Oltre la soglia

Capitolo 4 - Quarta parte

Ironwriter2025
20 hours ago

Anna si svegliò prima del sole. Gli occhi aperti nel buio, fermi sul soffitto. Nessun sogno, nessun ricordo. Solo un vuoto lucido, tagliente, che pulsava sotto pelle.

Scese dal letto senza far rumore. I piedi nudi sul pavimento freddo le ricordarono che era viva. Attraversò il corridoio, si chiuse in bagno e si guardò allo specchio: capelli scomposti, viso spento, ma negli occhi qualcosa era cambiato. Non era dolore. Era una decisione.

Spogliarsi fu un gesto lento, deliberato. Ogni capo lasciato cadere a terra sembrava un pezzo di passato. Entrò sotto la doccia e aprì l’acqua bollente. Il vapore salì come una nebbia densa e rassicurante. Le mani scorrevano sul corpo con attenzione chirurgica, sfiorando la pelle umida come se stessero leggendo una mappa segreta. Il seno era ancora teso, sensibile, e i fianchi portavano ancora tracce sottili di quello che era successo. Ma Anna non tremava. Non c’era vergogna. Solo rabbia fredda.

Quando uscì si asciugò con cura, si raccolse i capelli, si vestì con jeans chiari e una maglietta bianca aderente. Ai piedi, sneakers basse. Un filo di mascara, labbra nude. Un'armatura semplice. Perfetta.

Svegliare sua figlia fu un gesto di pace. Le accarezzò i capelli, la baciò sulla fronte, le preparò lo zainetto. I nonni erano già fuori casa, pronti a portarla al mare. Un’ultima carezza, un saluto lungo. Poi la porta si richiuse. Silenzio.

La cucina odorava ancora di caffè. Ne versò una tazza, si sedette al tavolo e prese il telefono. Aprì la chat con Marco.

"Mandami il numero della moglie del tuo collega. Sì, proprio lui. Il porco."

La risposta arrivò subito. Un laconico:

"Non posso."

Anna serrò la mascella. Le dita corsero rapide sullo schermo.

"Allora vengo in ufficio. Così vedo in faccia chi mi ha scopata mentre pensavo fosse mio marito."

L’attesa durò pochi minuti. Poi un altro messaggio:

"Non me la sento. Ti do il suo numero. Ma non dirlo a sua moglie. Ti prego. Lei non c’entra."

Anna lesse il numero. Copiò. Aprì una nuova conversazione. Nessuna esitazione.

"Ti ricordi di me? Sono quella che hai scopato mentre era bendata. Mandami subito il numero di tua moglie. Stai rischiando una denuncia per stupro. Non sto scherzando."

Il telefono rimase muto. Poi vibrò. Chiamata in arrivo.

Rispose.

"Dai, calma. Ti sei divertita anche tu, no? Non fare la santarella."

La voce era sicura, strafottente. Anna la riconobbe subito. E fu come sentire un artiglio dentro lo stomaco.

"Divertita? Ero legata. Bendata. Convinta che fossi mio marito. Tu lo sapevi."

Silenzio dall’altra parte.

"Hai idea di cosa significa? Di cosa si chiama questa roba? È stupro, Filippo. Stupro."

Un sospiro, poi una voce più bassa.

"Ma come fai a dimostrarlo? Non mi hai mai visto in faccia."

"Hai lasciato il tuo cazzo sulle lenzuola. Sperma, Filippo. Non farmi perdere tempo. Voglio il numero di tua moglie. Hai due minuti."

Riattaccò.

Due minuti dopo, un messaggio.

"Si chiama Francesca. Questo è il numero."

Anna lo copiò. Respirò. Poi chiamò.

Una voce femminile rispose. Educata. Sorpresa.

"Ciao. Sei Francesca? Non ci conosciamo, ma dovremmo. È importante. Riguarda tuo marito. No, non per telefono. Vieni a casa mia oggi pomeriggio. Oppure domani lo vedi sui giornali."

Alle quattro, Francesca arrivò. Alta, lineamenti raffinati, poco trucco. Bellissima, ma fragile. Aveva gli occhi lucidi già sulla soglia. Anna la fece entrare in soggiorno, le offrì un caffè che lei non toccò. Si sedettero.

Francesca parlò per prima. Disse che Filippo le aveva già detto tutto. Che Anna era una mitomane. Che voleva distruggere il loro matrimonio.

