una coppia moderna
Capitolo 2 - dobbiamo dirci tante cose…

capitolo due
dobbiamo dirci tante cose...
lanciai un urlo disperato “GIOIAAAAAAA”, mi tuffai e dosando male lo slancio finii per picchiare la testa sul fondo, la presi come riuscivo e la riportai a galla, la spinsi verso la parte bassa e ormai in preda al panico trascinai con tutte le forze che avevo quel corpo morto all’asciutto, la rovesciai a pancia in su e con orrore vidi che non stava respirando.
“Gioia! Gioia!” la chiamai scuotendola, e visto che non rispondeva gridai “GIOIAAAAA!” che non servì a farle aprire gli occhi.
preso dal panico e dal terrore non capii più niente e non riuscii a fare altro se non scuoterla e chiamarla, disperato, poi ricordai quel che mi era stato insegnato nei corsi BLS, e come se fosse tutto coperto da un velo che si dissipava lentamente mi ricordai l’ABC della rianimazione dopo un trauma, A come ‘airways’, B come ‘breathing’ e C come ‘circulation’.
le aprii la bocca controllando le vie aeree ma erano libere, le posai una mano sul petto tenendo l’orecchio davanti alla sua bocca e no, non respirava, e infine le tastai la carotide, il polso c’era!
galvanizzato le tappai il naso e incollando le labbra alle sue le soffiai nei polmoni con tutta la forza della disperazione, le misi le mani sul petto sullo sterno e incrociando le dita cominciai premere ritmicamente, tot pressioni e tot insufflazioni bocca a bocca, ripetei per non so quanto e controllai il battito, c’era, il cuore batteva ancora!
continuai a rianimarla per minuti senza nemmeno sapere se facevo le cose giuste, la chiamavo, la scuotevo, le facevo il massaggio e le soffiavo aria nei polmoni ma non era sufficiente, e stavo perdendo le forze.
ero disperato, cominciai a gridare “AIUTOOOOOOOOO!” ma non mi sentì nessuno, gridai ancora a squarciagola e poi mi ricordai…
“no, no, non puoi essere così STUPIDO!” gridai a me stesso, tolsi il telefono dalla tasca, composi 112 e aspettai (e benedetto chi mi aveva fatto scegliere un telefono che funzionasse anche da bagnato!), lo misi in vivavoce e continuai la rianimazione.
“RISPONDI CAZZO!” gridai alla voce guida che mi diceva di stare in attesa e quando finalmente rispose lo aggredii.
“MI SERVE UN MEZZO A CASA MIA!” gridai, diedi l’indirizzo e quando mi chiesero che tipo di emergenza ci fosse urlai “STO RIANIMANDO MIA MOGLIE CHE E’ CADUTA IN PISCINA! MI SERVE AIUTO SUBITO!”
“NON RESPIRA E NON HA RIPRESO CONOSCENZA” gridai disperato, “HA POLSO MA E’ DEBOLE, FATE IN FRETTA!!!”
passarono i minuti e ormai ero distrutto, le braccia stavano cedendo, il diaframma non ce la faceva più a pompare aria nei polmoni di un altro corpo, dovetti fermarmi un istante per rifiatare ma quando vidi Gioia praticamente morta ricominciai incurante di tutto con ancora più grinta, massaggiai e soffiai aria nei suoi polmoni fino quasi a perdere i sensi ma finalmente sentii le sirene lontane che si avvicinavano per diventare sempre più vicine e in un istante ecco che che il mezzo di soccorso arrivò fermandosi proprio davanti a casa, scesero due e poi tre paramedici con barella e borsoni o quel cazzo che erano e allora lasciai loro il posto, e pochi istanti dopo arrivò anche l’auto con il medico che si gettò addosso a Gioia e la intubò.
ero disperato, mi misi le mani nei capelli e arretrando per poco non caddi anch’io nella piscina, vidi che continuavano il massaggio e poi che le toglievano il reggiseno per applicarle le placche adesive del defibrillatore automatico, vidi che alzavano le mani e un istante dopo il corpo di Giulia si contraeva e ricadeva a terra pesantemente, si inarcò ancora restando “sospeso” per un paio di secondi e poi ricadde nuovamente, ma dal naso cominciò ad uscire sangue viola che le colò sul collo e sul seno.
ed è l’ultima cosa che ricordo perché tutto diventò nero e… ciao ciao ciao...
poche ore dopo ero in ospedale, seduto su una poltrona in terapia intensiva con un sacchetto del ghiaccio sulla fronte, la schiena curva, le spalle incurvate e la testa bassa a ciondoloni.
sul lettino davanti a me c’era Gioia, ormai immobile da ore.
“l’ultima cosa che le hai detto” mi dissi, “è stata mi fai schifo? MI FAI SCHIFO???”
“TU MI FAI SCHIFO, BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!”
“mi fai schifo…” sussurrai, e di nuovo le lacrime scesero incontrollabili anche se cercai in tutti i modi di fermarle ma non era possibile.
“ecco, sarai felice adesso…” sussurrai, “sarai felice… guarda tutta la tua furia dove vi ha fatto finire… congratulazioni, congratulazioni vivissime! sì, VIVISSIME!!!”
e nel mezzo di quei pensieri autolesionistici arrivò un infermiere che mi provò la pressione e la temperatura, mi mise quella molletta al dito che non ricordo più a che cosa serviva e poi se ne andò senza nemmeno dirmi una parola, ma pochi istanti dopo arrivò un’altra infermiera, con la sedia a rotelle.
