Tre troie e un coglione
Capitolo 8 - nottata bollente

Cercai di rimediare subito, con le mani alzate in segno di pace, il respiro ancora corto, il cuore in gola.
«Aspetta… Raffa, ti giuro che non è come pensi.»
Lei già si stava tirando su i pantaloni, lo sguardo tagliente come una lama.
«Giada è solo un’amica, davvero. Li avevo messi in tasca prima, nel pomeriggio, magari mi sono caduti lì, non lo so, ma non è successo niente con lei…»
Raffaella scosse la testa, delusa, e fece un mezzo passo indietro.
«È la seconda volta che succede. Seconda.»
Il tono era più basso, ma più carico. Di fastidio. Di tristezza.
«Io…»
«No, davvero, Joe. Lascia stare.»
Si passò una mano tra i capelli, nervosa. «Hai sempre questa scusa pronta. Ma non è solo questo. È che non mi prendi sul serio. È chiaro.»
Mi avvicinai un po’. «Non è vero… dai, ti prego…»
Lei si voltò verso di me, con un mezzo sorriso amaro. «Avevi così tanta voglia di farlo con me, eh? Così tanta che li hai finiti con un’altra. O li hai lasciati lì perché tanto sapevi che con me non ne avresti avuto bisogno?»
Colpo basso.
Non sapevo cosa dire. E mi faceva male vederla così. Con quegli occhi lucidi, ma duri.
«Cavolo, Raffaella… io… non volevo farti sentire così.»
Lei annuì, come se volesse dire “sì, lo so, ma non cambia”.
Fece un passo indietro.
Poi un altro.
«Buonanotte, Joe.»
E mi lasciò lì, col desiderio ancora vivo, il senso di colpa che saliva…
e la sensazione netta di aver perso qualcosa di più di un’occasione.
Lasciai andare Raffaella. Aveva bisogno di spazio. E io, in quel momento, non avevo parole abbastanza forti per fermarla.
Uscì dal vicolo decisa, quasi a voler cancellare tutto quel momento coi suoi passi, mentre io rimasi lì, incollato all’asfalto, col cuore che rimbombava nel petto e la testa piena di errori.
Mi incamminai.
Di nuovo.
Come se non avessi già macinato abbastanza chilometri quella sera.
La città, ormai addormentata, sembrava voler sussurrare qualcosa, tra i lampioni sbiaditi e le finestre spente.
E io ascoltavo. Camminavo e ascoltavo.
Ripensavo a tutto. A Giada. A quello che era successo. A quello che non era successo.
Ma soprattutto a Raffaella.
Alla sua voce che tremava, al suo viso ferito, al modo in cui si era chiusa.
Lei non voleva solo scopare.
Non era solo gioco.
Mi voleva davvero. E voleva che io la volessi allo stesso modo. Che fossi presente, coinvolto. Non uno che si lascia portare dalla corrente.
E il punto era che… a me lei piaceva. Tanto.
Forse più di quanto fossi pronto ad ammettere, anche a me stesso.
Mi fermai.
Guardai il cielo.
Poi sorrisi, amaro. Avevo fatto un casino. Ma forse non era tutto perduto.
Così presi una decisione.
Sarei andato da lei, quella notte stessa, a scusarmi.
Sul serio.
A guardarla negli occhi e dirle che non volevo perderla.
Ma prima…
Prima dovevo fare una tappa importante.
Una che non potevo rimandare.
poco dopo.
Raffaella aprì la porta lentamente, in pigiama, con gli occhi segnati dalla stanchezza e l’orgoglio ancora ben sveglio.
«Vattene, voglio dormire», disse secca, senza neanche lasciarmi parlare.
Ma poi alzò lo sguardo.
E mi vide.
Le gocce di sudore sulla fronte, la maglietta incollata al petto, i capelli umidi, lo sguardo deciso.
Avevo corso. Eccome se avevo corso.
«Non è vero che non ti voglio», dissi, ansimando ancora un po’. «E non è vero che non ti prendo seriamente.»
Allora infilai la mano in tasca e iniziai a tirare fuori. Uno. Due. Tre. Sette pacchi di preservativi, messi insieme in fretta, tutti uguali ma diversi, come se fossero diventati un gesto, un simbolo, una promessa.
