La piccola troia di famiglia

Capitolo 9 - La ciclabile - 1

Giulia la rossa
3 days ago

Il pullman si blocca con uno stridio di freni qualche metro oltre la fermata. Afferro il corrimano per non finire addosso al parabrezza, a stento resto in piedi. Qualcuno dei passeggeri si lascia sfuggire un’esclamazione.

Scocco un’occhiataccia al conducente, che fissa la strada davanti a sé: adesso ha vergogna a guardarmi dopo che mi ha fissato il culo da quando mi sono messa sugli scalini per scendere? Ora capisco perché si dovrebbe passare per la porta centrale del pullman quando si è a destinazione…

Gli sportelli a soffietto si spalancano e balzo a terra senza salutare. Con la coda dell’occhio scorgo l’autista lanciare un’ultima contemplazione alle mie chiappe, tenute ben divise dai leggings rossi. Catturano l’attenzione pure di una manciata di passeggeri, comprese un paio di donne. Trattengo in parte la soddisfazione, che alza un angolo delle mie labbra.

Il pullman emette un soffio alla chiusura della porta e riparte con un suono appena percettibile, si reimmette sulla statale e si allontana rallentando la coda che si è formata dietro la macchina blu che si è fermata.

Un paio di biciclette sfrecciano davanti a me, sulla pista ciclabile che attraversa la provincia. Non l’ho mai frequentata molto: non sono mai stata un’amante della bicicletta, ma dopo che mio cugino mi ha costretta a fargli un pompino nel parco dove andavo di solito a correre… Il mezzo sorriso cala in una smorfia di disgusto. Davide, bastardo, mi hai fatto odiare un posto così piacevole dove correre.

Sospiro. Appoggio un piede alla pensilina della fermata, controllo le stringhe e faccio un secondo nodo. Ripeto con l’altro piede. Il telefonino è agganciato al braccio: avvio la playlist che ho affinato negli anni per la corsa e negli auricolari esplode il ritmo di You make me di Avicii.

Saltello un paio di volte, controllo da che parte andare. A sinistra c’è una contrada trafficata, a destra i campi e i boschi. Scatto a destra. Non voglio pensare a nulla, voglio essere libera.

Le gambe si allungano, i piedi sono ammortizzati dalla suola delle scarpe, le mie grosse, meravigliose tette si muovono appena nel reggiseno sportivo. Questo e attirare l’attenzione di uomini che non mi interessano sono le uniche due note negative di un seno strabordante.

I primi alberi lungo la pista ciclabile mi accolgono mentre inizia Animals di Martin Garrix. L’ombra che gettano sulla striscia di asfalto è fantastica in questa giornata così calda; tra le piante luccicano le onde del fiume… Il fresco dell’acqua, essere cullata dalle onde.. magari la prossima volta, dopo la corsa, potrei bagnarmi un po’ sulla riva.

Un paio di ciclisti sono fermi in una curva, in sella alle loro bici. Uno, moro, indossa una maglietta nera con una scritta incomprensibile, composta da lettere simili a fulmini. Il logo di una rock band che non conosco? L’altro è un biondo con la maglietta bianca. I due hanno la testa puntata verso l’alto, quello con la maglietta nera indica qualcosa. Sollevo lo sguardo: un uccello marrone ha il becco aperto e sembra felice. Rallento e fermo la musica. Quella dell’uccello riempie le mie orecchie: sembra un cardine che cigola, qualcosa nell’esibizione lo rende lo stesso un suono meraviglioso.  

Maglietta illeggibile mette le mani sui fianchi. «È bravo, eh?»

L’altro solleva le spalle. «Beh, è un uccello, è l’unica cosa che sa fare, lo stronzo. Cos’è? Un tordo?»

«Che ne so,» sogghigna il moretto, «mica mi interesso di uccelli.» Con la cosa dell’occhio mi scorge. Da di gomito all’altro e mi indica. «Ad esempio quella topa coi capelli rossi mi ispira di più.»

Il biondo gira il capo e mi fissa le bocce. «Ehi, belle tette!»

Che cazzo vogliono quei due sfigati? Sollevo una mano chiusa a pugno con il medio sollevato e gliela mostro per bene. Non vorranno venire a rompere i…

Una bicicletta arriva sfrecciando da oltre la curva e si ferma accanto ai due, che perdono ogni interesse nei miei confronti. Il nuovo arrivato appoggia il piede per terra e mi guarda. Il suo sguardo non ha una briciola di libidine nei miei confronti, anzi, sembra quando ti scoprono ad ascoltare i loro segreti.

Andatevene al diavolo. Faccio uno scatto e riprendo a correre, in pochi secondi i tre sono alle mie spalle.

