Scopami, ma non innamorarti
Capitolo 1 - Introduzione

Ci conosciamo da sempre.Letteralmente. Da quando avevamo i pannolini, le nostre madri erano migliori amiche e noi due, per forza di cose, inseparabili. Cresciuti insieme tra compleanni di gruppo, feste di paese e interminabili cene familiari dove gli adulti ridevano a voce alta e noi ci nascondevamo sotto il tavolo a raccontarci segreti che nessuno avrebbe mai dovuto sapere.
Siamo sempre stati l'uno nella vita dell'altra. Elementari, medie, superiori… prime cotte, primi casini, primi sbagli. Se c’era una cosa certa, era che io e Sara c'eravamo, e il resto cambiava. Anche quando i gruppi si sono sfaldati, anche quando le compagnie si sono mischiate, anche quando abbiamo iniziato a frequentare persone diverse, noi due siamo rimasti.
E ogni anno, da che ho memoria, le nostre famiglie organizzano insieme una vacanza.Stessa spiaggia, stessa casa presa in affitto, stesse abitudini: cena in veranda, partite a carte, mamme che cucinano insieme e noi che facciamo finta di essere troppo grandi per queste cose, ma alla fine non manchiamo mai.
Quest’anno non fa eccezione. Vent’anni suonati, e siamo di nuovo qui, carichi come ragazzini, in quella casa a due passi dal mare dove il pavimento scricchiola e l’odore di salsedine si infila nelle lenzuola.
Sara, poi… Sara è sempre stata bellissima, ma quest'estate ha qualcosa di diverso.Forse è il sole che le ha baciato la pelle rendendola ambrata e luminosa, forse quei ricci selvaggi che sembrano esplodere di vita sotto il sole del pomeriggio.Ha un corpo morbido, pieno, con curve che non puoi fare a meno di seguire con lo sguardo. Il seno pieno incorniciato da quei vestitini leggeri che lascia intravedere la pelle vellutata, le spalle rotonde, le mani affusolate, i polsi pieni di bracciali che tintinnano quando ride. E poi quei suoi occhi, azzurri e profondi, capaci di leggerti dentro come se sapesse esattamente cosa stai pensando.
È il tipo di ragazza che ti fa girare la testa, e il fatto che la conosca da sempre rende tutto più pericoloso.C’è una confidenza tra noi che pochi possono capire. Ci basta uno sguardo per intenderci, una battuta per ricordare una sera di cinque anni prima, un tocco per scatenare il passato.
E così, anche quest’anno, siamo partiti per un’altra vacanza.Stesse abitudini, stesse tradizioni. Ma con una differenza: questa volta, nessuno dei due è più un ragazzino. E il modo in cui i suoi occhi si sono soffermati sui miei la prima sera, mentre le nostre madri ridevano in veranda, mi ha fatto capire che qualcosa stava per cambiare.
Quest'anno era diverso.Lo sentivo nell’aria appena siamo arrivati.Niente hotel, niente mega casa condivisa con altre famiglie: stavolta le nostre madri avevano scelto un residence tranquillo, casette indipendenti, ognuna con il suo terrazzino, piscina al centro e il mare a due passi. L’idea, a detta loro, era “totale relax”, niente sbattimenti. E a noi, in fondo, andava bene così.
Le nostre casette erano una accanto all’altra. Porte che sbattevano, risate che attraversavano le pareti, stessa colazione in veranda. Io e Sara, come sempre, in sintonia.Solo che quest’anno, con l’università in città diverse e qualche storia andata male di mezzo, ci eravamo persi un po’ per strada. Ci sentivamo, certo, ma di meno. E quella vacanza era l’occasione perfetta per ritrovarsi.
Il primo mattino, appena disfatte le valigie, ci siamo ritrovati a bordo piscina.Io con gli occhiali da sole calati sul naso e un caffè freddo in mano, lei già spaparanzata sul lettino con un costume nero che, cazzo, non ricordavo avesse mai messo prima.
