Giochi Proibiti in Famiglia

Capitolo 5 - La piscina si scalda

Asiadu01
2 days ago

Non avevo mai visto Gabriella così.

C’era silenzio dopo quella frase di Federica, un silenzio carico, denso, che sembrava quasi appannare il vetro delle luci soffuse attorno alla vasca.

Gabriella era rimasta ferma, con il bicchiere a mezz’aria, lo sguardo altrove. Poi sbuffò, fece una risatina nervosa e disse:

 “Dai… è solo un gioco, no?”

Ma non era convinta. Lo capii dal tono.

Sembrava più che altro lo stesse dicendo a se stessa, come se dovesse superare un confine che conosceva fin troppo bene.

Gabri si alzò lentamente dall’acqua, facendola scorrere sul suo corpo.

le sue mani tremarono appena mentre si portarono dietro al collo e poi alla schiena, per sciogliere il nodo del pezzo di sopra.

Lo fece in silenzio. Con lentezza.

Il tessuto bagnato aderiva alla pelle e poi scivolò giù, lasciando che i suoi seni rimbalzassero leggermente per effetto del movimento.

Li avevo già visti, sì, di notte.

Lei dormiva.

E ora, invece, erano lì. Nudi, vivi.

E lei era sveglia. Presente.

E, in qualche modo, consenziente.

Li coprì con le braccia quasi d’istinto, ma troppo tardi per impedirmi di imprimere quella visione nel profondo della mia memoria.

Poi si chinò un po’ e sfilò anche lo slip sotto la superficie.

Un gesto unico, deciso. Quasi liberatorio.

E si risistemò a sedere, immersa di nuovo nell’acqua calda, con l’acqua che tremava ancora attorno a lei.

Cercò di sorridere, ma lo sguardo era basso, sulle sue ginocchia.

Io ero teso.

In tutti i sensi.

Il cuore martellava nel petto e altrove.

Mi girai di scatto per non fissarla, per non farmi beccare.

Ma Federica, accanto a me, rise piano.

Il suo piede nudo trovò il mio sotto l’acqua.

E risalì un po’ più in su.

“Che spettacolo, eh fratellino?” sussurrò, con un tono che sembrava una carezza.

Poi aggiunse, a voce più bassa ancora:

“Pensa se sapesse cosa hai fatto guardandola…”

Deglutii, senza riuscire a parlare.

Avevo la pelle in fiamme.

E la serata… non era neanche iniziata davvero.

Il vino era finito ormai da un po’, ma Federica, come sempre, aveva pensato a tutto.

«Ok, bambini miei…» disse, sollevando una bottiglia che non avevo mai visto. L’etichetta recitava “ron dominicano” e aveva un colore ambrato che prometteva disastri. «Adesso si fa sul serio. Niente più mezze misure. Se rifiuti l’obbligo, bevi un bicchiere intero. E intendo intero.»

Gabriella scoppiò a ridere, con quell’aria da “non ci credo che sto facendo questa cosa”, ma non si tirò indietro. Anzi, si appoggiò al bordo della vasca, con i capelli bagnati attaccati al viso e le braccia che, nonostante tutto, cercavano ancora di coprirle il seno. Invano, a dire il vero.

Io cercavo di non fissarla troppo, ma non era facile. Il suo corpo immerso, le curve che l’acqua sembrava accarezzare, e quegli sguardi sfuggenti che ogni tanto si incrociavano coi miei… Dio.

Federica si girò verso di me con un sorriso complice. «Comincio io. Gabri, massaggia un po’ le spalle al nostro Ale. È teso. Glielo leggo in faccia.»

Gabriella sbuffò, sorridendo con imbarazzo. «Ma dai, davvero?»

«Regole del gioco. E guarda che se non vuoi…» le mostrò il bicchiere.

«No, no… ok.»

Gabriella si avvicinò lentamente, scivolando accanto a me. Si mise alle mie spalle, e con le sue mani ancora un po’ tremanti, forse per l’alcol, forse per l’imbarazzo, iniziò a toccarmi le spalle nude. La sua pelle era calda, morbida. Le dita esitavano, ma ogni tanto premevano un po’ di più, e il suo respiro mi sfiorava il collo.

