Giochi Proibiti in Famiglia
Capitolo 4 - Il barbecue in terrazzo

Era il giorno dopo. Domenica pomeriggio.
La casa era silenziosa, invasa dalla luce calda che entrava dalle finestre e si rifletteva sul pavimento. Non c’era traffico, non c’erano rumori, solo il ticchettio del mio orologio e il rumore secco della bottiglia di vino che sistemavo nel secchiello col ghiaccio.
Il terrazzo era il mio regno, per quella sera.
Avevo già controllato la griglia due volte, spazzolato i bordi dell’idromassaggio, riordinato ogni minimo dettaglio.
Sembravo un padrone di casa modello.
Ma in realtà… mi stavo preparando a una guerra.
O almeno, così mi sentivo.
Una battaglia tra le mie fantasie e quella maledetta realtà che mi obbligava a comportarmi da bravo fratellino silenzioso.
Mi sistemai con più cura del solito: t-shirt nera, un po’ aderente, pantaloncini chiari, profumo leggero. Non era niente di esagerato, ma dentro sapevo di averlo fatto per loro. Per Gabriella.
E per Federica.
Ma soprattutto per Gabriella.
Continuavo a ripensare alla sera prima, a quella scena indecente sul suo letto, e al modo in cui Federica aveva gestito tutto. Ma… era Gabriella la protagonista dei miei pensieri più sporchi.
Quel corpo da sogno. Quella pelle chiarissima, liscia, morbida. Quelle curve che sembravano disegnate da un artista perverso.
E quel seno.
Dio, quel seno.
Era una fissazione.
Lo era sempre stato, fin da ragazzino, anche se non lo avevo mai confessato a nessuno.
Era una visione. Grosso, pieno, apparentemente morbido.
Lo avevo osservato per anni da lontano, attraverso scollature, accappatoi appena chiusi, costumi da bagno messi sempre troppo bene per essere casuali.
E ora… dopo quella foto in acqua, e quel contatto della notte precedente…
Non riuscivo più a togliermelo dalla testa.
Chiudevo gli occhi e mi immaginavo a pochi centimetri da quel paradiso proibito.
Immaginavo le mani su di lei, i baci, il modo in cui mi avrebbe fermato.
O forse no.
La brace era ancora spenta.
Ma io… ero già in fiamme.
Mi appoggiai alla ringhiera del terrazzo, prendendo fiato.
Federica mi aveva detto che quella sera avrebbe avuto “un’idea interessante”. E quando lo diceva lei, non era mai una frase buttata lì.
Quella domenica sembrava normale.
Ma sapevo che non lo sarebbe stata.
Stava per iniziare qualcosa.
E io, per la prima volta… non volevo tirarmi indietro.
Stavo sistemando le ultime cose sul tavolo quando sentii la porta d’ingresso chiudersi con uno scatto secco.
Mi girai di scatto, col cuore che accelerava.
Gabriella.
Entrò senza dire nulla, come una folata di vento caldo e disturbato. Il passo deciso, lo sguardo basso.
Indossava un vestito color sabbia, aderente, un po’ spiegazzato sul fianco come se si fosse appena alzata di fretta da un divano o… peggio, da un’auto.
I capelli erano raccolti alla meno peggio, due ciocche le scendevano ai lati del viso. Il trucco leggermente sbavato sotto gli occhi faceva sembrare tutto ancora più fragile, e allo stesso tempo, incredibilmente sexy.
Aveva qualcosa di stropicciato e vivo, come dopo una lunga giornata… o dopo una discussione.
Il suo sguardo incrociò il mio solo per un istante. Poi andò dritta verso il frigo, aprì lo sportello e si versò un bicchiere abbondante di vino.
Bevve tutto d’un fiato.
Silenzio.
«Tutto bene?» chiesi piano, cercando di suonare naturale.
Lei sollevò le spalle. «Sì, sì… solo stanca.»
Poi scrollò la testa e fece per andare verso la sua stanza. «Vado a cambiarmi, ho caldo da morire.»
La seguii con lo sguardo mentre scompariva nel corridoio.
Le gambe nude sotto quel vestito corto, il fondoschiena che si muoveva stanco ma sempre ipnotico, e la curva morbida del fianco che faceva intravedere quanto poco spazio ci fosse tra il tessuto e la pelle.
Il bicchiere vuoto era rimasto sul tavolo.
Così come il profumo che si era lasciata dietro.
Un misto di vaniglia, pelle, e qualcosa di amaro.
Aveva litigato con Matteo.
Lo sapevo. Lo si leggeva nei suoi occhi, in quella voce spezzata, in quel gesto nervoso mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Avrei voluto chiederle di più.
Avrei voluto avvicinarmi, fermarla, abbracciarla, anche solo sfiorarle la mano.