Lei rimase immobile, sgranò gli occhi, col respiro che si spezzava.
Io continuai: «Ho fatto una corsa fino alla macchinetta dall’altra parte della città. E non perché avevo fretta di farlo. Ma perché voglio farlo con te. Voglio stare con te. Tutta la notte, Raffaella. Davvero.»
La sua bocca si aprì appena, sorpresa. Poi la vidi che stringeva le labbra, quasi per non lasciarsi andare.
Ma nei suoi occhi qualcosa si sciolse.
Un sorriso, piccolo, le nacque negli angoli.
E senza dire una parola… mi fece entrare.
«Quindi…» disse Raffaella incrociando le braccia, mentre osservava il mucchietto di confezioni sul tavolino con un sopracciglio alzato. «Sette pacchi di preservativi? Stiamo per fare una maratona di sesso o tenti un record mondiale?»
Sorrisi, un po’ goffo, ma fiero.
«Mi sto solo portando avanti. Sai com’è… se cominciamo a usarli a due a due, non vorrei mai rimanere senza di nuovo.»
Lei scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Dio, sei un cretino…»
Feci un passo verso di lei, più vicino, e dissi con tono basso e provocante:
«Oh, quindi ammetti che pensavi di usarli tutti stanotte?»
«Mai detto il contrario», mi rispose mordendosi il labbro.
Poi la guardai, serio per un attimo.
«Posso farmi una doccia prima? Cioè… sono un disastro, sembro appena uscito da una partita di calcetto sotto il diluvio.»
Lei fece una smorfia finta schifata. «In effetti… sì, puzzi un po’.»
Poi si avvicinò, si infilò tra le mie braccia e sussurrò all’orecchio:
«Ma cavolo no, la doccia la facciamo insieme. Ti pare che aspetto tutto questo tempo e poi ti lascio andare via da solo sotto l’acqua?»
Mi baciò il collo e io sentii già la pelle accendersi.
«Allora muoviamoci…» dissi piano.
«Sì… ma uno di quei sette adesso portalo con te.»
«Ne prendo due, va’… non si sa mai.»
nella doccia.
L’acqua calda scivolava sulle nostre pelli mentre la cabina della doccia si chiudeva alle nostre spalle. Le mani si cercarono subito, come se aspettassero quel momento da sempre. Le sue labbra si incollarono alle mie in un bacio famelico, pieno di desiderio represso, mentre le spingevo dolcemente la schiena contro il vetro appannato. Le mie mani affondarono nei fianchi, poi scivolarono giù a stringerle il culo, sodo e perfetto, mentre lei gemeva appena, ansiosa, lasciandosi toccare.
Il vetro vibrava lievemente sotto i nostri corpi bagnati, tra i rivoli d’acqua e il vapore che ci avvolgeva. Raffaella iniziò a insaponarmi con gesti lenti, quasi cerimoniali. Partì dal petto, accarezzandolo con le mani piene di schiuma, poi scese lungo l’addome, seguendo la linea dei muscoli tesi, finché non raggiunse il punto in cui la mia eccitazione era ormai incontenibile. Mi guardò con un sorrisetto soddisfatto e, senza fretta, cominciò a massaggiarmi lì, tra le gambe, accarezzandomi con dita sapienti, umide di sapone e desiderio.
«Vedi che non avevo dubbi? Ti voglio così… pronto solo per me», sussurrò, la voce roca.
Non ce la facevo più. Le sollevai una gamba, facendole poggiare la pianta del piede contro la parete scivolosa, mentre le nostre pelli scottavano a contatto. Con una mano le tenevo la coscia alzata, con l’altra la guidavo contro di me, iniziando a strofinarmi piano sulla sua intimità bagnata, calda, pulsante, ancora chiusa ma accogliente. Lei ansimava, le mani aggrappate al mio collo, e lasciava che ci muovessimo insieme, avanti e indietro, in un crescendo lento e sensuale.
«Fammi entrare…» le dissi contro le labbra, con la voce impastata di desiderio.
Lei annuì appena, mordendosi il labbro.
«Metti quel preservativo… uno dei sette. Ma fallo in fretta, sto impazzendo.»
