Vacanze spagnola

Capitolo 4 - La porta spalancata

Peccati e Guai
3 days ago

Mi sveglia un colpo secco contro la parete. Poi un secondo. Poi il ritmo: letto che batte, molle che gemono, fiato spezzato. Chiara e Nicola stanno dando spettacolo. Non provano nemmeno a fare piano. La voce di lei è un pugnale dolce che passa sotto la porta: «Sì… così… più forte… Dio, sì!» Lui grugnisce, il materasso sbatte con la parete come un tamburo. Ogni colpo mi vibra nello sterno.

Apro gli occhi. Elena mi guarda, spettinata, le labbra gonfie di sonno e un sorriso da gatta. Non serve parlare: siamo già caldi. Scivola verso di me e mi bacia. Niente tenerezza, solo lingua e fame. La sua mano entra sotto il lenzuolo, trova il cazzo duro che preme contro l’elastico dei boxer e lo avvolge. Mi strappa un gemito corto.

«Ti arrapa sentirli?» sussurra, col fiato che sa di notte e di saliva. «Un casino.» Lo dico senza grazia, perché la grazia qui non serve.

Dall’altra stanza, un urlo più alto. Chiara che va. Lo sento. È un suono sporco e vero che ci attraversa. Elena sorride contro la mia bocca, stringe più forte, il polso che lavora lento, deciso. Il mio respiro accelera. Poi si stacca di colpo. «Aspetta un attimo. Devo pisciare.» Scivola giù dal letto, nuda, culo pieno che ondeggia, e sparisce in bagno.

Resto lì, cazzo in mano e cuore che batte, mentre il concerto accanto continua. L’acqua scorre per pochi secondi, poi si ferma. Elena rientra, nuda, occhi lucidi e sorriso cattivo. E fa la cosa che mi accende più di tutte: lascia la porta della nostra camera socchiusa. Un taglio di luce obliquo sul pavimento, un varco. Un invito.

Sale sul letto a cavalcioni, prende il mio cazzo con una mano e si cala sopra decisa. Mi entra tutta, un colpo secco che ci strappa un gemito in coro. Le mani sulle mie spalle, le tette che mi sfiorano la bocca, i capelli che le cadono sul viso. Inizia subito a ballare su di me, selvaggia, bacino che macina, fianchi che disegnano cerchi larghi, poi stretti, poi colpi dritti fino a fondo corsa. Il letto scricchiola, le molle si lamentano.

«Non voglio essere da meno di mia sorella,» ansima, gli occhi accesi di malizia.

Guardo la porta. È aperta quel tanto che basta perché il corridoio veda tutto. Le dico piano, con il respiro rotto: «Se qualcuno passa… ci vede.» Lei si ferma un attimo, mi guarda con quel sorriso che conosco: «Lo so. L’ho fatto apposta. So quanto ti eccita.» E ricomincia, più forte. Le cosce mi battono sui fianchi, le mani mi piantano al materasso. Ogni affondo è un colpo di martello. Il mio cazzo scivola in lei caldo e bagnato, la sento stretta, la sento cedere, accogliermi, stringermi come una morsa dolce.

Dal muro, l’urlo di Chiara si allunga, si spezza, finisce in un grido orgasmico. Il letto accanto tace per un istante, poi un thud di corpi che cadono sfiniti. Elena ride piano, ma non smette di cavalcarmi. Si abbassa su di me, mi morde il labbro, mi sputa un bacio profondo in bocca.

La sento stringersi all’improvviso. Il primo orgasmo le sale addosso come un’onda calda. Mi artiglia le spalle, mi scivola la lingua in bocca, gode sopra di me muovendo il bacino senza staccarsi. Non urla, morde il cuscino un secondo e lascia che i brividi le corrano dalla pancia alle cosce. Io tengo il ritmo, senza pietà, la riempio di colpi mentre le tremano le gambe.