Metto nella custodia gli auricolari, la infilo in tasca, faccio uno scatto e riprendo a correre. In pochi secondi i tre sono alle mie spalle. Il fiume gorgheggia, le foglie friniscono nel vento e gli uccelli cantano. Mi serve davvero un po’ di natura per staccare dallo stress dello studio in vista degli esami di maturità.

Il bosco finisce, solo sul lato destro della pista continua una linea di alberi per nascondere il corso d’acqua e fare un po’ di ombra; dall’altra, i campi sono terra arata pronta a riempirsi di canne di granoturco. Un grosso trattore blu percorre a passo d’uomo un campo trascinando dietro di sé un aratro che solleva una nuvola marrone. Se mi sbrigo riesco a superarlo prima che arrivi alla pista ciclabile e mi innondi di polvere.

Mi fermo ad una panchina sulla riva del fiume. Metto un piede sullo schienale e mi inclino in avanti: i muscoli della schiena si tendono come quelli della gamba dritta.

Un fischio viene dalle mie spalle. «Ciao Belletette!». I due ciclisti di prima mi sorpassano e sfrecciano lungo la striscia di asfalto.

«Ti piacerebbe palparle, eh?» I due sono troppo lontani per sentirmi. Stronzi. Scommetto che se mi incontrassero lungo la strada se la farebbero sotto piuttosto che rivolgermi la parola.

Controllo la distanza percorsa sullo smartphone. Due chilometri e qualcosa. Di solito ne faccio dieci di corsa, quindi potrei tirare avanti per altri tre e poi tornare indietro. Il pullman torna indietro tra un paio di ore… sì, faccio in tempo, anche a fermarmi a prendere qualcosa al bar vicino alla fermata.

Mi accosto alla fontanella, premo il pulsante e metto le mani sotto il getto dell’acqua, che schizza ovunque sulla maglietta. Meno male che non ho messo quella della Ananas… Bevo: il sapore fa schifo ed è calda.

Scuoto le mani e gocce volano ovunque. «Devo proprio portarmi dietro da bere, se voglio continuare a correre da queste parti.» Al parco c’è un baretto - caro da denuncia - ma almeno non sembrava di bere dal tubo dell’acqua per bagnare il giardino.

E gabinetti. Quando scappava, potevo farla in un gabinetto, qui, invece… La pista continua in mezzo ai campi, passa accanto a qualche gruppetto di alberi ma non c’è nulla che possa somigliare ad un cesso. Nemmeno uno di quelle squallide toilette da cantiere in vetroresina o plastica.

«Cazzo…»

Ci penserò poi, quando la natura chiamerà. E la natura sarà costretta a risolvermi il problema, temo.

Scatto e riprendo a correre.

****

Rallento fino a fermarmi. È da almeno un chilometro che sento lo stimolo, e adesso non ce la faccio proprio più a tenerla. Ogni passo sembra sufficiente a farmela fare addosso.

La pista attraversa un boschetto: non mi piace l’idea di accosciarmi in mezzo alle piante ma non voglio tenerla per le prossime due ore. Correre con la vescica piena, poi, non è qualcosa che voglio fare nemmeno per scherzo: ci mancherebbe solo ritrovarmi con una macchia umida che parte dall’inguine e mi imbratta i leggings. Non trattengo una smorfia all’idea dell’imbarazzo. E del mio stesso disgusto.

Un paio di biciclette sono appoggiate ad altrettante piante vicino alla pista ciclabile, sul lato destro. Cazzo, ci mancava solo di beccare qualcuno proprio nel posto dove voglio urinare. Saranno qui per funghi o a raccogliere i mirtilli?

Andrò a imboscarmi nella selva a sinistra. Il sottobosco è più fitto e mi nasconderà meglio. Un sentiero si inoltra tra erbacce e rovi, forse fatto dall’andirivieni dei pescatori per raggiungere la riva. Spero non ce ne siano pure oggi.

Lancio un’occhiata a sinistra e a destra: una fila di ciclisti sta arrivando da est, ma è lontana e non mi vedrà entrare nel bosco, dall’altra non c’è nessuno.

Il passaggio è stretto, le foglie delle erbe mi strisciano contro i leggings. Spero non me li sporchino… Sollevo le mani per non toccare la vegetazione, non vorrei prendermi una zecca o toccare qualche ortica.

Il sentiero fa una curva, passa dietro alcuni alberi. Mi volto: la pista ciclabile non è più visibile. Potrei… ma dove? Faccio ancora qualche passo: non ho intenzione di pisciare proprio in mezzo al sentiero, ma non voglio nemmeno infilarmi in mezzo alle erbacce. Riprendo a camminare. Forse… ecco, lì c’è un piccolo spiazzo tra le piante dove posso liberarmi!

