco. Sentii un fremito partire da lì e scuotermi tutto il corpo.
Non era Tommaso, non era l'amore, era solo l'adrenalina del segreto e il piacere di essere desiderata, di essere libera di bagnarmi in segreto. Ero in un luogo pubblico, stavo compiendo un atto che, per la Sonia di Cremona, sarebbe stato scandaloso. E la consapevolezza di quella menzogna mi inebriava.
Tommaso arrivò verso le sedici, trascinandosi dietro la sua aria riposata e bonaria. La sua presenza, lo devo ammettere, mi pesava quasi. La libertà goduta in solitudine sotto il sole aveva amplificato l'ombra della sua prevedibilità. Ma dissimulai subito, accogliendolo con un sorriso che avevo imparato a calibrare perfettamente.
La sera, però, era il mio momento di riscatto. Per la cena, misi uno di quei nuovi abiti che avevo comprato prima di partire. Un tubino nero di raso, elegante e scivoloso, che accarezzava il mio corpo. Non era volgare, ma abbastanza sexy da non passare inosservato. Avevo, e fortunatamente ho, la fortuna di avere un bel corpo, e tutto ciò che metto mi sta bene. In quel vestito, mi sentii una donna, non più solo una fidanzatina.
Sotto, indossavo un completino di pizzo nero, anche quello uno dei nuovi acquisti, con la brasiliana che lasciava scoperta buona parte delle mie natiche tonde e lisce.
Mentre mi vestivo, mi ero chiusa in bagno. Avevo continuato a specchiarmi, ammirando quanto l'abito mi stesse bene e facesse risaltare il mio sedere. Mi chinai in avanti per osservare meglio il disegno del pizzo sulla schiena e ho sentito il desiderio crescere di nuovo, unito alla soddisfazione narcisistica. Ho infilato un dito sotto il pizzo della mutandina, proprio dove la stoffa sfiorava l'inizio dell'ano, e ho mosso appena la punta delle mie natiche. Quella sensazione sottile, di pizzo che si spostava sulla pelle, mi ha fatto ansimare.
Mi sono lasciata un momento per godermi la vista del mio corpo nel completo intimo, sapendo che l'unica persona che avrebbe visto quel pizzo era Tommaso, e lui non avrebbe dato importanza al dettaglio.
Sono uscita dal bagno e l'ho trovato pronto, seduto sulla sedia. Mi ha guardato e, dopo un attimo di sincera ammirazione, ha commentato con la sua solita, rassicurante banalità.
«Amore, sei splendida. Quel vestito è bellissimo.»
Non un sussurro lascivo, non un commento sul pizzo che indossavo, solo una constatazione educata. E ancora una volta, la sua innocenza mi è sembrata il tradimento più grande: l'incapacità di vedere ciò che ero diventata.
A cena, nel ristorante raffinato dell'hotel, mi sentii subito gli occhi degli uomini addosso. I loro sguardi discreti ma insistenti mi arrivavano come un calore. Quella sensazione mi dava un senso di eccitazione sottile, la voglia di compiere un passo in più. Mi limitavo a sorridere educatamente, giocando con il cibo, mentre il mio corpo vibrava sotto il raso del tubino.
Dopo la cena, uscimmo per le affollate vie di Rimini. Era la movida che avevo sognato, un fiume di gente allegra, di musica e di odori salmastri e dolci. Anche lì, gli sguardi dei ragazzi mi accendevano. Mi sentivo un'energia addosso, un senso di tensione, un'eccitazione a fior di pelle. La mia vagina era umida, e i miei capezzoli erano tesi sotto il tessuto del vestito. Potevo persino sentire il leggero attrito del pizzo del mio completo intimo sul mio sedere mentre camminavo.
Bevemmo qualcosa in un locale carino, un cocktail dal sapore esotico che mi scaldava la gola. Mi guardavo intorno, desiderosa di un'interazione, di un invito inaspettato, di qualunque cosa rompesse la perfezione della nostra serata.
Poi, Tommaso mi prese la mano e mi propose di rientrare.
«Amore, sono stanco. Torniamo in albergo? Possiamo goderci la camera,» mi sussurrò.