“dove… andiamo?” gli chiesi con voce afona.
“andiamo giù in radiologia” rispose la ragazza, dolcissima, “facciamo la TAC cranica per controllare che tutto sia a posto poi torniamo, ok?”
non risposi, obbediente salii sulla sedia a rotelle e l’infermiera mi spinse fuori, e mentre uscivo dalla stanza guardai Gioia, perfettamente immobile come se fosse sull’attenti, con il pallore sul viso, i capelli ancora bagnati e alcune tracce di sangue sulle maniche del camicione da ospedale, di quelli aperti sul retro.
non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo viso ancora contratto dalla sofferenza patita, e quando ormai dal corridoio non riuscii più a vederla continuai a guardare nella sua direzione, fino a che troppo lontano per poterla seguire mi misi le mani davanti alla faccia e ricominciai a piangere, sentendo la mano della ragazza sulla testa che mi accarezzava i capelli per consolarmi.
ero bagnato e congelato, mi fecero salire sul lettino e cominciai a tremare, mi coprirono “pietosamente” con una coperta di stagnola e poi mi fecero entrare in questo tunnel rumoroso e inquietante, il tutto durò solo una manciata di secondi ma mi sembrò di esserci stato dentro una vita intera.
seguii tutte le indicazioni che mi davano e pochi minuti dopo ero ancora in pronto soccorso o terapia intensiva, quel cavolo che era, ma non con Gioia, ero in un ambulatorio in attesa che arrivasse il medico a visitarmi.
solo e disperato non riuscii a non piangere: ricacciai indietro le lacrime e insieme alla frustrazione arrivò l’odio, l’odio per me stesso che non ero tornato indietro più in fretta per salvarla, l’odio per quello che le avevo detto, l’odio per come ci eravamo lasciati, l’odio verso me stesso per come non avevo saputo gestire la sua reazione.
ma che era successo, poi? aveva tentato il suicidio? era caduta? entrambe le cose?
era stata colpa mia, quello che le era successo era solo colpa mia, inutile girarci attorno.
pensai a nostra figlia Sara e al suo immenso dolore, pensai alla sua famiglia che ovviamente mi avrebbe incolpato di tutto, e non a torto, pensai a come sarebbe stata da lì in avanti la mia vita senza di lei.
ma di quello non me ne importava più nulla.
avevo avuto tutto dalla vita, ora non avevo più nulla.
restai immerso nel mio dolore e nei miei pensieri devastanti per un’ora o forse più, ormai erano quasi le cinque del pomeriggio e… rinunciai a fare calcoli, non importava il tempo, anche quello aveva perso di significato.
poi arrivò una dottoressa, mi controllò gli occhi, i riflessi e mi fece dei test per l'equilibrio o quel cazzo che era e una volta finito mi disse che la TAC era negativa, che gli esami a cui ero stato sottoposto erano nella norma e che entro sera sarei stato dimesso.
annuii, del tutto indifferente.
non mi interessava più, non me ne fregava più niente né di andare a casa né di restare lì, più niente.
mi interessava solo una cosa, che qualche stanza più in là c’era una donna immobile su un lettino.
sentii il medico parlare con l’infermiere e ordinare una flebo di benzodiazepina e di monitorare i parametri vitali entro l’ora successiva, e se tutto era in ordine sarei stato dimesso.
mi salutò senza che le rispondessi e poi se ne andò.
tornai nel corridoio, pronto per stare con Gioia e non lasciarla sola anche se per quello era tardi, ma non mi portarono nella sua stanza ma in un’altra molto più grande, con altri letti e con altri pazienti, mi parcheggiarono in un posto libero e lì rimasi per altre ore immerso nei pensieri che ormai erano sempre più cupi e distruttivi.
e ancora una volta ripensai a quello che era successo, alla sera prima, ai due uomini che la toccavano e la baciavano, al mio furore, alla rabbia, al desiderio di vendetta e di fargliela pagare…
“ecco a cosa ti ha portato” mi dissi, “volevi vendetta? eccoti servito!”
“e per che cosa? per il tuo orgoglio ferito?”
“sei contento, adesso?” mi chiesi ancora, “sei contento? non la volevi condividere con nessuno, e adesso non sarà più di nessuno, sei felice? ti senti più uomo così?”
con le mani sulla faccia ricominai a versare lacrime amare, gli occhi mi bruciavano e sighiozzavo così forte che venne la stessa infermiera di prima, mi mise ancora una mano sulla testa e mi sussurrò “stai calmo, stai calmo, su…”, ma visto che non riuscivo a farlo tirò le tende tutto attorno a me e mi lasciò sfogare, e qualche istante dopo tornò con la flebo, la attaccò al “rubinetto” che avevo sul braccio destro, regolò le gocce e nel giro di pochi minuti ero ko.
e cominciarono gli incubi, non li ricordo ma erano così terribili da svegliarmi con il fiatone e il cuore in gola, come se avessi corso per salvarmi da qualcosa che era uscita dal buio per prendermi, e portarmi via.
