L’attrazione proibita verso Zia Francesca

Capitolo 13 - La soluzione

Asiadu01
a day ago

Nemmeno mezz’ora dopo, eravamo in salotto, le tapparelle abbassate, una sola lampada accesa e il silenzio intorno, come se anche la casa sapesse che stava per succedere qualcosa di grosso. Francesca era seduta con le gambe incrociate sul divano, la sigaretta tra le dita e quello sguardo che conoscevo fin troppo bene. Quello da "se non parli subito, giuro che ti strozzo con il cavo del telefono."

«Ok, spiegatemi bene ‘sta storia.»

Adriana non perse tempo. Disse tutto con calma, con quella freddezza lucida che le veniva solo quando si sentiva minacciata sul serio. Mentre parlava, la guardavo e mi chiedevo dove cazzo trovasse quella forza. Quando finì, Francesca si passò una mano tra i capelli e scoppiò a ridere. Una risata secca, amara, che le fece scendere una lacrima all’angolo dell’occhio.

«Il terzo… o il quarto ricatto di quest’estate.» disse, fissandomi con un ghigno. «Giuro Ale, se ne arriva un altro lo ammazzo.»

Adriana sorrise, con una vena velenosa nella voce.«Beh, tecnicamente sono finite le persone scopabili in questa famiglia …»

Io mi lasciai cadere sulla sedia accanto a loro, il volto tra le mani, e sbuffai.«Diciamo che l’ultima manco lo era, eh. È stato più un trauma che altro.»

Francesca si alzò e si versò da bere. Poi si voltò verso di noi, occhi lucidi ma determinati.«Io una mezza idea ce l’ho…» disse, scuotendo il bicchiere.

Adriana si raddrizzò. «Cosa?»

«Conosco Lara da troppo tempo per non sapere che ha qualche scheletro nell’armadio… e so che suo padre ha combinato un casino anni fa. Se riesco a mettere le mani su qualche vecchia carta o messaggio, potremmo chiuderle la bocca una volta per tutte.»

La stanza rimase in silenzio per un attimo. Io sentii un nodo alla gola, lo stomaco chiuso come se stessi per vomitare.

«Vuoi rovistare tra le sue cose?» chiesi, a bassa voce.

Francesca annuì, seria. «Non sarà facile… servirebbe che tu la tenessi occupata domani notte. Giusto un’oretta, mentre Adri ed io rovistiamo in camera sua.»

Mi passai una mano sul volto, stringendo i denti. «Non ce la faccio più… mi sta ammazzando. Ogni volta peggio. È… una merda.»

Adriana mi prese il viso tra le mani, i suoi occhi così intensi e belli, e per un momento avrei voluto perdermici.«Lo so…» sussurrò. «Mi manchi, mi fai impazzire quando ti vedo così, Ale. Ma devi resistere solo ancora una volta. Per noi. Per te.»

Deglutii, abbassando lo sguardo.«L’ultima volta.»

Francesca si avvicinò, mi sfiorò la guancia con una carezza carica di dolcezza e di colpa. «Giuro che la facciamo finire, domani. Lo giuro su tutto.»

Restammo così, vicini, uniti da quella tensione, da quella rabbia e da quel desiderio di sistemare ogni cosa.Mi lasciai sfuggire un mezzo sorriso amaro.«È davvero l’ultimo giro, eh?»

Adri mi strinse forte. «Giuro. Poi torni da me.»

Francesca annuì, accendendo una sigaretta. «E se questa storia porta a un altro ricatto… lo giuro, impazzisco .»

Scoppiammo in una mezza risata nervosa, un attimo di leggerezza in mezzo a quell’inferno.

E così fu deciso.Domani notte, l’ultima volta.

Era notte fonda.La casa dormiva, o almeno così sarebbe dovuto essere. Io ero steso sul letto da più di un’ora, occhi fissi sul soffitto, il cuore che batteva troppo forte per trovare pace. Sapevo che quella sera sarebbe successo qualcosa. Lei l’aveva detto, con quella voce melliflua e quella malizia tossica che mi faceva rabbrividire.

“Ti voglio tutto per me… stanotte lo facciamo strano.”

Quelle parole mi erano rimaste infilzate nel cervello. Ma paradossalmente, era l’occasione perfetta. Dovevo tenerla lontana dalla sua camera e dal resto della casa. E se voleva farlo in salone… allora meglio così.Anche se il pensiero di doverle stare vicino di nuovo mi faceva venire il voltastomaco.

Poco prima delle due, bussò piano alla mia porta.Non risposi. Aprì comunque, apparendo sulla soglia in un completino di pizzo nero e rosso che, su quel corpo imponente e morbido, le lasciava scoperto più di quanto avrei voluto vedere.Aveva lo sguardo di chi voleva comandare, e io, quella sera, non avevo altra scelta che assecondare.