Ero delusa, profondamente. Mi spiaceva andarmene, lasciare quella possibilità di divertirmi che a casa mi era negata. Mi sentivo strappare via da un brivido appena accennato. Tommaso sembrava non essere interessato a prolungare la serata in modo disordinato, non aveva la mia stessa insofferenza per la routine. Mi limitai a un sospiro quasi impercettibile. Non me la sentii di dissentire con lui, di fare una scenata, di forzare la sua volontà.
Ancora una volta, avevo scelto la quiete per evitare il conflitto. Ma mentre rientravamo in albergo, sentii chiaramente che il mio corpo, i miei capezzoli che ancora pulsavano, la mia fica ancora bagnata, avevano registrato quella delusione. Non era la stanchezza che mi avrebbe portato a dormire, ma una fame irrisolta che, sapevo, avrebbe chiesto un prezzo molto più alto la prossima volta.
Cercai di consolarmi, pensando a una notte di sesso. Finalmente un letto e una camera tutta per noi. Mi sentivo come una giovane sposa alla sua prima notte di matrimonio, piena di attesa e di quel desiderio confuso e innocente. Volevo che Tommaso facesse la differenza, volevo che mi dimostrasse che ero più importante di una coperta e un sedile reclinato.
Andai in bagno. Tolsi il vestito di raso e rimasi in piedi davanti allo specchio. Mi rinfrescai la fica con un po' d'acqua fredda, lavando via l'eccitazione secca della strada. Mi preparai per tornare da Tommaso, e mi misi in posa per mostrargli il mio nuovo indumento intimo: il completino di pizzo nero e la brasiliana che metteva in risalto la rotondità del mio sedere. Mi ero detta che quella lingerie sarebbe stata l'innesco, il segnale di quella sposa che voleva essere finalmente travolta.
Aprii la porta per uscire dal bagno, e la prima delusione mi colpì in pieno petto, come un pugno. Quell'idiota, aveva già acceso la televisione e stava seguendo la partita.
Sentii crollare le mie spalle per la frustrazione. La tensione accumulata in spiaggia, l'eccitazione repressa per la passeggiata, il mio desiderio nel tubino di raso... tutto era stato annullato dal fischio di un arbitro.
Mi piantai davanti a lui, arrabbiata, con addosso solo il pizzo che lui non vedeva affatto.
«Tommaso! Non ti sembra il caso!» sbottai, la voce piena di rabbia repressa. «È la nostra prima notte qui, la nostra vacanza! Non mi sembra il caso di guardare la televisione!»
Lui si spaventò leggermente, il suo viso bonaccione subito pieno di scuse. Mi guardò con gli occhi spalancati, come se si fosse accorto solo in quel momento della mia presenza e del mio vestito di pizzo.
«Oh, amore... hai ragione, perdonami. Sono un cretino. Mi distrae...» si scusò immediatamente e spense la TV, prendendo il telecomando con un gesto frettoloso.
Ma ormai, la magia del momento era svanita. La mia irritazione era una corazza fredda. Tommaso fece di tutto per farsi perdonare, ma nel suo tentativo di rimediare, non si accorse nemmeno del mio nuovo completino. Non fece un commento lascivo, non lodò il mio sedere scoperto. Lo tolse semplicemente, come se fosse stato l'ennesimo indumento da togliere in fretta.
Mi concessi a lui. Provai a concentrarmi, a sentirlo mio, ma anche lì fu una delusione. Niente di diverso da quando lo facevamo in macchina. La stessa fretta, la stessa attenzione ossessiva a non venirmi dentro, il suo respiro affannoso. Una volta venuto, biascicò qualche parola incomprensibile, un ringraziamento mormorato, e si addormentò.
Ero furiosa. Il suo russare leggero mi sembrava un insulto personale, e non mi faceva dormire. Mi voltai di lato. Il mio corpo era ancora teso, la mia fica inascoltata. Il letto, che doveva essere il teatro della mia liberazione, era solo un ennesimo luogo di delusione.
Mi alzai con estrema cautela. Sentivo di avere un bisogno inespresso che non poteva essere soddisfatto da Tommaso. La noia si era trasformata in rabbia.