Esco dal sentiero e raggiungo un’area di un paio di metri quadri priva di erbacce, coperta di sassi. Mi fermo e tendo l’orecchio: non si sente nulla, a parte il suono del fiume, gli uccelli che cantano e un trattore lontano. Va bene.

Infilo i pollici sotto l’elastico di leggings e mutandine e abbasso. Mi inchino, culo e figa all’aria e spingo le mani fino a metà dei polpacci, in una posizione poco consona da tenere in mezzo ad un bosco. Spero che non ci siano tafani o cinghiali…

Mi accoscio e discosto i talloni. Che casino per fare una pisciata, i pantaloni abbassati mi bloccano le gambe…

Rilasso il muscolo e il calore del getto di urina mi scalda l’uretra. Il getto schizza contro un sasso. Spero non mi sporchi i leggings. Se solo potessi aprire di più le gambe… Per fortuna non ho bisogno di fare anche altro… le foglie pallide di quell’erbaccia non ho di certo l’intenzione di passarle sul mio ano.

Cosa diceva mio fratello? Che gli uomini usano i pantaloni perché gli basta aprire la zip per tirare fuori l’uccello e pisciare dietro un albero per non essere visti, ma quelle comode erano le donne con la gonna perché dovevano solo abbassarsi e farla senza problemi? Ora che mi ritrovo in questa posizione, una gonna sarebbe più comoda di un paio di leggings abbassate alle cavig—

Dei rametti si spezzano appena oltre un muro di vegetazione. Il suono si avvicina. Trattengo il fiato, il cuore mi batte nelle orecchie. Spero non sia qualche animale che…

Due figure umane compaiono tra le foglie, si muovono verso di me. Spostano un ramo e si bloccano, fissandomi rannicchiata. L’imbarazzo mi scalda il volto: essere beccata da due pescatori mentre sto pisciando è qualcosa di… Ma non hanno canne da pesca o gli stivaloni, sono vestiti come ragazzi normali, con magliette bianche, jeans e… e uno sta nascondendo qualcosa in una tasca. Una bustina con delle pastiglie.

Cosa…

Il cuore mi si blocca. Cazzo! Sono spacciatori! Merda!

Il biondo con la maglietta bianca mi fissa a occhi aperti. «Che cazzo ci fai qui? Ci stai spiando?»

Il suo compagno finisce di mettere la busta nella tasca, ma si ferma appena prima di infilare anche l’ultimo angolo. Da un colpo sul braccio dell’altro. Sghignazza, lo stronzo. «Ma è Belletette!»

L’altro gli lancia un’occhiata. «Chi?»

«Quella che abbiamo incrociato quando stavano… Quando è arrivato Luca…»

«Ah, sì, la troia che ci ha fatto il dito medio.» Il biondo mi guarda. «Dici che ha scoperto cosa stavamo facendo e ci ha inseguiti?»

Questo è scemo? «Io…» Non so cosa fare. Non posso scappare con i leggings alle caviglie, e se mi alzassi mi vedrebbero la figa e… Merda! Era meglio andare al parco a correre, anche con il rischio di beccare quel bastardo di mio cugino. «Io stavo… stavo solo facendo pipì.»

«Che scusa del cazzo…» Il biondo si volta verso il compagno. «Adesso cosa facciamo?»

«Dobbiamo far sparire la roba dalla casa e portarla da un’altra parte.»

«Sì, ma io intendo con la troia.» Mi indica con un cenno del capo.

Sul viso del moro si allarga un sorriso che mi fa ghiacciare il sangue. «Io un’idea ce l’ho.»

Devo tenere la testa alzata per guardarli. Sono in una posizione di palese inferiorità. Alzo le mani dalle cosce, barcollo. Un paio di gocce di pipì mi cadono dall’inguine. «No, vi giuro! È stato solo un caso! Io ero di passaggio e…» Deglutisco. Adesso cosa mi fanno? Sarebbe stato meglio spompinare mio cugino nello spiazzo che ritrovarmi con due spacciatori. Saranno armati?

Il biondo si avvicina, io mi stringo tra le braccia. «Vi prego, non fatemi nulla. Non… non parlerò.»

Lui mi afferra per le ascelle e mi alza. Mi trovo nuda per metà davanti a loro.

Il moro si sposta per vedermi meglio. Sorride, si passa la lingua tra le labbra. «Va’ che pezzo di figa! Io questa me la scoperei più che volentieri.»

L’altro mi fissa le tette. «Mica male. Una così dovremmo tenerla come puttana per divertirci.»

