La piccola troia di famiglia
Capitolo 8 - I soprusi della bibliotecaria - 3
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«Confesso che è da tempo che ti guardo, Giulia». Frida mi mette le mani sui fianchi.
Una scarica di disgusto mi attraversa il corpo, il fiato mi si mozza.
Lei non sembra nemmeno farci caso. Continua a parlare. «…e più ti guardo e più penso che saresti una perfetta slave».
Faccio una smorfia. «”Una perfetta slave”? Io non ho in—»
Le mani della stronza salgono a prendermi i seni. Il cuore mi balza in gola, le parole mi si mozzano.
Frida soppesa le mie tette attraverso la maglietta come se stesse controllando della frutta al mercato. Annuisce: le mie bocce sono di suo gradimento.
Mi lascia e fa un passo indietro. Sospira. «Un vero peccato non avere qui un paio di manette e uno strap on… ma Gianna non me lo lascia usare, il suo».
Gianna? La tipa muscolosa della foto? Cosa cazzo ha intenzione di fare.
Frida scuote la testa, delusa. «Non importa. Togliti la maglietta, schiava».
La fisso allibita. «Ma che cazzo stai dice—»
Un sibilo fende l’aria e un dolore scoppia al mio fianco. «Ah!» Mi porto la mano sull’anca destra.
Frida ha in mano il righello scassato che fino a mezzo secondo prima era accanto alla pila di libri. Me lo punta contro nemmeno fosse un coltellaccio. La rabbia abbruttisce ancora più il suo volto. «Ti ho dato un ordine, troietta: se non lo eseguirai passerò a colpirti in zone più sensibili».
Ma questa è scema? Lei e la sua amica si prendono a sprangate quando si inculano a vicenda? O è solo lei che si fa picchiare e poi riversa la sua frustrazione su persone indifese?
La bibliotecaria part-time appoggia la punta del righello sul lato del mio seno destro e lo allontana abbastanza da potergli imprimere velocità per colpirmi con forza. Deve fare molto, molto male una cosa simile. Deglutisco. Maledettamente male.
Il livido, poi, come lo giustificherei con mio fratello?
«Allora? Te la togli quella maglietta?»
Inalo ed espiro lentamente. Devo trattenere l’istinto di fuggire. Afferro il fondo della Ananas Fashion e la sollevo. I miei seni si liberano dalla costrizione del tessuto e sembrano respirare. Mi aspetto di ricevere una bastonata da un istante all’altro.
I miei capelli lunghi crepitano mentre escono dal collo della maglietta. Getto la t-shirt sullo schienale della sedia accanto a me.
Frida non mi ha colpita ma guarda il mio seno prosperoso. Ha uno sguardo che nemmeno il più bavoso degli uomini ha riservato alle mie bocce. Sembra il pervertito dei cartoni animati giapponesi davanti alle tette della protagonista, le manca solo la bava che cola sul mento.
Se prova a succhiarmi i capezzoli, il righello glielo spacco in testa.
Lei si sbottona i jeans e, dimenandosi sul tavolo, se li sfila. Ha delle gambe scheletriche, pelose. Indossa un paio di mutande che sono il contrario esatto del sexy, me le aspetterei addosso ad un’anziana o a una suora.
Trattengo a stento una smorfia. Non so dove vuole arrivare questa stronza, ma non mi piace affatto. «Devo… devo levarmi la gonna?»
Frida sogghigna con l’elastico delle mutande tra le dita. «E perché mai? Io voglio vederti con le tette fuori quando mi lecchi la passerina, mica voglio vedere la tua».
Cosa? Cosa vuole che faccia? Inghiotto il disgusto che sta per salirmi al volto.
Frida, i pantaloni abbassati alle caviglie, riprende a muoversi da una chiappa all’altra per togliersi le mutandine. L’afferrerei per i capelli e la farei stare in piedi per levarsele, tanto mi innervosisce vedere qualcuno comportarsi in un modo così stupido.
