Oltre la soglia

Capitolo 5 - Finale

Il silenzio era denso di sudore, rabbia e piacere consumato. Il sesso che si erano appena strappate di dosso non aveva lasciato spazio alla dolcezza — era stato istinto, furia e bisogno. Ora, nude e ancora ansimanti, sembravano due predatrici che si studiano dopo la caccia.

Anna si alzò per prima, senza coprirsi, attraversò il soggiorno con passo sicuro e si fermò davanti alla finestra. Aprì appena le tende: fuori, la vita scorreva come se niente fosse. Dentro, era appena successo l’impossibile.

«Sai che non possiamo restare qui,» disse senza voltarsi. Francesca si stiracchiò sul divano, il corpo ancora caldo, le labbra gonfie, le gambe accavallate con disinvoltura. «Lo so. Non torneranno tardi. E io non ho nessuna intenzione di farmi trovare seduta come una brava mogliettina.»

Anna si girò. «Ce ne andiamo?» «Ce ne andiamo. Ora. Lasciamo tutto qui. E andiamo a organizzarci da sole.» «Dove?» «Hotel. Ho in mente un posto discreto, a dieci minuti. L’ho usato una volta per… altri scopi.» Un sorriso tagliente le sfiorò la bocca. «Suite elegante, letto enorme, nessuno fa domande.»

Anna prese il telefono e iniziò a cercare. «Trovato. Ce ne sono due simili. Ma questo ha anche un centro benessere… potremmo usarlo per agganciare qualcuno.» Francesca si alzò e la raggiunse, nuda, dietro di lei. «Bello. Ma prima dobbiamo selezionare i maschi giusti. Palestrati, arroganti, dotati. Il tipo che non ti chiede il permesso, ma ti apre le gambe senza pensarci. Che ti fa dimenticare chi sei.»

Anna sospirò, poi sorrise. «Sai che forse ho un’amica che potrebbe aiutarci?» Francesca la guardò incuriosita. «Una con pochi freni. Una che si è fatta mezza città e ha numeri ovunque. Se glielo chiedessi… potrebbe anche divertirsi a darci una mano. Non è una che giudica. E ha gusti mooolto simili ai nostri.» «Perfetto. La chiamiamo quando arriviamo in hotel. Ma solo se è pronta a giocare sporco.»

Anna annuì. «Sporco quanto vuoi. Lei adora i giochi dove si vince usando il corpo.»

La suite era silenziosa, ovattata, perfetta. Luci calde, tende spesse, pavimenti in parquet scuro e mobili in legno lucido. Due camere da letto, un salottino elegante con divano in pelle chiara, specchi sottili incastonati alle pareti, un tavolo basso in vetro. Sul fondo, una vasca idromassaggio incassata in una nicchia con faretti regolabili. L’ambiente era elegante ma discreto, il tipo di luogo dove si può scomparire per giorni.

Anna aprì una bottiglia di vino bianco dal frigobar e ne versò due calici. Francesca si era già tolta le scarpe, seduta a gambe incrociate sul divano. Aveva ancorai jeans e una maglia semplice, ma lo sguardo era diverso: ora aveva dentro una fiamma lucida, fredda, perfettamente a fuoco.

«Lo chiamiamo adesso?» Anna annuì. Prese il telefono dalla borsa, scrollò i contatti. «Lei è perfetta per noi. È una che non si scandalizza. Una che se la fa venire dura più di molti uomini. Se c’è qualcuno che può trovarci quello che ci serve… è lei.» Francesca sorrise. «Mi sta già simpatica.»

Anna premette il tasto verde. Vivavoce attivato. Due squilli. Poi una voce roca e allegra: «Tesoro mio. È da un po’ che non mi fai accendere. Che succede?» Anna si accasciò sul divano, gambe distese, calice in mano. «Ho una storia che ti farà godere solo a sentirla.» «Oh, adoro queste premesse.» «Sono in hotel. Non da sola. Con la moglie dell’uomo che mi ha… usata.» «Usata?» Francesca intervenne, con un tono fermo, senza tracce di esitazione: «Marco ha fatto scopare sua moglie da un altro. Senza dirglielo. Ha orchestrato tutto. Lei l’ha scoperto. E ora… stiamo preparando qualcosa che loro non si dimenticheranno.» «Madonna ragazze, siete due bombe. Vi sto già immaginando nude con la sigaretta post-massacro.»

Risero tutte. C’era qualcosa di liberatorio in quella leggerezza, anche se sotto covava lava. Anna sorseggiò. «Non siamo nude. Ancora. Ma ci metteremo in tiro presto. Con le loro carte. Tacchi, autoreggenti, vestiti che si tolgono da soli. Ma prima… ci servono i maschi giusti.» «Descrivetemeli.» Francesca si passò una mano tra i capelli. «Massimo trent’anni. Muscoli veri, non solo da palestra. Sguardo sporco, mani grandi, cazzi seri. Nessuna dolcezza. Solo fame. Devono usare i nostri corpi. Senza chiedere il permesso.» «E devono saperlo fare,» aggiunse Anna. «Niente ragazzini curiosi. Ci devono sottomettere. A turno, insieme, ovunque. Vogliamo restare esauste, vuote, urlanti.»

La voce al telefono fece una pausa, poi divenne più bassa. «Avete idea di quanto mi state bagnando? Siete fuori di testa. E io vi adoro. Credo di avere qualcuno. Uno in particolare. Si chiama Max. Ha ventisette anni. Fa il personal trainer, ma lavora anche nei locali come sicurezza. Corpo da gladiatore, cazzo da spavento. È uno che non sa cosa sia la tenerezza.» Anna incrociò lo sguardo con Francesca. «Ha amici?» «Due. Sami, albanese, tutto tatuaggi e testosterone. È uno che non parla, prende. L’altro è Luca. Silenzioso, occhi da predatore. Dicono che una volta ha fatto svenire una tipa dal troppo godimento.»

Le due donne restarono un istante in silenzio. Poi Francesca disse piano: «Dì a Max che siamo due femmine affamate. Che non poniamo limiti. Che vogliamo solo essere prese e svuotate. Senza regole. Senza fine.» Anna concluse: «Che decidano loro cosa fare di noi. Ma che lo facciano in tre. E che siano pronti a tutto.»

Dall’altra parte si sentì un sospiro lungo, quasi vibrante. «Glielo dico subito. Ma tenetevi pronte: quei tre non sono attori. Sono animali veri. Se vi aprite… non vi richiudono più.»

Francesca si morse il labbro, poi sorrise. «È esattamente ciò che vogliamo.»

Due ore più tardi, mentre le luci della suite si facevano più morbide e le due donne si rilassavano con un secondo bicchiere di vino, il telefono di Anna vibrò. Numero sconosciuto.

Francesca la guardò con un sorriso teso. «Sarà lui?» Anna non rispose. Alzò il telefono, rispose e attivò il vivavoce.

