Giochi Proibiti in Famiglia

Capitolo 1 - Una mattina d’estate

Asiadu01
5 days ago

Quella mattina mi svegliai con il sole che entrava dritto dalla finestra.

Era già estate, e si sentiva. L’aria calda, le cicale che si facevano sentire da qualche giardino lì intorno, e quel silenzio tipico delle giornate senza scuola, quando nessuno ha davvero fretta di fare niente.

Mi stiracchiai piano nel letto, ancora con gli occhi mezzi chiusi, e mi trascinai fuori dalla stanza.

Dall’altra parte del corridoio la porta della camera di Gabriella era già aperta.

La trovai in cucina, seduta al tavolo, con una tazza tra le mani e le gambe piegate sotto di sé. La televisione accesa a volume basso e la solita aria rilassata, quella di chi vive in casa sua anche se, tecnicamente, non è proprio così.

Gabriella è — o meglio, la chiamo — mia sorella.

Non c’è nessun legame di sangue tra noi, e nemmeno legami ufficiali. È semplicemente la figlia del compagno di mia madre. Ma da quando viviamo sotto lo stesso tetto, ormai da anni, ci chiamiamo fratello e sorella.

Un’abitudine, niente di più.

Anche se… a volte, certi pensieri mi fanno venire voglia di dimenticarmi come la chiamo.

Gabriella era difficile da ignorare.

Era bassina, ma il suo corpo era tutto curve. La pelle chiarissima sembrava ancora più morbida alla luce del mattino. Indossava un top corto e dei pantaloncini leggeri che lasciavano scoperto quasi tutto: cosce grosse e sode, un fondoschiena grande e perfetto, e soprattutto quel seno abbondante, pieno, morbido, che sembrava esplodere da sotto la stoffa.

Si muoveva con quella naturalezza che non sapevi se fosse disattenzione o malizia, e il suo viso, così dolce e spontaneo, rendeva tutto più complicato. Aveva lunghi capelli castano scuro leggermente ondulati, un naso piccolo e all’insù, guance morbide e occhi castano chiaro nascosti dietro spessi occhiali da vista.

E poi quelle labbra: carnose, rilassate, spesso socchiuse. Un invito involontario.

«Buongiorno, Ale,» disse senza staccare gli occhi dalla TV.

Mi sedetti con una tazza anche io, cercando di non fissarla troppo, ma ogni mattina era una sfida.

Perché non era solo bella. Era… familiare. Ma anche irraggiungibile. Ed è questo che mi fregava.

Poi arrivò il suono del campanello. Due colpi secchi.

Gabriella si alzò di scatto.

«È Fede.»

Aprì la porta e, come sempre, Federica entrò con passo deciso, un sorriso stampato in faccia e l’aria di chi sa esattamente come vuole iniziare la giornata.

«Buongiorno, ragazzi!»

Indossava una camicetta bianca leggermente trasparente infilata in una gonna stretta, sandali con un filo di tacco, e i suoi capelli neri sciolti sulle spalle. Profumava di qualcosa di fresco, estivo, e portava con sé quell’energia da “vado a lavorare ma prima passo per un caffè con la mia migliore amica”.

Federica era un altro pianeta.

I capelli neri, lunghi e leggermente mossi, le scivolavano sulle spalle con una naturalezza quasi studiata, arrivando fino a metà schiena. Li sistemava con un gesto rapido della mano, come se sapesse esattamente che stavi guardando.

Il viso era fine, allungato, con lineamenti netti, eleganti. Il naso dritto, leggermente a punta, le dava un’aria altera e sensuale. Ma erano le labbra, lunghe, piene, lucide anche quando non aveva rossetto, a far girare la testa. Sembravano sempre sul punto di dire qualcosa di sbagliato, qualcosa che non ti saresti dovuto sentire dire.

Gli occhi, però… quelli erano un’altra cosa.

Verdi, larghi, lucidi. Ti guardavano come se ti leggessero dentro. Come se sapessero tutto — anche quello che avresti voluto nascondere. Anche quello che stavi cercando di ignorare.

Il corpo di Federica era fatto per farti pensare a tutto tranne che a cose innocenti.