probabilmente era notte quando mi vennero a prendere, mi portarono in un’altra stanza dove c’erano i miei effetti personali, mi dissero che potevo vestirmi e che un “dirigente medico” voleva parlarmi, se potevo, solo cinque minuti.
annuii, mi rivestii con jeans e maglietta ancora bagnati, infilai le scarpe piene d’acqua e lo vidi entrare.
si presentò ma non ricordo né il suo nome né il suo ruolo, lesse la scheda e poi mi chiese “che è successo?”
glielo ripetei, per l’ennesima volta, ero fuori con l’auto (non menzionai il litigio, non volevo che classificassero l’incidente come… s-suic… non riuscii a nemmeno a pensare quella parola), ripetei che avevo dimenticato il telefono e che ero ritornato dopo venti o trenta minuti, che avevo recuperato il telefono dentro casa e dopo essere uscito avevo visto il cancellino aperto, ero andato a chiuderlo e…
e rividi ancora il corpo di Giulia sul fondo, a braccia e gambe aperte, come una stella marina, con la camicia da notte che svolazzava sopra di lei come una gigantesca medusa.
“ho capito” mi disse dopo aver annotato tutto, “è stato uno sfortunato incidente, mi dispiace signor Rastrelli” aggiunse, fece una specie di accenno di saluto con il mento e poi se ne andò.
già, “uno sfortunato incidente…” sussurrai
tornò l’infermiere che mi diede una cartelletta con dentro i documenti, la TAC, le analisi e altre cose e mi disse che ero libero di tornare a casa, ma al solo pensiero che avrei trovato la casa vuota e con quel ricordo agghiacciante del suo corpo sott’acqua mi paralizzai.
ma lo dovevo fare.
tornare a casa, prendere qualcosa e poi andarmene da lì.
“posso… posso andare a vederla?” gli chiesi.
“ma sì, certo…” rispose l’infermiere, mi chiese se fossi in grado di camminare da solo e valutato che ero in grado di farlo mi accompagnò nel famigerato corridoio, quello che popolerà da lì in avanti quasi tutte le mie notti, arrivai alla stanza di Gioia, esitai prima di entrare ed eccola lì, sempre immobile, esattamente come l’avevo lasciata.
e vederla così… fu straziante.
mi sistemai sulla poltrona e restai a guardarla senza poter distogliere gli occhi dal suo viso pallido, i capelli si erano asciugati ed erano come pettinati, tutti di lato, come li portava sempre ma dalla parte sbagliata.
restai a guardarla, imbambolato.
sapevo che non sarebbe rimasta lì a lungo e che prima o poi l’avrebbero portata via, ma fino a che era lì restai a guardarla.
non so quanto tempo passò, ma di lì a non molto mi dissero che era ora che me ne andassi.
mi alzai e mi avvicinai a lei, ricacciai indietro le lacrime per un’ultima volta e la guardai da vicino, era sempre immobile.
“ciao amore mio…” sussurrai, le accarezzai i capelli senza azzardarmi a sfiorarle la pelle e sentii di nuovo le lacrime che sgorgavano.
non mi sorreggevano le gambe e mi dovetti attaccare al suo lettino, recuperai l’equilibrio e annuii rassicurando l’infermiere che era pronto a prendermi prima che cadessi, mi fece sedere di nuovo e comprendendo il mio stato mi disse che potevo stare ancora al massimo mezz’ora, prima che passasse il giro visite.
lo ringraziai e restai solo, mi sedetti ma poi preferii starle vicino, più che potevo.
“amore mio… perdonami…” sussurrai, e il suono delle mie parole schiantò la mia resistenza e mi misi di nuovo a piangere.
caddi in ginocchio e mi prostrai colpendo più volte il pavimento con la fronte, mi sfogai e poi mi alzai di nuovo asciugandomi la faccia con la maglietta, e di nuovo mi chinai su di lei.
ero pronto per andare ma…
dovetti chiudere gli occhi, strizzarli forte e poi riaprirli e…
Gioia aveva riaperto i suoi.
non ressi all’emozione, arretrai ricadendo sulla poltrona e per poco non mi rovesciai, gli occhi scattarono sul monitor che c’era dietro alle sue spalle e vidi che i numeri erano impazziti, lampeggiavano ed erano diventati rossi.
ebbi qualche istante di panico, poi cercai il pulsante rosso dietro di me e lo premetti sentendo il bip bip bip dell’allarme fuori dalla porta ma non venne nessuno, o forse ero io che non potevo aspettare oltre, così uscii in corridoio e gridai “MI SERVE AIUTO” e finalmente arrivò l’infermiere, controllò gli occhi di Gioia che ora si stava agitando e un istante dopo arrivò la dottoressa che mi aveva visitato e un’altra infermiera con un carrello che sbatteva a destra e a sinistra.
mi schiacciai in un angolo, angosciato e terrorizzato nel vedere quello che succedeva, l’infermiere che teneva bloccata sul lettino Gioia che si contorceva e sbatteva la testa avanti e indietro, la dottoressa che aspirava con una siringa il liquido da un vasetto con il tappo dell’ago tra i denti, l’altra infermiera che preparava freneticamente altre cose ma da lì in avanti non ricordo nulla, solo il nero e il buio.
e quando mi risvegliai una ventina di minuti dopo ero sulla poltrona, e con Gioia c’era solo la dottoressa che sembrava le stesse… parlando.