«Anna?» Voce profonda, leggermente roca, con un tono sicuro che non lasciava spazio al dubbio. «Sì. Tu sei Max.» «Già. Ho parlato con la tua amica. Mi ha raccontato le basi. Ma io preferisco sentire i dettagli dalla fonte.» Anna si mise comoda, stese le gambe sul tavolino in vetro e incrociò le caviglie. Francesca si avvicinò, accoccolata al suo fianco, occhi fissi sul telefono come se potesse vedere l’uomo oltre la voce.

«Perfetto, allora ascolta bene.» La sua voce era bassa, ferma. «Questa non è solo una fantasia. È una vendetta. Marco, mio marito, ha fatto in modo che io finissi a letto con Filippo, suo collega. Mi ha fatta scopare da lui senza che io sapessi nulla. Voleva godersi lo spettacolo. Sapeva. Io no.»

Un breve silenzio. Poi la voce di Max, sempre calma: «Capisco.» Anna continuò. «Ora toccherà a noi. Io e Francesca vogliamo tre uomini. Grossi. Sporchi. Dominanti. Vogliamo essere prese, usate, sfinite. Ma non basta. Vogliamo che i nostri mariti siano presenti. Immobilizzati. Legati a una sedia. A un metro da noi. A guardare.» Francesca intervenne, il tono pieno di veleno e fuoco. «Li vogliamo spettatori. Umiliati. Costretti a vedere le loro mogli godere, urlare, essere dominate. E non potranno fare nulla. Solo guardare.»

La voce di Max non tremò, ma si fece più bassa. «Siete sicure di quello che state dicendo?» Anna lo trafisse con il tono: «Noi vogliamo essere prese come puttane. Ma non da chi ci ha tradite. Vogliamo scegliere noi da chi essere scopate. E voi tre, se siete all’altezza, siete la nostra scelta.»

Un silenzio carico di tensione. Poi Max parlò, con un tono quasi divertito. «Allora vi dico questo: io ci sto. Sami ci sta. Luca? Lui non ha mai detto di no a un’occasione del genere. Ma voglio una cosa anch’io.» «Dimmi.» «Una foto. Di voi due. In intimo elegante. Niente nudo. Ma niente da mercatino. Vogliamo capire per cosa stiamo firmando.»

Anna e Francesca si scambiarono uno sguardo. «Lo avrai,» disse Anna. «Ma anche noi vogliamo delle prove.» Francesca si avvicinò al microfono, con un tono che era quasi una sfida. «Fateci vedere che siete quello che dite. Muscoli veri. Non solo selfie da spogliatoio. E soprattutto… vogliamo vedere se la vostra dotazione giustifica tutto questo atteggiamento da maschi alfa.»

Dall’altra parte una risata bassa, roca. «Ci state chiedendo foto dei nostri cazzi?» Anna rispose con calma glaciale. «No. Vi stiamo chiedendo di farci venire voglia di essere usate. E non sarà una foto a decidere. Sarà come ve la fate.»

Max non disse nulla per un istante. Poi, serio: «Entro stanotte riceverete tutto. Tre corpi. Tre motivi per non tornare mai più indietro. E voi… preparatevi. Perché una volta iniziato, non si torna indietro.»

Anna sorrise. «Non abbiamo alcuna intenzione di tornare indietro.»

La suite sembrava sospesa. Le luci basse, filtrate dai faretti d’angolo, disegnavano ombre lungo i contorni dei mobili. Il grande specchio di fronte al letto rifletteva una visione che non aveva nulla a che fare con l’eleganza dell’hotel: era puro desiderio, orchestrato con intelligenza e veleno.

Anna uscì dal bagno per prima, camminando a passo lento sui tacchi rosso fuoco. La guepière blu elettrico, aderente e lucida come vernice bagnata, le fasciava la vita e spingeva in fuori i seni. Le coppe a mezzo balconcino lasciavano scoperti i capezzoli, tesi, rosa e provocatori, incorniciati da un pizzo fine che non cercava di nascondere nulla. Il tanga, ridotto a un triangolo bassissimo appena sopra il pube, sembrava lì più per invitare che per coprire. Le calze bianche velatissime, dieci denari, agganciate ai sottili nastri della guepière, le slanciavano le gambe con eleganza oscena.

Francesca si muoveva in silenzio. Il body in lattice nero le rifletteva addosso i riflessi dorati della luce, seguendo ogni curva del fianco, del ventre, dei glutei. Gli inserti in tulle trasparente lasciavano intravedere la pelle come squarci intenzionali. Il reggiseno push-up integrato sollevava i seni in modo quasi irreale. Dietro, la parte bassa del body si stringeva in un perizoma incorporato, sgambatissimo, che spariva tra i glutei esposti. Le calze autoreggenti nere, con riga posteriore, sembravano disegnare il cammino verso il peccato. Ai piedi, scarpe nere lucide, tacco alto, punta chiusa, degne di una padrona.

Si truccarono senza parlare, davanti allo specchio grande. Trucco pesante. Osceno. Voluto.

Francesca stese l’eyeliner con mano esperta, allungando lo sguardo di Anna fino a renderlo felino. Mascara spesso, ciglia folte e incurvate, sopracciglia ridisegnate a definire lo sguardo. Anna le passò un rossetto color sangue, che Francesca applicò con cura su labbra già gonfie. Poi le toccò il mento, lo alzò, e le sorrise.

«Hai lo sguardo di chi ha appena ordinato la distruzione di un uomo.»

«E tu quello di chi l’ha eseguita.»

Passarono al primo scatto.

Anna prese il telefono e si mise dietro, in piedi, dritta come una statua viva, con il braccio teso e il telefono in mano, pronta a scattare allo specchio. Di fronte a lei, Francesca, di spalle, poggiata con il ventre all’addome dell’amica. La testa appena girata, le mani sulle sue stesse anche. Il riflesso nello specchio mostrava la potenza del blu elettrico, il seno scoperto, il volto di Anna truccato come una diva porno, ma con la calma di una dea. Il corpo di Francesca sormontava leggermente quello di Anna, in un gioco di livelli: lattice e pelle, lucido e candore, fuoco e pece.

Secondo scatto.

Inversione.

Francesca ora dietro, con il telefono in mano, lo sguardo dritto nella lente, sorriso appena accennato, ma pericoloso. Anna di spalle, un passo davanti, le braccia rilassate, la schiena dritta, i glutei evidenti sotto la guepière tagliata. Lo specchio catturava la tensione feroce tra le due, la loro complementarietà esplosiva.

Scattarono. Si guardarono. Silenzio.

Poi Anna prese il telefono, selezionò le due immagini e aprì la chat con Max.

“Avevi chiesto una prova. Queste sono due. Guarda bene. Sono vere. E siamo pronte.”

Francesca accavallò le gambe, facendo schioccare il tacco sul pavimento.

MESSAGGIO DI MAX

“Ecco i ragazzi. Fate voi.”

Allegato 1: Foto di Max – Scatto a torso nudo: spalle ampie, petto e braccia muscolosi, vene in rilievo. Boxer aderente, con il profilo del suo sesso in bella vista. – Sguardo sicuro, quasi sfidante, col chiarore freddo della luce che ne esalta i contorni. Sullo sfondo, pareti spoglie, niente distrazioni.

