La stanza chiusa
Capitolo 7 - Il rifugio che non brucia

Aveva cercato di sfuggire al fuoco. Al disordine. Alla voragine che le si apriva sotto i piedi ogni volta che pensava ad Andrea.
Così Natasha aveva deciso di dedicarsi al lavoro, alla palestra, al silenzio. E a quei rari sorrisi che Salidù le regalava senza mai invadere il suo spazio. Erano diventati una piccola abitudine: un saluto fuori dalla palestra, una chiacchierata al bar accanto. Poi una passeggiata, poi un cinema. Sempre gentile, sempre rispettoso. Mai una parola di troppo, mai un’allusione.
Ma era proprio quella discrezione a darle pace.
Quella sera, dopo l’ennesima giornata in cui Enrico non le aveva rivolto più di due frasi e Andrea non si era fatto vedere — o forse si era fatto vedere e lei aveva fatto finta di non notarlo —, Natasha accettò l’invito di Salidù per cena.
Non c’era fretta nei suoi gesti, né aspettativa nei suoi occhi. Le aveva preparato una cena semplice, profumata di spezie e rispetto. Parlarono a lungo. Lei raccontò del suo arrivo in Italia, di quando ancora credeva che l’amore bastasse. Lui parlò del Senegal, del mare africano e della madre, che non aveva mai smesso di mandargli lettere piene di consigli.
“Mi piace come mi ascolti,” disse Natasha ad un certo punto. “Mi fa sentire… come se esistessi davvero.”
Salidù non rispose. Le prese la mano, semplicemente. Le dita forti ma leggere. Un tocco che non possedeva, ma accoglieva.
Natasha non sapeva esattamente quando accadde. Forse fu nel momento in cui lui le sistemò una ciocca dietro l’orecchio. O quando il silenzio fra di loro divenne così denso da sembrare necessario. I loro corpi si trovarono. Senza prepotenza, senza urgenza.
Nella penombra della stanza, la luce dorata filtrava dalle tende, accarezzando la sua pelle chiara e le curve che tanto aveva imparato a nascondere. Salidù la guardava come se ogni centimetro del suo corpo fosse un luogo sacro. La faceva sentire bella. Non desiderata — bella. Come se non ci fosse nulla da nascondere. Come se il tempo non avesse peso.
Il loro incontro fu silenzioso, fatto di sguardi e respiri che si rincorrevano. Le mani di lui erano lente, profonde, rispettose e presenti. Ogni tocco era una domanda, ogni bacio una risposta. Natasha si lasciò andare, guidata da una dolcezza che non conosceva più. Non c’erano giochi, né sottomissione, né parole da interpretare. Solo il calore di due corpi che cercavano conforto nella sincerità.
Quando si ritrovò stesa accanto a lui, ancora tremante, Natasha si sentì… al sicuro. Come se per un attimo il mondo avesse smesso di divorarla.
Eppure, sotto quel velo di pace, qualcosa restava insonne. Un’ombra appena accennata. Una tensione che nemmeno quell’incontro era riuscita a spegnere.
Andrea. Sempre lui.
Ma per quella notte, decise di non pensarci. Per una volta, avrebbe permesso a se stessa di respirare in un abbraccio che non bruciava.
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