Ma restai lì, fermo, come sempre.
E dentro… il conflitto.
L’attrazione. La colpa.
E quel segreto enorme che portavo cucito addosso come un peccato: Federica.
Gabriella, mia sorella.
Il mio sogno proibito.
Era a pochi metri da me, forse arrabbiata, forse fragile.
E io… non sapevo da che parte stare.
Gabriella uscì dal bagno dopo una doccia mentre io stavo sistemando i bicchieri sulla credenza.
Aveva ancora i capelli umidi, raccolti in un nodo disordinato. Indossava un top grigio chiarissimo, senza spalline, così sottile che si intravedevano le ombre dei capezzoli.
E un paio di shorts bianchi che sembravano parte della biancheria: aderenti, arricciati sotto il fondoschiena.
Senza reggiseno, senza intimo.
Lo capii subito. E fu come un colpo nello stomaco.
«Hai visto dove ho messo l’accendino per la brace?» chiese, mentre si avvicinava al mobile basso.
Fece per chinarsi davanti a me, a pochi centimetri, cercando dentro un cassetto. Io ero lì, in piedi, bloccato. Il suo petto si mosse piano, la stoffa si stirava appena a ogni respiro.
Poi, mentre si rialzava con il suo solito gesto veloce e deciso, urtò contro il bicchiere che avevo in mano. Il vino si rovesciò.
«Merda!» disse. Ma non era il bicchiere a preoccuparmi.
Era dove era caduto il vino.
Una goccia era finita dritta sul suo petto.
Proprio tra i seni.
Gabriella guardò in basso, sospirò e, senza pensarci due volte, infilò due dita nel top, aprendolo appena, e si asciugò con l’angolo del tovagliolo.
Il gesto fu naturale. Spensierato. Innocente.
Ma per me fu devastante.
Potei vedere per un attimo la curva piena del seno sinistro. La pelle bianchissima, il capezzolo appena più scuro. Solo un istante. Ma bastò.
«Ma che casino…» borbottò, tornando a guardarmi. «Tutto a posto? Ti sei bagnato anche tu?»
Non riuscii a rispondere.
Avevo la bocca secca, il cuore che mi batteva ovunque.
«Sembri strano…» rise. «Oh Dio, ti ho bagnato i pantaloni? Scusa!»
Fece per avvicinarsi e controllare.
Io mi ritrassi di un passo, d’istinto.
Perché no, non erano bagnati di vino.
E se lei se ne fosse accorta, non ci sarebbe stato modo di giustificarsi.
«Va tutto bene… davvero.»
Gabriella rise ancora, poi si voltò e tornò verso la sua stanza per sistemarsi.
Il profumo caldo che lasciò dietro di sé era come una scia dolce e pericolosa.
Mi appoggiai al tavolo, senza fiato.
Avevo la testa piena di quel seno, di quella goccia, di quelle dita.
Era solo un incidente, certo.
Un maledetto, dannato incidente.
Ma per me… era stato troppo.
Il rumore del campanello mi fece trasalire.
Avevo ancora negli occhi quell’immagine rubata del seno di Gabriella. Cercai di scacciare ogni pensiero dalla mente mentre aprivo la porta, e quando lo feci… tutto ricominciò da capo.
Federica era lì, in piedi davanti a me, bellissima come sempre.
Indossava un vestitino corto, estivo, svolazzante. Un tessuto leggero, a fiori, che lasciava intuire ogni curva quando il sole ci batteva sopra.
I capelli sciolti, le labbra lucide.
E quello sguardo.
«Ciao amore,» disse subito, allungando le braccia per abbracciarmi.
Non aspettò che rispondessi. Si avvicinò, mi baciò sulla guancia, e nel frattempo una mano si posò distrattamente sulla mia schiena… scivolando più in basso del dovuto. Un attimo. Un colpo secco. Un tocco quasi impercettibile sul fondoschiena.
Poi si staccò da me e sorrise, come se niente fosse.
«Gabri!» gridò entrando, mentre io ero ancora lì, congelato sullo zerbino.
«Sono arrivata, spero che ci sia del vino… perché oggi sono dell’umore giusto per farmi male!»
Gabriella uscì dal corridoio con un’aria stanca, ma quando vide Federica si aprì in un mezzo sorriso.
«Oh, finalmente qualcuno che mi capisce.»
Si abbracciarono strette. Fede la baciò sulla guancia, le accarezzò i capelli e poi, con tono affettuoso ma partecipe, chiese:
«Sempre quel coglione?»
Gabriella annuì senza parlare. Poi prese il bicchiere pieno e lo alzò.
«Brindiamo ai fidanzati assenti.»
«E ai fratellini silenziosi e teneri che ci sopportano,» aggiunse Federica, voltandosi verso di me con uno sguardo carico di sottintesi.
