Scopami, ma non innamorarti

Capitolo 2 - Sara ha voglia di scopare

Asiadu01
8 days ago

C’era qualcosa di sbagliato, lo sapevo.Avrei dovuto andarmene, chiudere la porta, dimenticare tutto.

Ma restai.A guardarla mentre si dava piacere, mentre i suoi fianchi si muovevano appena e le sue dita si stringevano sul tubetto.La punta della lingua che si posava sul labbro inferiore.

«Mmh…»Un gemito sottile, spezzato.

Non mi ero mai soffermato davvero a guardarla così.Neanche quando, anni prima, scherzando, si cambiava davanti a me senza problemi. O quando dormivamo insieme sul divano dopo qualche film horror, e il mio sguardo ogni tanto finiva a indugiare sulla curva morbida del suo fondoschiena.

Ma adesso…Adesso era un’altra cosa.

Era una donna che si prendeva quello che voleva.E io, nascosto nell’ombra della porta, non riuscivo a staccarmi da quella visione.

Il suo respiro si fece più veloce, il movimento più deciso.Si morse il labbro.

E in quel momento, tra il battito impazzito nel petto e la pelle d’oca lungo le braccia, capii che niente sarebbe più stato come prima.

Non lo so quanto rimasi lì.Un minuto. Due. O una vita intera.

Poi, senza farmi scoprire, chiusi piano la porta.Il cuore in gola.Le mani sudate.

E un’immagine impressa a fuoco nella memoria.

Sara.Nuda, bellissima, e persa nel suo piacere.

Feci apposta rumore con la porta, chiudendola un po’ più forte del necessario e lasciando cadere le chiavi sul mobiletto all’ingresso.Sentii il fruscio veloce di lenzuola, il tonfo leggero di qualcosa che cadeva sul pavimento e poi silenzio.

Mi fiondai nella mia stanza, buttandomi di schiena sul letto, il cuore ancora a mille.Avevo il viso caldo e le mani sudate, e giuro, non sapevo se ridere o sentirmi uno schifoso.

Pochi minuti dopo sentii i suoi passi leggeri avvicinarsi.La porta si spalancò.

«Oh… bentornato.» disse con il tono più normale del mondo, come se un attimo prima non stesse… beh, sì.

Alzai lo sguardo.Aveva una maglietta larga e i capelli ancora leggermente umidi, sciolti sulle spalle. Nessun segno in volto, nessuna traccia di quello che avevo visto.

«Com’erano le tipe?» chiese, appoggiandosi allo stipite della porta con aria distratta.

«Mh? Chi?» cercai di guadagnare qualche secondo.

«Dai, le tipe della spiaggia. Quella con la faccia da scema e l’altra che si atteggiava da strafiga.»Fece una smorfia, incrociando le braccia al petto.Solo in quel momento mi accorsi che non portava il reggiseno sotto la maglietta, e il pensiero mi colpì come un pugno allo stomaco.

«Ah… sì, carine. Simpatiche.» bofonchiai, cercando di non guardare troppo.

«Carine, eh?» rise lei, scuotendo la testa. «E quella con i pantaloncini minuscoli? Ti piaceva, eh?»

Provai a sdrammatizzare.«Beh, insomma… se proprio devo scegliere…»

«Certo che devi scegliere, scemo.» Si avvicinò e mi tirò un cuscino addosso. «Dai, allora? Hai rimediato almeno?»

Finsi di scrollare le spalle.«Solo un paio di numeri. Così, per cortesia.»

Lei fece una risatina e tornò verso la porta.«Bravo il mio rimorchione da strapazzo.»Poi si voltò di nuovo, mordendosi il labbro.«Oh, a proposito… hai il mio balsamo? Mi serve per dopo.»

La fissai un attimo troppo a lungo.«S-sì. È in bagno.»

«Perfetto.» Strizzò l’occhio. «Grazie, femminuccia.»

E sparì.

Io rimasi lì, a fissare il soffitto, ancora troppo caldo e troppo confuso.Era davvero successo?E soprattutto… se sì, perché cazzo non riuscivo a smettere di pensarci?

