Vacanze spagnola

Capitolo 5 - Lo scambio delle gemelle

Peccati e Guai
3 days ago

Rientrammo dal pub sbronzi, con le cornamuse ancora in testa e la lingua che sapeva di birra e sale. La strada fino all’appartamento fu un serpentone di risate, spintoni, baci rubati agli angoli della bocca, mani sulle anche senza più freni. Appena dentro, il caldo ci colpì addosso e le sorelle fecero quello che ormai era naturale: via tutto.

Elena si tolse top e shorts in due gesti, restando nuda come il primo giorno d’estate, capezzoli duri nella luce gialla del soggiorno. Chiara fece uguale, canotta per terra, slip strappato con un colpo di polso. Io e Nicola eravamo in boxer, e non c’era niente da nascondere: le erezioni spingevano nette contro il cotone, la stoffa tesa, la punta che segnava. Elena rise, puntandoci il dito contro.

«Guarda qua… due pali da tenda.» «Siete due troie,» dissi ridendo, prendendomi il pacco con una spavalderia che era metà alcol e metà verità. Nicola ci mise il carico: «Sì, delle gran troie. E ci fate impazzire.»

Le sorelle si rincorrevano per il soggiorno, tette che saltavano, culi che rimbalzavano, palmi che scrocchiavano sulle chiappe nude. Le risate rimbalzavano sui muri insieme agli schiaffi sul culo. Io e Nicola seduti, gambe aperte, boxer tesi, battute da porci in bocca e fame negli occhi. L’aria sapeva di sudore, alcol e pelle calda.

Elena rallentò, si avvicinò a Chiara, le prese il viso tra le mani e le sussurrò all’orecchio con un sorriso brutto e dolce. Chiara la guardò un secondo, poi annuì. Si voltarono verso di noi, stesse facce da gatte.

«Stanotte… scambio di sorelle,» disse Elena, roca, senza tremare. «Tanto siamo gemelle: non vi cambia niente, no?» Io e Nicola ci scambiammo uno sguardo d’intesa, quella scossa da maschi che si capiscono in un secondo. Ci uscì una risata ubriaca, poi insieme: «Perché no.»

Elena prese Nicola per mano e lo trascinò nella nostra camera. Chiara mi afferrò il polso e mi tirò nella loro. Le porte si chiusero quasi in simultanea. E il silenzio durò giusto un battito di cuore.

Chiara mi saltò addosso. Mi spinse sul letto, bocca contro bocca, bacio preso, lingua, denti, unghie sul petto. Con una mano scese, mi strappò il boxer. Il mio cazzo scattò fuori duro, già lucido in punta. Lei sorrise, un lampo di malizia negli occhi, e se lo ingoiò. Niente cerimonie: lo prese profondo, sbavando, soffocando appena, con quel rumore bagnato che mi fece stringere i denti. Mi guardava dal basso mentre mi succhiava, a tratti lasciava la lingua piatta sotto l’asta, poi mi prendeva tutto fino al fondo, fino a farmi sentire il riflesso che le scuoteva la gola.

Le mani mi stringevano le cosce; io le tenevo la testa e spingevo. Dall’altra stanza arrivò il primo urlo. Elena. «Sì… così… più forte!» La sentivo ridefinirsi in ogni gemito. Il letto laggiù cominciò a sbattere, thud-thud-thud contro la parete. La voce di Nicola, roca: «Prendilo bene… brava… brava… troia…»

Chiara mollò il mio cazzo con un filo di bava che le colava sul mento. Si passò la lingua sulle labbra, ghiotta. «Ti arrapa sentirla con Nicola, eh?» sussurrò. «Mi fa impazzire.» Si mise a quattro zampe, culo alto, perfetto, aperto. «Allora… fammi quello che lui sta facendo a lei.»

Le aprii le chiappe con i pollici. Il buco dell’ano, piccolo, che pulsa; la figa lucida, gonfia, pronta. Le appoggiai la cappella e spinsi dentro in un colpo solo. Era caldissima, stretta, scivolosa. Il mio gemito le si mescolò al suo urlo pieno. «Dio… sì!»

Mi piantai ai suoi fianchi e iniziai a scoparla sul serio. Colpi netti, profondi, il mio bacino che schiacciava contro il suo culo a martellate. Il suono era doppio: bagnato e secco insieme. Ogni spinta mi faceva sentire l’abbraccio della sua carne, il mio cazzo sparire in quel calore, le mie palle batterle sul clitoride quando affondavo fino all’ultimo millimetro.

Il nostro letto scricchiolava. Il loro sbatteva di là. «Più forte!» urlò Elena negli interstizi del muro. «Spaccami!» E Nicola ruggì in risposta: «Te lo do tutto… sì… così!»