Le gambe lunghissime, affusolate, sempre messe in mostra da gonne strette o pantaloni attillati. Un fondoschiena grande, tondo e sodo, che si muoveva in modo quasi indecente mentre camminava, sempre con quei suoi tacchi sottili e precisi.

Il seno non era grande, ma perfettamente proporzionato al suo corpo — e sapeva come valorizzarlo: bluse sbottonate quel tanto che bastava, magliette leggere senza reggiseno sotto, e quel modo di piegarsi in avanti che sembrava del tutto casuale. Non lo era.

Federica era il tipo di donna che sapeva esattamente quanto effetto faceva.

E sembrava divertirsi un mondo a usarlo.

«Siete già svegli… miracolo!» disse ridendo, mentre si accomodava accanto a Gabriella e iniziava a spalmarsi la marmellata sul pane.

E lì, in quel momento, era tutto normale.

Nessuno sguardo strano, nessuna tensione. Solo io, Gabriella e Federica.

Come sempre.

O almeno così sembrava.

Quello che ancora non sapevo… è che da una di quelle mattine qualunque, da un piccolo gesto, da una battuta appena più spinta, da uno sguardo che dura troppo… sarebbe iniziata una storia così proibita da doverla nascondere anche a chi ci conosceva meglio.

«Mi sono svegliata con un mal di testa tremendo, giuro… mi servirebbe una settimana di sonno ininterrotto,» sbuffò Gabriella, versandosi del caffè bollente nella sua tazza rossa.

«E magari anche un orgasmo decente, no?» rise Federica, già seduta al tavolo, gambe accavallate e sguardo sveglio nonostante l’orario.

Gabriella le lanciò uno sguardo stanco ma divertito. «Ma che hai stamattina, sei più volgare del solito.»

«Ho solo sonno e voglia di dire la verità, che c’è?»

Erano sempre così, loro due. Complici, sfacciate, libere. E io, come al solito, stavo zitto e ascoltavo. Mi sembrava di spiare qualcosa che non mi riguardava… e invece ci vivevo in mezzo.

Federica prese un sorso di succo e poi, senza troppi giri, lanciò: «Comunque, Matteo non si è fatto più sentire?»

Gabriella fece una smorfia, appoggiandosi al tavolo con le mani. «No, ieri silenzio totale. E oggi vediamo. Tanto ormai mi aspetto poco.»

Federica sbuffò. «Io non capisco cosa ci trovi ancora.»

Gabriella non rispose subito. Si voltò verso la finestra e rimase lì per qualche secondo, il vapore del caffè che le sfiorava il viso.

Matteo.

Erano fidanzati da un bel po’, da prima che io finissi le superiori. All’inizio sembravano felici, poi col tempo era diventata una storia piena di alti e bassi, discussioni, allontanamenti. Nell’ultimo periodo la cosa era diventata più un’ombra che una relazione. Ma lei ci stava dentro ancora. Troppo.

«Vabbè,» disse poi, scrollandosi di dosso l’aria malinconica. «Stasera mi voglio solo rilassare.»

Poi guardò Federica e sorrise. «Dopo il lavoro passa da noi. Ci facciamo un bagno nell’idromassaggio. Ho una bottiglia di vino da qualche parte.»

Federica si illuminò. «Sì, cazzo. Perfetto. Mi sa che stasera non metto nemmeno il costume.»

Gabriella rise e si girò verso di me. «Ale metteresti la bottiglia in frigo mentre non ci sono?»

«Certo,» dissi, cercando di sembrare distratto, anche se avevo registrato tutto. L’invito. Il bagno. Il vino. L’idea di loro due lì dentro, praticamente nude. E io…

io che, come al solito, sarei stato da qualche parte a fingere di non pensare a niente.

In casa, eravamo sempre e solo noi. I miei – cioè, mia madre e Mario – erano praticamente assenti. Lei per lavoro, lui perché… boh, forse si dimenticava pure di vivere con noi. Così, da anni, eravamo diventati una piccola tribù informale. Una casa nostra. E a modo nostro, anche pericolosa.

