Vacanze spagnola
Capitolo 3 - Il letto proibito

La terza sera rientrammo distrutti: sudati, ubriachi, appiccicosi di gin, lime e fumo passivo. La strada fino all’appartamento era sembrata infinita: la risata di Elena che rimbombava in mezzo ai palazzi, la voce roca di Nicola che inventava battute a cazzo, Chiara che camminava a piedi nudi portando i sandali in mano e guardandomi ogni tanto con quello sguardo che ormai conoscevo. Uno sguardo che diceva: “Stasera non mi fermo.”
Appena entrammo, Elena si tolse subito la maglietta, lasciandola cadere in soggiorno, rimanendo in reggiseno sportivo e shorts. «Doccia per prima!» disse, già con il beauty in mano. «Devo lavarmi i capelli, ci metto un’eternità.» La porta del bagno si chiuse e l’acqua iniziò a martellare subito, coprendo ogni altro rumore.
Nicola apri il frigo. «Cazzo, non abbiamo più birre fredde. Vado a prenderne due dal bar sotto casa.» Io annuii, fingendo noncuranza, ma dentro ero un vulcano.
La porta d’ingresso si richiuse dietro di lui. E all’improvviso, nell’appartamento, calò un silenzio irreale. Io e Chiara. Solo noi due.
«Vieni» disse lei, senza esitazione, prendendomi per il polso. La sua pelle era calda, sudata, profumava di alcol e mare. Mi trascinò nella camera sua e di Nicola, chiuse la porta con un gesto rapido e si buttò di schiena sul letto. Le lenzuola erano già scompigliate dalla mattina, l’odore del suo bagnoschiuma ancora presente nell’aria.
Non mi diede nemmeno il tempo di respirare. Mi afferrò la maglietta e me la strappò di dosso. Mi baciò subito, con foga: lingua dentro, saliva, morsi sulle labbra. Io la seguii, spingendomi sopra di lei. Le mie mani andarono dirette sul suo culo, sodo, ancora segnato dal tanga stretto. Lo tirai di lato con le dita e sentii subito il calore, l’umidità che mi inzuppava i polpastrelli.
Era già bagnatissima. «Non voglio preliminari» mi disse contro la bocca, mordendomi il labbro. «Ho bisogno del tuo cazzo adesso. Dentro. Subito.»
Io tremavo. Era la prima volta che ce lo stavamo davvero per fare, la prima volta che rompevamo quel limite. Abbassai in fretta i boxer. Il mio cazzo scattò fuori duro come ferro, gonfio, pulsante. Lei lo prese con la mano, lo guidò tra le cosce, e con un colpo di bacino se lo infilò dentro.
Un gemito fortissimo le scappò dalla gola. Cercò di soffocarlo mordendomi la spalla, ma l’urlo le uscì lo stesso, un suono crudo, sporco, pieno di piacere. Io entrai in lei tutto d’un colpo. Era strettissima e calda, la sua figa mi stritolava, mi risucchiava dentro. «Dio…» sibilai. Lei spalancò gli occhi, quasi febbrili. «Scopami. Più forte.»
E così feci. Le presi i fianchi e iniziai a muovermi, affondando in lei con spinte sempre più violente. Ogni colpo faceva sbattere il mio bacino contro il suo culo, producendo quel rumore bagnato e sporco che riempiva la stanza. Il letto scricchiolava. Le lenzuola scivolavano via.
Chiara gemeva senza freni, cercando di soffocare i suoni mordendo il cuscino, ma non ci riusciva. «Sì… sì… più forte… fammi male…» ansimava. La presi in parola. Le allargai le gambe e gliele sollevai sulle spalle, spingendo dentro ancora più a fondo. Le mie palle sbattevano contro il suo culo, la mia pelle contro la sua, sudata, calda, incollata. Ogni affondo era come un pugno, e lei lo prendeva, lo voleva, lo pretendeva.
Dopo pochi minuti, il suo corpo iniziò a tremare. La sua figa mi strinse di colpo, come se mi volesse stritolare. Venne. Un orgasmo violento, che la fece urlare nel cuscino e squirtare contro il mio ventre. Lenzuola bagnate, il suo corpo scosso da spasmi.
Ma non bastava. Non si fermò. Mi tirò ancora più dentro. «Ancora. Non fermarti. Voglio venire di nuovo.»