Le mutande raggiungono i jeans, Frida è ansimante per lo sforzo di togliersele in una maniera tanto idiota. Apre le cosce. C’è un fottuto rovo nero, lì in mezzo. Ha più pelo tra le cosce che in testa…
«Ok, bello, sembra il gatto di mia nonna. Che devo farci? La permanente?»
La bibliotecaria part-time si appoggia con le mani dietro di sé. «Scommetto che sei una di quelle che si depila la passerina…»
Sì, ci tengo che quando mi scopano la trovino senza l’uso di machete e di mappe della foresta amazzonica.
«…ma una donna non deve sottostare a queste stupide mode di bellezza che la umiliano».
Mi vengono in mente le foto erotiche vintage, con donne che erano messe come Frida. Donne fighe, a differenza sua, con grossi seni e una spiccata, sfacciata sensualità. «Quindi, negli anni ottanta avresti fatto la depilazione alla brasiliana?»
L’espressione da maestrina scompare dalla faccia della donna, sostituita da una furente. Batte una mano sul tavolo. Inizio a capire perché quella scrivania è così rovinata. «Muoviti a leccarmela, o chiamo i miei genitori».
Stringo le labbra per non mettermi a ridere. “Leccami la patata o lo dico alla mamma”. Questa stronza è solo una montata, con l’impressione di avere più potere di quanto ne possa davvero usare.
«Muoviti».
Mi avvicino di un passo. Se ci fossero dei viscidi broccoletti di Bruxelles da mangiare mi sentirei meno schifata. Lo stomaco mi si chiude. Non credo di essere mai stata tanto disgustata da un cazzo che ho succhiato. Nemmeno quello di mio cugino Davide che me l’ha messo in bocca nel parchetto mi ha fatto tanto schifo.
E pensare che vorrei leccare la figa della ragazza di mio fratello…
«Se… se ti sdraiassi, starei più c—»
Frida scoppia in una risata. «No, tu stai in ginocchio, troietta. Devi soffrire». Si volta verso la sua postazione di lavoro, sbircia in una scatola di plastica. «Ho finito le graffette, o le getterei sul pavimento…»
Lo sguardo mi cade sulle sue ginocchia: ci sono segni che non ho mai notato prima, ed ecchimosi violacee sulle gambe. O è incredibilmente distratta e finisce addosso a qualunque mobile, o la sua amica forzuta ha un’idea piuttosto manesca del sesso. La schiena dev’essere a strisce come le zebre.
E dubito che Frida le restituisca il piacere.
«Muoviti, non posso lasciare la biblioteca senza controllo tutto il giorno».
Ormai avrebbero fatto in tempo a portare via tutti i libri della sezione fantasy e quella di fisica. Mi inginocchio tra le cosce della bibliotecaria part-time.
È la prima volta che mi trovo a fare un cunnilingus fuori da una mia fantasia sessuale… e per quanto possa intimorirmi la cosa fatta con una ragazza che può piacermi, con una stronza come questa, e con una selva simile da attraversare…
Come cazzo facevano una volta? Immagino che negli anni ottanta leccarla non fosse una delle pratiche sessuali più comuni. Le modelle nelle foto dai colori sballati e la grana grossa non si aspettavano di certo di cominciare un rapporto con lui che ricambiava il pompino con dell’altro sesso orale…
Nemmeno Frida dev’essere una di quelle che vede molte nuche quando abbassa lo sguardo verso le sue cosce scheletriche.
Un odore di stantio si alza dalla figa della ragazza. È rivoltante. Dev’essere una di quelle convinte che si pulisca da sola, e che pulisca fino alle caviglie.
«Allora?»
Vaffanculo, troia… Anzi, darti della troia sarebbe un complimento.
Metto le dita nella foresta nera e provo ad aprirmi un varco. Peli recisi piovono sul pavimento. Una spazzolata toglierebbe la metà della massa. Almeno non c’è la forfora…
Appoggio le mie labbra a quelle in mezzo alle cosce e comincio a leccare. Sembra di passare la lingua su un’orata non troppo fresca, l’odore non è meglio. È rivoltante.