Allegato 2: Foto di Sami – In palestra, nudo. Sulla panca, foto frontale. Pettorali rigidi, addominali scolpiti, glutei tesi. Il cazzo è grosso e rilassato, ma è evidente che non lo è. – Tatuaggi tribali e animali sul petto e le braccia. Sguardo severo, mani pronte a stringere.

Allegato 3: Video breve di Luca – Pian camera: lenta panoramica sul suo corpo nudo. Si vede il petto, poi scende sulle spalle, poi addomino, nella penombra. Poi la telecamera inquadra il suo sesso, forte, ingombrante. – Luca poi si avvicina e guarda direttamente nella lente, silenzioso. Nessuna parola. Solo un sorriso sornione.

Anna tocca il display, prende respiro. Francesca fa lo stesso. Guardano insieme lo schermo, imbambolate.

Anna (sussurrando): «Ho i brividi.» Francesca, con voce roca: «Li vedi? Li credi?»

Anna risponde all'istante:

“Voi tre siete esattamente ciò che volevamo. Corpo, presenza, ambizione. Siete “all’altezza”. Ci servono libertà totale, nessuna pietà. E… i nostri mariti dovranno guardare, legati e impotenti. Vogliamo il giorno X. Dateci ora la vostra disponibilità: ora, domani, quando volete. Noi siamo qui, pronte.”

Mentre invia, Francesca si alza, scivola in piedi tra Anna e lo specchio, e la sfiora con mano sul fianco. «Sta per cominciare un gioco che non finisce più.»

Era ormai sera, e nella suite le luci erano soffuse, le tende chiuse sul buio della città. Anna e Francesca stavano ancora sfogliando le foto ricevute, le dita lente, gli occhi avidi. Nessuna parola, solo sguardi. I tre uomini avevano superato ogni aspettativa.

Poi il telefono vibrò. Anna lo guardò: Max.

Rispose subito, vivavoce attivato. «Dimmi, Max.»

La sua voce, profonda e nitida, riempì la stanza come se fosse lì con loro. «Bellezze. Avete superato l’immaginazione. Quelle foto... danno alla testa. Ma ora parliamo sul serio.»

Anna si sedette sul bracciolo del divano, Francesca si stiracchiò accanto a lei. «Vai.»

«Abbiamo deciso. Domani sera veniamo da voi. Niente location strane. Vi raggiungiamo in hotel. Più intimo, più... controllato. Niente distrazioni.»

Le due si guardarono. Anna rispose con un sorriso che si poteva sentire nella voce. «Perfetto. Avremo tutto pronto.»

Max fece una breve pausa, poi parlò con tono più diretto. «Ma c’è una cosa importante. Lo dico chiaro, senza giri di parole: non useremo protezioni. Nessuno dei tre. È una regola per noi. Ci deve essere contatto vero. Pelle. Calore. Dentro e fuori. Vogliamo sentirvi interamente. Vogliamo entrare in voi senza filtri. E rimanerci.»

Francesca si morse il labbro. Anna non distolse lo sguardo dal telefono. Poi Anna rispose, calma. «Siete sicuri?» «Assolutamente. Siamo tutti e tre controllati, test aggiornati, niente rischi. Ma non vogliamo nulla che ci separi da voi. Sarete nostre. Completamente.»

Francesca intervenne, con tono glaciale e sensuale insieme: «Va bene. Nessun problema. Prenderemo le dovute precauzioni. Ma vogliamo anche sentire tutto. Ogni goccia. Ogni spinta. Ogni goccia di voi che ci resta dentro.»

Un respiro profondo dall’altro lato. Poi Max: «Allora è deciso. Domani sera, alle dieci. Hotel, vostra suite. Noi tre. Voi due. E i vostri mariti...» Anna completò per lui. «Legati. Immobili. Obbligati a guardare. Saranno i primi a godere. Ma solo con gli occhi.»

La voce di Max si fece roca, quasi affilata. «Allora scegliete bene cosa indossare. Perché non durerà a lungo. Il resto... lasciatelo a noi.»

Poi la linea cadde. Nessun saluto. Nessuna incertezza.

Le due donne restarono in silenzio per qualche secondo. Poi Francesca si alzò e si guardò allo specchio. «Domani si fa shopping.» Anna la guardò negli occhi. «E la sera… 

Il messaggio ad entrambi partì nel tardo pomeriggio. Nessuna telefonata, nessun confronto. Solo poche righe, inviate in simultanea, con la precisione di un colpo sparato da due mani diverse ma con lo stesso proiettile.

"Domani sera alle 22. Vieni in hotel. Non fare domande. Presentati vestito bene. È importante."

Nessun nome, nessuna spiegazione. Ma entrambi — Marco e Filippo — capirono che era una convocazione, non un invito. E, per motivi diversi, nessuno dei due avrebbe osato dire di no.

Il giorno successivo, nel tardo pomeriggio la porta della suite si aprì con uno scatto secco. Anna entrò per prima, occhiali da sole sul naso, capelli sciolti, il passo deciso di chi ha trovato ciò che cercava. Dietro di lei, Francesca portava almeno sei buste, due per braccio e due appese alla spalla, senza contare le scatole eleganti di scarpe.

Deposero tutto sul letto, quasi ridendo. I sacchetti sembravano esplodere di seta, pizzo, lattice e lucido vinile.

Anna si sfilò gli occhiali e li posò sul tavolino. «Missione compiuta.» Francesca si lasciò cadere sul divano, le gambe accavallate, accendendosi una sigaretta. «Abbiamo speso una fortuna. Ma non era nostra. Quindi ancora meglio.»

Un silenzio complice calò nella stanza, mentre entrambe guardavano i loro trofei. Capi sensuali, tacchi assassini, lingerie da guerra. Domani sera avrebbero recitato una parte. Ma nessuna delle due aveva più voglia di fingere. Sarebbero state finalmente vere, per la prima volta.

Il corridoio era silenzioso. Il tappeto assorbiva i passi, ma la tensione si tagliava a colpi di sguardo. Max era davanti. Felpa nera aperta, sotto solo una maglietta attillata a maniche corte che segnava ogni muscolo. Jeans scuri, sneaker. Barba di due giorni, occhi affilati. Sami, largo come una porta, indossava una t-shirt bianca attillata, jeans slavati e stivaletti neri. Braccia nude, tatuaggi che si intravedevano fin sotto il collo. Luca, dietro di loro, felpa grigia con cappuccio abbassato, pantaloni sportivi neri, passo fluido, silenzioso. Occhi scuri, taglio netto, mascella rilassata. Max portava una borsa da palestra, nera, anonima. Nessuno chiese cosa contenesse.

Poi la porta della suite si aprì.

Un profumo caldo e dolce li accolse subito. Luci basse, musica in sottofondo, odore di pelle e seta. Quando entrarono, si fermarono. Tutti e tre. In silenzio.