Poi, tra un respiro e l’altro, si sente la porta della loro camera aprirsi. Un clic, un fruscio di passi nudi sul corridoio. La porta del bagno si apre. Silenzio. Nessuno scarico, niente acqua. Silenzio che guarda. Sappiamo di essere osservati. Elena gira la testa verso la porta, sorride con un filo di sadismo e mi sussurra: «Falli godere anche loro.» E riprende a ondeggiare sul mio cazzo, più lenta, più profonda, come a mostrare meglio ogni entrata.

Il corridoio resta muto per tre secondi lunghissimi in cui sento l’aria stessa fermarsi. Poi la porta del bagno si richiude. Passi leggeri. La porta della loro camera si apre e si chiude. Un bisbiglio, una risatina trattenuta. Ci hanno visti. Sicuro. Il mio cuore schizza in gola; mi si indurisce ancora di più fino a farmi male.

«Girati,» le dico, quasi ringhiando. «A pecora.» Elena scivola via dal mio bacino e si mette a quattro, il culo perfetto puntato verso la porta socchiusa. Le separo le cosce con le mani e la guardo aperta, lucida, pronta, la figa che pulsa e chiede. Le afferro i fianchi e la entro di nuovo con un colpo che la spinge in avanti. «Dio!» geme, afferrando il bordo del materasso. La scopo dritto, forte, senza farle sconti. Il suono è sporco e bagnato, slap slap slap delle mie pelvi sul suo culo. Ogni spinta spinge anche la porta di un altro millimetro verso l’aperto, come se pure la casa volesse vedere.

Passano dieci secondi, poi si sentono altri passi. La maniglia si muove piano, come in un teatro. La porta si apre ancora di più con una delicatezza che è tutto meno che innocente.

Chiara appare nella fessura. Capelli in disordine, maglietta corta, niente reggiseno, occhi che ridono. Il suo sguardo scivola dall’alto verso il basso, prende tutto: il mio cazzo in Elena, il culo di Elena che ondeggia, le mie mani che la tengono aperta. Sorriso sfrontato. «Buongiorno,» dice, un filo di canto nella voce.

Elena si volta appena, il viso arrossato, i capelli sudati incollati alla guancia, ma non smette di spingere indietro il bacino contro di me. «Buongiorno,» ribatte. E aggiunge, con una lama di ironia: «Lasciami finire… tanto tu ci hai già dato dentro.»

Chiara fa una smorfia di soddisfazione, alza le sopracciglia come per dire “touché”, e si morde il labbro. Mi guarda, e in quel secondo ci passa un filo elettrico da stomaco a cazzo. «Non vi disturbo,» dice piano. E scivola verso il bagno, la porta del nostro che resta ancora più aperta.

Io sono in fiamme. Vedo Elena aperta davanti a me, il corridoio dietro, il bagno con la porta socchiusa da cui arriva il rumore dell’acqua, e so che Chiara sta pisciando con un sorriso addosso e la nostra immagine fissa nelle pupille. Non ho più filtri.

Le do due schiaffi sul culo, secchi. Il rosso le fiorisce subito sulla pelle. «Più forte,» chiede, col fiato rotto. Gliene do altri due, più cattivi. Mi entra ancora, mi stringe come se volesse succhiarmi fuori il cervello dal cazzo. Il mio pollice scende e le trova il clitoride. Inizio a girare cerchi stretti, precisi, mentre continuo a spingerle dentro dritto, profondo, ritmato. Elena sussulta, mi scappa un gemito. «Così… così… sì…»

Viene una prima volta — le gambe le cedono un istante, la faccia affondata nel lenzuolo, il culo sempre alto per prendermi — e io non mi fermo. Mantengo il ritmo, cambio appena angolo, sento la sua figa serrare e rilasciare, come onde. «Ancora, ti prego… non fermarti… voglio venire ancora…» La sua voce è rotta, piena.

Dal bagno, lo scroscio dell’acqua si ferma. La maniglia si abbassa. Chiara riappare nel corridoio con un asciugamano sul collo. Si affaccia un secondo nella nostra stanza: «Su, forza ragazzi… poi colazione.» Lo dice ridendo, indecente e spietata. Elena non perde un colpo. «Tra poco,» ansima. «Sto finendo.»