«Allora, dottore, raccontami tutto. Mi devi aggiornare su ogni schifo che hai combinato in questi mesi.» fece lei, lanciandomi uno sguardo da sopra gli occhiali da sole, un mezzo sorriso sulle labbra lucide.
Sospirai, buttando la testa all’indietro.«Niente di entusiasmante, credimi. Ho mollato Giulia, ho dato due esami di merda e sono ufficialmente in crisi esistenziale.»
Lei scoppiò a ridere, quel tipo di risata che mi mancava da mesi.«Ah bene. Sei sempre il solito dramma vivente. E Giulia? Ma quindi è finita finita?»
«Sì. Finita da un pezzo. Troppo pesante, troppa ansia. Alla fine ho capito che mi stavo forzando a starci.»Mi voltai verso di lei, appoggiandomi sul fianco. «E tu? Avevo sentito che avevi mollato quel fenomeno.»
Fece una smorfia.«Un mese fa. È stato più facile del previsto. Troppa testa di cazzo. Sai quelli che pensano di poterti dire cosa fare, cosa mettere, con chi uscire?»
«Ma davvero? Ti ha mai detto qualcosa per come ti vesti?»
«Sì, tipo che i miei top erano troppo scollati e che ridevo troppo con gli altri ragazzi.»Alzò le spalle. «Due settimane ed ero già sul punto di tirargli un bicchiere in faccia.»
Scoppiai a ridere.«Classica te.»
Lei si sistemò meglio il costume sul seno, incrociando le gambe con quella naturalezza che solo chi ti conosce da sempre può permettersi.«Comunque è finita e meglio così. Adesso sono ufficialmente single, libera e pronta a far casino.»
Alzai il bicchiere verso di lei.«A noi. Due disastri ambulanti di nuovo insieme.»
«A noi.» disse, brindando col suo succo alla pesca.Poi rimase un attimo in silenzio, guardando il sole riflettersi sull’acqua.«Sai che mi mancava stare così? Senza pensare a niente, a parlare di stronzate, a prenderti in giro.»
«Anche a me.» ammisi.«Cioè… non è che l’ho detto in giro, eh. Fa troppo film sentimentale. Però sì.»
Lei rise di nuovo, scivolò giù dal lettino e si tuffò in piscina con un gesto veloce, schizzandomi d’acqua addosso.«Dai, scendi. Facciamo a gara a chi arriva prima dall’altra parte.»
«Sei sempre stata scarsa, Sara.»
«Sì, ma io so distrarti.»E mi lanciò un’occhiata che, per un attimo, non era più solo quella di un’amica.
Fu un attimo.Ma abbastanza per farmi capire che quell’estate sarebbe stata tutto, tranne che tranquilla.
Quando risalimmo dalla piscina, ancora grondanti d’acqua e col cloro che ci seccava la pelle, trovammo le nostre madri sedute nel giardinetto di una delle due casette, con un bicchiere di vino in mano e quell’aria da cospiratrici che conoscevamo fin troppo bene.
Appena ci videro, cominciarono a ridacchiare tra loro.
«Eccoli lì, i nostri ragazzi!» disse mia madre, dando una gomitata a quella di Sara.«Stavamo giusto parlando di voi.»
Sara si sedette sul muretto e si strinse nelle spalle. «Oddio, che avete combinato?»
«Ma niente di che.» fece sua madre, fingendo innocenza. «Solo che pensavamo… magari voi due non avete tutta questa voglia di stare a dormire con due vecchie mamme accanto, no?»
Io le guardai, alzando un sopracciglio. «Perché? Che volete fare, scappare con due animatori del villaggio?»
Risero tutte e due.
«Magari!» disse mia madre, alzando il bicchiere. «No, il fatto è che in ogni casetta ci sono due belle stanze matrimoniali, bagno grande, aria condizionata… pensavamo che magari voi due vi prendevate una casetta e noi due un’altra.»