Lì, al centro della stanza, sedute su due poltrone gemelle in velluto blu scuro, c’erano Anna e Francesca. Pronte. In posa. In attesa.

Francesca li osservava con un sopracciglio alzato, le gambe accavallate lentamente come se stesse già strappando l’attenzione con un solo gesto. L’abito nero lucido le aderiva come un guanto. La scollatura a cuore spingeva in fuori il seno come un’arma carica, e i due spacchi anteriori si aprivano leggermente, lasciando intravedere le calze con riga verticale e quel bordo di pizzo che sembrava disegnato per provocare. La giacca in pelle, aperta sulle spalle, non copriva nulla. Sembrava messa lì per sottolineare, non per proteggere. Le scarpe nere lucide, tacco a spillo, brillavano nella penombra. Ma era il volto che toglieva il fiato: smokey eyes intenso, labbra bordeaux lucide, zigomi scolpiti, capelli sciolti a onde, tirati su una spalla, come a dire “guardami, ma non toccare — non ancora”.

Anna, accanto a lei, sedeva con le gambe leggermente divaricate, una mano appoggiata sul ginocchio, l’altra che accarezzava il bordo della minigonna blu scuro in seta. Il tailleur aperto, senza camicia sotto, lasciava vedere una porzione scandalosa del seno, nudo, gonfio, perfettamente sostenuto, che sfiorava il bordo della giacca slacciata. La seta rifletteva la luce come acqua notturna, e le calze bianche sottili, visibili fino a metà coscia, spezzavano il colore come un grido silenzioso. Le scarpe rosso fuoco in vernice erano due fiamme sotto di lei. Il volto, truccato con precisione chirurgica: eyeliner verde smeraldo spesso, che incorniciava i suoi occhi lucenti, ombretto blu profondo, labbra rosa brillante, capelli rossi stirati perfettamente, con la riga centrale e le ciocche divise sulle spalle. Sembrava appena uscita da un film, o da un sogno troppo erotico per essere raccontato.

I tre uomini rimasero immobili per un secondo. Max fu il primo a parlare, senza sorridere. «Siete ancora più devastanti di come vi immaginavamo.»

Sami si passò la lingua sulle labbra, lo sguardo già basso. Luca socchiuse gli occhi, poi si voltò a guardare il letto. Nessuno fece domande. Nessuno disse altro.

Francesca incrociò lo sguardo di Anna. «Benvenuti. Accomodatevi. Lo spettacolo sta per iniziare.»

Max posò la borsa nera accanto al divano. Nessun logo, nessuna marca. Solo pelle lucida e una zip lunga e pesante.

Francesca si alzò con lentezza, come una condottiera pronta a dare ordini. Si avvicinò a Max, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, e sussurrò: «Nascondetevi nella stanza accanto. Quando li vedrete entrare… agite. Niente violenza. Ma devono essere bloccati. Immobilizzati. Non devono avere alcuna possibilità di reagire.»

Max annuì senza battere ciglio. Poi si abbassò, aprì la borsa. Dalla cerniera emerse il primo oggetto: una corda in fibra naturale, spessa, morbida al tatto ma resistente. Seguirono altre due, arrotolate con cura, poi una fascia elastica e tre fascette in cuoio con fibbie in metallo. Le appoggiò lentamente sul letto, come strumenti chirurgici.

Anna li guardò per un attimo, poi si voltò verso Francesca. «Lo fanno sul serio.» Francesca sorrise. «Proprio come volevamo.»

I tre uomini si mossero senza rumore, scomparendo dietro la porta della stanza adiacente, lasciandola appena socchiusa. I loro corpi svanirono, ma la tensione rimase nell’aria, densa e affilata come una lama.

Pochi minuti dopo, il campanello della suite trillò.Anna non si mosse. Francesca fece due passi, aprì con calma.

Marco e Filippo entrarono in silenzio, quasi esitanti. Avevano ricevuto solo un messaggio secco, ma avevano capito che dovevano presentarsi. Vestiti bene, sì, ma nervosi. Marco portava una camicia blu e pantaloni stirati con cura. Filippo era in grigio, giacca e dolcevita. Occhi attenti, ma già disorientati.

E poi… le videro.

Anna era in piedi, accanto al tavolo. La giacca in seta blu scuro lasciava scoperti i fianchi, il seno chiaramente privo di copertura. La minigonna aderente era un invito esplicito, e le calze bianche trasparenti le tagliavano le cosce come un’illusione pornografica sotto pelle. Le scarpe rosso fuoco brillavano sotto la luce bassa. Il volto, truccato come una bambola erotica venuta da un incubo maschile, li pietrificò.

Accanto a lei, Francesca, con il tubino nero lucido che sembrava una seconda pelle, i due spacchi che scoprivano appena la cima delle calze a riga. La giacca in pelle lasciava le spalle nude, e i tacchi a spillo facevano sembrare ogni suo passo una minaccia.

I due uomini si bloccarono, bocca semiaperta, incapaci di articolare parola.

Ed è proprio allora, nel momento in cui gli occhi erano fissi sulle due dee, che alle loro spalle emersero le ombre.

Max uscì per primo, alle spalle di Marco, mentre Sami e Luca si muovevano come predatori addestrati. Non ci fu tempo di reagire. Le mani grandi di Max afferrarono Marco per le braccia, lo spinsero in avanti con una mossa secca e lo bloccarono sulla poltroncina accanto alla finestra. Sami fece lo stesso con Filippo, lo bloccò al petto e lo fece sedere con decisione. Luca, silenzioso, si chinò e in pochi secondi legò le caviglie.

Le corde si strinsero sui polsi e attorno al torace. Nessun urlo, solo respiro spezzato, sorpresa, confusione totale. Marco provò a protestare. «Che cazzo state—» Max gli sussurrò all’orecchio: «Guarda e taci.»

Quando tutto fu completato, Anna si avvicinò lentamente, i tacchi che ticchettavano sul parquet. Si fermò davanti a Marco, lo fissò. «Avete voluto il vostro spettacolo, no? Ma questa volta… lo guarderete da fuori. Legati. Muti. E con gli occhi ben aperti.»

I due uomini erano immobili, legati con cura. Il petto si sollevava in cerca d’aria, ma non c’era più spazio per l’orgoglio. Solo occhi sbarrati e silenzio.

Anna fece un passo avanti. Il suono dei suoi tacchi rossi era un colpo secco nel cuore della suite. Lo sguardo verde, affilato, lucido. Si fermò davanti a Marco, a mezzo metro da lui. «Tu. Volevi vedermi scopare con un altro. Ma da lontano. Da sicuro. Senza che io sapessi. Ti piaceva l’idea di possedermi anche quando mi offrivi. Bene.» Si voltò verso Filippo. «E tu. Non hai esitato. Hai colto l’occasione. Senza nemmeno sapere se ne avevo voglia. Mi avete presa come si prende un oggetto. Bene.»