Aprii il primo pacco con le mani tremanti, ancora bagnate, mentre l’acqua continuava a scorrere calda e incessante su di noi.
«Cavolo…» mormorai vedendo che dentro ce n’erano almeno una decina. «Forse sette pacchi erano troppi…»
Lei rise piano, il viso arrossato, i capelli zuppi che le si appiccicavano alle guance.
«Hai paura di stancarti?» mi stuzzicò, sollevando di nuovo la gamba per poggiarla al vetro. «Perché io no.»
Sfilai il primo, lo aprii con i denti e lo srotolai in fretta, senza riuscire a toglierle gli occhi di dosso. La tensione era così alta che quasi non respiravo.
«Hai idea di quanto ti desidero?» le dissi, guidando la punta contro di lei.
«Dimostralo.»
Entrai piano, mentre l’acqua scendeva su di noi come una pioggia bollente. Lei si aggrappò alle mie spalle, il corpo che tremava appena, e un gemito basso le sfuggì dalle labbra non appena fui completamente dentro. Era calda, stretta, accogliente. Un paradiso umido e bollente in cui mi perdevo a ogni spinta.
Il rumore dell’acqua si mescolava ai nostri sospiri, ai respiri rotti, al suono sordo del vetro che vibrava a ogni affondo. Muovevo i fianchi con ritmo costante, sentendo il suo corpo rispondere perfettamente al mio.
«Oh Dio, così…» sussurrava lei, lasciandosi andare del tutto, mentre le mie mani la tenevano forte e la mia bocca le baciava il collo, la mandibola, le labbra socchiuse.
Il piacere cresceva ad ogni movimento, come un’onda che non voleva arrestarsi. E in mezzo al vapore, ai corpi bagnati, e a quei gemiti leggeri ma continui… il mondo si ridusse a quell’istante: io, lei, e il fuoco sotto l’acqua.
Le mie mani scorrevano su di lei come se volessero imparare ogni curva a memoria, accarezzandole il ventre, poi risalendo piano a stringerle il seno, pieno e teso sotto le dita. Lei gemette appena, muovendosi contro di me con lentezza, ma sempre più fame.
«Non smettere…» sussurrò ansimando, con le labbra socchiuse e gli occhi socchiusi dal piacere.
La mia bocca tornò sulla sua, ci baciammo con foga, con dolcezza e bisogno insieme, mentre continuavo a spingere dentro di lei, in profondità, sentendo ogni singolo battito dei nostri corpi fondersi.
Il vetro della cabina tremava sotto la spinta delle sue scapole, le sue mani si serravano sulle mie spalle e poi nei miei capelli. Le baciai il collo, scendendo sul seno, lasciando che l’acqua scivolasse su di noi mentre la mia lingua lo accarezzava, provocandole un fremito.
Lei avvolse le gambe attorno ai miei fianchi, spalancandosi completamente alla mia penetrazione, e ogni mio movimento la faceva gemere, piccole vibrazioni che le sfuggivano tra i denti e si confondevano col rumore dell’acqua.
La sentivo tremare, contrarsi intorno a me, pronta a lasciarsi andare, e la guardai negli occhi, il viso arrossato, bagnato, meravigliosamente perso.
«Sto… sto per venire…» mormorò con voce rotta, le unghie leggere sulla mia schiena.
«Vieni con me» le sussurrai piano, rallentando appena, poi di nuovo dentro con forza. Lei si lasciò andare, la testa reclinata all’indietro, un gemito più forte che le sfuggì senza filtri. E io la seguii subito dopo, stringendola forte contro di me, la fronte sulla sua, la pelle che bruciava sotto il getto d’acqua.
Restammo così, abbracciati, ansimanti, i corpi incollati e le gambe che tremavano, con l’acqua calda che ci lavava via tutto il resto.
Non ne avevamo abbastanza.
Appena usciti dalla doccia ci asciugammo in fretta, senza badare troppo ai capelli ancora gocciolanti o ai vestiti lasciati lì, in un angolo. Le nostre mani si cercavano di continuo, come se stessero ancora rincorrendo il tempo perduto, e rivestirsi non aveva davvero senso.