Il mio cuore batteva troppo forte.

Federica sorrideva, ma non disse nulla. Stava osservando tutto con l’aria di chi si sta godendo uno spettacolo privato.

Poi toccò a me.

«Obbligo o verità?» chiese Gabriella, ancora con le mani sulle mie spalle.

«Obbligo», dissi subito. Non avrei mai scelto altro.

Lei guardò Federica, indecisa.

«Dai Gabri, fallo tu. Qualcosa di tranquillo per cominciare», la incalzò lei.

Gabriella sembrò pensarci un attimo, poi prese un sorso di rum e mi guardò.

«Allora dimmi… chi preferisci vedere nuda tra me e Federica?»

Quella domanda mi colpì come un pugno. Eppure fu lei a farla.

«Eh…» cercai di ridere. «Non si può dire.»

«No no no. O lo dici, o bevi tutto», disse Federica, porgendomi il bicchiere. Aveva gli occhi che brillavano.

«Gabri…» mormorai. Lei mi fissava, in attesa. E sembrava un po’ rossa in viso. O era il rum?

«Va bene…» deglutii. «Gabriella.»

Ci fu un attimo di silenzio. Poi Gabri rise, nascondendosi il volto con le mani.

Federica però alzò le sopracciglia. «Molto interessante. E molto coraggioso.»

Il gioco proseguì così, con sfide sempre più spudorate, ma che riuscivano ancora a restare nel sottile equilibrio tra provocazione e risata. A un certo punto Federica si sedette sul bordo della vasca, con l’acqua che le scivolava addosso e il vestito trasparente che si incollava alla pelle.

«Ale, vieni ad asciugarmi. Ma piano, eh. Come se fossi preziosa.»

Presi l’asciugamano e mi avvicinai. Gabriella alzò gli occhi al cielo, ma ridacchiava.

Passai il tessuto lentamente sul collo di Federica, poi sulle braccia, sulla schiena. Lei gemeva appena, apposta, trattenendo il respiro ogni tanto per farmi sbandare. Ma non si poteva dire che non lo stesse facendo per gioco… almeno in apparenza.

«Gabri, tocca a te», disse poi Fede, tornando in acqua. «Obbligo.»

Gabriella sospirò, già arrossita. «Ok… vai.»

Federica la fissò con un lampo negli occhi. «Bacia il collo del tuo fratellino. Ma proprio bene, con passione.»

«Sei matta!»

«Gioco o bicchiere. Scegli tu.»

Gabriella sbuffò. Poi Si avvicinò con passo esitante nell’acqua, il liquore le dava un coraggio che non era suo, ma il rossore sulle guance parlava chiaro. Gabriella si chinò verso di me, lentamente, mentre io sentivo il cuore martellarmi nel petto. Le sue labbra sfiorarono la mia pelle, umide e calde, e il suo respiro mi accarezzò l’orecchio mentre lasciava un bacio, poi un altro, e ancora uno sul lato del collo.

Non so quanto durò. Un secondo, forse dieci. Abbastanza da sentire il mio corpo reagire di nuovo, in modo evidente.

Quando si scostò appena, con quel mezzo sorriso nervoso, i suoi occhi si posarono per caso, forse,  lì sotto. Lì dove non avrebbe dovuto guardare.

Fu un attimo. La bocca si socchiuse, gli occhi si allargarono. Si raddrizzò subito, voltandosi di lato e portando una mano davanti al volto come se fosse improvvisamente colpita da un’ondata di calore.

«Oh…» fece solo quello. Un sospiro trattenuto.

Federica, che non si perdeva nulla, scoppiò a ridere.

«Beh, sorellona, direi che l’effetto è stato notevole.» Poi mi guardò, divertita. «Così timido, e poi eccitato come un ragazzino davanti al primo porno.»

«Fede!» sbottò Gabriella, coprendosi istintivamente il viso con le mani. «Ma smettila…»

«Che c’è?» rise ancora lei, passandosi l’acqua tra i capelli con lentezza. «Dai, Ale non è un bambino. E tu non puoi far finta di niente dopo che gli hai baciato il collo nuda. Certe reazioni… sono inevitabili.»