Francesca si avvicinò. La voce fredda. «Adesso starete seduti lì, e guarderete come si possiede davvero una donna. Come si fotte una femmina per il solo piacere. Non per amor proprio. Non per vantarsi. Ma per distruggerla. Dentro. Profondamente.»

Anna incrociò le braccia. «Questi tre uomini ci useranno. Dove, come e quando vorranno. Ci prenderanno fino all’ultima goccia. Senza chiedere nulla. E voi starete lì, muti, a vedere cosa significa essere messe davvero sotto. Capirete cos'è il potere. E l’impotenza.»

Francesca si voltò verso Max, Sami e Luca. «Loro sono qui per scoparci. E voi per guardarci mentre godiamo con altri. Loro ci faranno urlare, piangere, tremare. E voi… potrete solo ascoltare.»

Un silenzio teso. Marco tentò un mezzo scatto, ma le corde erano salde. Filippo aveva il volto pallido.

Anna andò verso lo stereo, prese il telefono e selezionò un brano. Bassi lenti, profondi, come un respiro caldo. La musica riempì la stanza.

Poi si voltò verso Francesca. «Cominciamo?»

Francesca annuì. «Adesso vedranno cosa stanno perdendo.»

Lo strip tease cominciò piano.

Anna si mosse a ritmo lento, accarezzando la giacca blu scuro, facendola scivolare lungo le spalle con eleganza. Cadde sul pavimento come seta bagnata. Restò in piedi, solo con la minigonna, le mani sui fianchi. I capelli rossi stirati, la luce che colpiva i riflessi. Si voltò, e con due dita, abbassò lentamente la zip invisibile sul fianco della gonna. Scivolò lungo le gambe. Sotto, la guepière blu elettrico apparve in tutto il suo splendore.

– Le coppe a mezzo balconcino lasciavano i capezzoli completamente scoperti, tesi, duri, incorniciati da pizzo blu lucido. – Il tanga, sottilissimo, era poco più di un’ombra a vita bassissima, appena sopra il pube. – Il reggicalze integrato, dalle linee affusolate, si collegava alle calze bianche 10 denari, trasparenti, con bordo ricamato. – Le scarpe rosso fuoco brillavano come fiamme sotto il peso dei suoi movimenti.

Anna si voltò verso Marco. Poi lo ignorò.

Francesca, accanto, giocava con i lembi della giacca in pelle. Un colpo secco, e la fece scivolare via. Il tubino nero lucido rimaneva solo un ostacolo. Prese l’orlo con due dita e lo sollevò piano, centimetro dopo centimetro, fino a scoprire il bordo delle calze.

Poi un colpo netto con il bacino, e l’abito scese giù fino ai talloni.

Sotto, era una dea di latex e malizia.

– Il reggiseno push-up nero, con tulle trasparente nella parte superiore delle coppe, sollevava il seno in modo teatrale. – Il tanga a V, con doppia stringa laterale, si perdeva tra i glutei, lasciando la parte posteriore completamente scoperta. – Le calze nere 15 denari, con riga verticale posteriore, erano tenute da quattro stringhe lucide, che danzavano a ogni passo. – Ai piedi, le scarpe nere in vernice, tacco a spillo, affilate come lame.

Si voltò verso Filippo. Poi fece due passi, guardando solo Max.

La musica continuava. Il ritmo si fece più lento. Le luci sembravano vibrare con i loro corpi. I tre uomini non si erano mossi, ma i loro occhi erano fuoco vivo. E non era ancora successo nulla.

Anna si chinò a raccogliere la gonna, la tenne in mano come un trofeo. Francesca, accanto a lei, accarezzò il proprio fianco, poi passò un dito sul bordo delle calze. Poi si girarono. Una verso Max. L’altra verso Sami.

La musica continuava a scivolare tra le pareti come un alito caldo. Le due donne erano lì, quasi immobili dopo lo strip tease, ma gli occhi erano vivi, accesi, invitanti. Francesca passò la lingua sulle labbra, Anna socchiuse le cosce, quanto bastava a farsi notare.

Max fece un passo avanti, poi si voltò verso gli altri due. Le parole che disse, lente e basse, tagliarono l’aria:

«Così fino a domattina siamo a posto.»

Dalla tasca della felpa tirò fuori una piccola scatola, la aprì, e prese una pastiglia. Sami e Luca fecero lo stesso, senza bisogno di spiegazioni. Tre compresse blu. Tre uomini pronti a farne uso pieno.

Poi Max si sfilò la felpa, in silenzio. La gettò sul letto. Seguirono la maglietta e i jeans, slacciati lentamente, lasciando scivolare via la cintura come se stesse preparando un rituale. Rimase solo con il boxer nero, già gonfio, chiaramente segnato dal peso dell’eccitazione.

Sami fu più diretto: maglietta sollevata sopra la testa, tatuaggi tesi sui muscoli, e via anche i jeans, lenti, lenti. Le vene sulle braccia sembravano in rilievo. Anche lui, boxer bianco teso a dismisura.

Luca, per ultimo, si tolse la felpa con gesti precisi. Il petto glabro, tirato, lucido di una tensione sottile. La vita stretta, le gambe nervose e forti. Sotto il tessuto aderente, si intuiva una forma che toglieva il fiato.

Poi uno alla volta si sfilarono anche i boxer.

Il primo a scoprirsi fu Max. Il membro cadde fuori con un colpo secco, già semieretto. Lungo, spesso, con un glande gonfio e lucido, e una vena che correva lungo tutto il lato. Anna lo guardò senza vergogna, le labbra appena dischiuse.

Sami lo seguì. Il suo sesso era più scuro, tozzo, brutalmente carnale, con i testicoli pesanti, bassi. La pelle ruvida, viva, e quando lo prese tra le dita per aggiustarlo, l’erezione fu quasi istantanea.

Luca si scoprì in silenzio. Il suo era lungo, inclinato leggermente verso l’alto, elegantemente proporzionato ma spaventosamente duro. Il glande era ampio, lucido, appena violaceo. Una goccia lucida ne segnava la punta.

Le due donne non distolsero lo sguardo. Francesca si morse un’unghia. Anna fece un passo avanti, i tacchi rossi che graffiavano il pavimento.

Poi vennero circondate. Tre corpi nudi, caldi, potenti, le sfiorarono senza toccarle subito. I respiri si mescolavano. Le mani ancora ferme, ma gli occhi parlavano.

Max fu il primo a chinarsi verso Anna. Le prese il viso tra le mani e la baciò. Forte, profondo. La lingua le entrò in bocca come un avvertimento. Anna lo lasciò fare, lo accettò, lo trattenne. Dietro di lei, sentì le mani di Luca salire dalle cosce ai fianchi. Il contatto fu pieno, la pelle di lui calda, il sesso già duro contro il suo gluteo.

Francesca fu presa da Sami. Le afferrò i fianchi, la tirò a sé e la baciò sul collo, poi sulla clavicola, poi direttamente sulla bocca, mordendole il labbro con forza controllata. Lei ansimò, lo afferrò per le spalle. Dietro, Max stava già sfilando una spallina della guepière di Anna, mentre Luca le succhiava il lobo dell’orecchio.