Chiara voltò la testa verso lo specchio dell’armadio, voleva vedere come la stavo prendendo. «Guardami,» disse, ansimando. «Guardami mentre mi apri.» Le diedi due schiaffi sul culo, secchi. La pelle si colorò. Lei venne. Il suo corpo si irrigidì, la figa mi strinse come un pugno morbido, uno spruzzo caldo mi bagnò le palle. Non mi fermai. Le presi i capelli, glieli tirai indietro, la costrinsi a tenere gli occhi sul riflesso, a guardarsi con il mio cazzo che le spariva dentro.

Dall’altra stanza, Elena: «Sì! Sì! Fammi venire, Nicola!» Il suo urlo si ruppe in tre onde. Il letto di là martellava. Thud-thud-thud. Mi infilai più a fondo, quasi a volerle sfondare l’anima col mio ritmo.

«Ancora!» Chiara graffiò il lenzuolo, il clitoride duro sotto il mio pollice quando ci scivolai sopra a girare cerchi stretti. «Fammi venire come sta venendo lei!» E ci venne sopra un’altra volta, scuotendosi forte, finendo con la faccia affondata nel cuscino per ingoiare il grido.

Non staccai. Le cambiai posizione. La girai sotto, le aprii le ginocchia fino a spingerle quasi ai lati del cuscino, la presi a martello con le mani sulle sue spalle per tenerla in asse. Le tette le saltavano contro il petto, i capezzoli duri come chiodi. Le scivolai una mano al collo — fermo, sicuro — e il suo respiro si fece più corto e più caldo. «Sì… così… stringimi… fammi tua…» masticò tra i denti.

Di là, Elena: «Sbattilo, sbattilo dentro… Nicola… vienimi dentro…» La sua voce non tremava più: ordinava. Il mio cervello prese fuoco. Il cazzo pulsava dentro Chiara, le vene tese. «Sto per venire,» le sibilai, con la voce rotta. Lei mi inchiodò con lo sguardo, lucida e sporca. «Dentro. Riempimi. Voglio la tua sborra. Voglio essere piena mentre Nicola riempie lei.»

E come se avesse premuto un interruttore, dall’altra stanza arrivò la frase tagliata nel granito: «Sto venendo!» — Nicola con la voce spessa — «Ti riempio, Elena… apriti… prendila tutta…» Elena urlò come una campana: «Sì! Riempimi la figa! Tutta!»

Quella frase mi attraversò la spina dorsale. Spinsi fino in fondo e mi svuotai. Un colpo lungo, caldo, poi un altro, e un altro ancora. Mi tremavano le braccia, il ventre contratto, la testa bianca. Chiara godeva con me, mi stringeva dentro come a spremere l’ultima goccia. Sentivo la mia sborra miscelarsi alla sua umidità, traboccare, colare calda lungo il mio cazzo e le sue cosce.

Rimasi dentro, a pulsare, con la fronte contro la sua. Il letto era fradicio. L’aria sapeva di noi, di culi sculacciati e lenzuola bagnate, di bocche e pelle.

Chiara non si mosse. Restò aperta, le ginocchia piegate, il bacino alto. La mia sborra le usciva lenta, una striscia bianca che scendeva verso il culo e disegnava una traccia sul lenzuolo. Mi guardò, sudata, gli occhi lucidi. «Vai,» disse, un sorriso sporco sulle labbra. «Vai dalla tua troia. Io aspetto qui. Voglio che Nicola mi trovi così: piena di te.»

Mi tolsi fuori con un suono bagnato. La vista di lei, a gambe aperte, la pancia che ancora tremava, la scia bianca che le colava, mi diede un brivido nelle cosce. Attraversai il corridoio. Dal muro arrivavano respiri in risacca, la coda della tempesta di là.

La nostra porta era aperta. Elena era distesa sul letto, gambe spalancate, la figa colante. Le cosce lucide, la pancia che saliva e scendeva. Mi vide, mi chiamò con un dito. «Qui.» Le salii tra le cosce, la presi a lingua senza una parola. Le infilai la punta dentro, le leccai la sponda, su e giù, poi dentro ancora. Il gusto era misto: salato, metallico, caldo, un cognac di lei e Nicola. Lei urlò, forte, senza maschere.

«Dio! Leccamela tutta! Beviti la sborra di Nicola dalla mia figa! Fammi sentire che mi ripulisci!»

Quelle parole mi fecero impazzire. Mi infilai più profondo possibile, la lingua a cucchiaio per raccogliere tutto, su fino al clitoride, giù di nuovo. La tenevo larga con le dita, il pollice a scoprire il cappuccio, la lingua che disegnava otto stretti, poi colpi dritti. Elena spingeva il bacino contro di me, le mani sulla mia nuca. «Sì! Così! Mangiamela! Lecca tutto!»