Federica si alzò con uno scatto, recuperando la borsa. «Scappo. Ma alle sei spaccate sono qua. E spero che il vino sia freddo, o mi arrabbio.»

«Ma vattene va’…» borbottò Gabriella ridendo.

Federica si avviò verso la porta, poi si voltò un attimo verso di me e mi lanciò uno sguardo sfuggente. «Ciao Ale… stammi buono oggi, eh.»

La porta si chiuse piano.

E io rimasi lì, seduto, con il caffè mezzo freddo in mano e la testa già avanti di dodici ore.

Dopo che Federica se ne andò, anche Gabriella si sbrigò a prepararsi per andare a lavoro. Indossò una camicetta leggera e una gonna morbida, di quelle che sembravano fatte apposta per esaltare ogni curva. Io restai seduto al tavolo con la scusa di finire il caffè, ma in realtà… stavo solo guardando. Come sempre.

Ogni suo movimento era un richiamo. Il modo in cui si chinava per allacciarsi i sandali, la camicia che tirava sul petto pieno, il seno che si muoveva sotto la stoffa con una morbidezza che sembrava respirare. Le sue cosce, sode e grosse, sbucavano tra le pieghe della gonna con una naturalezza che mi faceva impazzire.

«Oggi studio, eh?» mi chiese mentre si infilava gli occhiali.

«Sì…» risposi, cercando di non far tremare la voce.

Mi lanciò un sorriso distratto. «Ci vediamo dopo.»

E poi uscì.

E io rimasi lì, da solo.

Per un po’ tentai di concentrarmi, ma ogni cosa mi riportava a loro. Ogni stanza mi restituiva immagini, ricordi, piccoli dettagli che ormai conoscevo a memoria.

Presi la bottiglia di vino dal mobile e la misi in frigo. nonostante quella bottiglia non fosse per me.

Già, perché in realtà io non ero invitato.

Non lo ero mai.

Quelle serate nell’idromassaggio erano diventate una loro abitudine. Un piccolo rituale tra Gabriella e Federica: chiacchiere, vino, musica a basso volume e due costumi che lasciavano poco spazio all’immaginazione.

Io, in genere, me ne stavo chiuso in camera, con gli auricolari nelle orecchie e una parte del cervello che faceva finta di non pensarci troppo.

L’altra parte, invece, stava già andando fuori controllo.

Era l’idea di vedere Gabriella in costume, ancora una volta, a pochi metri da me…

Quel corpo che avevo visto centinaia di volte, ma che ogni volta sembrava diverso, più bello, più maturo, più provocante.

Quel seno grande e pieno che sembrava sempre voler scappare dalla stoffa, quel fondoschiena perfetto che si muoveva dentro l’acqua come se sapesse di essere guardato.

Ed era questo il punto. Io guardavo.

Sempre.

La desideravo da quando ero piccolo. E con gli anni quella roba non era sparita. Era cresciuta.

Silenziosa, nascosta, ma sempre lì.

A furia di pensieri e fantasie, il tempo volò. Alle 17:58 spaccate sentii la chiave girare nella porta d’ingresso. Gabriella tornava.

Entrò con passo veloce e nervoso, lanciando la borsa sul divano senza nemmeno salutare. Aveva la camicetta sbottonata fino al terzo bottone, gli occhiali già in mano e un’espressione tirata che parlava da sola.

«Tutto bene?» chiesi dal tavolo, cercando di sembrare distratto dai miei appunti, anche se ero pronto da mezz’ora a scrutarla.

«Mh.»

Sbuffò appena, scrollò le spalle e sparì nel corridoio. I tacchi rimbombarono sul parquet. La sua porta si chiuse con un tonfo.

Provai a bussare. «Gabriella?»

«Lasciami stare, Ale.»

Qualcosa la tormentava. Il modo in cui si era tolta gli occhiali, il tono di voce secco… tutto faceva pensare che fosse tornata nervosa per davvero. Stava già cambiandosi, e da come si muoveva nella stanza, sembrava che anche i vestiti le dessero fastidio.

Stavo per tornare al mio posto quando il campanello trillò con due colpi secchi e decisi.

Aprii.