Io non dissi nulla. Avevo l’acqua fino al petto, ma non abbastanza per nascondere l’evidenza. E sentivo il sangue in ogni centimetro della pelle.

Gabriella sembrava combattuta tra il ridere e l’annegare nell’imbarazzo. Alla fine scrollò la testa, prese il bicchiere, e bevve un altro sorso.

«Facciamo andare avanti questo gioco, prima che diventi troppo strano…» disse con voce un po’ tremante.

Federica, però, aveva già vinto un’altra piccola battaglia. E io… io non riuscivo a togliermi quell’immagine dalla testa.

Fu Federica a proporlo.

«Ragazzi, fuori. Troppa afa. Se no ci sveniamo davvero dentro», disse, passandosi una mano fra i capelli umidi e lanciando uno sguardo malizioso a entrambi.

Gabriella, brilla e un po’ assente, annuì piano. Io mi limitai a seguirle, mentre salivamo sui teli sparsi sul pavimento del terrazzo. L’aria della sera era tiepida, piacevole sulla pelle ancora bagnata.

Ci sistemammo fuori dalla vasca, con i corpi caldi e la pelle umida che brillava sotto le luci soffuse del terrazzo. Federica sbuffò con un sorriso complice:

«Qui si respira meglio, là dentro si cuoceva… ma il gioco continua, giusto?»

«Tocca a me,» disse Gabriella, ancora con le guance arrossate, forse per il vino, forse no. Guardò Federica con aria di sfida. «Obbligo.»

Federica sorrise con la solita aria da “provami”.

Gabri pensò un attimo. Poi, con un lampo di coraggio misto a vendetta:

«Toccati. Davanti a noi.»

Un momento di silenzio. Poi Federica rise.

«Così, proprio dritto al punto?»

Gabriella alzò le spalle. «Hai detto che non ti vergogni…»

Federica non perse tempo. Si sdraiò sulla schiena, divaricò leggermente le gambe e cominciò a toccarsi con lentezza, quasi danzando sul proprio respiro. Il suo corpo nudo brillava sotto la luce fioca. Io cercavo di non fissarla, ma era impossibile. Ogni sua mossa era studiata per eccitarmi.

Federica si era appena sdraiata e toccata davanti a noi, senza il minimo pudore, con quel modo tutto suo di trasformare ogni gesto in un invito. Avevo la gola secca e lo sguardo in fiamme. E a giudicare da come Gabriella stringeva il bicchiere vuoto, non ero l’unico a essere andato un po’ oltre il confine del “gioco”.

Gabriella allora si schiarì la voce, cercando di sembrare più ironica che infastidita.

«Beh, Ale, goditi lo spettacolo. Certe scene non ricapitano due volte.»

Tentai una risata, ma il battito che sentivo nel petto era troppo veloce per sembrare divertito.

Federica si sistemò meglio sul telo, con l’aria di chi stava per sganciare la bomba.

«Obbligo per Gabriella…» disse, sorseggiando ancora un dito di tequila. «Siediti sopra Ale. Davvero sopra, gambe aperte, senza quel telo di mezzo. Fagli sentire cosa si prova ad avere una donna vera addosso.»

Gabriella la fissò, gelata.

«Ma sei fuori di testa.»

Federica rise. «Dai, è solo un gioco. O vuoi che mi sieda io un’altra volta?»

«No!» rispose d’impulso Gabri, già più brilla che lucida. Guardò me. Io ero rigido, immobile, con il cuore che batteva come un tamburo.

Dopo un attimo di silenzio, con uno sbuffo nervoso, Gabriella scostò il telo, si alzò e venne verso di me, nuda, i capelli bagnati che le cadevano sulle spalle. Aveva lo sguardo strano, sospeso tra sfida e imbarazzo.

Si inginocchiò lentamente sopra di me e poi si abbassò, poggiandosi al mio bacino.

La sua pelle calda contro la mia, le sue cosce che mi chiudevano dentro.