Entrammo nella sua camera, ancora col respiro spezzato, e lei salì sul letto con uno sguardo che era una provocazione dolcissima e spietata insieme. Si mise a quattro zampe, voltandosi a guardarmi da sopra la spalla, le labbra dischiuse, i capelli bagnati che le scendevano sulle scapole nude, e quel suo fondoschiena che sembrava chiamarmi, lentamente ondeggiando. Lo fece apposta. Per mostrarsi. Per accendermi.
«Che aspetti?» sussurrò, con voce roca e impaziente.
La vista di lei così, con l’intimità appena accennata tra le cosce e la schiena arcuata, mi fece tremare le mani mentre prendevo un altro preservativo. Lo aprii con foga, ma cercando di mantenere il controllo, e poi mi avvicinai a lei, poggiando le mani sui suoi fianchi. La sua pelle era ancora calda d’acqua e desiderio. Mi guidò dentro di lei con un piccolo movimento del bacino, decisa, e in un attimo ci trovammo uniti di nuovo.
Il ritmo fu lento all’inizio, come se volessimo goderci ogni millimetro, ogni respiro. Le mani le scivolarono lungo le lenzuola, e io mi chinai su di lei per baciarle le spalle, carezzarle il seno da sotto, sentire il cuore batterle in petto. I suoi gemiti, dolci e bassi, si mescolavano ai miei sospiri, alle parole spezzate che ci scambiavamo.
Ogni spinta, ogni carezza, ogni bacio era carico di quella fame che ci teneva incollati da ore. Il piacere saliva, in un crescendo di sensazioni sempre più forti. I nostri corpi si muovevano in perfetta armonia, avvolti dal buio e dal respiro caldo dell’estate.
E in quel momento, con le sue mani strette al cuscino e la mia fronte appoggiata alla sua schiena, capii che non era solo sesso.
Il ritmo si fece via via più deciso. I nostri corpi si rincorrevano con crescente urgenza, mentre le mie mani scivolavano sui suoi fianchi per guidarla, per tenerla stretta a me, come se potessi affondare più a fondo solo abbracciandola con più forza.
Raffaella gemeva piano, con quel suono sincero e roco che mi faceva impazzire, il viso affondato nel cuscino e le gambe che iniziavano a tremare sotto di me, cedendo a poco a poco.
«Non ce la faccio…» sussurrò, senza fiato, tra un singhiozzo di piacere e l’altro.
La sentivo cedere davvero, le ginocchia molli e i muscoli delle cosce che si contraevano senza controllo. La presi sotto le braccia e la tirai a me, stringendola mentre lei si lasciava andare contro il mio petto. Le sue mani cercavano le mie, le intrecciò mentre io continuavo a muovermi dentro di lei, più forte, più profondo.
Poi la voltai con delicatezza, facendola stendere supina sotto di me. I suoi occhi mi guardavano lucidi, il petto che saliva e scendeva rapido, la bocca socchiusa in attesa. La presi tra le mani e la baciai lentamente, mentre entravo di nuovo, stavolta guardandola negli occhi. Le sue gambe si sollevarono attorno alla mia vita, incastrandosi perfettamente, come se fossero fatte per tenermi lì.
«Così…» ansimò lei, graffiandomi la schiena con unghie leggere.
Cominciammo a muoverci di nuovo, più intensamente, senza più freni. I gemiti si fecero più forti, la stanza piena di respiro e desiderio. La baciavo ovunque, sulle labbra, sul collo, sul petto che si muoveva a ritmo con il mio bacino. Le sue mani mi tiravano a sé, mi accoglievano, mi chiedevano di non fermarmi.
Ogni cambio di posizione era istinto, bisogno, fame. La sollevai, la strinsi sulle mie ginocchia mentre la sentivo affondare e stringersi, poi di nuovo sdraiata con le caviglie sulle mie spalle, mentre la sua voce si faceva più acuta e tremante. Si avvinghiava a me, si lasciava attraversare, e io sentivo tutto: il suo calore, il suo piacere, la sua resa completa.
E ogni volta che pensavo fosse troppo… lei ne voleva ancora.