A cena parlai poco.Le nostre mamme, come al solito, raccontavano aneddoti imbarazzanti di quando eravamo piccoli, ridendo come due ragazzine.Sara invece sembrava a suo agio, tranquilla… e io? Io non riuscivo a guardarla in faccia. Ogni volta che incrociavo i suoi occhi azzurri, l’unica immagine che mi tornava in mente era quella del pomeriggio.Lei sul letto. Il deodorante. I suoi gemiti soffocati.

Dio.

«Tutto bene, amore?» chiese mia madre a un certo punto.

«Mh? Sì, sì… solo stanco.»

Sara mi lanciò un’occhiata rapida da sopra il bicchiere.«Eh certo, poverino. Troppe partite con le ragazzine oggi.»

Feci una mezza risata.«Già… devastato.»

Appena finimmo di cenare, decidemmo di tornare alle nostre casette. Le mamme vollero fare un’altra passeggiata in centro, e stavolta, io e Sara rimanemmo soli.

Appena entrammo, lei si tolse le infradito e si stiracchiò.«Oh, finalmente. Voglio solo buttarmi sul divano e guardare una schifezza su Netflix.»

«Mh.»

Mi buttai sul letto senza nemmeno spogliarmi.Il telefono vibrò.Giulia.

"Ciao... non so perché, ma mi manchi."

La pancia mi si strinse.Quella stronza aveva fatto di tutto per farmi allontanare, e ora? Ora sentiva la mia mancanza?Mi scivolai il telefono tra le mani e rimasi a fissare lo schermo.

Sara entrò in camera appoggiandosi allo stipite della porta, già in pantaloncini e top leggero.

«Ehi… serata film?» fece con un sorriso.

Esitai.Non era per quello che avevo visto, giuro… era che se avessi iniziato a pensare a lei in quel modo mentre Giulia mi scriveva, mi sarei solo incasinato di più.

«Non ce la faccio, Sa. Devo… sentire una persona.»

Lei alzò un sopracciglio.«Giulia?»

Sorrisi appena, a metà tra il colpevole e il rassegnato.«Mh.»

Sara si lasciò andare a un sorrisetto appena accennato, ma i suoi occhi tradivano qualcos’altro.«Vabbè… tranquillo. Fai il tenero con l’ex. Io mi guardo qualcosa da sola.»Fece per andarsene, poi si voltò di nuovo.«Se cambi idea, sai dove trovarmi, eh.»

Non risposi.Rimasi lì, mentre il telefono vibrava di nuovo.

"Scusa se sono stata distante. Davvero. Posso chiamarti dopo?"

Mi passai una mano sulla faccia.Era un disastro.

E, sullo sfondo, il pensiero di Sara, mezza nuda nel pomeriggio, era ancora lì.

Parlammo al telefono per quasi un’ora e mezza.Non so nemmeno come ci fossimo arrivati, ma da quei soliti messaggi scazzati eravamo finiti a ridere di vecchi ricordi, a raccontarci le ultime cazzate successe a lezione, a farci confidenze leggere.Sembrava un’altra Giulia.Più dolce. Più… mia.

E mi piaceva.Lo sentivo.

«Sto crollando» disse con la voce impastata mentre si stiracchiava, dall’altro lato del telefono.«Che ore sono?»

Guardai l’orologio.«Le due meno dieci.»

«Dio… domani sarò uno zombie. Però… mi ha fatto bene sentirti.»

Sorrisi.«Anche a me.»

«Buonanotte, Leo.»

«Notte, Giuly.»

Chiusi la chiamata con una strana sensazione addosso. Un misto tra felicità e leggerezza che non sentivo da mesi.Mi alzai dal letto e andai in cucina a bere qualcosa, ancora con il telefono in mano e il sorriso scemo stampato in faccia.

Fu lì che la vidi.

Sara, sul divano letto sgangherato della sala, dormiva.Un film ancora acceso in sottofondo, volume basso.Era rannicchiata su un fianco, i capelli in disordine che le cadevano sul viso. Il top che si era leggermente alzato scoprendole un tratto di schiena liscia, dorata dalla giornata al sole. Una gamba piegata e una distesa, e una mano che teneva ancora stretto il telecomando.

Mi avvicinai al divano e la osservai ancora un attimo.Dormiva profondamente, con la bocca appena socchiusa e i capelli spettinati sulla faccia.Il film continuava a scorrere sullo schermo, quasi muto.