Sara fece una smorfia, guardando me.«Eh, perché invece cambierebbe qualcosa?»
Sua madre rise di nuovo. «Ma no! È per comodità. E poi, scusate, vi ricordate tutte le notti passate a guardare film horror, giocare a carte, raccontarvi segreti fino alle tre del mattino? Quelle cose lì. Mica vorrete spezzare la tradizione, adesso che siete cresciuti?»
«È una tradizione centenaria!» aggiunse mia madre con aria solenne, indicandoci con il dito.
Sara sospirò, guardandomi con un sorriso accennato.«Vabbè, a sto punto… tanto non cambia niente.»
«Esatto.» confermai, facendo spallucce. «Anzi, ci evitiamo pure di sentirvi russare.»
«A chi ti riferisci, bello mio?» ribatté mia madre ridendo.«Io russo leggero. È tua zia Gianna che sembra un trattore.»
Le risate andarono avanti per qualche minuto, poi Sara si alzò, si passò una mano tra i capelli ancora bagnati e mi fece un cenno con la testa.
«Andiamo a sistemare le nostre robe allora, coinquilino.»
«Coinquilina.» la corressi, dandole una pacca sulla spalla mentre ci avviavamo verso la casetta accanto.E in quel momento, per un attimo, mi venne da pensare che forse sì… quell’estate sarebbe stata diversa davvero.
Arrivammo nella casetta e con la solita calma da vacanza iniziammo a sistemare le nostre cose. Io presi possesso della stanza a sinistra, Sara di quella a destra.«Se trovi un ragno » urlai dal mio letto mentre infilavo il caricatore nel muro « io non entro a cacciarlo, eh.»
«Certo, figurati.» rispose lei ridendo. «Al massimo lo faccio dormire con te.»
Sentii l’acqua scorrere dopo poco. Lei era già in doccia.Ne approfittai per sdraiarmi sul letto con il telefono e scrivere a Giulia.Avevo detto a tutti che era finita. Lo dicevo pure a me stesso. E invece no.Le scrissi un “Ciao… come stai?” con quella finta leggerezza che conosciamo fin troppo bene, e mi rispose dopo qualche minuto. Fredda. Distante. Due frasi di cortesia e poi il nulla.Maledizione.
Lasciai il telefono sul comodino e chiusi gli occhi per un secondo.Poi sentii la porta del bagno aprirsi.
«Oh, hai mica il tuo balsamo magico?» chiese la voce di Sara.
Aprii gli occhi e me la ritrovai davanti. Capelli bagnati, arruffati sulle spalle, goccioline d’acqua sulla pelle. L’asciugamano umido le copriva appena il corpo, stretto sopra il seno… che, ok, forse… era cresciuto?O ero io che non ci avevo mai fatto caso così?
«Che c’è?» fece lei, alzando un sopracciglio.
«Niente, stavo pensando…» mi schiarii la voce. «Sì, è nel beauty. Sul comodino.»
Sara si avvicinò e lo prese, poi si girò verso di me con un sorrisetto.«Sei sempre la solita femminuccia, eh. Solo tu puoi portarti in vacanza un balsamo da venti euro.»
«Guarda che è pazzesco.» ribattei, alzandomi a sedere sul letto. «Te lo giuro, dopo che lo usi i capelli sembrano seta.»
«Ah beh, allora domani mattina mi sveglio con la chioma di Rapunzel.» fece lei ridendo, poi si avvicinò ancora un po’.«E comunque » aggiunse, abbassando la voce con tono ironico « mi sa che ti stanno crescendo le tette pure a te.»
Le lanciai un cuscino addosso, che lei schivò ridendo, prima di tornare in bagno.
«Deficiente.»«Stronza.»
Risero tutte e due le nostre voci, e per un attimo fu come sempre.Solo che… no. Non era proprio come sempre.