Anna non si mosse. Prese il telefono. Aprì la registrazione. Play.

La voce di Filippo riempì il silenzio:

"Sei una bella puledra da cavalcare. Se vuoi un altro giro, basta chiedere."

Francesca impallidì. Le mani si portarono alla bocca. Gli occhi si riempirono, poi traboccarono. Scosse la testa.

"Mi dispiace… Dio, mi dispiace tanto… Lo sapevo che mi tradiva. Ma non… non così."

Anna le si sedette accanto. Le cinse le spalle, la strinse.

"Tu non hai colpe. Adesso però siamo in due."

E cominciò a raccontare. La sera precedente. Il vestito nero, aderente, senza reggiseno. Il tanga. Le autoreggenti. Il ballo. L’uomo. Il giardino. Il muro. Il sesso. Il preservativo annodato, infilato nel seno. Il tanga lasciato come trofeo. Il ritorno a casa. Marco, seduto sul divano. Il gesto muto del lancio.

Francesca la guardava, in silenzio. Lacrime asciutte. Occhi nuovi. Carichi.

Anna le prese le mani, stringendole.

"Come gliela facciamo pagare?"

Sedute l’una accanto all’altra sul divano, le dita ancora intrecciate, il caffè intatto sul tavolino, il silenzio non era più quello del dolore. Era un vuoto da riempire. Francesca fu la prima a parlare, con voce roca, quasi stanca:

«E adesso? Li denunciamo?»

Anna non rispose subito. Aveva lo sguardo fisso su un punto nel vuoto, ma dentro le cose si muovevano. «Potremmo. Ma cosa cambierebbe davvero?»

«Almeno avremmo giustizia.»

«Forse. Ma io voglio che soffra. Che resti sveglio la notte. Che sappia cosa vuol dire sentirsi piccoli, esclusi, traditi.»

Francesca annuì lentamente. Poi la guardò. «E se gliela facessimo pagare... come l’hanno fatta pagare a noi? Ma peggio.»

Anna sollevò lo sguardo. «Cioè?»

«Fargli vedere. Fargli assistere a qualcosa che li devasti. Qualcosa che non si dimentica.»

Il silenzio si allungò. Anna non disse nulla per un momento, poi soffiò piano dalle narici.

«Marco sogna da sempre di vedermi con un altro. Non sarebbe una punizione per lui. Anzi. Gli farebbe comodo. Un’altra fantasia da spuntare.»

Francesca la osservava. Non delusa, ma stimolata.

Anna però aggiunse: «A meno che…»

«Dimmi.»

«A meno che non scegliamo degli uomini... talmente esagerati, talmente superiori in tutto, da farli impallidire. Da farli sentire inadeguati. Da farli morire dentro, mentre noi godiamo come non abbiamo mai fatto con loro.»

Francesca restò immobile. Poi un sorriso lento, quasi cattivo, le si disegnò sulle labbra.

«Mi piace.»

Anna la guardò. «Lo faresti davvero?»

Francesca non abbassò lo sguardo. «E tu?»

Un attimo di silenzio. Poi, all’unisono, quasi ridendo, quasi piangendo, le due donne si ritrovarono complici.

«Non solo lo faremo,» disse Francesca. «Lo pianificheremo nei minimi dettagli.»

«E sarà perfetto,» concluse Anna. «Perché questa volta… comanderemo noi.»

Anna si voltò verso Francesca con uno sguardo sospeso tra il serio e il curioso, il sopracciglio appena sollevato. Non era diffidenza, era fame di capire.

«Cosa intendi… esattamente… con maschi esagerati?»

Francesca si sistemò meglio sul divano, incrociò le gambe lentamente, e prese un respiro profondo. Il tono della voce cambiò. Non più sussurrato, ma basso e caldo, come un braciere acceso sotto la pelle.

«Intendo uomini che sembrano usciti da un’altra dimensione. Non i soliti sfigati da palestra o i maschi pavoni che si specchiano più di noi. Parlo di fisici scolpiti, veri, ruvidi. Come vichinghi. Alti, larghi, virili fino all’eccesso. I cui membri dovranno essere esageratamente duri, grossi e lunghi per umiliare i nostri mariti nel loro vigore maschile.»