Alzo le mani davanti a me. «Vi prego, lasciatemi andare. Non dirò nulla a nessuno.» Faccio un passo indietro, i pantaloni abbassati riducono le mie falcate a pochi centimetri. È come avere le catene ai piedi.

Non mi piscio addosso solo perché il contenuto della mia vescica è già sotto le suole delle mie scarpe.

Il biondo mi prende per il braccio. «Tu non vai da nessuna parte. Ci hai rovinato il nascondiglio e paghi.»

Mi manca il fiato. «Io non ho soldi con me, ma posso…» Scorgo il telefono sul braccio. «Posso darvi i miei soldi che ho in PayPal…» Oddio, quanto ho? Venti euro? Non basta nemmeno per una dose della loro merda, di certo non per lo sbattimento di cambiare la posizione del loro nascondiglio.

Il moro mi guarda storto. «PayPal? Ma mi stai prendendo in giro?»

Il biondo tira fuori dalla tasca dei jeans lo smartphone. «Dai, possiamo farci pagare con quello, invece di tenere le banconote delle vendite in tasca.» Smanetta un attimo e me lo mostra. «Vuoi mettere la comodità?» Un codice Qr di PayPal compare sullo schermo, con il nome del profilo sopra: “Valerio Bianchi”.

«Fai vedere quanto hai?» Il moretto mi fa cenno con una mano di mostrare il telefono.

Mi afferro i leggings e le mutandine e me li alzo. Mi sento meglio. Non tanto, ma un filino, almeno. La pipì che non ho asciugato dalle labbra inumidisce il tessuto che la tocca. Che schifo… «Sì…» Estraggo lo smartphone e gli mostro il mio conto.

I due fanno una smorfia.

«23 euro?» Il biondo mi rimette sotto il naso il suo Qr code. «Che merda.»

Deglutisco. «Non ho altro.» Cosa pensano, che abbia un lavoro? Campo di paghetta… «Pensavo di usarli per pagarmi il pullman per tornare a casa e bere qualcosa.»

Il moro emette una risata che suona come un abbaio. «Per bere ci sono le fontane, e per il pullman ti attacchi al tram.»

Trattengo un sospiro. Per tornare a casa ci penserò dopo, al momento ho problemi più grossi. Inquadro il codice e mando tutti i miei fondi. Mi si stringe il petto a leggere il saldo sceso a zero. Dovevano durarmi tutta la settimana…

Il telefono del biondo emette un trillo, l’angolo destro del bastardo si solleva di una virgola. «Ottimo.»

Ritraggo lo smartphone. «Posso… possa andarmene, allora.»

Il moro ride. «Non pensarci nemmeno.» Mi afferra per un braccio. «Con quella miseria non ci paghi nemmeno il disturbo di spostare la nostra roba.»

«Già.» Il biondo si mette il telefono in tasca. «Andiamo.»

Il tamburellare del cuore nelle orecchie è forte al punto tale che copre il canto degli uccelli. I due mi spingono verso il varco tra i rami che avevano attraversato un paio di minuti prima.


Ciao, lettore. Spero che ti sia piaciuto vivere questa piccola avventura con me. Ogni fremito, ogni sospiro che hai provato leggendo è stato un momento condiviso, un segreto tra noi. Se ti sei divertito quanto me, perché non lasciarmi un segno del tuo passaggio? Un piccolo gesto può accendere il mio sorriso, e io adoro sapere che sei stato qui, vicino a me.

Premi il cuore ❤️ Se il calore di queste pagine ti ha sfiorato anche solo per un istante, premi quel cuoricino. È come un battito che arriva dritto a me, un modo semplice per dirmi che hai sentito lo stesso brivido che ho provato io. Non c’è niente di più dolce che vedere il tuo apprezzamento accendersi per me.

Commenta ✍️ Mi piacerebbe tanto sapere cosa ti ha fatto battere il cuore. Raccontami cosa ti ha stuzzicato, cosa ti ha fatto sognare, o magari cosa vorresti che accadesse dopo. Le tue parole sono come un sussurro sulla mia pelle, e non vedo l’ora di leggerle e lasciarmi ispirare da te.

Metti cinque stelle ⭐ E se vuoi davvero farmi brillare, regalami cinque stelle. È il tuo modo di dirmi che questa storia ti ha preso, ti ha avvolto, ti ha fatto desiderare di più. Una valutazione così sarebbe la ciliegina sulla torta, un dono che mi scalda dentro.

Grazie per esserti tuffato in questo viaggio con me, lettore. Non vedo l’ora di condividere ancora altri momenti, altre emozioni. Tu sei parte di tutto questo, e io sono qui, pronta a continuare.

Giulia la rossa XXX