«Anche fin troppo, eh?»
Mi limitai ad abbozzare un sorriso.
Non potevo parlare. Non con quello che mi stava facendo passare solo con gli occhi. Era un continuo rimando tra sguardi maliziosi e battutine dette con la voce più dolce del mondo.
Gabriella si voltò verso di me, indicando la camicetta macchiata.
«Mi sono sporcata col vino… tanto vale che mi cambi direttamente. Metto già il costume, così siamo pronte dopo.»
«Ottima idea,» disse Federica, battendo le mani. «Io invece mi tengo il vestitino… per ora. A meno che qualcuno non voglia togliermelo.»
Lo disse guardando me, naturalmente. E io abbassai lo sguardo, fingendo di controllare il tavolo.
Gabriella sparì in stanza.
Federica mi si avvicinò senza farsi sentire. Mi porse una ciotola di patatine e sussurrò:
«Da bravo, porta su anche queste…»
Poi, abbassando la voce in un sibilo:
«E quando torna tua sorella, cerca di non sbavare troppo, o mi toccherà metterti un bavaglino.»
La guardai di sbieco. Lei ridacchiò e si voltò a guardare verso il corridoio, giusto in tempo per vedere Gabriella uscire dalla stanza.
E quando Gabriella comparve… fu il colpo di grazia.
Il costume che aveva scelto era un due pezzi color bordeaux, molto scollato sopra e tagliato alto sotto, con sopra solo una camicetta bianca leggera, trasparente e aperta. I capelli erano raccolti in una pinza e il viso ancora segnato dal trucco sbavato del pomeriggio, ma c’era una bellezza autentica e ruvida in quel disordine.
Il seno… era lì. Sostenuto a fatica dal costume. Morbido, pieno, in movimento.
Lo sapevo che c’era, lo avevo sognato.
Ma vederlo così, in carne e curve… era una tortura.
Mi voltai di scatto, feci finta di prendere il vassoio.
Alle mie spalle, Federica sussurrò:
«Hai visto com’è bella, oggi? Se fossi in te, starei attento… perché io, una così, me la mangerei viva.»
Il sole era ormai basso, il terrazzo impregnato dell’odore di carne sulla brace, il vino fresco in frigo. Io sistemavo l’ultimo tavolo mentre Gabriella si aggirava in cucina, distratta, intenta a sistemare qualche cosa. Federica, invece, era già lì da un po’, vestita con quel suo abituale vestitino leggero che lasciava poco all’immaginazione.
“Ale, guarda che stasera sei proprio un fior di ragazzo,” disse lei mentre passava vicino a me, toccandomi con leggerezza il braccio. Il contatto fece salire un brivido.
Io feci finta di concentrarmi sul coperchio del barbecue, ma sentivo i suoi occhi addosso.
Poi, senza preavviso, Federica si piegò a sistemare qualcosa a terra, e il vestitino si sollevò un po’ troppo, lasciando intravedere una coscia nuda e il piede, elegantemente dipinto di rosso. Mi fulminò con uno sguardo malizioso, come a dire: “Ti ho visto, che fai?”
Gabriella, che era lì vicino, rise e scrollò la testa, ma con tono di rimprovero scherzoso:
“Fede, non farti trasportare troppo stasera, eh. Ricordati che non si leccano fighe a caso, soprattutto quando ci sono occhi indiscreti.”
Federica rise, facendo un passo verso Gabriella, sfiorandole il braccio:
“Oh, Gabri, non essere così sicura di quello che succede… Questa sera potrebbe riservare qualche sorpresa.”
Io osservavo le due, cercando di non arrossire, mentre sentivo il cuore battere più forte. Federica continuava a lanciare frecciatine con lo sguardo e gesti appena accennati, e Gabriella, nonostante la sua aria dura, sembrava leggermente infastidita da quei giochi.
Mentre tornavo a sistemare le posate sul tavolo, sapevo che quella sera sarebbe stata diversa. Forse anche molto più pericolosa di quanto volessi ammettere.
Gabriella era sparita di nuovo in casa, intenta a cercare, stavolta delle tovagliette per non rovinare il tavolo del terrazzo. Si sentivano solo i suoi passi sul parquet e le sue lamentele ovattate da dietro la porta.
Io sistemavo le posate cercando di rimanere calmo, ma Federica non mi dava tregua.
La sentii avvicinarsi, il profumo che indossava, dolce, agrumato, mi investì come una carezza sul collo.
“Allora?” sussurrò con voce appena percettibile, ma così vicina che sembrava dentro il mio orecchio.
Prima che potessi rispondere, prese entrambe le mie mani con decisione. Non avevo nemmeno il tempo di chiedere “cosa fai?” che già me le stava guidando addosso al suo corpo, scivolando sopra il tessuto leggero del vestitino estivo.