Fece una pausa. Gli occhi le brillavano. Non era più solo rabbia, ma qualcosa di più oscuro. Più pericoloso. Più vivo.

«Devono essere almeno in tre. Non uno, tre. Così che non ci sia mai un momento in cui non ci sia un corpo addosso, un respiro contro la pelle. Voglio che i nostri mariti assistano, immobili, impotenti, al crollo definitivo del loro dominio. Voglio che sappiano che nessuna fantasia potrà mai più bastare.»

Anna la guardava senza parlare. Aveva la tazza in mano, ma non beveva. La fronte leggermente corrugata, la lingua che inumidiva appena le labbra, quasi per riflesso. Il suo corpo non si muoveva, ma il respiro… sì. Era diventato più lento. Più profondo.

«Francesca… e se non ci piacesse?» La voce era roca, smorzata. Non era una vera domanda, era una difesa che stava già cedendo.

L’altra rise piano, un suono basso e caldo.

«Davvero lo credi? Davvero pensi che esserci dentro… sentirli su di noi, sapere che i nostri uomini stanno lì, fermi, a guardarci diventare altro... non sarà la cosa più eccitante, più liberatoria, più tremendamente esaltante che abbiamo mai vissuto?»

Anna si passò una mano tra i capelli. Gli occhi si erano fatti lucidi, ma non di pianto. Qualcosa le bruciava sotto la pelle. Il cuore batteva in modo diverso, più profondo, più carnale.

Francesca si avvicinò un poco. Il tono si fece quasi carezza.

«Tu non vuoi solo punire Marco. Vuoi che lui sappia. Che ti ha persa per sempre. Che qualcun altro ha visto, toccato, posseduto più di quanto lui abbia mai potuto. E vuoi goderne. Non negarlo.»

Anna chiuse gli occhi un istante. Poi li riaprì.

«Ok. Ma allora sarà tutto perfetto. La selezione. Il luogo. Le regole. Non dovrà essere un’orgia da porno… dovrà essere un trionfo.»

«E lo sarà,» sussurrò Francesca. «Perché questa volta, Anna… saremo noi le regine. E loro solo spettatori del nostro potere.»

Anna annuì. Un sì che non aveva bisogno di parole, ma che vibrava tra le ciglia abbassate e il battito veloce del cuore. Francesca la fissò un istante, poi la strinse in un abbraccio che fu qualcosa di più: fu un’onda che travolge, un nodo che si scioglie.

Il volto affondò contro il collo dell’altra. Il fiato caldo, tremante. Le mani tremavano appena, ma non di paura.

«Sai… tutta questa preparazione… mi sta facendo impazzire.» Il sussurro era rauco, spezzato, ruvido di desiderio.

Gli occhi si incrociarono. Una scintilla. Nessuna esitazione. Solo fame.

Il bacio esplose come un incendio. Nulla di timido, nulla di sperimentale. Era urgenza. Era bisogno. Le labbra si cercavano con foga crescente, le mani correvano lungo i fianchi, sotto le maglie, sulle costole, poi più giù. Cercavano la pelle, la carne viva, il calore vero.

Il divano fu un rifugio che divenne letto. I vestiti si sollevavano, scivolavano, cadevano come petali strappati. Le dita tremavano mentre scorrevano sulla pelle dell’altra, accarezzandola, accendendola. Ogni millimetro toccato era un inno al piacere. Ogni sospiro, un gemito trattenuto tra i denti.

Anna si lasciava andare, guidata dalle mani esperte di Francesca, e a sua volta rispondeva, scoprendo quanto potesse essere dolce dominare e arrendersi nello stesso istante. Le gambe si intrecciavano, il bacino cercava il ritmo, il respiro diventava unico, indiviso.

Non c’era bisogno di parlare. Solo corpi che danzavano insieme, in un’armonia lenta e crescente.

Quando il piacere esplose, non lo fece con urla. Solo con tremiti, bocche socchiuse, mani aggrappate forte. Una marea che le avvolse e le lasciò stremate, accanto, nude solo di rabbia e piene di vita.

Rimasero lì, pelle contro pelle, il petto che saliva e scendeva piano. Anna accarezzava i capelli scomposti di Francesca, le labbra appena dischiuse.

In quell’istante, vendetta e desiderio si erano mescolati in un’unica fiamma.

Spero che vi stia piacendo. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com