Dopo la doccia, il pranzo abbondante e la classica dormita post mangiata, verso le sette decidemmo di scendere in spiaggia. Non era più ora di sole pieno, e la gente iniziava a defluire piano piano lasciando sulla sabbia il rumore delle onde e qualche ombrellone abbandonato.
Sara e io camminavamo a piedi nudi, in perfetto silenzio, come facevamo da ragazzini quando facevamo a gara a chi resisteva di più sulla sabbia bollente.
Il posto era bellissimo. Calmo. Poche famiglie rimaste, una coppia di ragazzi in acqua e… un campo di pallavolo sulla sabbia, con una palla abbandonata al centro. Un invito, chiaro come il sole.
«È un segno del destino.» disse Sara, indicandola.
«Ovviamente.» presi la palla e la lanciai verso di lei.
Iniziammo a palleggiare, ridendo come sempre. Quella era la nostra cosa. Anche durante le vacanze in Croazia, in Grecia, in Puglia… ogni volta finiva così, a rincorrere palloni sulla spiaggia, insultandoci scherzosamente per ogni palla persa.
«Sei peggiorata.»«Parla per te, schiappa.»«Dai, quel bagher… roba da denuncia.»
Fu durante uno dei nostri scambi che sentimmo due voci alle spalle.
«Oh, vi va se giochiamo anche noi?»
Ci voltammo. Due ragazze, appoggiate alla rete, ci guardavano con aria complice.
La prima si chiamava Giusy, lo scoprimmo dopo. Un po’ curvy, sorriso dolce, capelli castano scuro raccolti in una treccia. Niente di che, simpatica però.
Ma fu l’altra a catturarmi lo sguardo.Si chiamava Misa.Indossava pantaloncini di jeans sfilacciati che le lasciavano scoperte due gambe perfette e affusolate, e sopra solo il top del costume. Ma non era tanto per quello. Era per il suo volto.Aveva un viso che sembrava disegnato per tentare chiunque la guardasse. Quegli occhi profondi, leggermente allungati, scuriti da un trucco deciso che ne esaltava la forma, le ciglia lunghe come ali che si piegavano dolcemente a ogni battito. Il naso punteggiato da lentiggini leggere, le guance appena arrossate dal sole.E quelle labbra… piene, morbide, leggermente socchiuse in una smorfia distratta che non capivi se fosse noia o malizia.
I capelli, castano ramato, ancora un po’ umidi, le cadevano disordinati sulle spalle scoperte, incorniciandole il volto in un modo selvaggio, naturale, incredibilmente sexy.C’era qualcosa in lei che sembrava innocente a un primo sguardo… e poi, subito dopo, ti lasciava addosso quella sensazione viscerale di attrazione che ti sale dallo stomaco.
«Certo, volentieri.» dissi subito, lanciando un’occhiata a Sara che aveva già capito tutto.
«Io sono Misa.» fece lei, avvicinandosi. «E questa è Giusy.»
«Piacere, Ale.»«Io Sara.» aggiunse lei con un sorrisetto.
«Anche voi al residence?» chiese Giusy.
«Sì, casetta ventiquattro.» risposi.
«Davvero? Noi alla ventuno.» disse Misa. «Siamo praticamente vicini di casa.»
«Occhio allora, che a pallavolo siamo dei mostri.» scherzai.
«Ah sì?» rise Misa, mordendosi appena il labbro. «Beh, allora voglio proprio vedere.»
Fu un attimo. Riprendemmo a palleggiare a quattro, tra risate e prese in giro.E mentre giocavamo, mi accorsi che Sara ogni tanto lanciava occhiate storte verso Misa. Lo sguardo di chi non sapeva ancora se stava solo giocando… o se era appena partita una nuova, sottile, silenziosa guerra.
Finita una delle partite, Sara si avvicinò con le guance arrossate dal caldo e i capelli scompigliati.
«Io vado su, mi è bastato il primo giorno per ricordarmi che odio sudare.»