Le portò prima sul suo seno, pieno e morbido, e poi più giù, tra le sue gambe, sotto la stoffa.
Non portava nulla.
“Ecco,” disse con un sorrisetto sfacciato, mantenendo le mie mani lì. “Te l’ho detto che stasera non si gioca.”
Rimasi immobile, il respiro mozzato. Sentivo il battito nelle orecchie, nel petto, ovunque.
Lei appoggiò la fronte alla mia, con quel tono beffardo che le era tipico:
“Stasera, fratellino, voglio vederti impazzire.”
Poi, come se niente fosse, mi lasciò. Mi sistemò la maglietta con un gesto civettuolo e fece qualche passo verso il tavolo, appena in tempo per sentire Gabriella rientrare sul terrazzo con un “Finalmente!” e le tovagliette tra le mani.
“Vi siete paralizzati nel frattempo?” chiese Gabri, un sopracciglio alzato.
Federica, già sorridente, rispose senza esitazioni:
“No, stavamo solo… mettendo le cose al loro posto.”
Io annuii in silenzio, ancora col cuore a mille.
Sì, pensai. Le cose stavano andando molto, molto fuori posto.
poi finalmente, la carne era pronta e la cena ebbe inizio.
La sera era calata dolce e calda, e il terrazzo si era riempito del profumo della carne sulla griglia e delle note leggere di una playlist chill che Gabriella aveva messo in sottofondo. Le lucine appese lungo la ringhiera tremolavano piano, come se sapessero che qualcosa stava per succedere.
Eravamo seduti attorno al tavolo in legno, piatti pieni e calici in mano. Il vino bianco, fresco e profumato, era già alla seconda bottiglia.
Gabriella sorrideva appena, distratta, con lo sguardo perso a tratti tra le luci della città e il bicchiere tra le dita. Era bellissima, con la pelle chiara illuminata dal tramonto, le cosce nude sotto il copricostume che si era ormai aperto, e quel suo solito modo scomposto ma magnetico di sedersi, con una naturalezza che mi lasciava sempre senza parole.
Ogni tanto cercavo di parlarle, di chiederle se andava tutto bene, ma lei rispondeva con frasi brevi, seguite da un altro sorso di vino.
“Mh… sto pensando,” disse a un certo punto, guardando il cielo. “Ma non è niente.”
Federica, invece, era un vortice. Con quel suo vestitino estivo e i piedi nudi raccolti sulla sedia, faceva roteare il bicchiere tra le dita come fosse nata per farlo. Sorrideva, parlava, dominava la scena.
E ogni tanto, mi torturava.
Iniziò innocente: uno sfioramento leggero del suo piede sul mio, sotto il tavolo.
Poi una carezza più decisa sulla caviglia.
Infine, quel piede che salì. Lento. Maledettamente lento.
Fino al ginocchio. E poi più su.
Io cercavo di non dare nell’occhio, ma le mani tremavano sulla forchetta. Il cuore tamburellava.
Gabriella, ignara, stava raccontando,tra un sorso e l’altro, qualcosa su una collega insopportabile.
Federica si avvicinò al mio orecchio mentre ridacchiava, fingendo una battuta qualunque.
“Scommetto che sei duro adesso…” sussurrò, il piede proprio lì, sopra la mia erezione, che cercava disperatamente di non esistere.
Trattenni il respiro. Lei ridacchiò piano.
Gabriella rise, come se avesse sentito qualcosa di divertente.
“Che vi sussurrate? Complotto contro di me?”
Federica la guardò, con un sorriso così perfetto da sembrare innocente.
“Stavamo solo dicendo che il tuo barbecue è una bomba,” disse alzando il calice.
Io annuii muto, cercando di non morire sul posto.
Gabriella brindò distratta, poi si voltò di nuovo verso il cielo.
“Domenica sera da dieci,” disse. “Mi ci voleva.”
Federica mi guardò sotto le ciglia, quel piede ancora lì, a far battere ogni muscolo del mio corpo.
E capii che la vera brace stava tutta sotto quel tavolo.
Dopo cena, mentre sparecchiavamo tra risate e bicchieri vuoti, fu Federica a lanciare la proposta, con lo sguardo acceso e quel sorrisetto che ormai conoscevo fin troppo bene.
“Che dite… si fa un giretto in idromassaggio?”
Gabriella si voltò subito con entusiasmo, il viso arrossato dal vino. “Sì! Ottima idea! C’ho proprio voglia di rilassarmi un po’.”
Io, invece, come sempre, mi irrigidii.
“Eh… io non so se—”
“Dai,” mi interruppe Gabriella, versandosi l’ultimo dito di vino. “Stasera ti concediamo di partecipare.”
Mi strizzò l’occhio e bevve.