Frida sospira di piacere. «Non fermarti, troietta…» Geme ad un mio altro colpo di lingua. «Non hai stile, ma mi accontenterò».
Ma vai a cagare, puttana… Vorrei vederti a leccare qualcosa che sembra un sacco della spazzatura il mese di agosto. Un sacco della spazzatura peloso, tra l’altro.
Mio fratello ha stile, lui avrà fatto godere diverse…
Mi blocco. William mi ha praticato il miglior cunnilingus che abbia mai vissuto, è stato fantastico. Non ho mai goduto tanto in vita mia…
Riuscirei a replicarlo su questa troia? Non se lo meriterebbe, ma…
La stronza si è già eccitata nel vedermi e palparmi le tette, cola un liquido che non leccherei mai per nessun motivo. Appoggio due dita sull’imbocco dell’utero e spingo: la figa fa appena un po’ di resistenza e sprofondo in Frida. Il buco rigurgita fluido biancastro.
Cazzo, mi si strizza lo stomaco, tra un momento un altro liquido esce dalla mia bocca…
Lei è attraversata da un tremito. «Cosa… cosa stai…»
«Secondo te?»
Le mie dita scivolano nella vagina di Frida, bagnata e calda. Scaccio dalla mente che è esattamente come la mia… no, non lo è affatto… Non fa nessuna resistenza, è come se le infilassi in un calzino. Inizio a fotterla muovendole avanti e indietro, ruotandole un po’ in un senso e nell’altro.
La puttana si sdraia sugli avambracci. «Ti… sembra di leccarmela?»
«Chiudi quella bocca, stronza…» È tanto se non ti sto prendendo a pugni su questa specie di ferita fetente.
Frida non strepita, non si arrabbia. Anzi, si rilassa un po’.
Vuoi vedere che dovevo insultarla pesantemente già dall’inizio e adesso sarei io con la sua testa sotto la mia gonna?
Appoggio la mano libera sulla commensura in cima alla vulva e premo con forza, come se volessi far uscire il clitoride dalla sua tana. La ragazza emette un gemito, si getta una mano sulla bocca, ha gli occhi spalancati.
Ti piace, eh, troia? Mi sa che Gianna, quando ti prende a legnate, non ci pensa a farti queste cose.
Frida si sdraia sulla cattedra, ansima come un mantice.
«Non fermarti, troietta!»
«Finiscila!» Schiaffeggio la figa con forza. «Piantala di chiamarmi così, stronza!»
La bibliotecaria part-time sobbalza ed emette un grido soffocato. Il movimento di un braccio fa cadere per terra il portafoto, da oltre la cattedra proviene il suono di legno che impatta sul pavimento e vetro che si incrina. Frida non ha la minima reazione, non se ne accorge nemmeno.
Mi afferra per i capelli con una mano e mi trattiene contro il suo inguine. «Non fermarti, Giulia».
Sentire il mio nome uscire dalle sue labbra mentre geme è disgustoso. Tre giorni fa, quando a pronunciarlo era mio fratello mentre lo facevo godere, mi sembrava il suono più bello al mondo, ora sembra un insulto…
Com’è possibile non lo so, ma la figa della stronza inizia a puzzare ancora di più. Respirare è un’agonia. Tra un momento sono certa che rigetto il pranzo, se non mi do una mossa…
Il clitoride di Frida fa - alla buon’ora, prendiamocela calma, eh – la sua comparsa. Allunga la sua testa fuori dalla tana. Con questo, mio fratello mi stende quando me lo lecca, lo accarezza, lo prende in bocca, lo succhia… lo tratta come io faccio con il suo cazzo quando lo spompino… ma di certo non mi metto in bocca quello di Frida.
Aumento la forza e la velocità delle due dita che uso per fotterla e altre due le uso per prendere il clitoride. Lo sfrego.