Poi le due donne si inginocchiarono. Nessuna parola. Nessuna richiesta. Era solo il momento giusto.

Anna si posizionò davanti a Max. Lo prese con entrambe le mani, lo guardò. Era duro, pesante, teso da far tremare. Gli sfiorò il glande con la lingua, poi lo inghiottì, lentamente, trattenendo il respiro. Le sue labbra si chiusero attorno al membro con precisione, mentre le dita scivolavano alla base. Max abbassò lo sguardo, e per la prima volta strinse i denti.

Accanto, Francesca prese in mano quello di Sami. Lo sfiorò con la punta delle unghie, lo osservò. Poi, con una lentezza studiata, lo baciò più volte lungo l’asta, leccandolo con la lingua piatta fino in cima, e solo allora lo fece sparire tra le labbra. Lui affondò le mani nei suoi capelli, ma senza spingerla. Era lei a guidare.

Anna aumentò il ritmo. Alternava profondità a suzione lenta, usava la lingua per tormentarlo, per sporcarlo di saliva. Luca si era messo accanto a lei, e lei gli prese l’erezione con la mano libera, mentre continuava a succhiare Max senza sosta. Due uomini, una bocca, due mani, e lei nel mezzo. Goduta.

Francesca stava facendo vibrare Sami. Gli occhi chiusi, il membro spariva quasi del tutto in gola. Le sue labbra erano lucide, sbavate, il trucco colava appena sotto gli occhi. Ma non si fermava. Lo guardava da sotto, con quella sfacciata consapevolezza che fa impazzire un uomo.

Le labbra, le mani, le lingue. Le bocche delle due donne erano armi e altari. I tre ragazzi erano lì per distruggerle. Ma in quel momento, sembravano loro le padrone del desiderio.

La suite era piena solo dei suoni del piacere. I corpi si muovevano con una sincronia che non aveva bisogno di parole. Le labbra, le mani, i respiri si incrociavano, si univano, si prendevano.

Francesca era in ginocchio davanti a Sami, con le labbra avide e ben truccate che scorrevano lentamente lungo il suo sesso teso. Il push-up nero del body in lattice la spingeva in avanti, esaltandole il décolleté, mentre il trucco marcato rendeva ogni movimento ancora più osceno, ancora più indecente. Gli occhi allungati dal contour e le ciglia finte facevano da cornice perfetta al suo sguardo fisso e malizioso rivolto verso l’alto, ogni tanto spezzato da un gemito vibrato attorno a lui.

I suoi movimenti erano sicuri ma sensuali, alternava profondità a carezze con la lingua, e le mani affusolate scorrevano sui fianchi di Sami con lenta voracità. Ogni volta che lo prendeva in gola, un filo di saliva colava dal labbro inferiore e brillava sulla pelle nera lucida del body.

Ma Sami non aveva intenzione di restare lì ancora a lungo.

Con un gesto deciso la sollevò, le mani sotto le cosce, e la fece distendere sul letto. Le gambe le aprì in alto, tese a formare una V perfetta, trattenendole per le caviglie, le autoreggenti nere con la riga verticale a segnare il confine tra decenza e perdizione.

Francesca ansimava, col petto che si sollevava rapido, e quando lui entrò, il corpo le si arcuò. Le mani cercarono un punto a cui aggrapparsi, le dita si chiusero forte sulle lenzuola. Le labbra, ancora lucide e sbavate, si dischiusero in un gemito più acuto, più sfrontato.

La presa di Sami era piena, potente, un ingresso che la fece spalancare gli occhi e spezzare il fiato.

La sensazione fu un’onda: totale, differente, ingombrante profonda. Ogni spinta era più profonda della precedente, ogni colpo le apriva non solo il corpo, ma qualcosa di più interno, come se toccasse zone che non sapeva di avere.

Le sue gambe tremavano, ma lui le teneva salde. Gli occhi le si riempivano di lacrime, non di dolore ma di piacere. La bocca era aperta in un’espressione scomposta, abbandonata, completamente sua. E lei non si tratteneva. Non poteva.

I suoi gemiti non erano più controllati. Erano grida spezzate che salivano via via che lui la possedeva, facendola sentire usata, ma al centro del mondo.

Nel frattempo, Anna, continuava ad accogliere Max tra le labbra, sentì che Luca si eraspostato dietro di lei e l’aveva fatta alzare sulle gambe per prepararla alla monta, le spostò di lato il tanga e appoggiò il glande dentro di lei.

Quando lui la penetrò per intero, esimse un forte gemito, un suono profondo, caldo, vibrante che le scappò dalla gola con ancora il sesso di Max tra le labbra. Era strozzato, trattenuto, eppure fortissimo. Ogni spinta successiva la faceva tremare tutta. Il glande nella bocca, il ventre pieno, le mani che si aggrappavano ovunque, i capelli scompigliati, il trucco sbavato. Anna non era più la stessa.

Il corpo si offriva con rabbia e desiderio. Il tailleur blu scuro giaceva accartocciato sul pavimento, la guepière lasciava i seni completamente esposti, i capezzoli rigidi, tesi, accarezzati dalle mani calde di Max. Le calze bianche si tendevano a ogni movimento, le scarpe martellavano contro il pavimento come a scandire il ritmo.

Ogni nuova spinta dentro di lei la faceva gemere più forte, eppure non lasciava mai andare Max, anzi lo cercava, lo stringeva, come se volesse possedere anche lui. La sua bocca lo avvolgeva, lo nutriva, si muoveva con movimenti lenti e profondi, mentre dentro di lei Luca la sradicava da ogni certezza.

Fu in quel momento che le due donne si guardarono di nuovo. Un istante solo. Ma fu il più vero.

Due donne diverse, ma ugualmente vive, libere, finalmente usate per scelta, e per vendetta.

I corpi si muovevano come mossi da una corrente invisibile, perfettamente sincronizzati, come se si conoscessero da sempre. Le bocche cercavano la pelle, le mani stringevano con forza calibrata, le spinte erano profonde, lente, potenti. Era una danza tribale, primordiale, eppure carica di volontà, di desiderio. Nessuno chiedeva, nessuno si fermava.

Francesca era ancora a gambe sollevate, tese verso l'alto, il corpo completamente spalancato all'affondo ritmico di Sami. Ogni spinta la faceva urlare, e le sue urla non erano più vergognose: erano dichiarazioni di piacere. Il ventre si contraeva, il seno si sollevava dentro il body lucido, le mani si tendevano verso qualcosa che non riusciva ad afferrare. La fronte imperlata di sudore, gli occhi socchiusi. Il piacere cresceva dentro di lei con una violenza crescente, si accumulava in basso, come una forza liquida pronta a esplodere. E quando lo sentì, quando si infranse dentro come un'onda travolgente, il suo corpo si tese tutto, come se volesse trattenere per sempre quel momento.