«Scendi in salone. Ti voglio lì. Ora.»La sua voce calda e bassa aveva quella nota minacciosa che conoscevo fin troppo bene.

Scesi senza fiatare.Il salone era immerso in una penombra calda, qualche candela accesa e sul divano una copertina buttata lì. Lara arrivò poco dopo, una bottiglia di vino mezza vuota in mano e quel sorriso da predatrice.

«Stasera facciamo le cose diverse. Ti piacerà… fidati.»

Fidarmi… già.Feci un respiro profondo, ingoiando il disgusto e il nervosismo, e mi sedetti sul divano, cercando di sembrare docile.Lei si avvicinò, montandomi addosso a gambe larghe. Sentivo la sua pelle morbida e calda premere contro di me, il seno prosperoso sfiorarmi il viso mentre cercava di impormi la sua presenza.

Io non dicevo una parola.Sapevo solo che dovevo tenerla lì. Tenere quella maledetta posizione, resistere, e aspettare il momento in cui il piano sarebbe scattato.

«Bravo cucciolo. Stasera si fa come dico io… e senza lamentarsi.»

Mi sussurrò all’orecchio, mentre le sue mani scivolavano sul mio petto.Sapevo che stavo scivolando di nuovo nel buio, ma questa volta, sarebbe stata l’ultima.

“Tanto lo so che lo vuoi.”

Sorrisi appena, un cenno appena accennato che in realtà voleva solo dire aspetta e vedrai.Finsi di rilassarmi sotto di lei, le mani che scorrevano sulle sue cosce, stringendole piano come a concederle il ruolo di comando, mentre dentro di me contavo i secondi. Sapevo cosa voleva da me quella notte. Ma era anche l’occasione perfetta.

Si sistemò meglio a cavalcioni, iniziando quei movimenti lenti e sinuosi che sapeva benissimo essere provocanti. Io la lasciavo fare. Non rispondevo come voleva, e più passavano i minuti più il suo sguardo si faceva impaziente, affamato di controllo.

«Che c’è? Oggi più docile del solito…»Il tono basso, provocante, mentre il seno prorompeva dalla scollatura di pizzo e quasi mi sfiorava le labbra.

Finsi di cedere ancora un po’, le mani salite a palpare le sue forme abbondanti, giocando il ruolo che si aspettava. La sua pelle morbida scivolava sotto le mie dita, mentre nella mia testa tutto era già pronto.

Era il momento.Con un movimento lento, la lasciai piegare in avanti, il suo seno pieno che mi sfiorava il volto. La sentii gemere appena, il corpo caldo e pesante contro il mio.

“Bravissimo… così. Vedi che ti piace…”

Sorrisi appena.

Continuava a muoversi, decisa, prendendosi quello che voleva, schiacciandomi sotto il peso del suo corpo morbido. Cercai di ribaltare la situazione a parole, insinuando piccoli fastidi, giocando con la sua vanità.

«Sai… potrai pure fare quello che vuoi stanotte, ma ti assicuro che finirà come decido io.»

Lei rise piano, piegandosi su di me, stringendomi il viso tra le mani. «Parole, caro. Solo parole.»

Il suono delle molle del divano che gemevano sotto il nostro peso faceva da sottofondo. Il suo respiro pesante, il profumo dolciastro della sua pelle, tutto mi dava fastidio, ma non lo mostrai. La provocai ancora, e ancora, mentre dentro di me contavo i minuti per arrivare al momento che avevamo preparato.

 

Mi chinai appena verso il suo orecchio, senza smettere di muovermi, e sussurrai piano:«Ti diverti a illuderti di comandare, eh?»

Lei mi scoccò un’occhiata furiosa, i suoi occhi verdi ridotti a due fessure incandescenti.«Non parlare. Serve solo il tuo corpo, il resto non conta.»

Le sue mani grosse mi strinsero i polsi e aumentò il ritmo, come a voler cancellare con i movimenti la mia voce, ma non smisi.

«Sai cosa penso ogni volta che fai questi versi?» mormorai di nuovo, con un sorriso storto. «Che non c’è niente di più triste di una donna che si accontenta di farsi credere intoccabile, quando sa di essere solo un ripiego.»

Il viso di Lara si irrigidì. Sentii la presa sulle mie braccia farsi più forte, il respiro diventare rabbioso. Cercava di non perdere il controllo, di non dar peso alle mie parole, ma ogni sussurro era una lama infilata sotto pelle.