«Che femminuccia.» le sorrisi.
«Fatti fottere.»Poi mi strizzò l’occhio. «Non fare il cretino.»
La guardai allontanarsi mentre si sistemava i pantaloncini, e quando sparì tra le viuzze del residence, tornai verso il campo.
«Ti ha mollato, eh?» fece Misa, avvicinandosi.
«Sì, è fatta così. Anima fragile.»
Misa rise, e quel suono aveva qualcosa di roco, di graffiante. Mi piacque.Continuammo a palleggiare ancora un po’, sempre più vicini, e tra una battuta e l’altra, i suoi movimenti diventavano più sciolti, più provocanti. Ogni tanto il top le scivolava un po’, lasciando intravedere il bordo pieno e rotondo di un seno che cercava disperatamente di uscire. A un certo punto, dopo un tuffo inutile per prendere una palla, finì stesa sulla sabbia.
«Tutto bene?» chiesi, offrendole la mano.
«Decisamente meglio ora.» disse, stringendomela e tirandomi giù con lei.Finii praticamente sopra di lei, a pochi centimetri dal suo viso.I suoi occhi mi scrutavano. La bocca, umida, appena socchiusa.
«Scommetto che di solito le ragazze ti cadono tutte ai piedi, eh?» sussurrò.
«Solo quelle con le lentiggini.» ribattei, guardandola.
Lei rise ancora. Ma mentre si alzava, il top le scivolò un po’ più giù.E per un istante, appena un attimo, qil capezzolo sinistro si mostrò alla sera che scendeva.
Lei fece per sistemarsi, senza fretta.Mi guardò di nuovo.Nessuno dei due disse nulla. Ma era lì, chiaro.
Continuammo a giocare, a ridere, tra spintoni e “accidentalmente” sfiorate.Misa sapeva giocare. Non solo a pallavolo.
Verso le otto e mezza, il cielo iniziava a tingersi di viola.
«Noi andiamo su a farci una doccia.» disse Giusy.
«A meno che tu non voglia venire con noi.» sussurrò Misa, appena abbastanza forte da farmi sentire.
«Mi sa che le nostre mamme mi ucciderebbero se sparisco.» risposi, sorridendo.«Ma il numero però lo voglio.»
Ce li scambiammo lì, sporchi di sabbia e sudati.Misa mi salutò con una pacca sul petto e un’occhiata di quelle che ti restano sotto pelle.
Quando tornarono verso il residence, rimasi ancora qualche minuto seduto sulla sabbia a guardare il mare.
Poi mi decisi a risalire.
Arrivai alle nostre casette e c’era silenzio.Strano.Nessuna voce delle mamme, nessuna Sara cazzeggiona a lanciarmi battute.
Entrai nella nostra casetta. Tutto spento.Forse erano tutte uscite a fare la spesa o una passeggiata.
Appoggiai le infradito all’ingresso e andai a bere qualcosa. Poi, spinto da un misto di noia e di curiosità, mi sporsi nella stanza di Sara. Solo per vedere se era lì a farsi i fatti suoi.
E invece…
La trovai stesa sul letto, illuminata appena dalla luce che filtrava dalla tapparella.Indossava solo un top leggerissimo, alzato sopra il seno, e un paio di slip abbassati appena sotto il pube. Le gambe aperte, il respiro corto.
Tra le dita, un tubetto di deodorante.
Lo faceva scivolare dentro di sé, lentamente, sussultando a ogni affondo.
Il suo corpo si muoveva piano, la bocca socchiusa in un gemito appena accennato. I capelli sciolti, ancora leggermente umidi, sparsi sul cuscino.
Rimasi immobile, il cuore che martellava nel petto.
Lei non si era accorta di nulla.
Un movimento lento, circolare, e il suo fianco che si inarcava appena.
Sarei dovuto andare via.O forse no.
Ma il mio sguardo restò lì.Ipnotizzato.
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