La pelle bagnata di Raffaella sotto le mani mi mandava fuori di testa. Le sue gambe strette attorno al mio bacino, la schiena premuta al vetro, il respiro caldo contro la mia bocca. Le nostre lingue che si rincorrevano tra un bacio e l’altro, le mie mani che le stringevano il culo sodo con forza.
«Cazzo, quanto sei bella» mormorai tra i denti, affondando il viso nel suo collo mentre lei gemeva piano.
«E tu quanto sei duro… mi stai facendo impazzire» sussurrò, aggrappandosi ai miei capelli.
Le baciai il seno, lentamente, mentre l’acqua ci scivolava addosso. I suoi capezzoli erano tesi, perfetti, e lei si muoveva leggermente contro di me, cercando più frizione, più contatto, più tutto.
«Sai da quanto aspetto questa notte?» le chiesi, guardandola negli occhi.
«Allora fammi godere, Joe. Fammi dimenticare tutto.»
afferrai il pacco di preservativi in fretta.
«Minchia, quanti sono ancora…» dissi ridendo mentre ne prendevo uno.
«usarli tutti sta diventando sempre più impossibile» disse con un sorrisetto malizioso.
«Se riesci a starmi dietro, sì.»
Lei rise piano, mi baciò sulle labbra e mormorò: «Io ti stacco l’anima, stai attento.»
La presi di nuovo, spingendomi dentro di lei con un gemito strozzato. Il suo corpo tremava, le sue mani graffiavano la mia schiena, i suoi gemiti si mescolavano al suono dell’acqua che continuava a colarci addosso.
«Dio… sì… così…» ansimava, mentre le baciavo la bocca, il collo, i seni, senza smettere di muovermi.
«Ti sento tutta… sei così calda, Raffa… così mia» le sussurrai all’orecchio.
«Spingi… fammi urlare, ti prego…»
E io lo feci. Le mani le afferravano il seno, il bacino si muoveva deciso, animalesco. Lei gemeva forte, rideva e gemeva allo stesso tempo, in quel modo unico che aveva, con la voce roca e gli occhi socchiusi.
«Joe… cazzo, sto… sto venendo…» gridò.
«Vieni con me… vieni adesso…»
E venimmo insieme, mentre i nostri corpi si piegavano, mentre i muscoli si tendevano e poi crollavano l’uno sull’altro, esausti, storditi, sporchi, felici.
Uscimmo dalla doccia, ci asciugammo in fretta, senza nemmeno badare ai capelli o ai vestiti.
«Dove vai?» mi chiese, nuda, appoggiata al letto.
«Da te» risposi. Lei si girò e si mise a quattro zampe, il culo all’insù, guardandomi sopra la spalla.
«Allora vieni. Ma stavolta non avere pietà.»
«Zero pietà» risposi, salendo sopra di lei, baciandole la schiena, leccandole le scapole, le afferravo i fianchi e la sentivo vibrare.
E ricominciammo. Tra mani sul seno, labbra sul collo, respiri mozzati, gambe che tremavano e piacere che saliva di nuovo, sempre più forte, più deciso, più nostro. Cambiavamo posizione senza nemmeno pensarci, guidati solo dal desiderio. Le sue mani sul mio petto, le mie sul suo sedere, le bocche incollate, il cuore che batteva all’impazzata.
Fino al climax, urlato, totale, devastante.
Raffa si lasciò cadere sul letto, ancora in preda agli ultimi brividi.
«Joe… mi hai spaccata.»
Mi stesi accanto a lei, ancora dentro, il respiro lento, la pelle appiccicata alla sua.
«Siamo solo all’inizio, Raffa.»
Lei rise, poi si girò e mi baciò piano. Ci stringemmo nudi, stanchi e felici, e ci addormentammo così. Due corpi sfatti, due anime colme. E sette pacchi da finire.
Mi svegliai lentamente, ancora appiccicato al letto, sudato, spossato… felice. La pelle calda sotto il lenzuolo, il profumo di Raffaella ovunque addosso. Le lenzuola erano un groviglio di corpi e notte, e il mio cervello ancora non si era acceso del tutto.
«Buongiorno, marmellatino.»
La sua voce mi arrivò come un sussurro peccaminoso. Aprii un occhio e la vidi lì, nuda, seduta accanto a me, con le gambe piegate e una mano che già accarezzava la mia pancia con fare malizioso.
