La stanza chiusa

Capitolo 14 - Ritorni

Era passata quasi un’eternità dall’ultima volta che Natasha aveva messo piede nel locale di Andrea. La porta di vetro satinato rifletteva luci soffuse e un senso di déjà-vu. Un battito del cuore più forte, e aprì.

La musica era bassa, elegante, e si mescolava a mormorii e risate contenute. Nessuno sembrava riconoscerla, ma lei sentiva ogni sguardo su di sé. Era vestita con cura, ma senza ostentazione: un abito nero morbido, i capelli raccolti in modo disordinato, come se fosse entrata lì per sbaglio. Ma non lo era. Era lì per lui.

 

Camminò verso il bancone, fingendo sicurezza. Il barman la riconobbe con un mezzo sorriso e un cenno del capo. Natasha sedette, chiese un vino rosso e si guardò intorno.

Poi, come un’ombra familiare, Andrea apparve. Non era cambiato. Solo più sottile, più affilato. Gli occhi lo tradivano ancora: dentro c’era sempre quella calma in bilico tra dominio e abisso.

Si avvicinò senza fretta. «Non pensavo ti avrei rivista qui.»

La sua voce era la stessa. Calma, ma intensa.

Natasha abbassò lo sguardo sul bicchiere. «Nemmeno io, a dire il vero.»

Un silenzio pesante si posò tra loro. Non ostile, ma denso. Carico di tutto quello che era rimasto sospeso, non detto, soffocato.

«Come va?» chiese lui.

«Bene. O abbastanza.»

«Bene o abbastanza non sono la stessa cosa.»

«Lo so.»

Andrea non si sedette. Rimase in piedi accanto a lei, come se sapesse che occupare spazio fisico potesse ancora scompigliarle l’anima.

«Perché sei venuta?»

La domanda era diretta, ma non aggressiva. Solo curiosa. Solo vera.

Natasha ci mise qualche secondo. Poi lo guardò negli occhi. «Per vedere se c’eri ancora.»

Andrea piegò appena la testa. «E cosa hai scoperto?»

Lei non rispose. Il silenzio fu eloquente.

Andrea si voltò per andarsene, ma poi si fermò e si girò di nuovo verso di lei. «Se vuoi parlare, davvero… resta dopo la chiusura.»

E se ne andò.

Le ore successive furono una prova. Il vino, le luci soffuse, la gente. Tutto sembrava ovattato. Natasha non sapeva perché fosse lì, davvero. Ma sapeva che non avrebbe lasciato quel posto senza avergli detto almeno una cosa.

Alle tre, il locale si svuotò. I camerieri iniziarono a spegnere le luci, e Natasha si alzò dal bancone. Andrea era in fondo, dietro il bancone secondario, con le maniche arrotolate e lo sguardo stanco.

Si avvicinò.

«Sono rimasta.»

Lui la fissò. Per la prima volta, senza alcuna maschera.

E le disse solo: «Lo so.»

Andrea l’osservava in silenzio. Non c’era fretta in lui, eppure l’aria attorno a loro sembrava vibrare.

Natasha deglutì. Non era venuta lì con l’intenzione di dirlo. Forse nemmeno di pensarlo. Ma adesso non riusciva più a tenere tutto dentro.

«Non riesco a cancellarti.»

La sua voce era un sussurro, spezzato. «Ho provato. Ho scelto una vita nuova. Una vita buona, con un uomo che mi ama. Ma…»

Andrea non parlava. Aspettava. Non per dare spazio: per permetterle di affrontare il peso delle sue stesse parole.

«…Ma niente in quella vita mi scuote come quello che c’era tra noi. Come quello che sei tu.»

Il cuore le batteva in gola. Sentiva la vergogna affiorare. Ma più forte ancora, la verità.

«Era potente… il modo in cui mi guardavi. Come mi toccavi. Come mi possedevi. Una parte di me si vergognava. Si vergogna ancora. Ma l’altra… l’altra lo desidera.»

Andrea si avvicinò. Non troppo. Ma abbastanza da farle sentire il calore della sua presenza, quel magnetismo che l’aveva sempre fatta tremare.

«Era violento. Sì.»

Lo disse con calma, senza ironia. «Ma non nel senso che pensi. Era violento perché non chiedeva il permesso. Perché strappava via le maschere. Le tue. Le mie. Era istinto. Fame. Libertà.»

Natasha chiuse gli occhi un attimo. «E io non l’ho mai più provato. Con nessuno.»

Andrea fece un passo avanti. La sua voce si abbassò, più ruvida, più vera.

«Lo vuoi ancora?»

Lei esitò. Ma non serviva risposta.

Il silenzio era pieno. Di confessioni, di verità che non avevano nome. Di un desiderio che non aveva mai smesso di pulsare, nascosto sotto strati di doveri, scelte, paure.

Andrea si voltò, le fece cenno di seguirlo. Nessuna parola. Nessuna promessa. Solo quella tensione sospesa, densa come un temporale d’estate.

Natasha lo seguì.

Ma nel cuore, mentre salivano le scale del locale vuoto, una voce sottile le graffiava il petto:

“E se fosse la tua rovina? E se fosse la tua salvezza?”