Federica era lì, con uno di quei sorrisi da prendere a schiaffi — o da baciare contro il muro.

Il copricostume bianco, quasi trasparente, le aderiva addosso come una seconda pelle, lasciando vedere ogni dettaglio del bikini nero che sembrava cucito apposta per far perdere la testa. Il seno, pieno e teso sotto il tessuto leggero, ondeggiava mentre camminava già dentro casa, senza aspettare che la invitassi.

«Oh, guarda un po’ chi c’è…» disse ironica. «Il guardiano dell’idromassaggio. Sei pronto a controllare che non anneghiamo?»

«Ciao Federica» mormorai, cercando di non guardarla troppo, ma lei ovviamente se ne accorse.

«Che c’è, ti vergogni? Non hai mai visto un costume?»

Si avvicinò un po’, facendosi più seria. «O forse è il mio che ti imbarazza…»

In quel momento si piegò verso di me come per sistemarsi un sandalo, ma sapeva benissimo cosa stava facendo. Il seno le si mosse sotto il copricostume in un modo lento, teatrale. Io deglutii. Lei sorrise.

«Se ti fa così effetto il costume… figurati dopo, quando usciamo bagnate e rilassate.»

Mi fece l’occhiolino, poi si guardò intorno. «Dov’è Gabriella? È già in modalità “cazzi suoi”?»

«Sì… è rientrata arrabbiata. Le ho chiesto cos’era successo ma non ha voluto parlare.»

Federica fece una risatina nasale, piena di malizia.

«Eh, lo so io cos’ha. Ma non posso dirtelo. Sono cose da adulti… non da bambini.»

Poi si voltò e mi lanciò uno sguardo tagliente.

«Anche se ormai… tu stai facendo di tutto per non sembrare più un bambino, eh?»

Mi restò piantata davanti, a pochi centimetri dal viso. Il profumo che aveva addosso era dolce e speziato, qualcosa che restava sotto pelle.

Abbassò gli occhi, poi li rialzò lentamente.

«Fai attenzione, Ale. Guardare troppo… a volte porta guai.»

Si allontanò con un’andatura lenta, lasciando la scia del suo profumo e quella provocazione che mi martellava in testa più di qualsiasi compito.

Gabriella uscì dalla stanza senza dire nulla, ma il colpo d’occhio parlava per lei.

Indossava un bikini blu notte, semplice ma che sul suo corpo sembrava tutt’altro che innocente. Il reggiseno, un triangolo morbido, faceva fatica a contenere il seno abbondante e pieno, che si muoveva lento a ogni passo. Sopra aveva un pareo nero, legato basso sui fianchi, che lasciava scoperte le cosce grosse e sode. La carnagione chiarissima brillava sotto la luce calda del pomeriggio e, con i capelli ancora un po’ arruffati dal lavoro e gli occhiali di nuovo sul naso, sembrava uscita da uno di quei sogni che tornano la notte per tormentarti.

«Saliamo?» chiese rivolta a Federica, che già si era sistemata una molletta nei capelli.

«Pronta. Portiamo su il vino che ho visto in frigo?»

Gabriella annuì. «Sì, e due bicchieri. Ale, ci pensi tu?»

Non feci in tempo a rispondere che loro erano già sul primo gradino della scala a chiocciola che portava al terrazzo.

Sospirai e mi voltai verso la cucina. Le osservai salire, una dietro l’altra, con quel modo disinvolto e perfettamente femminile di muoversi: i parei che ondeggiavano, le curve che si disegnavano sotto la stoffa leggera. Il suono delle loro risate salì veloce insieme a loro, mentre io restavo lì, solo, a stringere la bottiglia di bianco come fosse la mia unica compagnia.

Mi sedetti un momento sul divano. Il pensiero di Gabriella, così nervosa prima e ora rilassata, immersa nell’acqua calda con Federica, mi arrovellava. Lei non mi vedeva, non mi aveva mai visto in quel modo. Ma io sì. Io la vedevo eccome. Ogni volta. Da anni.

E poi c’era Federica… che sapeva guardarmi come se lo sapesse, come se leggesse tutto.