Mi chinai e le sfiorai piano la spalla.«Ehi, Sare… svegliati.»Niente.

Le mossi delicatamente il braccio.«Oh, domani ti spacchi la schiena se dormi su ‘sto divano di merda.»

Lei si mosse appena, borbottando qualcosa di incomprensibile, poi aprì un occhio.«Mmmh… che ore sono?»

Guardai il telefono.«Le due e mezza.»

Sbatté le ciglia, stiracchiandosi pigramente.«Merda…»

Si mise seduta a fatica, sistemandosi i capelli indietro con una mano.Aveva il top mezzo storto e un segno del cuscino sulla guancia, che mi fece sorridere.

«Una birra prima di andare a letto?» disse allungando una mano verso il tavolino, dove due bottiglie aspettavano ancora chiuse. «Le ho portate prima di addormentarmi.»

Sorrisi.Era una tradizione scema nata qualche estate fa: una birra ghiacciata insieme prima di andare a dormire, solo noi due, a fine giornata. Perché nessuna vacanza era ufficialmente iniziata senza quella scena lì.

«Dai… ti faccio compagnia» dissi sedendomi accanto a lei.

Prese le bottiglie e me ne passò una.«Alla nostra estate di merda sentimentale.»Toccò il collo della sua contro il mio, il tipico brindisi da sfigati.

«E alla nostra capacità di non imparare mai niente.»

Bevemmo.

Restammo qualche minuto in silenzio, solo il rumore della televisione in sottofondo e il fresco della notte che entrava dalle finestre aperte.Era bello. Quella semplicità che avevamo sempre avuto.

Sara mi guardò di sottecchi.«Giulia, eh?»Accennò un sorrisetto ironico, tirando una lunga sorsata.

Feci una smorfia.«Non rompere.»

Lei rise piano.«Non ti sto rompendo… sto solo dicendo che se domani torni incazzato nero, so già perché.»

Scossi la testa, ridendo anch’io.

«Cretina.»

«Vabbè, dai… ci godiamo sta vacanza. Magari alla fine ce la caviamo meglio di come siamo arrivati.»

La guardai.Quel sorriso dolce, leggermente stanco.Era casa. Sempre. Anche con tutti quei casini intorno.

«Sicuro.»

Stavamo finendo la birra quando mi accorsi che lei mi guardava di sottecchi, con quell’espressione furba che le veniva quando capiva che avevo qualcosa da dire e stavo facendo il vago.

«Oh… che hai?» fece, appoggiando la bottiglia sul tavolino e piegando leggermente la testa. «Sei strano stasera.»

Abbassai lo sguardo sulla bottiglia e ci girai le dita intorno.Sentivo le guance accendersi e odiavo quella sensazione.

«Niente…» borbottai.

Lei mi squadrò, insistente.«Leo… dai. Ti conosco. Parla.»

Presi fiato, poi buttai fuori tutto in un colpo.

«Oh… non ti incazzare, giuro.»La guardai di sfuggita.«Ti ho… visto.»

Lei strinse gli occhi.«Visto… cosa?»

Ingoiai a vuoto.«Prima… quando sono tornato… in camera tua.»

Appena lo dissi, vidi il colore salirle sulle guance.«Nooo, sei uno stronzo!»Mi mollò un pugno secco sul braccio.

«Ahi!» risi, portando la mano sulla spalla.«Te l’ho detto di non incazzarti! Non volevo!»

«Ma porca… Leo!»Si coprì la faccia con le mani un secondo, poi scoppiò a ridere.

«Ma che cazzo… e tu stavi lì a guardare come un maniaco?»

«Oh, un secondo! Poi ho fatto rumore apposta!» mi difesi, ridendo anch’io.«Volevo solo farti smettere senza… senza metterti in imbarazzo!»

«Beh, troppo tardi per quello.»Mi lanciò un cuscino addosso.

«E comunque,» aggiunse, afferrando di nuovo la birra, «sei una merda. Me lo dovevi dire subito.»

«Stavo cercando il momento giusto…»

«Ecco, il momento giusto sarebbe stato: ‘Sara, scusa, ti ho beccata col deodorante nel fi—’»

«Ohhh basta! Dai!»Scoppiammo a ridere tutti e due.