«Mmm… che ore sono?» biascicai, ancora immerso nel torpore.
«Non ti preoccupare delle ore» disse, baciandomi piano il petto. «Preoccupati di me… e del fatto che ho ancora le gambe che mi tremano da ieri sera.»
«Stai cercando di sedurmi alle sette del mattino?»
Lei rise, poi si sporse e mi sussurrò all’orecchio: «Non è colpa mia se ti svegli così sexy… e così duro.»
Solo allora mi resi conto che sì, avevo un’erezione che avrebbe potuto abbattere una porta.
«Dio mio… Raffa…» mormorai, mentre lei scivolava con la lingua lungo il collo. «Sei un incubo erotico a cielo aperto.»
«Già. E tu dormi nel mio letto, quindi sei fottuto.»
«Letteralmente.»
Lei scoppiò a ridere e si strusciò contro di me, calda, morbida, sfacciata.
Fu in quel momento che guardai l’orologio sul comodino.
Silenzio.
Poi: «CAZZO!»
Mi alzai di scatto come un pazzo.
«Sono le 9:27! Dovevo essere connesso alle 9 per lavorare!»
Raffaella scoppiò a ridere mentre cercavo freneticamente di recuperare i pantaloni.
«Ma come, prima il sesso maratoneta e ora mi abbandoni così?»
«Sei pericolosa per la mia produttività, Raffa. Sei tipo un virus informatico in forma di gnocca.»
«Bella questa, la userò!» gridò mentre rideva, appoggiandosi allo stipite nuda, con quel sorriso irresistibile.
Mi allacciai le scarpe senza calzini, presi la maglietta al volo e la baciai sulle labbra, di fretta ma con trasporto.
«Ci sentiamo, ok? E… grazie per la notte più incredibile della mia vita.»
«Ne abbiamo ancora sei pacchi, Joe. Torna quando vuoi.»
Mi voltai di scatto e uscii, mentre lei rideva, nuda sulla soglia, e io con l’erezione nascosta male dai pantaloni, correvo verso casa.
Dove mia madre mi aspettava con domande. E il mio capo con una chiamata. Fantastico.
Mi lanciai sulla sedia davanti al computer ancora in canottiera e con i capelli bagnati, mi connessi appena in tempo. Nessuna mail di fuoco, nessuna chiamata dal capo, nessun inferno informatico. Miracolosamente salvo.
Sospirai e mi lasciai cadere contro lo schienale. Il mio corpo era un misto di stanchezza, piacere e postumi da maratona sessuale. Mi sentivo come se avessi fatto tre giorni di palestra, eppure sorridevo.
Poco dopo, bussò mia madre.
«Joe, senti un po’…» iniziò, con la solita voce polemica del lunedì. «Io vorrei lamentarmi con quella ragazza nuova che vive sopra. Quella che urla la notte. Sembra che stiano girando un porno in diretta alle tre. Si sente tutto!»
Sgranai gli occhi e tossii per nascondere un sorriso colpevole.
«E tu? Dove cavolo eri ieri notte?»
«Ho dormito da un amico.»
«Che amico?»
«Uno… nuovo.»
Lei strinse gli occhi, sospettosa, ma non disse altro. Mi salvò una chiamata in entrata sul telefono. Grazie, mondo.
Mi voltai verso lo schermo per iniziare finalmente la mia giornata lavorativa. Tastiera sotto le dita, mente annebbiata, ma pronto a rimettermi in riga.
O almeno ci stavo provando, quando…
Bling.
Una notifica.
OnlyFans. Reika.
“Video in anteprima per te. Ma ho bisogno di parlarti di nuovo. Ti va di vederci stanotte?”
E quasi in contemporanea:
Whatsapp. Alice.
“Sei ancora vivo? Mi sento uno schifo per l’altra sera… però ho pensato a una canzone che potremmo suonare insieme. Ti va?”
Mi appoggiai allo schienale e guardai il soffitto.
Due messaggi, due ragazze, due universi completamente diversi. E io lì, in mezzo, ancora sudato… e in ritardo su tutto.
Ma ehi, almeno la settimana prometteva bene.
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