“ehi, guarda chi si è svegliato…” sentii dire alla dottoressa, non sapevo se rivolta a me oppure a…
“su coraggio” disse proprio a me, “vieni a vedere chi è tornato tra noi…”
mi alzai malfermo sulle gambe, dovetti puntellarmi con le mani sulle ginocchia e quando raddrizzai la schiena Gioia era lì che mi guardava, e sorrideva.
“ciao amore mio…” sussurrò abbozzando un sorriso, e allora crollai.
mi chinai su di lei e le accarezzai la fronte, aveva preso un po’ di colore ma era ancora pallidissima e gli occhi sembravano tristi.
“ciao tesoro…” le sussurrai, “c-come stai… io… non…” provai a dire ma scoppiai a piangere mi appoggiai con la guancia sul suo ventre, ricordandomi quando era stata ricoverata in ospedale incinta di sette mesi.
sentii le sue mani sulla testa e allora mi tirai su e le presi le sue, erano morbide e calde, mentre le mie erano fredde: Gioia mi sorrideva, amorevole, e con un gesto della mano mi chiese di avvicinarmi, lo feci ma non osai baciarla, la vidi deglutire un paio di volte e poi sussurrò “perdonami…”
sentii ancora quella stretta allo stomaco.
annuii e ricacciai indietro le lacrime, le accarezzai il viso asciugandole una lacrima e avvicinandomi le sussurrai “perdonami tu… perdonami, io… non dovevo… non dovevo…” cercai di dire, ma non trovai le parole.
la dottoressa capì che avevamo bisogno di un momento di intimità e con una scusa uscì chiudendo la porta, e una volta rimasti soli le posai un bacio sulle labbra facendole sgorgare le lacrime.
l’avevo persa per sempre e ora era lì, viva, e non mi importava più di quello che aveva fatto, non me ne fregava più niente di niente, i problemi li avremmo affrontati e vinti, le incomprensioni le avremmo sciolte, le divergenze le avremmo cancellate, l’unica cosa che era importante era che ce l’avevo ancora, che l’avrei riportata a casa insieme a me.
il medico tornò poco dopo, e anche se a malincuore ci disse che la paziente doveva assolutamente riposare e che l’indomani sarebbe stata trasferita in un reparto di degenza per poi riprendere alcuni esami e altri test lunedì.
e se anche gli esami confermeranno la ripresa, venerdì o al massimo sabato in mattinata potremmo dimetterla al domicilio.
“Allora Gioia, adesso però devo chiedere a tuo marito di lasciarti la mano e andare a casa, perché noi dobbiamo fare ancora il monitoraggio polmonare, ok?”
“anche perché ha bisogno di rimettersi anche lui, vero?”
annuii, strinsi ancora la mano a Gioia e pochi istanti dopo arrivarono altri due infermieri e sbloccando le ruote del letto lo portarono via, la seguii fino ad un ascensore e anche fino su in reparto di degenza, ma quando fu il momento di entrare non mi fu permesso di seguirla.
era mezzanotte e mezza, tutti dormivano, sarei stato solo un intruso e poi le regole erano regole…
la seguii con lo sguardo fino a che non scomparve nel corridoio, e quando mi ritrovai solo mi sentii completamente svuotato di ogni energia.
con mille pensieri in testa cominciai a pensare a come avrei dovuto affrontare tutto quello che sarebbe arrivato ma scoprii quanto l’amore fosse più forte della rabbia e del rancore.
galleggiando sulle ali dell’entusiasmo ritrovai la strada per il pronto soccorso e per l’uscita, e una volta fuori… ricordai che non avevo modo di tornare a casa.
scoppiai a ridere, una risata liberatoria.
fu facile tornare a casa, nella sala d’aspetto c’erano decine se non centinaia di biglietti da visita di privati cittadini che si offrivano per trasporti e anche altri servizi, ne presi uno a caso e lo chiamai e dopo dieci minuti si presentò un ragazzo indiano con un SUV Hyundai, gli dissi l’indirizzo e lui rispose semplicemente “quaranta euro”.
pagamento anticipato… glieli diedi e mi accomodai dietro sprofondando nei sedili di finta pelle avvolto nel fresco del climatizzatore “a palla”, e sempre perso nei miei pensieri nemmeno mi resi conto che eravamo arrivati.
ringraziai e rimasi solo, e quando aprii il cancellino affrontai nuovamente le mie paure peggiori, ma non feci proprio nulla, mi spogliai e mi gettai sul letto, così com’ero, e non me ne fregava niente se invadevo la sua parte, non me ne fregava niente, anzi, mi rotolai nelle lenzuola che conservavano ancora il suo profumo e abbracciai il suo cuscino stringendolo a me.
non me ne fregava più un cazzo!
la mattina arrivò ruggente dopo una notte praticamente insonne, l’ingresso della domenica era alle undici e non potevo nemmeno contattarla perché il suo telefono era rimasto a casa.
già, in suo telefono.
lo trovai e ovviamente era spento e scarico così lo collegai al caricabatterie perché glielo dovevo portare, e non appena la carica raggiunse una certa percentuale si accese e cominciarono ad arrivare notifiche su notifiche, messaggi su messaggi.
non volevo, davvero, ma fu più forte di me, lo presi e feci il gesto per sbloccarlo e leggerli ma il primo messaggio che venne visualizzato in anteprima lo mandava una tale “Vivian” che le scriveva “ciao tesoro, allora quando vieni con tuo marito? chiamami!!!”
chiusi tutto, non erano fatti miei.
mi tenni occupato cercando di sistemare quello che c’era da sistemare sia in casa che fuori in giardino, fui tentato di svuotare la piscina ma non lo feci, e con un po’ di tempo a disposizione controllai la posta.