Lei si sventolò con la mano davanti al viso, ancora paonazza.«Giuro che ti ammazzo mentre dormi stanotte.»

«Lo sapevo che non avrei dovuto dirtelo…» feci finta di alzarmi.

«No, ora siediti qua, pervertito.»Mi strattonò di nuovo vicino.«Facciamo finta che non sia mai successo.»

Le sorrisi.«Deal.»

Facemmo un brindisi con le bottiglie ormai vuote.«Alle cose che non sono mai successe.»

«E a quelli che hanno il deodorante spray.»

Scoppiammo a ridere di nuovo.Tutto tornato come prima… o quasi.

Restammo un attimo in silenzio, poi Sara buttò la testa all’indietro sullo schienale del divano sgangherato e fissò il soffitto con un sospiro lungo.

«Sai che mi manca proprio tanto farmi scopare?»

Quasi mi strozzai con l’ultimo sorso di birra.

«Cazzo, Sar… avvisa.»Scoppiai a ridere mentre lei continuava a guardare il soffitto con un mezzo sorriso.

«No davvero, Leo. Sono mesi che non faccio sesso. Già il mio ex aveva smesso di toccarmi… e da quando ci siamo mollati solo depressione ed esami di merda. Mi sento… spenta, capito? Ho proprio bisogno di godere. Di sentirmi viva.»

La guardai. Era la prima volta che la sentivo dirlo così, senza freni. Mi fece quasi tenerezza.

«E tu? Com’è messa la tua astinenza?»

Mi strinsi nelle spalle e feci una smorfia.

«Eh… pure io. Giulia…» esitai un secondo. «Giulia non mi toccava più da un pezzo, figurati. E anche se… beh,da quando è finita non è andata meglio, ormai è così. E sinceramente manca anche a me.»

Sara si girò verso di me, sedendosi meglio e incrociando le gambe sul divano.

«Eh, ce la siamo presa proprio bene 'sta vacanza allora. Due casi umani in astinenza disperata.»

Sorrisi.«Beh dai… magari qui si svolta.»

Lei scosse la testa ridendo piano.«O magari finisce che ci toccherà farlo tra di noi per pietà reciproca.»

Risi anch’io, ma in quell’attimo ci fu uno strano silenzio carico, che nessuno dei due si prese la briga di commentare.

Poi lei tornò a sorridere.«Dai, vado a buttarmi nel letto prima di sparare altre cazzate. Se domani vedo un altro campo da beach volley ti trascino.»

«Affare fatto.»

Ci alzammo insieme. Lei prese le bottiglie vuote, poi si girò un’ultima volta verso di me.

«Oh… comunque grazie. Perché nonostante tutto, con te posso sempre parlare di ste cose senza che sembri strano.»

Le feci un mezzo sorriso.«Ma figurati. Sai che tra noi è sempre tutto easy.»

Lei annuì, poi si avviò verso la camera.«Notte, Leo.»

«Notte, Sar.»

E quando la porta si chiuse dietro di lei, rimasi un attimo a fissare il soffitto anch’io. Con quel pensiero in testa che, forse, stavolta non era stato poi così easy.

Il sole picchiava già forte quando io e Sara ci ritrovammo davanti al vialetto delle casette, entrambi con l’asciugamano in spalla e ancora un po’ assonnati.

«Andiamo a prenderci la nostra abbronzatura da disoccupati?» disse lei stropicciandosi gli occhi dietro agli occhiali da sole.

«Almeno questa è gratis.» Le feci l’occhiolino e ci incamminammo verso la spiaggia.

Quando arrivammo, Giusy e Misa erano già lì, sdraiate sotto un ombrellone, le gambe distese e gli occhiali scuri sugli occhi.

«Guarda chi si è degnato!» esclamò Giusy, sollevandosi sui gomiti.

Misa sollevò solo lo sguardo da dietro le lenti scure e accennò un sorriso di quelli che ti restano addosso.

«Pensavamo foste morti in quella topaia.»

«Non ci liberate così facilmente di noi.» rispose Sara, mollando l’asciugamano e piantandosi accanto a loro.

Dopo un po’ ci spostammo al bar sulla spiaggia per prendere un caffè e finimmo a giocare a carte su uno dei tavolini all’ombra.

«Attenzione ragazzi, Giusy bara.» avvertì Sara, facendo la vaga mentre le passava le carte sotto il tavolo.