Il telefono vibrò.

Un messaggio.

“Porta su i salatini, cameriere ;)”

Sospirai, poi sorrisi.

Presi una ciotola con qualche snack e i tovagliolini. Quando salii le scale, sentii il rumore dell’idromassaggio già acceso. La porta a vetri del terrazzo era socchiusa e il sole, ancora alto, illuminava tutto d’oro.

Entrai.

La scena mi colpì come un pugno nello stomaco.

Gabriella e Federica erano immerse nell’idromassaggio fino al seno, i capelli raccolti in fretta e il viso leggermente arrossato dal vino. La pelle lucida d’acqua, i bicchieri in mano e quella disinvoltura che sembrava studiata per mandarmi in tilt.

Federica fu la prima a vedermi.

«Ah, eccolo!» esclamò, con un tono teatrale. «Il nostro servitore personale! Sei stato rapidissimo.»

«Lascia lì, Ale» disse Gabriella, appoggiando il bicchiere sul bordo della vasca. «E non rubare i nostri snack.»

Posai tutto su un tavolino accanto e feci per girarmi.

«Aspetta…»

Federica mi bloccò con la voce. «Vieni un po’ più vicino… hai mai visto due dee nude in acqua calda?»

Gabriella rise, ma non disse nulla. Si limitò a gettare indietro la testa, mostrando il collo, e si lasciò accarezzare dall’acqua. Il bikini si era inzuppato e aderiva ancora di più al suo corpo: il seno sembrava raddoppiato, i capezzoli tesi sotto il tessuto. Le cosce immerse si intravedevano appena.

Federica, intanto, si sollevò leggermente, il suo fondoschiena uscito parzialmente dall’acqua, e si sistemò i capelli bagnati.

«Peccato che tu non possa entrare…» disse, fissandomi. «Regole da donne, ricordi?»

Gabriella annuì. «Eh già. Tu al massimo puoi portare gli asciugamani.»

«O fare le foto se proprio ti serve materiale per la notte» aggiunse Federica con un sorriso provocante, facendomi l’occhiolino.

Risi nervosamente, accennando a voltarmi.

Il cuore mi batteva forte. Il sole sulle loro pelli umide, i corpi immersi, i sorrisi mezzi brilli… era tutto troppo.

Scesi le scale più lentamente.

il suono delle risate di sopra e l’odore del loro corpo misto a crema solare e cloro mi restavano addosso.

Scesi le scale con un peso nello stomaco e qualcosa che bruciava sotto la pelle.

Tornai in camera e mi buttai sul letto, ancora vestito. Restai lì, a fissare il soffitto, poi chiusi gli occhi.

Le avevo ancora davanti: Gabriella, che si lasciava accarezzare dall’acqua come se il mondo non esistesse… Federica, con quello sguardo che sapeva esattamente cosa stava facendo.

Mi girai su un fianco, una mano tra i capelli, e lasciai che la mente andasse dove non doveva. Gabriella, così rilassata, con il bikini bagnato che si incollava alla pelle. Federica, con il culo appena fuori dall’acqua, che mi prendeva in giro con quegli occhi da gatta.

Mi morsi il labbro, spostai lo sguardo sul telefono. Era lì, a portata di mano. Lo presi, distrattamente, e aprii Instagram.

Il cuore ebbe un sussulto.

Tre foto nuove. Appena caricate.

Pubblicate da Gabriella.

Le dita tremarono leggermente mentre cliccavo.

C’erano solo lei e il vino, ma bastava quello.

La prima foto la ritraeva in primo piano, con il calice in mano, gli occhiali leggermente abbassati sul naso e le labbra socchiuse in un’espressione casuale e irresistibile. Il bikini blu si vedeva appena, ma c’era. E il seno… tondo, alto, perfetto, sembrava voler esplodere fuori da quel triangolo di tessuto troppo piccolo.

La seconda era peggio.

O meglio… peggio per la mia autocontrollo.

Una foto intera, fatta da Federica senza dubbio. Gabriella in piedi nella vasca, il pareo ormai tolto, l’acqua che colava giù dalle gambe grosse e splendide. I fianchi larghi, il fondoschiena accennato da dietro.