Era brillo quanto bastava per essere affettuosa, per dimenticare ogni distanza.
Federica rise, lanciando un’occhiata al mio imbarazzo. “Sì, dai. Però io ho un problema…”
“Non dirmi che non hai portato il costume,” disse Gabriella, sospettosa.
Fede fece una smorfia da bambina colta in flagrante. “Non l’ho portato.”
“Federica…” Gabriella la guardò con aria seria, ma ridendo. “Ale è con noi. Non puoi stare nuda.”
Fede si voltò verso di me. “A me non dà fastidio. A te dà fastidio, Ale?”
Deglutii a vuoto, più impacciato che mai. Gabriella lo notò subito.
“Va a mettertelo,” ordinò ridendo. “E che non ti venga in mente di spogliarti lì davanti, eh.”
Federica sbuffò. “Ma se mi ha già visto tutta…”
“Fede!”
“Okay, okay! Vado, dai. Ma lo metto solo perché lo dici tu, grande capo .”
Gabriella scosse la testa e scomparve a lavare i piatti. Io invece scesi giù, diretto verso camera mia per cambiarmi. Ma non ero solo.
Federica mi seguì fino in stanza e chiuse la porta alle sue spalle con un colpetto secco. Si mise davanti a me, con quel sorrisetto malizioso che conoscevo ormai fin troppo bene.
“Dai, fammi un po’ vedere come ti prepari per un idromassaggio proibito,” disse a bassa voce, mentre già sollevava con calma il vestitino estivo.
Non aveva nulla sotto. E quando dico nulla, intendo proprio niente. Nuda, sensuale, sfacciata.
Rimasi immobile a guardarla. Il suo corpo brillava appena sotto la luce soffusa: pelle calda, morbida, un profumo familiare di doccia e desiderio. I suoi seni pieni e tondi sembravano quasi voler esplodere verso di me, e il ventre piatto guidava lo sguardo fino a quella parte di lei che già conoscevo… e che in quel momento era lì, completamente esposta davanti a me.
Fece un passo avanti.
Poi un altro.
Fino a che il nostro corpo fu incollato.
Il mio cuore martellava nel petto.
E fu allora che lo fece.
Si avvicinò ancora di più, fino a quando la sua intimità nuda strisciò lentamente contro la mia, ancora coperta dai pantaloncini. Fu un gesto preciso, calcolato, feroce nel suo effetto. Si mosse piano, da un fianco all’altro, con pressione lenta, e io sentii tutto. La seta calda e bagnata della sua eccitazione sfregare contro di me.
“Così… senti meglio il messaggio?” sussurrò.
Aveva le labbra vicinissime al mio orecchio.
Poi si strusciò ancora, un secondo, uno soltanto, e sorrise compiaciuta.
Mi afferrò una mano e se la passò sul seno, poi giù, sulla pancia, e ancora più giù. La tenne lì, sulla sua pelle calda e liscia, mentre si mordeva il labbro.
“Stasera niente mutandine, te lo giuro. E vedrai che giochino ho pensato. Ora muoviti e cambiati.”
Poi, come se niente fosse, si allontanò, prese il costume, e lo indossò con la lentezza di chi vuole farsi guardare: prima il pezzo sopra, poi quello sotto, tirando con lentezza l’elastico tra le cosce.
Si voltò verso di me una volta pronta.
“Non svenire, fratellino. Gabri ci aspetta…”
E uscì, lasciandomi con la fronte calda, il respiro spezzato e un pensiero fisso in testa:
Stanotte sarà un inferno… e io voglio bruciarci dentro.
Quando tornammo sul terrazzo, il cielo oramai era illuminato solo dalle stelle, e le luci soffuse che avevo sistemato qua e là illuminavano dolcemente l’ambiente. L’idromassaggio era acceso, il vapore si alzava pigro, e lì dentro, già immersa, c’era Gabriella.
Galleggiava con le braccia distese lungo i bordi, un bicchiere di vino in mano e l’aria di chi aveva già lasciato da parte la tensione. I suoi capelli umidi si attaccavano alle spalle e alla scollatura, mentre il costume faticava a contenere il seno che, morbido e abbondante, ondeggiava con l’acqua calda. Ogni movimento generava una piccola onda che faceva fluttuare quelle curve con una sensualità involontaria, e io, come sempre mi persi a guardarla.
Federica mi lanciò uno sguardo complice, si sfilò il copricostume con un gesto lento e teatrale, poi entrò nell’acqua con una smorfia di piacere. Si sistemò proprio accanto a Gabriella.
“Allora, come ti senti, regina del terrazzo?” le chiese ironica, avvicinandosi con quel tono esageratamente affettuoso che usava solo quando voleva provocare.