«Ma va a cagare!» rise Giusy.

Io e Misa ci scambiammo un’occhiata complice. Lei si avvicinò appena per parlare sottovoce.

«Se vuoi, ti insegno io a barare come si deve.»

«Ah sì? E in cosa saresti esperta?»

Mi lanciò un’occhiata decisa, il sorriso appena accennato.

«In giochi pericolosi.»

Risi, scuotendo la testa, ma nella mia testa, come ogni volta, la voce di Giulia si infilava tra i pensieri. Era come una presenza silenziosa che non riuscivo a scrollarmi di dosso.

Più tardi, bagno in mare. Lotta sulle spalle. Io con Giusy e Sara con Misa.

«Occhio che quella ti affoga!» mi urlò Sara mentre Misa cercava di farmi perdere l’equilibrio.

«Meglio morire così.» risposi.

«Sei proprio scemo!» rise Giusy da sopra le mie spalle.

Finimmo tutti nell’acqua a ridere e schizzarci come ragazzini.

Poi, di nuovo sotto gli ombrelloni, il sole di mezzogiorno ci spalmò addosso una pigrizia perfetta. Tra una chiacchiera e l’altra, i discorsi presero la piega dei viaggi, delle serate storte, di ex dimenticati e futuri improbabili.

Misa ogni tanto si avvicinava con una scusa, una battuta, una frecciatina lanciata piano, lontano dalle altre.

«Sei più divertente di quanto sembri, sai?»

«E tu meno stronza di quanto fai finta di essere.»

«Ah, quindi sei uno di quelli che sanno leggere oltre la facciata?»

«A volte.»

Quei piccoli scambi, una sottile guerra di nervi travestita da gioco.

Eppure, anche mentre ridevo, mentre le altre parlavano di aperitivi e serate da organizzare, Giulia era lì. Nascosta in un angolo della testa, a rovinare quella leggerezza perfetta.

Quando il sole iniziò a scendere, decidemmo di salire per pranzo.

«Dai, a dopo per la rivincita!» disse Misa con un sorriso storto.

«Quando vuoi.» risposi.

Poi, asciugamano in spalla, risalimmo per il vialetto tra le case. Sara mi diede una spintarella sulla schiena.

«Te lo leggo in faccia che stai incasinato. Stasera birra sul balcone, risolviamo.»

Sorrisi senza rispondere. In effetti, sarebbe servita.

Dopo pranzo, il caldo aveva spento tutto il villaggio, e nella nostra casetta si sentiva solo il fruscio del ventilatore oscillante. Mi stesi sul letto a controllare il telefono, un po’ svogliato, e chiusi gli occhi.

D’improvviso, sentii la porta aprirsi di colpo. Sara entrò decisa, si sedette sul letto incrociando le gambe come se fosse casa sua, beh, in effetti lo era e mi fissò.

«Che vuoi?» chiesi, aprendo un occhio.

Lei prese un respiro e partì, senza nemmeno pensarci troppo.

«Leo… mi stavo masturbando di nuovo.»

Sgranai gli occhi. «Ma che cazzo… perché me lo stai dicendo?!»

Lei si mise a ridere scuotendo la testa. «Aspetta, fammi finire. Mi stavo masturbando e ho pensato: è una merda. È noioso. È freddo. È… meccanico. Mi manca il sesso vero, il calore di qualcuno addosso, capisci? Qui non c’è un ragazzo decente nemmeno a pagarlo. E mi sto esaurendo.»

Mi tirai su a sedere, arrossendo di botto. «E quindi… perché me lo stai dicendo?»

Sara abbassò appena lo sguardo, poi si morse il labbro come faceva sempre quando stava per sparare una cazzata o dire qualcosa di assurdo.

«Perché… mi è venuta un’idea. Forse è una stronzata, eh. Però so che se te ne parlo, al massimo ci ridiamo su.»

La guardai di traverso. «Adesso mi fai paura.»

«No, aspetta. È che… siamo amici da una vita, no? E sappiamo tutto l’uno dell’altra. Non è che dico di metterci a fare le cose strane… ma tipo, una sera, se ci va, se ci serve. Senza complicazioni, senza rovinarci niente. Solo… se e quando ce ne viene voglia. Così, come sfogo.»