E un sorriso che non sapeva di niente, eppure per me diceva tutto.

Feci uno screenshot.

Non ci pensai nemmeno un secondo.

Sentivo già il sangue pulsarmi forte ovunque.

Aprii la galleria, rimasi su quella foto.

Lo sguardo si perse nelle sue curve, nel seno umido, nei fianchi pieni, in quella bocca. La bocca di mia sorella.

Mi passai una mano sotto i pantaloncini, quasi con rabbia.

Chiusi gli occhi, inspirai.

E cominciai.

Il respiro divenne lento, pesante.

La foto di Gabriella, quella foto così semplice e sensuale, sembrava fatta apposta per me. Per farmi impazzire.

Ogni movimento era accompagnato da un pensiero sporco.

Io lì, nell’acqua con loro. Le mani sulle loro cosce. Gabriella che mi guardava con quegli occhioni castani e mi sussurrava all’orecchio con il suo accento napoletano ruvido e diretto.

Federica dietro, che rideva, che mi toccava senza pudore, mentre io affondavo sempre di più nel corpo di Gabri.

Continuavo a muovermi, il respiro sempre più corto, gli occhi incollati allo schermo del telefono come se da lì dipendesse la mia stessa esistenza.

Ogni dettaglio di Gabriella sembrava urlarmi contro.

Il seno bagnato, le labbra leggermente socchiuse, quel corpo morbido e pieno che conoscevo da sempre ma che non avevo mai visto così, esposto e sfacciato.

Le immagini scorrevano lente, e io… io non riuscivo a fermarmi.

Ero immerso in un piacere sordo, sfrontato, viscerale.

Pensavo di essere solo.

Come sempre, in quella casa dove i grandi non c’erano mai e noi facevamo tutto a modo nostro.

Ma qualcosa, fuori dalla porta, si stava muovendo.

Un silenzio insolito.

E poi dei passi.

Leggeri.

Quasi furtivi.

Gabriella era entrata in bagno per farsi la doccia, lo sentii chiaramente. L’acqua scorrere, la porta chiusa.

Federica… beh, lei doveva essere andata a casa sua a far la doccia.

O almeno, così pensavo.

La verità era un’altra.

Federica, era in camera di gabriella e annoiata dall’attesa, curiosa come solo lei sapeva essere, aveva notato la luce accesa nella stanza di fronte. La mia.

E la porta socchiusa.

Quel tanto che bastava.

Silenziosamente, a piedi nudi e ancora in bikini sotto il copricostume trasparente, si avvicinò.

Sorridendo tra sé, si affacciò con cautela.

E si bloccò.

La mano sullo stipite della porta.

Gli occhi pieni.

Io non la vidi.

Ero troppo preso.

Disteso sul letto, a torso nudo, con i pantaloncini abbassati e il telefono davanti agli occhi, mi davo piacere senza più ritegno.

I sospiri uscivano lenti, profondi.

Ogni tanto mormoravo il nome di Gabriella.

Il suo nome.

A bassa voce.

Come una preghiera proibita.

Federica restò lì, immobile, come colpita da un fulmine.

Vide chiaramente cosa stavo facendo.

Vide lo schermo del mio telefono.

E vide la foto.

Quella foto.

Gabriella, con il calice tra le dita e il bikini bagnato, così perfetta da sembrare irreale.

Un lampo passò negli occhi di Federica.

Sorpresa? Sì.

Shock? Un po’.

Ma soprattutto… divertita.

E forse anche eccitata.

Appoggiò piano la testa allo stipite, restando a guardare in silenzio.

Un sorriso malizioso le increspò le labbra mentre si passava una mano lenta sulle cosce.

Nessun rumore.

Solo il suono dei miei sospiri sempre più intensi, la luce calda della stanza, e gli occhi verdi di Federica fissi su di me.

Su di me e sul mio segreto più oscuro.

«Cosa fai, pervertito?»

La voce improvvisa mi gelò il sangue.

Sgranai gli occhi. Il cuore schizzò in gola come un pugno.

Mi voltai di scatto, ancora con i pantaloncini abbassati e il telefono in mano.