Ero abituata a dormire sola, nel silenzio ovattato della mia stanza a Cremona, e il russare regolare e inopportuno di Tommaso mi aveva tenuta sveglia gran parte della notte. Quel suono era l'eco della sua insensibilità, la prova che la sua tranquillità era la mia prigione. Mi alzai che ero un fascio di nervi, non riuscendo a nascondere la mia delusione e la stanchezza sul viso.
Per tutta mattina Tommaso fu dolce e affettuoso, cercando di recuperare. Mi accarezzò la schiena in spiaggia, mi parlò con quel suo tono protettivo. Ma non era la dolcezza quella che cercavo. Volevo la scintilla, l'imprevisto, non il miele consolatorio. Sentivo che ogni sua carezza era un tentativo di riportarmi nella normalità, proprio mentre io volevo scappare.
A pranzo, non riuscivo più a trattenermi. Mi sfogai in parte, con un tatto che Tommaso non avrebbe mai meritato dopo una prestazione così deludente.
«Amore,» gli dissi con una voce bassa, quasi confessando un piccolo segreto, «io desidero qualcosa di un po' trasgressivo da questa vacanza. Qualcosa di divertente ed eccitante.»
Tommaso mi guardò con i suoi occhi grandi, sorpreso, ma non turbato.
«Cosa intendi di preciso, Sonia?» mi chiese, bonario.
Gli risposi con sincerità, ancora ignara che il mio desiderio era molto più trasgressivo e profondo di quanto potessi esprimere.
«Intendo ballare, Tommaso. Magari lasciarsi andare e bere un po' troppo, conoscere gente nuova, divertirci nella movida cittadina... Niente di strano, amore, solo un po' di brio.»
Gli feci notare che la nostra vita a Cremona era fatta di silenzi e routine, e che la vacanza doveva essere una pausa da tutto questo. Lui, sempre buono e cordiale, si disse subito d'accordo. La sua accondiscendenza era la cosa che mi irritava di più, ma in quel momento era la mia unica via d'uscita.
«Hai ragione, tesoro. Non ci ho pensato. Lo faremo, stasera. Usciremo e ci divertiremo.»
Proposi allora di uscire quella sera e di andare in una specie di discoteca di cui avevo sentito tanto parlare, un locale che prometteva musica ad alto volume e folla. Lui acconsentì subito, con entusiasmo.
In quell'istante, sentii un'onda di calore risalirmi dalla pancia. Non era un'eccitazione sessuale, ma l'adrenalina pura della ricerca. Ero la cacciatrice che aveva finalmente individuato il percorso. Mi strofinai le cosce sotto il tavolo, godendomi il segreto della mia umidità.
Quella sera, finalmente, saremmo usciti dai confini rassicuranti dell'hotel a quattro stelle. Avevo messo in moto la mia prima vera, seppur ingenua, espansione della vita.
Mi vestii di chiaro, qualcosa di semplice e giovanile, un vestitino leggero che si muoveva con me. Era un contrasto voluto: l'apparenza innocente contro l'elettricità che mi scorreva nelle vene. Ero elettrizzata dall'adrenalina, e gli sguardi che ricevetti durante la cena non fecero che aumentare questa mia sensazione. Sentivo che i miei occhi avevano una luce diversa, più ardita, che rispondeva in silenzio al desiderio maschile.
A tavola, mi concessi un bicchiere di vino più del solito. Il calore dell'alcol si diffuse rapidamente, sciogliendo le ultime mie riserve. Prima di uscire, al bar dell'hotel, bevemmo due amari. Il gusto amaro e forte sulla lingua mi diede un senso di trasgressione adulta che mi piaceva moltissimo. La combinazione di alcol, eccitazione e pizzo nero sotto l'abito chiaro mi aveva reso impaziente. La mia fica era già umida, non per Tommaso, ma per l'attesa febbrile. Sentivo l'odore dolce del mio stesso umore sotto la stoffa, e portai una mano alla pancia per godermi quella pressione.
Arrivammo davanti a questo noto locale — L'Hula Hop — verso le dieci. Il volume della musica era molto alto, un boom boom incessante che risuonava nel mio petto. C'erano già parecchi ragazzi e ragazze che ballavano sulla pedana all'aperto.