Io rimasi zitto qualche secondo, fissandola. Il cuore accelerato senza capire se ridere o sudare freddo.

«Sara… tu sei pazza.»

Lei rise, buttandosi indietro sul letto. «Lo so. Ma pensa che liberazione. Tipo… patto di sangue, ma a modo nostro.»

La fissai, incerto. «Ma… saremmo capaci di far finta di niente dopo?»

Lei mi guardò di nuovo, seria stavolta. «Io sì. Lo sai. Tu?»

E rimasi lì a fissarla, chiedendomi se quella roba fosse davvero una follia o una tentazione che non avevo il coraggio di ammettere.

Vuoi che proseguiamo da qui?

«E quindi…» dissi, passandomi una mano tra i capelli mentre cercavo di mettere ordine nella testa, «tu mi stai proponendo di… fare sesso tra di noi. Come distrazione. Perché… ne abbiamo voglia.»

Sara annuì, seria. «Esatto.»

Sospirai, incredulo. «Wow…»

Lei però non mi lasciò nemmeno il tempo di elaborare che già ricominciava col suo modo di fare: agitata, teatrale, parlando a raffica.

«Ehi aspetta eh, ovviamente con delle regole! Non è che ci incasiniamo, Leo. Niente baci… niente coccole strane… non ci innamoriamo, eh, cazzo, quella sarebbe la cosa più stupida che potremmo fare. E soprattutto il nostro rapporto rimane identico, zero paranoie. È solo… divertimento e sfogo. Quando e se ne abbiamo voglia. E basta.»

La fissai, sempre più scettico. «Sara… io… boh, non ti seguo più. Non so nemmeno cosa dire.»

Lei si mise a ridere, alzando gli occhi al cielo. «Ma lo sapevo che ti saresti rincoglionito. È normale, figurati. Ci ho pensato tutto il pomeriggio, mi faceva anche ridere l’idea. Però… oh, magari ci salva pure la vacanza. E non è che ti sto dicendo di farlo adesso, rilassati. Era solo… buttarla lì.»

«Sì, ma… cazzo, Sar… siamo amici da una vita.»

«Appunto!» ribatté lei, con un sorriso storto. «Se non puoi farlo con una persona con cui c’è fiducia, con chi lo fai? Con una che conosci da tre ore e poi sparisce? Almeno così niente gelosie, niente casini, niente cose strane.»

Rimasi lì, ancora indeciso se fosse la proposta più assurda o più tentatrice che mi avessero mai fatto.

«Se vuoi puoi pensarci. O riderci sopra. O mandarmi a fanculo. Ci sta tutto.» disse poi, stringendosi nelle spalle.

Il problema era che in testa mia non ridevo affatto. E nemmeno mi veniva da mandarla a fanculo. E forse era questo il guaio.

«Sarò onesto, Sar…» sospirai, guardandola negli occhi. «Non mi sembra una buona idea. Ci tengo troppo a te come amica per anche solo rischiare di rovinare tutto.»

Lei rimase in silenzio un attimo, poi fece un mezzo sorriso, alzando le mani. «Ehi, giusto così. C’hai ragione, Leo. Era una cazzata, lo sapevo. Vabbè, cancelliamo tutto. Non è mai successo.» Disse con il tono leggero di chi maschera un po’ di imbarazzo dietro una battuta.

Fece una smorfia, si alzò dal letto e aggiunse, mentre si avviava verso la porta della sua stanza: «Hai vinto pure stavolta, femminuccia.» E sparì dietro la porta, lasciando dietro di sé solo un silenzio strano.Io rimasi a fissare il vuoto, e sì… in realtà lo stavo facendo anche per Giulia. Perché se qualcosa stava davvero cambiando, non potevo permettermi di rovinare tutto con una cazzata.

Il pomeriggio scivolò via tra una pennichella e qualche partita a carte con le altre famiglie. Poi, più verso le cinque, decidemmo di andare in piscina. Il sole iniziava a scendere piano, ma faceva ancora caldo e quell’acqua limpida e azzurra sembrava la soluzione a tutto.

Eravamo spaparanzati su due ciambelle gonfiabili al centro della piscina, io e Sara, gambe a mollo e occhi chiusi. Un silenzio piacevole, di quelli che conosci da anni.