“non è possibile…” sussurrai, “non è possibile…”
una email spam era titolata “è giusto perdonare la propria partner che ti ha tradito?”
“non è possibile…” dissi ancora, a voce più alta del dovuto che rimbombo nella stanza vuota e silenziosa.
chiusi il portatile e lo gettai lontano sul letto, ma poi ci ripensai, lo aprii e lessi cosa c’era scritto sopra.
ed erano tutte regole di vita, una più valida dell’altra.
regole che feci mie.
perdonare un partner che ha tradito non è sbagliato ma è una decisione del tutto personale: il perdono può essere un passo importante per la ricostruzione della relazione o per svoltare in una nuova fase della coppia, ma dipende dalla volontà e dalla disponibilità di entrambi i partner a impegnarsi insieme e comunicare liberamente e con la massima onestà e franchezza.
non c’è una risposta se sia giusto perdonare o meno un tradimento: la decisione dipende dalle circostanze, dalle emozioni coinvolte e dalla volontà di entrambi i partner di impegnarsi nel processo di guarigione e di crescita.
il tradimento è solo difficile da oltrepassare, ogni parola e ogni atto compiuto nel tradimento lasciano una cicatrice che si ripresenterà nei momenti più impensati e delicati: perché il tradimento azzera fiducia e stima verso il partner infedele e l'autostima verso sé stesso, anche se con tutte le tue forze hai perdonato quella piccola macchia scura resterà, perché nessuno è veramente capace di dimenticare del tutto.
perdoni con il cuore ma la tua mente conserverà per sempre quel piccolo “dubbio” nascosto e la vera forza non sarà quindi nel perdono ma nel mantenere quel dubbio lontano dalla tua coscienza.
non c’era altro da aggiungere.
alle undici in punto ero da lei con un borsone di effetti e indumenti puliti e con il suo telefono.
mi accolse con un sorriso, la baciai e la strinsi, e sedendomi accanto a lei la guardai negli occhi.
“mi hanno… raccontato quello che hai fatto” mi disse, con la voce già più ferma, “che mi hai salvato la vita e che se non mi avessi fatto la rianimazione… non avrei… non ce l’avrei fatta…”
scossi la testa, non aveva importanza.
“grazie amore mio” disse ancora, “io… me ne ricorderò per sempre…”
non le chiesi cosa fosse successo, se voleva… compiere qualche gesto o se era solo caduta, lo avremmo scoperto con il tempo, non c’era fretta, e sempre se avesse voluto parlarne.
sembrava ancora sull’orlo delle lacrime ma fui forte anche per lei e la feci sorridere, ma quando le diedi il telefono il sorriso scemò, e lo respinse.
“no, non lo voglio” disse scuotendo la testa, “p-portalo via, ti prego…”
le sorrisi con calore, le presi la mano e le posai dentro l’apparecchio.
“leggi quello che devi leggere, ti lascio il tuo tempo” le dissi, “sono qui fuori, quando vuoi chiamami, e io arrivo”
fu un’attesa abbastanza lunga, potevo anche immaginarmi quello che c’era scritto ma forse no, feci su e giù per il corridoio fino a che non la sentii chiamarmi.
era voltata verso la finestra, e non mi voleva guardare in faccia.
il momento era difficile, dovevo aiutarla, ero lì per quello.
“amore” le dissi, “amore… sono qui, parliamo”
si voltò e mi guardò a lungo, poi annuì.
e scoprii qualcosa che era nascosto dentro di lei che non avrei mai sospettato potesse esserci, e che se da un lato mi fece provare amarezza e rabbia per ciò che avevo visto, dall’altro… mi mostrò un aspetto di Gioia che non esitai a considerare… eccitante.
inspirò profondamente, mi prese la mano stringendomela forte e ancora prima di cominciare mi chiese una cosa.
“promettimi… che non mi odierai, e che mi crederai”
annuii, e la lasciai parlare.
“l’anno scorso ho conosciuto questa Stella, eravamo al pub ma non avevamo voglia di ballare e allora abbiamo cominciato a parlare di noi e delle nostre… delle nostre vie, e così ho scoperto che per dare un po’ di… un po’ di ossigeno al rapporto con il marito che stava cominciando a sfaldarsi l’aveva convinto a frequentare questo club di… s-scambio, di scambio… di partner”.
sembrava quasi imbarazzata al solo parlarne.
“mi ha invitato solo come accompagnatrice e così ho scoperto che c’era un sacco di gente… simpatica, tranquilla, ridevano, scherzavano tra di loro, si frequentavano a che fuori da quel club, poi il venerdì sera prenotavano come coppia, entravano insieme e sceglievano un’altra coppia per… s-scambiarsi i partner”
mi guardava a fatica, continuava ad abbassare lo sguardo come se si dovesse vergognare.