Non potevo stare ferma. Mi buttai subito nella mischia, quasi senza aspettare Tommaso. Lui era ancora fermo al bar, intento a ordinare da bere.
Cominciai a muovermi. La musica era un martello che faceva vibrare ogni mia cellula. Mi muovevo liberamente, lasciando che il vestito si sollevasse e si attorcigliasse attorno alle mie gambe. Sentivo il sudore leggero sulla schiena, e l'attrito dei miei capezzoli ormai duri contro il tessuto del vestito.
Chiusi gli occhi e iniziai a ballare. Mi lasciai andare, finalmente, alla sensazione del mio corpo che reagiva in modo primitivo. Ballavo con un'intensità che non avevo mai espresso prima. Era la rabbia della notte precedente, la noia di tre anni di fidanzamento e la speranza di quel brio che erano finalmente liberi.
Mentre mi muovevo a ritmo, percepivo gli sguardi. Mi sentivo guardata da ogni direzione. E quel desiderio altrui era il mio afrodisiaco. La mia fica era inzuppata, calda e pronta. In quel momento, immersa nella folla e nel buio, ero la mia versione più autentica, la ragazza selvaggia che la Cremona borghese aveva tenuto prigioniera. Avevo messo in atto la mia prima vera, elettrizzante, seppur ingenua, fuga.
L'aria estiva mi avvolgeva, carica del profumo salmastro del mare e della promessa di notti infinite. Ero in vacanza con Tommaso, il mio ragazzo, e il nostro scopo era semplice: divertirci. Ma per me, "divertirsi" significava qualcosa di più. Significava spingermi oltre, provare l'ebbrezza del proibito, assaggiare la trasgressione. Tommaso, il mio dolce e un po' impacciato Tommi, mi seguiva con una certa titubanza, ma con un'adorazione negli occhi che mi dava la sicurezza per osare.
La discoteca era un inferno di luci stroboscopiche e musica assordante, il luogo perfetto per perdersi e ritrovarsi. Ballavo, il mio corpo che si muoveva sinuoso al ritmo, sentendo la gonna leggera del mio vestitino estivo di cotone bianco che mi accarezzava le cosce. Sotto, indossavo un semplice perizoma di pizzo nero, senza reggiseno, perché la libertà mi piaceva, specialmente sotto un abito così innocente.
Fu tra un drink e l'altro che li incontrammo: Mario ed Enzo. Due volti nuovi, sorrisi facili e occhi che promettevano avventura. Mario, più robusto, con uno sguardo diretto che mi faceva sentire nuda anche vestita. Enzo, più slanciato, con un sorriso malizioso che mi stuzzicava. Ci siamo messi a chiacchierare, le parole che si perdevano nel frastuono, ma il messaggio era chiaro.
«Sonia, vedo che sei una con la testa sulle spalle,» aveva esordito Mario, la sua voce profonda e rassicurante, eppure con una punta di malizia. «Ma anche con una gran voglia di spaccare il mondo, vero?»
«Esatto!» avevo risposto, elettrizzata dal suo intuito. «Voglio divertirmi, provare cose nuove, quelle che di solito... be', non si fanno.» Avevo lanciato un'occhiata a Tommaso, che arrossiva leggermente.
Enzo aveva sorriso, un luccichio negli occhi. «Perfetto, Sonia. Sai, noi conosciamo un sacco di posti qui in Riviera, locali giusti dove il divertimento è assicurato, roba che non trovi sulle guide turistiche.»
Mario aveva proseguito, con la sua parlantina fluida: «Stasera abbiamo in mente un after-party in un posto speciale, molto esclusivo. Solo per pochi. Un giro un po' diverso dal solito. E se poi la cosa vi piace, potremmo anche andare a mangiare qualcosa a casa di Enzo. La sua è una villa con piscina, un posto dove si può stare tranquilli, chiacchierare, bere un buon bicchiere... insomma, continuare la serata in relax, lontano dal caos.»