Le sue grida si spezzarono in singhiozzi, mentre le gambe tremavano e Sami, con lo sguardo fisso e il respiro roco, la stringeva ancora di più. Poi lui gemette qualcosa a denti stretti e si lasciò andare, sprofondando completamente dentro di lei, con una scossa che attraversò entrambi.

Anna, nel frattempo, stava crollando.

Con Max davanti e Luca dietro, non c'era nulla che potesse contenere ciò che stava provando. Ogni spinta era una fiamma, ogni movimento della bocca un'implosione. Il corpo le si contorceva come in un'estasi animalesca, il trucco ormai sciolto dagli occhi, le labbra lucide, dischiuse da gemiti sempre più forti. Il piacere saliva con violenza, incontrollabile, come un fuoco che le partiva dal ventre e le incendiava ogni muscolo.

Quando arrivò l'apice, il suo corpo si piegò su se stesso, le cosce si chiusero per un attimo per poi riaprirsi, la testa buttata all'indietro, un grido secco che sembrò tagliare l'aria. Anna tremava tutta, le mani artigliate sulle braccia di Max, e il respiro spezzato. Poi sentì il corpo di Luca irrigidirsi dietro di lei e la presa farsi più forte, più ferma. Si lasciò andare completamente, accogliendolo.

Ancora con la bocca aperta per il piacere provato, sentì le mani di Max arpionarle la testa, il membro duro e pulsante le fu infilato a forza nella bocca e la usò per il suo piacere. Anna portò una mano sullo scroto per aumentarne il piacere e poi lui venne nella sua bocca, tutto il suo piacere racchiuso in un torrente in piena che lei trattenne in bocca.

Il suo corpo ancora caldo, il fiato corto, Anna si sollevò lentamente, gli occhi lucidi, le labbra socchiuse e arrossate, scivolando via dalla presa dei due uomini. Si voltò verso Francesca, ancora distesa, che riprendeva fiato con lo sguardo perso nel soffitto.

Le si avvicinò, si lasciò cadere accanto a lei, e senza dire nulla la baciò, nel bacio passò parte dello sperma di max alla socia di vendetta e il bacio divenne ancora più erotico.

Un bacio profondo, pieno, lento. La bocca ancora calda, umida, sapeva di tutto quello che era appena accaduto. Le lingue si cercarono, si intrecciarono, si riconobbero. Le dita di Anna scivolarono tra i capelli dell'amica, mentre Francesca la accoglieva senza alcuna esitazione. Quel contatto era un suggello, una condivisione.

Non c'erano parole, solo quel sapore che si passavano con naturalezza, come un gesto sacro e segreto. Si stavano fondendo ancora una volta, in una complicità che superava il corpo e diventava atto, decisione, conquista.

Sami si sdraiò sul letto con un sorriso che non lasciava spazio a dubbi. Il suo corpo nudo, lucido di desiderio, la invitava. Anna gli si avvicinò con passo lento, ipnotico, il seno ancora scosso dai respiri irregolari, la minigonna buttata da qualche parte, la guepière blu elettrico ormai aperta. Salì su di lui, le mani sui suoi pettorali, e si lasciò guidare. Quando si abbassò, tutta su di lui, emise un lungo gemito spezzato.

— «Dio… sì… così…» — ansimò, mentre il corpo le si adattava, con uno spasmo di puro piacere.

Ma non fu sola.

Luca, dietro di lei, si era avvicinato con lentezza predatoria, la osservava mentre si muoveva sul compagno, le mani aggrappate alle spalle di Sami. Le passò le mani sui fianchi, poi più in basso. Lei si voltò, e i loro occhi si incontrarono.

Non ci fu bisogno di parole.

Anna si irrigidì solo un istante, poi lo sguardo le si fece cupo, acceso, pronto.

— «Sì… fallo… fammi tua anche lì… voglio tutto…» — sussurrò, la voce rotta ma ferma.

Quando sentì Luca spingersi dentro, lentamente, profondamente, un grido le sfuggì dalla gola — lungo, gutturale, mezzo soffocato. I suoi muscoli si tesero, il corpo la tradì in un orgasmo improvviso e furioso che la fece vibrare come attraversata da una scossa.

— «Sto… venendo… Dio, quanto è…!» — urlò, stringendo Sami come a volerlo fondere a sé.

Mentre il letto tremava sotto quella visione di pura resa, Max si avvicinò a Francesca. Lei si era rialzata, ancora barcollante, con il corpo segnato da mani, baci e piacere. Ma quando lo vide, nudo, il membro ancora teso e possente, sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale.

Max le afferrò i fianchi e la girò con decisione verso la parete. I seni nudi si schiacciarono contro il muro freddo. Lei ansimò, i capelli sciolti che le cadevano sulle spalle.

— «Aspetta…» — mormorò, poi voltò il capo verso di lui, gli occhi brillanti e accesi. — «Voglio sentirti… tutto… lì… anche se fa male…» — sussurrò.

Max sorrise appena, poi spinse, lento, deciso.

Francesca gridò, un grido strozzato dal misto di dolore e desiderio, le mani aperte sulla parete, i piedi sollevati sui tacchi lucidi. Le lacrime le si mescolarono al trucco già sbavato, ma non si trattenne.

— «Non fermarti… fammi tua… tutta…» — rantolò, mentre il corpo le tremava e le ginocchia cedevano.

Il ritmo si fece ipnotico.

I loro corpi, già provati ma ancora affamati, si adattavano a ogni nuova spinta, a ogni presa più profonda. La resistenza dei tre ragazzi sembrava inesauribile: dopo l’orgasmo violento di poco prima, il vigore che dimostravano ora era quasi sovrumano. Non c’era più urgenza, ma un lento dominio, un gioco sapiente di pause e affondi che faceva impazzire le due donne.

Anna gemeva ancora tra le braccia di Sami e Luca, il suo corpo stretto in mezzo ai due come in una morsa incandescente. Il piacere non era più un’onda, era un moto perpetuo, un martellare continuo che la lasciava esausta e appagata allo stesso tempo. Ogni nuova penetrazione era un'esplosione innescata da un respiro, da un gemito, da una carezza improvvisa. Più cercava di riprendere fiato, più la loro forza la spingeva oltre.

— «Non ce la faccio… ancora…» — sussurrava, e intanto tremava, mentre un nuovo orgasmo le scuoteva la schiena inarcata e le faceva stringere gli occhi.

Francesca, spinta contro il muro, le gambe ormai instabili sui tacchi vertiginosi, era diventata liquida. Ogni fibra del suo corpo era percorsa da un calore pulsante. Max la guidava con lentezza e precisione, e ogni suo movimento la faceva vibrare.

— «Mi fai impazzire… voglio venire ancora…» — ansimò lei, piegandosi un poco in avanti, offrendo di più.

E lui non si fermava. Nessuno dei tre si fermava.

Persero la cognizione del tempo, ma i loro corpi cominciavano a cedere, in quell’estasi continua. Le due donne si abbandonarono del tutto, gemendo senza più ritegno, con le voci spezzate, i corpi inondate di sudore, i seni scossi da tremori e da baci avidi, le gambe che non reggevano più.