Frida si contorce, geme come una folle. Tra un po’ anche lo schermo piatto andrà a fare compagnia al portafoto, se continua a muoversi come un serpente a cui hanno schiacciato la testa. Prova a parlare, ma sembra stia soffocando.
Se continua a fare tutti questi versi, tra poco entrano i due in biblioteca a controllare se non è in corso un sacrificio umano – il mio, in effetti -. Sarà meglio farla venire del tutto e concludere questa farsa.
Spingo la punta delle dita contro le pareti della vagina di Frida e – ah, merda… - mi metto in bocca il suo minuscolo cazzetto. Il naso mi finisce in quel disastro di peli ispidi. Mi pungono il viso, un paio si infilano nelle narici… Porca troia, mi faccio la depilazione laser alla passera, non dovranno mai più esserci peli sul mio inguine!
Chiudo gli occhi, succhio, lecco la punta, trattengo il vomito.
Frida si blocca, il clitoride e la sua figa si scaldano, si irrigidisce e c’è un tonfo sul tavolo. Non c’è più rigidità.
Apro gli occhi e allontano il viso da quel gatto morto rimasto sotto il sole. Sfilo le dita dal corpo di Frida, liquido cola fuori e scompare nella foresta amazzonica. Cazzo, mi dovrò tranciare medio e indice della mano sinistra, mi rivolta vederli bagnati di quella roba…
Con quelli dell’altra mano mi gratto il naso, non voglio che mi siano rimasti peli nelle narici, che continuano a prudere.
Frida è sdraiata scomposta sulla cattedra. Sembra la tipica vittima di un assassinio all’interno di una serie tv crime, anche se il suo petto piatto si solleva con una frequenza maggiore del normale.
Non so se essere felice di aver scoperto che so far godere anche una donna, o se essere disgustata che l’ho scoperto con questa stronza. Mi sfugge una smorfia: più la seconda, in effetti.
Mi pulisco le dita sulla maglia di Frida e rindosso la mia. Non sono mai stata così felice di nascondere le mie tette. Mi allungo sul tavolo per prendere il mio tablet. Per fortuna è solo caduto sul retro e non ci sono danni.
Frida mi afferra il braccio. È rossa in volto e suda. Mi guarda e apre la bocca. «Io… possiamo… potrei lasciare Gianna e metter—»
Strappo il braccio dalla sua morsa. «Ma non pensarci nemmeno!» La incenerisco con lo sguardo. «Ma neanche se ti facessi il bagno tutti i giorni e ti disboscassi in mezzo alle gambe!»
Mi ritraggo e raggiungo la porta. Afferro la maniglia.
La bibliotecaria part-time si solleva esalando un sospiro. Si appoggia sugli avambracci. Mi fissa, le labbra sono ritratte e si vedono i denti. «Non permetterti, Giulia. Ti ricordo che i miei genitori sono i tuoi prof—»
Sollevo la mano dalla maniglia e le mostro il medio. «Ma andate tu e i tuoi genitori a farvi riempire di legnate da Gianna, e poi fatevi inculare». Prendo dalla tasca la tessera della biblioteca che rinnovo da quando ho sei anni, la strappo e lascio cadere sul pavimento i pezzi. «Qui non mi vedi più». E se ti vedo io per strada passo sull’altro marciapiede.
Esco e sbatto la porta. I due ragazzi nella sala lettura fanno un balzo sulla sedia e si voltano verso di me, lo stupore sul volto. Si staranno chiedendo cos’abbiamo fatto nell’ufficio. Meglio se lo ignorate, se volete dormire, questa notte.
Passo in mezzo a loro. «Non fatevi beccare a usare ChatGPT dalla racchia lì dentro, se non volete passare un brutto momento».
La ragazza che chattava sbatte gli occhi. «Cosa…»
Afferro i libri e le penne sul tavolo, li metto nello zainetto e infilo l’uscita. Adesso mi tocca studiare a casa, con il casino della televisione di mamma e i video di Tik Tok che continua a vedere sul telefonino… Menomale che la scuola sta per finire…
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