“n-non mi sono mai… piaciute quelle cose, lo sai, io… non… non mi piacevano, te l’ho sempre detto”, continuò nel suo racconto che era praticamente una confessione, “così non ci sono più andata ma poi… poi abbiamo avuto quel periodo, ti ricordi l’anno scorso, in estate?”
ricordavo eccome, le avevo detto un sacco di cattiverie riguardo la sua poca voglia di essere “propositiva”, accusandola di far parte di quel gruppo di donne che il matrimonio lo condannano a morte.
annuii.
“ecco, mi sono ricordata di Stella e… l’ho cercata al pub e le ho chiesto come funzionasse e se fosse sicuro, tutte cose del genere…”
stavo cominciando a sentire caldo, e freddo, tutto insieme.
“...e lei mi ha portato ancora una volta, mi ha fatto parlare con delle donne che s-scambiavano da anni e mi hanno detto che è tutto sicuro, che tutte le coppie sono selezionate e che… insomma, è tutto… discreto”
diceva pezzi di frase e si fermava, valutando come reagivo prima di continuare.
“Stella e io siamo state dentro per un po’ fino a quando le… coppie hanno cominciato ad andarsene dopo che si erano… insomma, dopo che si erano scambiati, e così ho capito come funzionava”
non c’era da andare a scuola per capirlo, quello proprio no…
“e così Stella mi ha proposto di seguire lei e il marito una sera, avrebbe fatto lo scambio e io sarei andata insieme a lei…”
si accorse della potenziale brutalità della frase e allora aggiunse subito “solo per guardare, però, solo… solo per guardare… e poi me ne sono tornata al pub in taxi e li ho lasciati… divertirsi, e quando lei è tornata il venerdì successivo mi ha cercato e mi ha detto che dovevo farlo, che dovevo iscrivermi e provare a convincere… te lanciando l’idea, provocandomi e stuzzicandomi mentre… facevamo sesso, noi due… solo noi due…”
non ricordavo queste cose “stuzzicanti”, forse non erano così stuzzicanti o forse erano solo cose normali.
“poi… poi non ci ho più pensato ma due… due mesi fa, quando abbiamo litigato per… per… ti ricordi?”
sì che mi ricordavo, avevamo litigato perché… per una scemenza, ed erano volate parole grosse.
“sì, certo che mi ricordo” le risposi.
“ecco… ho ripensato a Stella e a quello che mi aveva detto sui matrimoni in crisi e allora… mi sono iscritta, sola, perché c’era da superare una… selezione, per capire se sei una persona fidata o… se…” provò a continuare ma non ci riuscì, prese un sorso d’acqua e poi mi sorrise.
“amore…” piagnucolò, “amore dimmi qualcosa…”
le sorrise e le strinsi la mano.
“io ho paura che ti arrabbi e che… poi succede ancora…” piagnucolò nuovamente, “io non voglio più litigare con te, io voglio che si vogliamo bene, che ci amiamo…” e si mise a piangere, tanto forte da dover essere abbracciata e consolata.
“perdonami per le cose che ti ho detto” le dissi, “mi perdonerai?”
annuì, tirò su col naso e si staccò, si asciugò le lacrime con il dorso della mano e poi con quelle stesse mani mi prese il viso.
“sei tu che devi perdonarmi” disse, “posso solo… immaginare quello che hai provato quando… mi hai visto… quella sera…”
chiusi gli occhi e mi sforzai di non pensarci, di tenere duro.
“amore…” mi disse ancora prima di ricominciare a piangere disperata, “io non ho fatto niente, non ho fatto l’amore! non l’ho fatto con nessuno tranne che te, lo sai! mi devi credere!”
era durissima, ascoltavo le sue parole accorate e non riuscivo a credere che fosse sincera al cento per cento, lo volevo, con tutto il cuore, ma non ci riuscivo e lei lo sapeva e quella cosa le faceva un male d’inferno.
la lasciai piangere stavolta senza fermarla, e solo quando si fu sfogata ricominciò a perorare la sua causa.
“io… non ho fatto sesso con loro” ricominciò, provando a controllarsi senza rimettersi a piangere, “ci siamo solo… toccati e provocati… baciati e… ” e ancora una volta spezzò la frase e rimase a vedere la mia reazione, le sorrisi amaro e annuendo le feci capire che poteva continuare.
“era… è stato solo… solo gioco, solo una prova per capire se potevo… fare… se sarei riuscita a… fare… insieme te…” cercò di dire, ma riuscì solo ad esprimere delle frasi disarticolate e senza senso, mandò giù ancora un sorso d’acqua e poi si fermò, senza riuscire a continuare.
era troppo per lei si era stancata e non riusciva più ad andare avanti, non dovevo dimenticare che ventiquattr’ore prima era praticamente morta…
“amore, credimi, ti prego…” mi supplicò ormai con un filo di voce, “ti ho detto la verità, io non…” cercò di dire ma a quel punto il monitor cominciò a suonare, di lì a qualche istante arrivò l’infermiera e controllando i valori aumentò il flusso delle gocce della flebo e le mise il tubicino dell’ossigeno sotto il naso.