Anna, ancora stretta tra Sami e Luca, si abbassò lentamente, le ginocchia che toccavano il tappeto soffice, i capelli incollati alla fronte. Li guardò entrambi, uno alla sua sinistra, l’altro alla destra, con lo sguardo acceso, consapevole del potere che stava esercitando anche così, esausta e bellissima. Le sue mani si mossero sicure: una verso il corpo caldo e teso di Sami, l’altra a stringere lentamente il membro di Luca.

Li prese uno alla volta tra le labbra, alternando con lentezza, senza fretta. I suoi occhi salivano di tanto in tanto per incrociare i loro, sfidandoli, provocandoli. Mentre succhiava con devozione e forza, l’altra mano accarezzava, guidava, preparava. Le dita si chiudevano a metà asta, giocavano, stringevano, mentre le labbra scivolavano più in fondo, poi tornavano su, in un ritmo ipnotico.

Nel frattempo Francesca, già inginocchiata davanti a Max, si muoveva con la stessa grazia perduta. Lo baciava, lo accoglieva con la bocca aperta, la lingua precisa, lenta, sapiente. Le mani scivolavano sul proprio petto, sollevando i seni ancora segnati, rendendoli un altare dove offrire e ricevere.

I gemiti maschili si fecero sempre più bassi, sempre più profondi.

Poi furono loro a guidarli. Anna si tirò indietro di poco, stringendo entrambi con le mani, e con un sussurro rauco disse: — «Vieni… sì… sul mio viso… voglio sentirvi entrambi…»

I due ragazzi non resistettero. La circondarono, le mani sui capelli, senza forza, solo desiderio, e lasciarono che il proprio piacere esplodesse. Caldo, abbondante, sulle sue guance, sulla bocca dischiusa, sul seno ancora teso e tremante. Lei chiuse gli occhi, lasciando che tutto scorresse, accogliendolo senza un filo di esitazione.

Francesca fece lo stesso, sollevando il volto e spingendo il seno verso Max, le labbra umide ancora socchiuse, il trucco ormai completamente disfatto. — «Qui… vieni su di me…» — mormorò, e quando lo sentì esplodere su di sé, la sua espressione fu quella di una donna che ha ottenuto esattamente ciò che voleva.

Quando tutto si fermò, le due rimasero in ginocchio, coperte del piacere di quegli uomini, i corpi segnati, i capelli arruffati, ma negli occhi brillava una luce feroce: non di resa, ma di potere. Avevano preso, avevano dato, avevano diretto ogni gesto.

Anna si sollevò a fatica dal letto, il corpo ancora scosso da brividi residui.

— "Francesca... ho bisogno di una doccia."

Francesca si voltò verso di lei, con gli occhi socchiusi e un sorriso stanco.

— "Anch'io... vieni con me."

Le due si presero per mano, camminarono nude fino al bagno, lasciandosi dietro lenzuola stropicciate e profumo di sesso. Appena la porta si chiuse, si udì lo scroscio deciso dell'acqua accendersi, poi le loro voci leggere, quasi infantili, nell’intimità del vapore.

— "Ah... che meraviglia..." — "Ci voleva proprio... tutta quella pelle contro la mia, non so nemmeno più chi fossi..."

Poi un breve silenzio, rotto solo dall'acqua che batteva sulle piastrelle. Poi un sussulto.

— "Francesca?" — "Shh... siamo di nuovo in compagnia."

Passi ovattati. I tre uomini erano entrati in bagno. I loro respiri più pesanti, l'acqua che scivolava sui loro corpi mentre si univano alle due donne.

Un primo gemito, basso, profondo.

— "Mmmh..." — "Oh... Dio... di nuovo?"

Lo scroscio divenne sottofondo a una sinfonia crescente.

— "Più lento... no, aspetta... così... oh..." — "Sami... non lì... o forse... sì, sì..."

Voci spezzate, aria ansante. Un suono umido e ritmico si alternava ai mormorii.

— "Anna... stai tremando..." — "Non fermarti... sto... sto..."

— "Ohh! Sì! Così!" — "Ancora... mi stai facendo impazzire..."

— "No, aspetta... non così forte... no... oh Dio, sì!" — "Sto... venendo ancora... non riesco... non riesco a fermarlo!"

Rumori d'acqua che schizziavano più forte, corpi che si spostavano, si piegavano, si fondevano contro la ceramica bagnata. Le risate si alternavano ai gemiti, il piacere alla sorpresa.

— "Luca... piano, sto cedendo..." — "Ma che mi fai... che mi fai..."

— "Francesca... oh mio Dio... lo sento... sto... sto venendo..." — "Vieni... Anna vieni con me... sì... sì..."

— "Basta... non ce la faccio più... sto tremando tutta..." — "Smettila... o vengo ancora... ancora...!"

— "Sto urlando... non riesco a trattenermi..."

Poi un crescendo, come un tuono trattenuto che esplode lentamente in sei voci mescolate, sei respiri spezzati, sei corpi fusi nella pioggia calda. Poi di nuovo silenzio, solo l'acqua, i sospiri, il battito del cuore che si calma.

— "Non sento più le gambe..." — "E io non sento più il tempo."

Una risata stanca.

— "Chi spegne l'acqua ora?" — "Non io. Restiamo così ancora un po'."

Le due donne si lasciarono cadere sul letto senza più fiato, le gocce d'acqua ancora brillanti sulla pelle e i capelli umidi che disegnavano curve morbide sul cuscino. Le lenzuola erano ancora calde, impregnate del profumo di prima, ma loro erano ormai oltre ogni limite.

Anna gemette, appena sfiorata.

— "Non posso... davvero... non più..."

Ma il peso caldo di un corpo su di lei la zittì. Un bacio sul collo. Un altro.

Francesca rise piano, stanca.

— "Ma questi... non mollano mai?"

Un altro sussulto. Un altro gemito.

Poi cominciarono i suoni. Lunghi, profondi, inarrestabili. Gemiti intrecciati, respiri ansanti, frasi spezzate.

— "Ancora...?" — "Non riesco a... credere..." — "Ohhh... oh... oh Dio..." — "Cos'è... cos'è questa cosa che sento...?"

Sospiri che si trasformavano in tremiti. Sussurri che si facevano grida, poi di nuovo sospiri. Il letto che scricchiolava, i corpi che si rincorrevano lenti e profondi, come onde.

— "Sto venendo... sto venendo ancora..." — "Basta... vi prego... mi sento svuotata..." — "Siete... siete... mostruosi..."

Poi, lentamente, la stanza si fece dorata. La luce dell'alba filtrava attraverso le tende socchiuse, illuminando i cinque corpi stremati, intrecciati come in una scultura viva. Anna era abbandonata sul petto di uno dei ragazzi, Francesca dormiva con un braccio su una schiena che non era quella del marito.

Solo il respiro. Solo il silenzio.

E fuori, il giorno che cominciava.

Spero che vi sia piaciuto. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com