Chiara fa una mezza giravolta e se ne va verso la sua camera. La sentiamo bisbigliare qualcosa — a Nicola, probabilmente — poi ridere piano. Ci hanno visti. L’abbiamo voluto. E adesso ci finiamo addosso questa voglia.

Mi piego su Elena, la prendo per i polsi e glieli blocco al materasso, la scopo senza pietà. Le sue tette ballano sotto di me, la sua schiena si inarca. Poi la tiro su per i capelli, la faccio guardare verso la porta e le sibilo all’orecchio, «immagina che siano ancora lì. Immagina tua sorella che ci guarda mentre ti riempio.» Lei geme, si spalanca, mi offre tutto. «Sì… fammelo… riempimi… voglio sentirti dentro…»

Io non resisto più. Il piacere mi sale come un lampo. Mi spingo fino in fondo e resto lì, incastrato. Le mani le tengono i fianchi, le unghie le segnano la pelle. Il mio cazzo pulsa. Esplodo dentro di lei con un getto caldo, lungo, un’onda che mi svuota e mi incendia. Elena urla piano, viene insieme a me, si stringe, mi spremerebbe anche l’anima se potesse. Sento la mia sborra che le riempie la figa, che trabocca, che cola giù lungo le cosce.

Restiamo fermi, io dentro. Respiro forte contro la sua schiena. Lei ansima, ride senza fiato. Mi cade di lato, io con lei, ancora uniti. Restiamo abbracciati, bocche che si cercano, baci lunghi, sporchi, affamati. La stanza odora di sesso: sudore, pelle calda, umido salato, lenzuola bagnate di noi.

La porta del corridoio si muove di nuovo. Chiara si riaffaccia, battendo due nocche sulla cornice come a bussare per gioco. «Su, forza ragazzi, dobbiamo fare colazione,» canta, col sorriso della padrona di casa. Guarda un secondo il nostro letto sfatto, le nostre gambe intrecciate, la mia mano sulla pancia di Elena, e se ne va ridendo. La sua risata rimbalza in corridoio.

Elena si gira verso di me e mi bacia ancora, una, due, tre volte, poi si stacca. «Ok. Doccia veloce?» mi chiede, ma non aspetta risposta. Si alza, gocciola sulle cosce, raccoglie uno slip dal pavimento, lo infila tirandolo su con due dita e lasciandolo scattare contro la figa umida. Il tessuto si macchia subito. Si guarda allo specchio dell’armadio e si passa una mano tra i capelli. «Andiamo.»

Io mi tiro su il boxer, ancora pesante davanti, e mi alzo. Usciamo nel corridoio come se niente. Il clima è quello che ormai conosciamo: nessuna vergogna. Giriamo per l’appartamento in intimo. La luce del mattino entra obliqua dalla finestra del soggiorno, taglia i corpi. C’è odore di caffè inciso nella memoria e odore di sesso inchiodato nell’aria, più forte di tutto il resto. Si sente. È dappertutto.

In cucina c’è Nicola con i boxer, spettinato, che sta cercando di capire come si accende la macchinetta del caffè. «Dov’è cazzo si accende?» brontola, ridendo. Solleva lo sguardo verso di noi, prende la misura in un secondo. Gli occhi scivolano via come se nulla, ma il sorriso gli rimane incollato a un angolo della bocca. «Buongiorno, dormiglioni.»

Elena risponde: «Buongiorno.» La sua voce è limpida, fresca, eppure chi sa ascoltare ci sente la coda del gemito. Si china a prendere due tazze dalla mensola bassa e il suo slip già bagnato segna il cotone, un’ombra scura tra le cosce. Non lo nasconde. Chiara entra subito dopo, shorts minuscoli, niente reggiseno sotto una canotta che lascia trasparire areole puntate. Si versa dell’acqua e la beve tutta in un sorso, gola che lavora, occhi che giocano.

«Notte impegnativa?» chiede a nessuno in particolare, con una smorfia colpevole che è tutto tranne che pentita. Elena sorride, morde un biscotto. «Oh, dici?» e si passa la lingua sulle labbra. Il suo sguardo incrocia quello di Chiara per un secondo lungo, una specie di duello tra sorelle che non hanno nulla da nascondere e tantissimo da suggerire.