Continuai a scoparla come un forsennato. Il ritmo era folle, sudore che gocciolava dalle mie tempie, il petto che sbatteva contro le sue tette rimbalzanti. La sua figa era un lago: ogni affondo produceva schizzi, colate di umidità che scivolavano sulle cosce. Lei gemeva, urlava, mi graffiava la schiena con le unghie.
«Scopami… scopami come se non ci fosse un domani!» «Sei una troia» le sibilai all’orecchio. «Sì!» rispose lei, con un sorriso sporco e bellissimo. «La tua troia.»
La girai di colpo a pancia in giù, con la faccia schiacciata contro il lenzuolo e il culo in alto. Le aprii le gambe con forza, la presi da dietro e la penetrai con ancora più violenza. L’impatto era devastante: le mie spinte la spingevano in avanti, le sue urla erano soffocate dal cuscino.
Il suo culo mi invitava, tondo, perfetto. Le diedi due schiaffi forti sulle chiappe, che arrossarono subito. Lei gridò di piacere. «Più forte! Schiaffeggiami!» La colpii ancora, e ogni volta la sua figa si strinse su di me più forte, come a succhiarmi via.
Veniva di nuovo. Sentivo il suo corpo tremare, le gambe cedere. Uno spruzzo caldo mi bagnò i coglioni, poi un altro. Squirtava senza controllo, inondando il letto. Io continuavo a scoparla, senza fermarmi, senza pietà.
Le presi i capelli, le tirai la testa indietro. «Guarda lo specchio» le ordinai, indicando quello grande sull’armadio. Lei alzò lo sguardo, sudata, con la faccia sconvolta e il trucco colato. Si guardò mentre la stavo scopando da dietro, mentre il mio cazzo le entrava e usciva dalla figa zuppa. E venne ancora, gridando, stringendosi alle lenzuola.
«Sei incredibile» le sibilai, ansimante. Lei rise, ansimando. «E tu sei il più bastardo di tutti. Amo farmi scopare da te.»
Ormai non ce la facevo più. Il piacere saliva, mi montava alla testa. Sentivo le vene del cazzo pulsare, il bisogno di esplodere. «Devo venire…» dissi, con la voce rotta. «Dentro» rispose lei, senza esitazione. «Riempimi. Voglio sentirti dentro.»
Quelle parole mi fecero perdere ogni controllo. Con un ultimo colpo la presi fino in fondo, spingendo al massimo, e mi svuotai dentro di lei. Un orgasmo devastante, lungo, caldo. Il mio sperma le riempiva la figa, colava fuori, mischiandosi ai suoi schizzi. Lei urlava, venendo ancora, mentre stringeva il mio cazzo dentro di sé come a spremermi fino all’ultima goccia.
Rimasi lì, dentro di lei, a tremare, il petto appoggiato sulla sua schiena, entrambi sudati, distrutti, appiccicati. Il letto era fradicio. Le lenzuola incollate ai nostri corpi. L’odore di sesso, forte, acre, dolce, riempiva la stanza.
Quando finalmente ci staccammo, lei si rimise di lato, con le gambe tremanti. «Cazzo…» disse ridendo piano. «Hai idea di quanto abbiamo scopato?» Le mutandine erano ancora a metà coscia. Le tirò su, sistemando l’elastico, e tenne dentro la mia sborra come se fosse una cosa preziosa. «Così Nicola dorme sul nostro casino» aggiunse, guardando le lenzuola fradice, bagnate, macchiate. «Mi eccita pensarlo.»
Io mi rimisi i boxer in fretta, il cuore ancora a mille. Aprimmo la porta e ci sedemmo sul divano appena in tempo. Nicola tornò con le birre in mano, ignaro, allegro. «Oh! C’era fila, ma ce l’ho fatta!» Chiara si mise accanto a lui, come se nulla fosse, il sorriso innocente, il viso ancora arrossato ma camuffato dal calore della serata. Elena uscì dal bagno con i capelli gocciolanti, la salvietta sulle spalle. «Raga, birretta!» disse entusiasta.
Io alzai la bottiglia, ancora con il cazzo mezzo duro sotto i boxer, lo sguardo che incrociava quello di Chiara. Bastò un attimo. Un lampo negli occhi. Un segreto sporco che ci legava.
E sapevamo entrambi che non era finita. Era solo l’inizio.
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