«Dio, che paradiso.» borbottai.

«Ti ci vedo bene a far nulla per ore.» rise lei, lanciandomi uno schizzo d’acqua.

Stavo per ribattere quando all’improvviso, da un lato della piscina, sentii un tonfo secco e una figura tuffarsi nell’acqua limpida. Aprii gli occhi e vidi Misa riemergere poco distante, scuotendo la testa per far scivolare via i capelli bagnati.

Aveva il top del costume che le si incollava perfettamente addosso e i suoi occhi scuri si fissarono subito sui miei. Quel sorriso pigro e appena accennato, come se sapesse di potermi far perdere il filo in mezzo secondo.

«Guarda chi c’è…» disse avvicinandosi a noi a nuoto, sfiorandomi il braccio sott’acqua senza che Sara se ne accorgesse.

«Ciao bellezza.» risposi con un sorriso storto.

«Che fate, ve la prendete comoda eh?» si appoggiò al bordo della mia ciambella, il suo seno praticamente mezzo fuori dall’acqua a pochi centimetri da me.

«Ci godiamo la pace.» risposi.

«Troppo noiosa. Serve un po’ di movimento.» fece, e senza avvisare mi afferrò da sotto, ribaltandomi nella piscina con un tuffo. Uscendo dall’acqua tossivo e ridevo, mentre lei rideva sguaiatamente.

Sara gridò: «Ma sei scema?! Mi hai rovesciato il pirla!»

Misa rise ancora di più. «Dai, lo sai che ti voglio bene, Leo.»

Mi avvicinai a lei e le spruzzai acqua in faccia. «Te la farò pagare.»

«Uh, minaccioso. Mi piace.» sussurrò a bassa voce, vicino al mio orecchio, abbastanza da farmi venire i brividi.

Il resto del pomeriggio fu un casino di spruzzi, lotte in acqua, risate. Ci sfidammo a chi stava più tempo sott’acqua, ci arrampicammo sulle spalle per le lotte, io con Sara, Misa con Giusy. Ovviamente vinsero loro. Più tardi, sdraiati sotto agli ombrelloni, chiacchierammo un po’ di tutto, di esami, viaggi, serate folli e assurdità varie.

Le frecciatine tra me e Misa continuarono, nascoste tra una battuta e l’altra, lontane dalle orecchie di Sara.

«Sai che ho una stanza tutta mia, vero?» sussurrò lei, passandosi la lingua sulle labbra mentre beveva dalla bottiglietta, gli occhi incollati ai miei.

Io scossi la testa, ridendo, e replicai a bassa voce: «Sei un casino, Misa.»

«Il più bello che potresti farti.» ribatté con un occhiolino.

Ma nella mia testa… c’era ancora Giulia. Sempre.E quel pensiero non mi mollava.

Giulia sì…Perché intanto il telefono, tra un tuffo e una chiacchiera sotto l’ombrellone, aveva vibrato soltanto due volte. Due messaggi, tutto il giorno. Niente di davvero caldo, niente che facesse pensare a quel riavvicinamento della sera prima. E quella sensazione nello stomaco, quella fastidiosa miscela di aspettativa e delusione, stava di nuovo tornando a farsi sentire.

Verso l’ora dell’aperitivo, Sara si alzò, disse di voler andare a farsi una doccia e poi di risalire alle casette. Ma la verità, lo capii dal modo in cui mi guardò e dal mezzo sorrisetto, è che mi stava lasciando campo libero.

«Io salgo, mi scoccia lasciarti qua con lei…» disse avvicinandosi all’orecchio, riferendosi a Misa, «…ma magari ti fa bene. Vedi tu.»

Non feci nemmeno in tempo a risponderle, che era già andata.

Misa si avvicinò subito, approfittando del vuoto.Si sedette accanto a me sul lettino, ancora in costume, la pelle salata e umida, i capelli legati male.

«Alla fine siamo rimasti solo noi due…» mormorò, passandosi una mano sulla gamba, con quel modo studiato di fare sembrare ogni suo gesto casuale.

Sorrisi appena. «Eh già.»

Ci fu un silenzio. Di quelli elettrici, che sembrano caricarsi di qualcosa.Lei si sporse, il viso vicino al mio, il profumo di salsedine e crema solare. Gli occhi nei miei.