La menzione dei locali esclusivi della Riviera mi aveva affascinato, e l'idea di una villa con piscina, lontano da occhi indiscreti, mi faceva sentire come in un film. Nella mia testa, immaginavo un after-party sofisticato, musica lounge, magari qualche bagno notturno. Ero una ragazza di vent'anni che sognava l'avventura, non la perversione estrema che mi aspettava. Ingenua, sì, ma la mia sete di trasgressione era già un terreno fertile.
Non ci avevo pensato due volte. Quando ci hanno proposto di seguirli, ho afferrato la mano di Tommaso, che sembrava ancora più pallido del solito. «Dai, Tommi,» gli sussurrai, stringendogli forte la mano. «Sarà l'avventura che cerchiamo! Non fare il solito guastafeste, no?» E lui, con un sospiro rassegnato e gli occhi puntati su di me, aveva annuito, la sua volontà piegata dalla mia.
Siamo saliti sulla loro vecchia auto, che profumava di tabacco, alcol e un inconfondibile odore maschile, un misto di sudore e dopobarba. Le luci della discoteca si erano fatte piccole, poi erano scomparse del tutto, inghiottite dal buio della campagna. Vedevo i lampioni farsi sempre più radi, sostituiti dalle stelle. Tommaso era sempre più timoroso, stringendosi a me sul sedile posteriore, ma io... io ero eccitata. Ogni scossone della macchina, ogni ombra che si allungava nel buio, aumentava la mia curiosità e la mia brama di scoprire cosa ci aspettava.
«Allora, Sonia,» aveva iniziato Mario, la sua voce roca, ma con un tono che sembrava interessato. «Parlaci un po' di te. Cosa intendi esattamente per "divertimento"? Qual è la cosa più folle che hai mai fatto, o che vorresti fare?»
Avevo risposto, ridacchiando. «Voglio provare tutto! Mi piacerebbe fare cose... non saprei... Tipo, fare cose che non si dovrebbe... cose così, eccitanti, capisci?» Mentre parlavo, sentivo la mia fica che cominciava a inumidirsi, e i miei capezzoli che si indurivano sotto il vestito leggero. Lanciavo occhiate maliziose a Mario, che mi guardava con un sorriso che gli faceva brillare gli occhi.
«Ah, ti piace il brivido, eh?» aveva ribattuto Enzo, che ogni tanto mi lanciava un'occhiata dallo specchietto retrovisore. «E il tuo ragazzo, Tommaso, è d'accordo con queste follie?»
Tommi aveva mugugnato qualcosa, visibilmente a disagio, e aveva stretto la mia mano. «Beh, Sonia... sa che io la seguo sempre. La amo, e lei... lei è così speciale.»
«Aww, Tommi, sei un tesoro!» avevo detto, dandogli un bacio sulla guancia. Poi mi ero rivolta a Mario ed Enzo con un sorriso sfrontato. «Tommaso si fida di me. E io, be', io voglio solo provare cose nuove. Che cosa avete in mente voi, esattamente?»
Mario aveva riso, una risata profonda che mi aveva fatto tremare. «Vedrai, Sonia, vedrai. Abbiamo il posto giusto per le tue... fantasie. Un posto dove nessuno vi disturberà e dove potrete davvero lasciarvi andare.»
Man mano che ci allontanavamo dalla strada principale e ci addentravamo in una stradina sterrata, avevo iniziato a sentire un leggero brivido di preoccupazione, mescolato all'eccitazione. Non stavamo andando verso locali notturni, né verso una villa con piscina. I lampioni erano spariti del tutto, e il buio era quasi totale. Avevo stretto un po' di più la mano di Tommaso, ma il mio desiderio di trasgressione era più forte di qualsiasi timore. "Sarà un'avventura, Sonia," mi ero detta. "Sarà la notte più folle della tua vita."
La macchina si fermò. Il motore si spense, lasciando un silenzio pesante, rotto solo dal frinire lontano dei grilli. Mario ed Enzo scesero per primi, i loro sorrisi ora più larghi, quasi predatori. Tommaso mi strinse la mano, la sua pelle fredda. «Sonia... dove siamo?» sussurrò, la sua voce un po' tremante.
La sua domanda rimase sospesa nell'oscurità, il primo, vero suono del panico.
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