“adesso lo teniamo per dieci minuti” le disse, “poi controlliamo ancora i valori e nel caso lo togliamo, va bene?”
Gioia annuì, l’infermiera se ne andò e allora le ripresi la mano, stringendola.
le dissi che doveva risparmiare le forze ma la voglia di convincermi che quello che aveva detto era la verità era più forte del debito di ossigeno dei suoi polmoni ancora provati.
“loro… erano solo due… attori, non mi avrebbero mai fatto niente” continuò, “era solo un gioco per… mettermi alla prova, per capire se ero pronta… per davvero, o se non ce l’avrei fatta…”
inspirai profondamente e annuii, le volevo credere ma avevo ancora davanti agli occhi quelle scene terribili, almeno per me.
cominciò a tossire e le diedi ancora un sorso d’acqua ma lei voleva ancora parlarmi, e spiegarsi, e assicurarsi che le credessi.
le chiesi di riposare la voce e lo fece, solo per me, ma il suo desiderio di spiegarsi era sempre troppo impellente perché perdesse tempo prezioso restando il silenzio ma non riusciva a parlare, ogni due parole era un colpo di tosse, e allora… allora cambiai strategia, io avrei parlato e chiesto, e lei avrebbe risposto.
sarebbe stata durissima, lo sapevo, ma dovevamo assolutamente chiuderla.
non c’erano spazi di manovra, doveva mettere sul piatto delle verità cosa era veramente successo quella sera e il perché aveva deciso di trascinare anche me in quel gioco “perverso”, ma soprattutto perché non ne aveva mai voluto parlare prima lasciandomelo scoprire in modo così traumatico e pericoloso.
“è… è stata la prima volta che… hai fatto quelle cose con altri uomini?” le chiesi, ed ebbi quasi la stessa reazione di quando da bambino accendevo un petardo e lo lanciavo, aspettandomi il botto da un istante all’altro e nell’attesa mi coprivo la faccia con le mani: non mi stavo coprendo la faccia con le mani, ma era comunque qualcosa di paragonabile, aspettavo il botto ed alzavo lo scudo.
inspirò profondamente, e sussurrò “sì”.
ero pronto ad una risposta del genere, e capii che mentiva.
“ci sono state altre… prove, prima di quella sera?” le chiesi, e lei scosse la testa.
no, non era sincera.
annuii e provai a sorridere ma mi uscì qualcosa che non la rese felice.
“q-quindi… hai superato la prova?” le chiesi.
“sì” rispose, “secondo loro ero pronta”
“e… e io?” le chiesi, “io… io che parte avrei avuto?”
“toccava a me convincerti… e portarti là, per provare… e lasciarti… sperimentare”
non riuscivo a credere alle sue parole, era come scoprire che la donna che hai avuto a fianco per vent’anni in realtà è completamente diversa.
“e… se dicevo no?” le chiesi.
“dovevo provare a… insistere, usando… il sesso, per convincerti”
“e… se continuavo a dire no?”
“avrei… rinunciato” sussurrò, e vedendomi ancora poco convinto ricominciò a giurare che era così, che non mi stava mentendo, e mi pregava di crederle in nome del nostro amore.
ricominciò a tossire e la lasciai riposare, e quando fu pronta avevo le ultime due domande.
“e… se dicevo sì, cosa avremmo fatto?”
sorrise.
“si comincia poco per volta” mi disse, “si entra in punta di piedi, come dicono loro, si conoscono le persone e” colpo di tosse, “e si fanno esperienze e si parla con quelli che sono lì da tempo”, ancora tosse, “poi si fanno delle uscite a quattro con un’altra coppia che è disposta ad aiutarci”, tosse, “e poi se ti senti pronto… puoi scambiare…”
ero attonito, mai e poi mai avrei pensato di sentire cose del genere da mia moglie.
“e quindi… tu… hai sempre avuto certe… idee?” le chiesi.
“no, solo da poco” rispose, la voce ormai era gracchiante.
“da… un anno?" la incalzai, e lei annuì.
c’era parecchio da processare, davvero tanto.
“quindi… tu… saresti pronta a… farmi andare con un’altra donna?” le chiesi, “e tu andare con un altro uomo?”
“sì” rispose, “ma solo se sei d’accordo tu, queste cose si fanno… solo… insieme”
mi prese la mano e me la strinse, nei suoi occhi c’era amore, di quello ne ero sicuro.
“lo sai che… è veramente… molto quello che mi chiedi, vero?”
“sì” rispose, “ma se serve per… salvare” colpo di tosse, “il nostro matrimonio… sono pronta a farlo”, e ancora tosse, tanta.
“questo e altro…” riuscì a dire prima che la tosse la piegasse in due, il monitor suonò ancora e ritornò l’infermiera che lesse i valori e dell’ossigeno e aumentò il flussi nelle cannette che si misero a sibilare.
“ok… ho capito” le dissi, “devo… devo… riprendermi, davvero, è qualcosa che… non ero preparato”
mi strinse forte la mano, con tutta la forza che avevo.
“e tu… non trovi niente di… di… sbagliato a… fare… sesso con estranei?” le chiesi, “davvero?”