Gabriella rise appena, stropicciandosi gli occhi. “Brilla e stanca. Ma almeno non penso.”
“Eh no, dobbiamo farti pensare a tutt’altro stasera…” Federica sollevò una mano, allungandola con nonchalance verso il seno di Gabriella, sfiorandolo con una carezza troppo esplicita per passare inosservata. Le dita si posarono leggere su una delle sue curve galleggianti.
Gabriella si irrigidì subito, e con una smorfia le allontanò la mano con un colpetto.
“Fede! Dai, non fare ste stronzate davanti a lui…”
Io arrossii istantaneamente, abbassando lo sguardo nel bicchiere.
Federica fece una risatina sorniona e alzò le mani in segno di resa. “Ma che? È solo affetto tra amiche… e poi tuo fratellino ormai avrà di peggio, no?”
Gabriella la guardò con la coda dell’occhio, socchiudendo le palpebre, ma poi scosse la testa e tornò a bere, lasciandosi sprofondare nell’acqua.
Io mi sistemai dall’altro lato, cercando di respirare normalmente, anche se il cuore mi batteva ancora forte. Tra il vino, il vapore e il corpo di Gabriella a pochi centimetri, era impossibile restare calmi.
Federica, ovviamente, si stava divertendo un mondo.
“Bene…” disse con una voce fin troppo allegra. “Direi che siamo al completo. È il momento perfetto per un bel gioco.”
Gabriella la guardò scettica. “Che gioco?”
Federica sollevò il bicchiere e si leccò appena le labbra. “Obbligo o verità. Ma versione seria, eh. Se non rispondi, bevi. E non puoi passare.”
Gabriella sbuffò, affondando un po’ di più nell’acqua. “Ma Fede, ancora con ‘ste cazzate? Siamo grandi, dai. E poi… c’è Ale.”
“Appunto.” rise Federica. “Serve educazione sentimentale anche per lui. Non puoi tenerlo chiuso nella sua cameretta a guardare hentai tutta la vita.”
Io tossicchiai. “Ehi.”
Gabriella mi lanciò uno sguardo a metà tra il divertito e il protettivo. “È il mio fratellino, non voglio che lo traumatizzi.”
“Ma se ha diciott’anni compiuti…” ribatté Federica con un sorriso tagliente. “E comunque, sembri più tu quella da proteggere ultimamente. Dai, rilassiamoci. Ci farà bene a tutti.”
Gabriella tentennò, poi alzò il bicchiere. “Se esageri ti affogo.”
“Mi fido,” disse Federica ridendo. “Comincio io.”
Mi fissò. “Ale. Verità. Hai mai spiato Gabriella mentre si cambiava?”
Gabriella spalancò gli occhi. “Federica!”
Io impallidii. “Io… magari… una volta… capita, no? In casa…”
Gabriella mi tirò un calcio sotto l’acqua, non forte, ma quanto bastava a farmi arrossire. “Idiota.”
Federica rideva come una bambina. “Vedi che ho fatto bene a iniziare io?”
Gabriella scosse la testa, ma non sembrava davvero arrabbiata. Prese un altro sorso di vino e si voltò verso Federica. “Ok, tocca a me. Verità: hai mai fatto sesso in un posto dove potevano beccarti?”
Federica finse di riflettere. “Conta il bagno di un ristorante? No? Allora dico spiaggia. Di notte. Ma con gente vicina.”
Gabriella rise piano. “Sei sempre la solita.”
Intanto il piede nudo di Federica mi cercò sotto l’acqua. Lo sentii salire piano lungo la mia gamba, accarezzarmi con dolcezza, poi premere un po’ più in alto, con lentezza calcolata.
Aveva iniziato il gioco. Ma non quello che Gabriella pensava.
E io, come un cretino, ero già completamente nelle sue mani.
Il vino scorreva, e con lui anche l’atmosfera. L’acqua calda, le risate, la luce morbida delle lampade sul terrazzo: tutto contribuiva a creare quel senso di intimità sospesa. E poi c’erano loro due, così diverse eppure così complementari. Gabriella con il suo fascino inconsapevole, che cercava di restare composta anche se aveva le guance ormai rosa e gli occhi lucidi. Federica invece… era uno spettacolo a parte. Con il sorriso sempre pronto e quel piede che continuava a torturarmi sotto l’acqua.
“Va bene,” dissi a un certo punto, cercando di sembrare disinvolto. “Federica, obbligo.”
Lei mi guardò compiaciuta. “Finalmente. Allora ti obbligo a… massaggiarmi i piedi. Adesso.”
Gabriella rise. “Ma sei seria?”
“Sì, perché?” rispose lei con assoluta naturalezza, sollevando la gamba fuori dall’acqua. “Mi fanno male. O vuoi farlo tu, Gabri?”