Continuò a muoversi sopra di me, gemendo più forte, quasi a coprire la voce della mia provocazione.«Parla pure… tanto so cosa vuoi. Alla fine sei mio.»

Le lanciai uno sguardo carico di disprezzo, senza fermarmi. Il piano richiedeva tempo e pazienza. Ma sapevo che ogni parola la indeboliva. Che ogni piccolo cedimento, ogni sguardo furioso, la avvicinava al momento in cui avrebbe commesso l’errore.

Restai lì, sotto di lei, lasciando che si illudesse ancora un po’, ma dentro di me, sentivo che la fine era vicina.

ritmo era diventato frenetico, il suo corpo pesante che premeva contro il mio, il respiro che le usciva a scatti, tra un gemito e un ordine sussurrato. Io continuavo a muovermi, ma ormai con la mente altrove. Sapevo che il momento stava arrivando, che il piano doveva compiersi entro quella notte… eppure non mi aspettavo quello che accadde.

Sentii le sue mani stringermi i fianchi, le sue unghie affondare nella mia pelle, e mentre il piacere forzato saliva, mentre il mio respiro diventava irregolare, lei si chinò su di me e con voce roca e febbrile sibilò:

«Che ne dici di stare zitto… e darmi quello che tuo padre non riesce più a darmi? Un figlio.»

Il gelo. Un lampo che mi attraversò la spina dorsale. Tutta la nausea, il ribrezzo, la rabbia repressa in quei giorni esplosero in un secondo.

Senza pensarci, la scostai di colpo, il mio corpo che la spingeva via con uno strattone secco. Venni fuori da lei e rimasi seduto, il petto che si sollevava di colpi furiosi.

«Questo no. Questo è troppo, cazzo!» ringhiai, guardandola con un disprezzo che nemmeno cercai di nascondere.

Lei mi fissò, sorpresa, poi fece un sorrisetto storto, come se non le importasse. Come se pensasse che, alla fine, mi avrebbe ripreso tra le sue mani. Ma questa volta aveva passato il limite.

Era il momento di finirla. E sapevo che la notte sarebbe stata lunga.

Il sorriso di Lara svanì di colpo. I suoi occhi si fecero duri, taglienti come lame di vetro. Si scostò dal mio corpo con uno scatto secco, rimanendo nuda davanti a me senza il minimo pudore, ma con una ferocia nello sguardo che non le avevo mai visto.

«Tu non hai capito un cazzo, vero?» ringhiò, la voce roca e stravolta dalla rabbia. «Pensavi di poterti ribellare? Di fare il brillante? Sei solo un giocattolo, Ale. E a me i giocattoli rotti non servono.»

Si chinò verso di me, gli occhi che bruciavano di cattiveria pura.«Pensi davvero che qualcuno crederebbe mai a una tua parola? Che Francesca o quella smorfiosa di Adriana prenderebbero le difese di uno che si fa trattare così? Ti vedono per quello che sei… uno sfigato patetico che si lascia usare. E lo sanno. Lo hanno sempre saputo.»

Sentii il sangue salirmi alla testa. Ogni sua parola era veleno, ogni sguardo una lama che cercava di scavarmi dentro. Ma rimasi immobile, stringendo i denti, mentre lei continuava.

«E sai qual è la cosa divertente?» sibilò. «Che ti ho già distrutto senza nemmeno impegnarmi. Perché tu, Ale, sei nato per essere calpestato. Da me… e da chiunque altro abbia voglia di farlo.»

Mi scoccò un’ultima occhiata, velenosa e sprezzante, poi si avvicinò lentamente al tavolino, afferrò il suo bicchiere mezzo vuoto e bevve un sorso, come se nulla fosse, come se quella scena fosse una serata qualsiasi per lei.

«Ora, muoviti. Ho ancora voglia. E se non torni a fare il bravo… ti giuro che ti rovino la vita.»

La guardai, e per la prima volta non sentii più paura. Solo una rabbia fredda e lucidissima. Sapevo che quella notte sarebbe finita diversamente.

Proprio mentre lei mi lanciava quell’ennesima occhiata velenosa, la porta si aprì con decisione. Francesca entrò nel salone con passo lento e sicuro, in ciabatte, i capelli spettinati e il telefono in mano. Un sorrisetto ironico le increspava le labbra.

«Beh, beh… guarda un po’ che spettacolo patetico mi stavo perdendo.» disse, posando lo sguardo su Lara, ancora nuda, e poi su di me. «Stai tranquillo Ale, ora puoi pure smettere di recitare.»

Il cuore mi prese a martellare. Lara si voltò di scatto, sorpresa per un istante, poi subito irritata.«Ma che cazzo vuoi tu, vecchia befana?»