“sì, mi piacerebbe” rispose, “ma solo se siamo in due, se lo fai tu lo faccio anche io”
e nella mia testa cominciarono a vorticare le cose più disparate, avventure pornografiche che albergano solo nelle fantasie dei più giovani, donne meravigliose che si concedono, delizie sessuali e piaceri infiniti… ma anche altri uomini che si scopano mia moglie…
tutto andava bilanciato, tutto pesato.
e incredibilmente scoprii che nel mio mondo c’era spazio anche per quello: l’aveva fatto lei? lo potevo fare anch’io.
e perché no?
arrivato ai quaranta, potevo anche mettermi in gioco… Gioia aveva ragione, eravamo comunque in crisi, sentivamo entrambi che qualcosa si stava scollando e che non eravamo in grado di metterci una pezza.
quindi perché non… provare?
una volta, una volta sola, e se non va… si torna a casa, anche se inevitabilmente poi si fanno i conti con la propria coscienza, e se il matrimonio è destinato a finire… almeno puoi dire che ci hai provato a salvarlo.
non ne ero convinto, non ero convinto che per salvare il matrimonio avremmo dovuto “aprirlo” e fare entrare degli estranei in mezzo a noi, ma dall’altro lato la cosa mi stimolava.
“tu… tu sei convinta?” le chiesi.
“sì” rispose, “e vuoi sapere il perché?”
feci cenno di sì con il capo.
“perché so che piacerebbe anche a te” mi disse, e stringendomi la mano mi tirò a sé.
“e so che servirebbe a tutti e due, per unirci ancora di più”
la guardai, teso e poco lucido.
“e… se invece servisse solo ad allontanarci?” le chiesi, come se dovesse davvero… consigliarmi sul da farsi.
“no, non succederà” rispose, “perché noi non ci allontaneremo mai, non se saremo sempre sinceri e ci diremo tutto”
“io…” provai a dire, ma mi fermò.
“è una delle cose che ho imparato sulla mia pelle, con te” mi rispose, “che con più ti voglio solo per me, con più mi sfuggi via…”
“no, io…” cercai ancora di intervenire ma Gioia mi chiese di finire.
“amore” sussurrò, quasi senza voce, “fidati di me… fidati…”
cominciò a tossire e di nuovo la feci bere, e si calmò.
mi sorrise, dolcissima.
“promettimi… che si penserai” sussurrò, “promettimi che non mi dirai no, ma che ci penserai”
annuii.
“dimmelo…”
“ci… penserò” le risposi, “sì, ci penserò”
“ok” sussurrò, “ok, ok…”
era stanchissima, le accarezzai il viso e allora Gioia chiuse gli occhi, ma li riaprì subito.
“ho bisogno di riposare…” sussurrò, ancora, praticamente senza più voce né forze, “tu… starai qui con me?”
le presi la mano e gliela baciai.
“io non mi muovo di qui” le risposi, “non mi muovo di qui…”
mi sorrise stancamente e poi me lo chiese di nuovo.
“ci… penserai?”
“sì, te lo prometto, ci penserò”.
annuì, inspirò profondamente e chiuse gli occhi, e in un minuto era già addormentata, serena.
mi sedetti accanto a lei e continuai a guardarla per tutto il tempo che restai da lei, e con più la guardavo con più mi convincevo che non l’avrei mai voluta condividere con qualcun altro.
ma mentre la guardavo dormire arrivò un messaggio sul suo telefono, lo presi per tacitarlo ma vidi l’anteprima, era ancora quella Stella.
sbloccai lo schermo, aprii il messaggio ed eccola lì Stella, in una foto fatta davanti allo specchio: una donna… pazzesca, di una bellezza incredibile tipicamente mediterranea e con un corpo allucinante, fasciata in un vestitino nero lucido con gli stivali dai tacchi vertiginosi.
“allora tesoro hai convinto il tuo uomo?” le chiedeva, “io sono pronta per lui, credi che gli piacerò così?”
mi lasciai cadere sulla poltrona, con gli occhi fissi sullo schermo del telefono di Gioia.
“quindi… questa sarebbe… la mia?” mi chiesi.
beep-beep, altro messaggio.
“e questi gli piaceranno?” le chiedeva, e aprendo la foto allegata…
“oh cazzo…” mormorai.
guardai Gioia dormire, guardai la foto che era appena arrivata e…
mi sentii un verme, una merda, stavo ragionando con il cazzo e non con la testa, ma…
era quello che voleva da me?
guardai ancora la foto, e…
“perché no?” pensai, “perché non io?”
“perché non cominciare a vivere davvero?”
sorrisi, e poi scossi la testa.
“dannazione, Gioia, ma dove mi porterai?” le chiesi, sottovoce.
“che fine faremo, eh?” le chiesi ancora mentre la guardavo dormire su quel letto d’ospedale.
“vogliamo vivere un po’? sì, allora facciamo come vuoi tu, facciamo come vuoi tu? dai, dimmelo…”
le posai un bacio sulla fronte e il contatto le causò un movimento impercettibile, le labbra che erano socchiuse si chiusero ma un istante dopo tornò a rilassarsi, e incredibilmente sorrise.
era un segnale, quello? forse no, ma per me lo era.
“si, ci proverò” le sussurrai, “farò come vuoi tu, ci proverò…”
fine capitolo due
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