Gabriella sbuffò. “No, grazie. Ma se lo fai davvero, Ale, poi tocca a me.”
Federica mi porse il piede con eleganza, appoggiandolo sulle mie gambe sotto l’acqua. Le dita erano curate, lo smalto scuro, e io ero completamente nel panico. Il suo piede era lì, tra le mie mani, e lei si morsicava l’angolo del labbro mentre lo muoveva appena, sfiorandomi.
“Bravo,” disse a bassa voce, solo per me. “Sei diventato il mio schiavetto ufficiale.”
Io cercai di sorridere, mentre sotto la superficie dell’acqua il mio corpo già tradiva tutta l’eccitazione che provavo. Gabriella sembrava non notare nulla. Beveva, si sistemava i capelli umidi, e ogni tanto si sporgeva un po’ troppo in avanti, regalandomi scorci irresistibili del suo seno galleggiante.
“Tocca a me,” disse poi. “Federica. Verità. Tu… sei mai andata a letto con qualcuno impegnato?”
Federica non batté ciglio. “Sì. E non me ne sono mai pentita.”
Gabriella la guardò per un secondo più a lungo del solito. Forse capiva che la risposta non era detta a caso. O forse era il vino.
Poi Gabriella si girò verso di me. “Dai, Ale. Tocca a te. Obbligo o verità?”
Presi un respiro profondo. “Obbligo.”
Federica intervenne subito. “Perfetto. Allora… tocca una di noi. Dove vuoi.”
Gabriella sgranò gli occhi. “No, oh! Fede! No, dai. Non iniziamo.”
“È un gioco,” replicò lei innocente, sollevando il bicchiere. “Se non vuole, può bere. Oppure può toccarti una spalla e siamo a posto. Io mica ho detto dove.”
Gabriella sbuffò, poi mi guardò. “Fai come vuoi. Ma se mi tocchi in modo strano ti prendi un calcio.”
Rideva. Ma io la conoscevo: rideva per mascherare l’imbarazzo.
Io ero fermo. Incerto. Il piede di Federica intanto saliva ancora.
“Beh?” disse lei. “Che fai?”
Scelsi. Lentamente allungai una mano verso Gabriella e le toccai la guancia, sfiorandola con dolcezza.
Lei si irrigidì un secondo, poi rise piano. “Scemo.”
Federica applaudì. “Ma che teneri! Ora però voglio alzare la posta…”
Federica si schiarì la voce con un’aria teatrale. «Allora… tocca alla nostra Gabriella. E io voglio un bell’obbligo.»
Gabriella sospirò, poggiando il bicchiere vuoto sul bordo della vasca. «Oddio, ma sempre con me te la prendi?»
«È il gioco, amore,» disse Federica con un sorrisetto. «E tu stasera sei troppo sexy per risparmiarti.»
Gabriella si lasciò cadere un po’ all’indietro, stendendosi lungo il bordo della vasca. I seni galleggiavano quasi a pelo d’acqua, e io, nonostante tutto, non riuscivo a staccare lo sguardo. Non ero l’unico. Federica la stava fissando con un’espressione famelica, e sembrava quasi studiare ogni centimetro della sua pelle bagnata.
«Allora?» chiese Gabriella con un mezzo sorriso, ormai rassegnata. «Fammi paura.»
Federica ridacchiò. «Ok, voglio che ti siedi sulle ginocchia di Ale. Ma proprio sopra. E ci resti almeno trenta secondi. Niente scuse.»
Gabriella si alzò di scatto. «Fede!» protestò, ma ormai stava ridendo anche lei. «No, ti prego… ma lo vuoi far morire d’imbarazzo?»
Federica si fece seria solo per un attimo. «Siamo tutti adulti, no? E poi… che sarà mai? È il tuo fratellino. Siamo tra di noi.»
Gabriella mi guardò, poi guardò Federica. «Ok. Ma se poi diventa una statua di marmo, la colpa è tua.»
E, con una grazia esitante ma stuzzicante, si mosse nell’acqua e si avvicinò. Io non sapevo dove guardare. E quando si sedette su di me , davvero su di me, con il corpo bagnato che mi sfiorava e il suo seno a pochi centimetri, il mio cuore esplose nel petto.
Gabriella posò le mani sulle mie spalle per bilanciarsi e cercò di ridere, anche se la sua voce tremava. «Contenta? Ora non dire niente.»
Federica si morse un labbro. «Molto contenta. E anche Ale, se posso dirlo.»
Io cercavo di restare immobile, ma sentivo ogni cosa. Il suo peso. Il tessuto bagnato sulla mia pelle. Il suo respiro un po’ più corto. Il suo profumo mescolato a quello del vino.
E poi sentii il piede di Federica strusciarsi di nuovo sulla mia gamba, mentre lei sussurrava con tono basso e tagliente: «Chissà se la tua sorellona sente cosa ti sta succedendo lì sotto…»
Io stavo per perdere il controllo.