Francesca rise piano, scuotendo il capo. Poi alzò il telefono, facendo scorrere le schermate con calma.«Vedi, cara… ho appena scoperto che, mentre facevi la santarellina di famiglia e recitavi la parte della premurosa aiutante della nonna, ti divertivi a fregarle soldi. E non spiccioli… parliamo di bollette non pagate, spese mai fatte e transazioni da un conto all’altro. Tutto qui… nero su bianco.»

Si voltò verso di me, strizzandomi l’occhio.«Abbiamo fatto un bel giro tra le sue cose mentre tu eri troppo occupata a tentare di stuprarti il figliastro. Complimenti, Lara. Veramente fine.»

Il volto di Lara cambiò colore. Prima pallida, poi paonazza di rabbia. Fece un passo verso Francesca, ma la zia alzò la mano con il telefono puntato.«Un altro passo e questo finisce a nonna… e a tuo marito. Così, per gioco.»

Adriana comparve sulla soglia subito dopo, vestita da notte, ma con uno sguardo che non avevo mai visto. Freddo, determinato. Si avvicinò a me, mi prese la mano e sussurrò:«È finita, Ale.»

Lara rimase immobile, il respiro pesante, mentre il silenzio nella stanza si fece assordante. Nessuna via d’uscita. Nessuna scusa possibile. Le prove erano lì, nelle mani di Francesca, pronte a essere mandate a chiunque.

Ed era soltanto l’inizio.

Mi alzai, ancora con il respiro pesante e il cuore in tumulto, ma stavolta non per colpa sua. L’avevo sopportata fin troppo. La guardai fisso, poi mi avvicinai a Francesca, posandole una mano decisa sulla vita.

«Sai qual è la differenza tra te e lei?» sibilai guardando Lara dritto negli occhi. «Che anche se Francesca ha quindici anni più di te, è dieci volte più sexy, più donna… e più vera di quanto tu riuscirai mai a essere.»

Francesca si voltò a guardarmi, sorpresa e quasi divertita, mentre Lara irrigidì le spalle, il viso contratto in una smorfia di disprezzo.

«Attento a come parli, ragazzino…» provò a ribattere lei, ma la voce non aveva più il veleno di prima. Era rabbia mista a fastidio, e sapevo di averle punto l’orgoglio.

«No, stavolta ascolti tu,» replicai, avanzando di un passo. «Hai giocato abbastanza, hai fatto schifo abbastanza. Ma qui dentro, tra noi, tu non vali niente. Puoi provarci quanto vuoi, ma non sarai mai il centro di questa casa. E di certo non sarai mai all’altezza di Francesca. Nemmeno se campassi altre due vite.»

Lara strinse le mani a pugno, le nocche bianche. Cercò di replicare, ma le parole le morivano in gola.

«La verità ti fa male, eh?» aggiunsi con un sorriso beffardo. «Non ti regge il confronto. Sai perché? Perché puoi pure metterti in posa, fare la voce languida e recitare le tue commedie da quattro soldi… ma qui non ti crede più nessuno. Francesca vale, Adriana vale. Tu sei solo un’ospite di troppo.»

Francesca mi strinse appena il fianco, il suo sguardo divertito che diceva più di mille parole.

Lara si girò, furiosa e umiliata, abbandonando la stanza senza replicare. I suoi passi rabbiosi risuonarono nel corridoio.

Rimasi in piedi, il petto che si sollevava e si abbassava, poi incrociai lo sguardo di Francesca e scoppiammo a ridere insieme, quella risata liberatoria che sa di vittoria dopo una battaglia troppo lunga.

«Era ora,» disse lei con un mezzo sorriso.

«Gliel’ho detto,» replicai, e il nodo alla gola, per la prima volta dopo giorni, si allentò.

Ci guardammo. Francesca con quegli occhi che sapevano leggerti dentro, Adriana con quel mezzo sorriso sporco e dolcissimo insieme.

Nessuno parlò, ma in quell’istante capimmo tutti e tre la stessa cosa: era finita. E adesso iniziava il vero gioco.

Restavano pochi giorni in quella casa. Pochi giorni di libertà assoluta, senza pressioni, senza freni, senza più segreti.

La voglia di recuperare tutto il tempo sprecato, di consumare fino all’ultimo respiro quella complicità, era lì, viva, pronta a esplodere.

E sapevo che prima di tornare a casa, avremmo fatto in modo che quelle notti diventassero leggenda.

Solo il pensiero di quello che ci aspettava mi fece salire un brivido lungo la schiena.

L’estate stava finendo… ma il nostro peccato più bello doveva ancora accadere.

il prossimo sarà l’ultimo capitolo.