E mentre succhiavo e pulivo, dal muro arrivò la voce di Chiara, nitida, senza più alcuna vergogna: «Nicola… vieni qui.» Una pausa. Il letto che fruscia. «Leccami la figa piena di lui. Ripuliscimi tutta. »

Un secondo di silenzio. Poi un gemito di Nicola. E subito il suono umido di una lingua che affonda, che mescola, che succhia. Chiara gridò. «Sì! Così! Tutto! Voglio sentire la sua sborra sulla tua lingua! Non fermarti!»

Io ed Elena ci guardammo un attimo — lo sguardo breve di chi sa — poi lei mi schiacciò la testa contro, mi prese a spasmi sulle labbra. «Più forte! Voglio venire sapendo che Chiara gode mentre Nicola la ripulisce piena di te!»

Raddoppiai il ritmo, la lingua dura sul clitoride, due dita dentro a farle sentire il pavimento. Elena esplose. Un urlo pieno, il bacino che mi saltava in faccia, la figa che spremeva attorno alle mie dita. La sborra di Nicola e i suoi succhi mi si spandevano sulla lingua. La bevvi tutta, senza lasciare niente. Ogni goccia era un chiodo che mi piantava la schiena nel materasso.

Di là, Chiara scoppiò in un grido speculare. «Sì! Nicola! Così! Ripuliscimi bene! Dio… sì…» E il letto di quella stanza diede due colpi contro la parete, come se avessero riso anche i mobili.

Elena mi tirò su. Mi baciò con la bocca sporca, affamata. Ci scambiammo il gusto di Nicola e di lei tra i denti, senza fantasia di pudore. Mi sentii fisso e muscoloso nel bacino, un’altra scossa che mi attraversava. Restammo abbracciati un minuto, il respiro in sincrono, la stanza piena di odore di sesso che non aveva nessuna voglia di andarsene.

Il corridoio restò un attimo in silenzio. Poi si sentì la maniglia della loro stanza. Un passo. Un ridere piano. Il suono dell’acqua in bagno, lo sciacquo. Poi di nuovo passi. Chiara parlò a Nicola, troppo sottovoce per capire le parole, ma il timbro diceva tutto: complicità piena.

La nostra stanza era bagnata, il cuscino caldo degli urli. Elena si accasciò su di me, guancia sul mio petto. «Siamo degli animali,» disse senza giudizio, con un sorriso soddisfatto. «Siamo in vacanza,» risposi, passandole la mano sui capelli. Sotto le dita sentivo la crosta di sale della notte. Sotto il palmo, il battito del suo cuore che stava scendendo.

Restammo così il tempo di un respiro lungo, poi ci alzammo a fatica. Elena scese dal letto, le cosce lucide. Non cercò le mutandine. Prese un asciugamano, si passò una strisciata tra le gambe senza convinzione, come a spostare un po’ il disastro, non a cancellarlo. «Domani servirà cambiare le lenzuola,» disse ridendo, guardando l’alone sul materasso.

Attraversammo il corridoio nudi, come se fosse normale. La casa sapeva di birra, pelle, sborra. In cucina c’era ancora un bicchiere con un dito di gin, e il suo odore si mescolava al nostro. Aprii il frigo, presi due sorsi d’acqua in piedi. Elena mi si stampò alla schiena, nuda, le tette fredde contro la mia pelle calda. «Domani…» mormorò. «Domani,» ripetei. E sapevamo entrambi che domani era già adesso.

Tornammo in camera. Le lenzuola erano un quadro di chiazze e pieghe. Ci buttammo dentro. Elena mi infilò una gamba tra le cosce, la mano sul petto, un bacio senza fretta sulla bocca.

Di là, una porta si chiuse piano. Poi il suono ovattato di due corpi che si accoccolano. Un «buonanotte» detto ridendo. Un «stronzo» affettuoso. Un «troia» sussurrato con adorazione. E poi il silenzio posò la sua mano tiepida su di noi.

Chiusi gli occhi. Sapevo che Chiara era rimasta lì ad aspettare Nicola con la mia sborra ancora addosso, che lui l’aveva leccata tutta e poi l’aveva stretta. Sapevo che Elena aveva la bocca piena di me e di lui, che il nostro bacio era stato un patto. La notte stava finendo, ma la vacanza non era che a metà.

Dormimmo con addosso il profumo del peccato e l’idea ridicola e bellissima che stavamo facendo storia nelle nostre teste: una storia senza filtri, con i muri come amplificatori e le porte come cornici. E che nessuno, ormai, avrebbe più bussato prima di entrare.