Gabriella si stava ancora asciugando le gocce d’acqua dalle guance, mentre ridacchiava un po’, con quella voce impastata dal vino. Si appoggiò al bordo dell’idromassaggio e ci guardò con un sorrisetto stanco.
«Ok… tocca a me lanciare, giusto?» disse, guardando Federica con mezzo occhio.
«Giustissimo,» replicò lei, spostandosi un po’ nell’acqua, con un’espressione da diavoletta sotto la pelle lucida e bagnata.
Gabriella guardò per qualche secondo in silenzio, poi allungò il dito verso Federica.
«Obbligo.»
Federica fece una smorfia finta-offesa. «Sempre io…»
Gabriella rise. «Dai, voglio vederti ballare. Qui. Ora. Una roba tipo lap dance contro il bordo della vasca.»
Federica sbuffò, ma con un sorriso pieno di malizia. «Ah quindi siamo ufficialmente entrati nella zona hot…»
Gabriella alzò le mani. «L’hai voluta tu questa serata…»
E così Federica, senza fare troppe storie, si alzò leggermente in ginocchio nell’acqua. Le sue curve bagnate si muovevano con una lentezza calcolata, una sensualità naturale che toglieva il fiato. Cominciò a muovere il bacino contro il bordo della vasca, ondeggiando appena, tenendo le mani dietro la nuca come in una scena da film. Io non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Lo sapeva. Lo faceva apposta.
«Va bene,» disse alla fine Gabriella, un po’ arrossita. «Hai vinto, mi fai sempre ridere.»
Federica si stiracchiò nell’idromassaggio, l’acqua che le accarezzava la pelle nuda sotto il costume invisibile e le labbra piegate in un sorrisetto di chi aveva un piano preciso.
«Obbligo per Ale,» disse, con tono allegro e malizioso.
Gabriella sospirò. «Fede, per favore… non esagerare.»
Federica la ignorò del tutto. Si voltò verso di me, con quello sguardo che avevo imparato a temere e desiderare allo stesso tempo.
«Spogliati.»
Ci fu un silenzio improvviso. Gabriella si girò di scatto. «Cosa?!»
Federica ridacchiò, alzando le mani. «Oh, dai, solo il costume. Niente che non si veda in spiaggia. Giusto per vedere se hai il coraggio. E se no, bevi tutto il bicchiere di vino. Ma voglio scegliere io cosa preferisco.»
«Fede, smettila!» sbottò Gabriella, arrossendo fino alle orecchie. «Ti sembra normale chiedere a mio…fratello di spogliarsi davanti a me?!»
«E perché no?» ribatté Federica con innocenza teatrale. «È grande, vaccinato, e ha un bel corpo. O vuoi dire che non l’hai mai notato?»
Io ero paralizzato. L’acqua bollente sembrava nulla in confronto al calore che mi salì alla testa. Gabriella era rossa, contrariata, e a disagio… ma non si stava alzando. Non se ne andava. Non mi diceva di uscire.
Federica sorrise. «Forza Ale. Se ti vergogni puoi sempre scegliere il bicchiere.»
Mi guardò. Poi mi fece l’occhiolino. Sotto l’acqua, il suo piede si era di nuovo appoggiato sul mio.
E io… ero davvero a un passo dal dire sì.
Gabriella si girò di scatto verso di me, occhi spalancati e pieni di quel misto di sorpresa e disagio che solo lei riusciva a mascherare a metà.
«Ale, non farlo, dai… non serve, è solo Federica che fa la scema come sempre…»
Ma Federica, già pronta alla scena, la ignorò. «Scema? Ma se siamo tra adulti…» si tolse lentamente le spalline del costume, e in un attimo lo fece scivolare via sotto la superficie. «Guarda, se ti vergogni, Ale, ti faccio compagnia. Così non sei l’unico nudo.»
Gabriella sgranò gli occhi. «Federica, sei impazzita?!»
Ma io… io non ce la facevo più. Il vino, il vapore, i pensieri, i giochi della sera prima, il piede di Federica che ancora mi sfiorava sotto l’acqua… e quel seno perfetto che intuivo muoversi appena sotto la superficie.
Mi tolsi il costume. L’acqua bollente sembrava accogliere anche la mia pelle nuda in un abbraccio proibito. Non guardai Gabriella. Non ce la facevo. Ma la sentivo trattenere il fiato.
Federica rise piano. «E tu, Gabri? Che fai, mica vuoi essere l’unica vestita? Dai… tocca a te.»
Gabriella non rispose subito. Si strinse nella sua camicetta, ancora addosso. Guardò me. Poi guardò Federica. Poi, nervosa, si voltò.
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