«Te lo dico…» disse sottovoce. «Io non ho voglia di giochi oggi.»

Poi sfiorò il mio polpaccio con il piede, facendolo sembrare un contatto involontario, e aggiunse: «Lo sento che tra noi c’è chimica… E anche tu lo sai.»

La guardai.Era bella. Porca miseria se lo era. E quel suo sguardo deciso, quella sicurezza di chi sapeva che bastava pochissimo a farmi crollare.

Mi avvicinai leggermente. Bastava davvero un secondo. Un attimo.Ma nella testa, di nuovo… Giulia. E il pensiero di Sara. E la promessa fatta a me stesso.

Feci un lungo respiro e abbassai lo sguardo.

«Misa… lasciamo stare.» dissi piano.

Lei sbatté le palpebre, sorpresa. «Cosa?»

«Non credo sia il momento. Non… Non ora, ok?»

Ci fissammo per qualche secondo. Poi lei si ricompose in fretta, mascherando la delusione con un sorriso forzato.

«Va bene. Nessun problema. È che, sai… non capita spesso di trovare uno che dice no.»Fece una risatina leggera, si alzò dal lettino, scrollandosi i granelli di sabbia di dosso.

«Comunque… se cambi idea… sai dove trovarmi.»

Si allontanò con passo lento, lasciandomi lì, col cuore che batteva ancora forte e il telefono che restava in tasca… sempre con quei due, miseri, messaggi.

Tornai alla casetta con quel senso di vuoto addosso. Il sole ormai scendeva dietro le colline, e l’aria si faceva più fresca, ma dentro di me ribolliva tutto.

Silenzio.Religioso.Neanche una voce, nessuna risata delle nostre mamme, niente. Sara dormiva, appisolata come un angelo stanco dopo il mare. Feci una doccia veloce, sperando che l’acqua gelida mi spegnesse quel misto di rabbia, delusione e frustrazione che mi stringeva la gola.

Ma non funzionò.

Mi sdraiai un po’ sul letto, scorrendo distrattamente Instagram, fino a quando la vidi.Una storia di Martina, l’amica di Giulia. C’era lei, con il costume nero che conoscevo fin troppo bene, distesa su un lettino accanto a tre ragazzi. Tre.E ridevano.E brindavano.E Giulia aveva detto che sarebbe rimasta a casa a studiare.

Mi partì un pugno contro il cuscino. Avrei voluto spaccare tutto.Mi sentii come un idiota. A rifiutare Misa per rispetto di una persona che nemmeno aveva il coraggio di essere sincera con me. E con Sara non potevo nemmeno parlarne, perché a lei avevo fatto credere che fosse tutto finito.

A cena fui muto. Nessuno disse niente, ma i miei nervi tesi si sentivano nell’aria.Tornammo alle casette, e io mi buttai sul letto, a fissare il soffitto, con quella rabbia che cresceva, fino a che mi resi conto che non stavo più pensando.Agivo.

Mi alzai di scatto.Aprii piano la porta della stanza di Sara.Era stesa sul letto, le cuffiette nelle orecchie, un cellulare tra le mani, persa nei TikTok.

Appena mi vide lì sulla soglia, si sfilò un auricolare.

«Che c’è?» chiese con quel suo tono sornione.

Senza dire nulla mi avvicinai, mi misi su di lei, sorreggendomi con le braccia. La guardai negli occhi. Un lungo secondo.

«Accetto.» sussurrai, la voce bassa e ferma.

Lei sbatté le ciglia, sorpresa, poi sollevò un sopracciglio.«Accetti… cosa?»

Sorrisi appena, ma senza allegria.«La tua proposta. Quella di oggi pomeriggio. Distrazione. Niente baci, niente cuori infranti, solo due amici che si tolgono un po’ di voglia.»

Lei rimase in silenzio un attimo, il respiro leggermente accelerato. Poi sorrise.Quel sorriso che faceva sempre quando otteneva ciò che voleva.

«Beh… finalmente,» disse piano. «Ci hai messo meno di quanto pensassi.»

Mi sporsi appena di più su di lei.«Hai ancora voglia?»

«Non sono mai stata così pronta.»

Poi rise sottovoce, e aggiunse:«Sarà divertente, Leo. Ma ricordati le regole.»