Non osavo muovermi.

Federica rise, eccitata. «Ecco. Così. Dai Gab… muoviti un po’. Tanto non state facendo niente di male, no?»

Gabriella non rispose, ma cominciò lentamente a ondeggiare il bacino. Piano. Una, due, tre volte. Il suo respiro cambiò, i seni che rimbalzavano appena, la fronte che si abbassava. Il suo corpo tremava leggermente, e anch’io. Mi sentii crescere contro di lei.

Gabri emise un mezzo sospiro, strozzato, e poi si bloccò.

Si tirò su di scatto, come se fosse stata bruciata.

«Basta!» esplose, voltandosi verso Federica con uno sguardo carico di rabbia. «Ma ti rendi conto di che cazzo stai facendo?!»

Federica la guardò calma, divertita.

«Sto solo aiutandoti a ricordare che sei viva.»

«Aiutarmi? Mi stai mettendo in mezzo a un gioco malato con mio fratello…»

«il tuo fratellino forse apprezza» le disse  Federica, con un sorrisetto.

«Ma che differenza fa?!» urlò Gabriella. «è mio fratello, l’ho visto crescere e ora me lo ritrovo nudo sotto di me perché tu pensi che sia divertente?»

Federica si alzò, più seria.

«Io penso che sei infelice. E repressa. E che se ti ha toccata l’anima quel momento lì, non è colpa mia. È che ti manca sentirti viva. E lui… beh, lui ti guarda come se tu fossi tutto.»

Gabriella si voltò verso di me, gli occhi lucidi.

«Tu… tu non hai detto nulla.»

Io ero senza parole. Immobilizzato tra la vergogna, l’eccitazione e la confusione.

Lei scosse la testa e afferrò il telo.

«Mi avete fatto sentire sporca. Siete due stronzi.»

E se ne andò, sparendo dentro casa, lasciandoci lì, nel buio del terrazzo, immersi nel silenzio rotto solo dal rumore lontano dell’acqua.

Restammo in silenzio per qualche secondo, ancora scossi dall’esplosione di Gabriella. Il rumore della porta che si chiudeva dietro di lei sembrava aver tagliato l’aria. Io fissavo il punto in cui era sparita, con addosso ancora il calore della sua pelle.

«Forse… forse stavolta siamo andati un po’ troppo oltre,» dissi piano, ancora nudo sul telo, cercando di non incontrare lo sguardo di Federica.

Lei sbuffò. «Oltre cosa, Ale? Oltre un gioco? Oltre una verità che lei non ha il coraggio di guardare in faccia?»

Mi voltai verso di lei. Il suo viso era cambiato. C’era ancora quella sensualità disarmante, ma ora era mescolata a qualcosa di più duro. Fastidio. Frustrazione.

«Era… scossa,» provai a dire.

«Scossa?» rise secca. «Gabriella è sempre scossa, sempre fragile, sempre in crisi, e io dovrei camminare in punta di piedi ogni volta? No Ale, non stasera. Non stavolta.»

Mi sentivo trascinato tra due mondi. Dentro di me c’era ancora la confusione del suo corpo su di me, della sua voce che tremava, della mia eccitazione che non voleva sparire. Ma c’era anche un senso di colpa sottile, una voce che sussurrava che forse avevamo fatto qualcosa che non avremmo dovuto.

Federica si alzò in piedi, nuda, senza vergogna, e prese un telo al volo.

«Sai che c’è?» disse voltandosi verso la porta. «Vieni con me. Scendiamo giù. Se lei vuole fare la vittima anche stavolta, si accomodi. Ma tu… tu sei mio, ricordi?»

Mi guardò con quegli occhi che non lasciavano scelta. Mi porse un telo, poi lo lasciò cadere a terra e si incamminò verso le scale interne, nuda come una dea in rivolta.

E io, senza sapere se stavo sbagliando, la seguii.

Entrammo nella camera di Gabriella una dopo l’altra. La porta si richiuse piano, ma l’atmosfera dentro era tutt’altro che calma.