Federica era lì.

Appoggiata allo stipite della porta, le braccia conserte, un sopracciglio alzato e un sorriso che diceva tutto.

«Ti masturbi con le foto di tua sorella?» chiese con tono malizioso, quasi divertito.

Il mondo mi crollò addosso.

Mi coprii d’istinto, senza riuscire a parlare. Le mani tremavano, la gola secca. Avrei voluto sprofondare nel letto e sparire.

«Io… non è… non dovevi—»

«Shhh.» Fece qualche passo, chiudendo delicatamente la porta alle sue spalle.

Poi si sedette lentamente sul bordo del letto, accavallando le gambe con naturalezza, il copricostume trasparente che lasciava intravedere ogni curva.

Mi fissava. I suoi occhi verdi brillavano di una luce diversa.

«Non smettere…» sussurrò, con un tono basso, ipnotico. «Guarda ancora quella foto.»

Allungò una mano e me la strappò delicatamente dal telefono.

«Gabri è davvero bella, eh?»

La sua voce era morbida, lenta, velenosa.

E poi lo fece.

Senza preavviso, senza esitazione.

La sua mano fredda mi sfiorò, poi iniziò a muoversi piano.

Mi prese tra le dita con una sicurezza spiazzante, iniziando a masturbarmi con gesti lenti, profondi, quasi esperti.

Sussultai.

Un gemito mi sfuggì involontario.

«Oddio…»

«Ma guarda come tremi…» rise piano. «Piccolo verginello arrapato.»

Si chinò verso di me, il seno premuto contro il mio fianco, le labbra quasi all’altezza dell’orecchio.

«Da quanto ti masturbi pensando a lei? Dai, dimmelo…»

Scossi la testa, in preda alla confusione, ma il piacere che stava salendo era troppo.

Non avevo mai provato nulla di simile.

Le dita di Federica si muovevano esperte, decise, perfette.

Io ero teso, completamente in balìa di lei.

«Hai un cazzo davvero bello, sai?» mormorò, fissandolo senza vergogna.

«Chissà se riusciresti a soddisfarla davvero…»

Rise piano, mentre il suo polso accelerava leggermente.

«Magari dietro quei suoi occhiali, anche Gabri pensa alle stesse cose sporche che pensi tu.»

Fece una pausa, poi guardandomi negli occhi, aggiunse con un sussurro velenoso:

«E magari si masturba pensando a te.»

Il respiro si fece più corto.

Ero al limite.

E lei lo sapeva.

Lo vedeva.

«Guarda la foto. Guarda com’è bella…»

Mi avvicinò lo schermo agli occhi, tenendolo con l’altra mano.

«Ti piace la tua sorellina, eh? Dai… fammi vedere come finisci per lei.»

Non ce la facevo più.

Il respiro si era spezzato. Il corpo si tendeva in avanti, scosso da un piacere violento e improvviso.

E fu tutto troppo.

Un gemito mi sfuggì dalle labbra, strozzato, mentre venivo tra le dita di Federica, che non si fermarono nemmeno un secondo.

Mi stava masturbando ancora, con un ritmo lento, preciso, mentre i miei fianchi tremavano e le cosce si irrigidivano.

Lei lo guardò, il seme.

Poi sorrise. Quel sorriso sfacciato, sporco, che mi faceva impazzire.

«Mmm…»

E senza dire nulla, si portò la mano alla bocca.

Leccò piano, un dito alla volta, godendosi ogni secondo.

Chiusi gli occhi, incredulo. Il cuore mi batteva fortissimo.

«Che bravo…» sussurrò, guardandomi con aria complice.

«Questo… sarà il nostro piccolo segreto.»

Mi accarezzò il petto con un’unghia, tracciando una linea invisibile fino all’ombelico.

Poi si alzò dal letto con una lentezza sensuale, aggiustandosi il copricostume e dando una rapida occhiata allo specchio accanto.

Fece qualche passo verso la porta.

Poi si fermò.

«Ah, e non pensare che sia finita qui…»

Si voltò verso di me.

«Abbiamo appena cominciato, Ale.»