Federica incrociò le braccia, le labbra strette in un sorriso che era tutt’altro che divertito. «Complimenti, Gabri… hai rovinato tutto.»

Gabriella era in piedi, con il telo ancora stretto addosso e gli occhi lucidi. «Rovinato? Ma ti rendi conto di quello che stavamo facendo? Di quello che mi hai fatto fare?»

«Ti ho solo fatto uscire dal guscio. Da quel blocco mentale in cui ti sei infilata da anni,» ribatté Federica, alzando appena la voce. «Lo so io quanto ti manca. Quanto sei vuota. Quanti sabati sera passi a far finta che vada tutto bene con uno che nemmeno ti guarda più.»

Gabriella la guardò, ferita. «E quindi la tua soluzione sarebbe… giocare con lui? Con Ale? Davanti a te?»

Federica sbuffò e si voltò un secondo verso di me. «Lo stiamo già facendo. E sai perché? Perché lui ti desidera da una vita, Gabri. E tu… tu fai finta di non accorgertene, ma lo senti eccome. Ti fa paura, ti eccita, ti manda in confusione.»

Gabriella scosse il capo, ma i suoi occhi parlavano più delle sue parole. «Io non… non posso. Non così.»

«E allora inizia a chiederti perché ti sei strusciata su di lui, nuda, ansimando contro il suo petto, con quegli occhi che gridavano “tocca ancora”.» Federica le si avvicinò, il tono più basso, più caldo. «Ti stavo aiutando. Ero pronta a fermarmi se mi avessi chiesto. Ma tu non l’hai fatto, finché non ti sei accorta che ti piaceva.»

Gabriella si strinse nel telo, mordendosi il labbro. «E allora? Io non sono come te. Non riesco a godermi certe cose senza… sentirmi in colpa. Senza pensare.»

Federica sorrise appena, ma stavolta c’era più amarezza che sarcasmo. «Io lo so bene che tu sei diversa. Ma credimi, io non lo faccio per scherzo. Lo faccio per noi. Per sbloccare qualcosa che, in fondo, anche tu vuoi.»

Gabriella trasalì, il cuore in gola, ma non parlò. Restò lì, a respirare piano, tra orgoglio ferito e un desiderio che non riusciva a cancellare.

Io ero immobile. Incollato a quella scena, alle loro parole, ai loro sguardi. Non sapevo se dovevo parlare o aspettare… ma il mio corpo rispondeva già.

Federica allora si voltò verso di me, lentamente, e con un sorriso languido si avvicinò al letto. «Ora ti faccio vedere cosa succede quando qualcuno lo si vuole davvero, Gabri. Me lo prendo. lo faccio stendere e lo faccio impazzire. Con la bocca, con le mani, con tutto.»

Fece una pausa, lo sguardo di fuoco. «Lo guarderai mentre lo faccio mio. E magari… ti verrà voglia di unirti. O forse no. Ma stavolta non mi fermerai.»

Si abbassò verso di me, il respiro caldo sulla pelle. «non sai quanto volevo scoparmelo in questi giorni, ma volevo lasciarti la sua verginità. però ora me lo scoperò davanti a te.»

Gabriella restò in silenzio. Immobile. Ma quegli occhi parlavano. E gridavano.

Io deglutii, mentre il cuore mi batteva nel petto come se volesse sfondarlo.

Federica si era appena inginocchiata davanti a me, i suoi occhi brillavano di eccitazione e sfida. Mi guardava dal basso con quel sorriso malizioso che conoscevo fin troppo bene. Non serviva dire nulla: il suo sguardo faceva tutto.

Le sue dita scorsero lentamente lungo il mio ventre, poi afferrarono la mia eccitazione con una naturalezza sfacciata. Gabriella era lì, a pochi passi, nuda come noi. La sua espressione era un misto di shock, rabbia e qualcosa che non riuscivo a decifrare… forse curiosità, forse desiderio, o forse paura di sé stessa.

Federica mi provocava anche con le parole, senza mai staccarmi gli occhi di dosso:

«Chissà da quanti anni tua sorella non assapora qualcosa di così… vivo», sussurrò, pur mantenendo un tono morbido, quasi divertito.

Poi lanciò un’occhiata a Gabriella. «Tu che dici, Gab? Ti ricordi almeno com’è sentirne uno tra le labbra?»

Gabriella non rispose. Ma il suo viso era rosso, il respiro affannato, e non era solo per l’imbarazzo. Era qualcosa di più profondo, una crepa che si era appena aperta.

Io ero lì, immobile, completamente in balìa di Federica che continuava a toccarmi con lentezza, sapendo perfettamente cosa stava facendo, e cosa voleva ottenere… da entrambi.

Gabriella fece un passo indietro, ma non distolse lo sguardo. Le tremavano le mani, il respiro era corto, e capii che qualcosa dentro di lei stava crollando. Non era solo rabbia. Era il crollo di un muro che lei stessa aveva alzato.

Federica cominciò a muoversi lentamente, con la sua solita maestria. I suoi gesti non erano affrettati, ma carichi di una consapevolezza sensuale che mi travolse. La sua lingua, la sua bocca, il suo respiro caldo… Tutto contribuiva a una sensazione avvolgente, intensa, quasi ipnotica.

Chiusi gli occhi per un attimo, sopraffatto dalle sensazioni, poi li riaprii. E li trovai: quelli di Gabriella. Fissi su di me.

Lei non riusciva a guardare via. Era come paralizzata. Ma nel suo sguardo c’era qualcosa che non avevo mai visto prima. Un conflitto feroce. Rabbia. Desiderio. Forse anche un pizzico d’invidia.

Federica si fermò un istante solo per parlare, senza smettere di accarezzarmi.

«Guarda come lo sto facendo impazzire… e tu? Tu ti limiti a reprimere tutto. Ma il tuo corpo urla, Gabri. Si vede.»

Gabriella fece un mezzo passo verso di noi, poi si bloccò. Il viso rosso, gli occhi lucidi, le labbra strette.

«Sei una stronza, Federica.» sibilò, ma non se ne andò.

Io ero lì, al centro di quel turbine, senza fiato, le mani strette sui bordi del letto. Non sapevo se provare vergogna, eccitazione, o tutte e due le cose insieme.

E in quell’istante, capii: qualcosa tra noi tre era cambiato per sempre.

Il suo sguardo era fisso sul mio mentre la sua bocca si muoveva lenta, sicura, studiata. Ogni gesto era calibrato per farmi impazzire. Ogni sguardo, ogni carezza con le labbra era un colpo ben assestato al mio controllo già precario.

Federica non era semplicemente provocante. Era una maestra del desiderio. Ogni tanto sollevava lo sguardo verso Gabriella, con quel sorriso malizioso che era più una sfida che una battuta. Lo faceva apposta, lo capivo. Voleva coinvolgerla, voleva trascinarla dentro quell’onda che stava travolgendo anche me.

«Lo vedi, Ale?» mormorò, sollevandosi per un attimo e accarezzandomi il petto con la punta delle dita, bagnate e lente. «Lo senti come mi piace? Come ti sento…» La sua lingua passò lenta sulle labbra, come per assaporare ancora.

Gabriella non diceva una parola. Ma era lì. Immobile. Tesa. Come se ogni fibra del suo corpo stesse combattendo qualcosa che non poteva più ignorare.

Poi Federica si alzò, con un’eleganza lenta e predatoria. Mi prese per il mento e mi guardò come se avesse aspettato quel momento da sempre.

«Voglio che tu sia pronto. Perché adesso non ti tolgo più solo il respiro…»

Si voltò appena verso Gabriella e sussurrò: «Hai avuto la tua occasione. Io ora me lo prendo tutto.»

Mi fece stendere lentamente sui cuscini ammassati a terra, salì a cavalcioni sopra di me, i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle. Le sue mani mi afferrarono con decisione, guidandomi in una posizione inevitabile, ineluttabile. I nostri corpi si sfiorarono, incastrandosi con naturalezza, in un gioco di respiri spezzati e sguardi che parlavano più delle parole.

Mi sorrise, abbassandosi piano.

«Ora… è il momento che mi prenda la tua verginità.»