Come gli eschimesi

Capitolo 3 - Il baitèl

Non mi aspettavo la casa del nonno di Heidi nell’anime degli anni ’80, ma questo è un rudere di primo ordine: sassi neri scheggiati sono appoggiati uno sopra l’altro a formare una struttura quadrata non più grande di un box auto, ragnine tra gli interstizi che hanno catturato fiocchi di neve sono sferzate dalla brezza gelida. Il tetto è di lamiera, da cui pendono piccole stalattiti. Sopra ci si è accumulata una spanna di neve. Spero sia rimasta tutta sul tetto…

La porta è di metallo, con delle scritte rossi e blu scolorite fatte con delle bombolette spray – chi cazzo se ne va nei pascoli a fare graffiti? – e la maniglia di metallo è accompagnata da un chiavistello conficcato in un buco praticato in un sasso dell’uscio. Il viso congelato mi duole nell’accenno di sorriso nel notare che manca un lucchetto.

Katia usa la punta dei bastoncini per premere la leva dell’attacco degli sci e se li sgancia. Affonda per metà dello scarpone nella coltre bianca. Si avvicina alla porta e afferra il catenaccio.

Volta il viso verso di noi, come se ci stesse chiedendo se aprire o meno. Io annuisco, ma sono pronto a scommettere che non ci andrà…

La mano della donna si muove e la barretta di metallo esce dal foro nella pietra. Lei sorride. «Devono lasciarlo aperto per chi si perde in montagna…»

Tipo le discese in sci nella nebbia? Pesto la punta del bastoncino sulla leva dell’attacco un paio di volte per sci e mi libero anch’io di questi dannati aggeggi. Li prendo e li appoggio accanto a quelli di Katia e Stefano.

Abbasso la testa sotto l’architrave di legno tarlato. L’interno è buio, vuoto. Le mura interne sono sempre pietre, ma ogni buco è tappato da cemento o qualche altra cosa grigia. Il pavimento è terra battuta, con sassolini più grossi, forse quanto è rimasto dal materiale usato per tappare i muri.

Chiudo la porta alle mie spalle e la baita… o il baitèl, come l’ha chiamato Katia, sprofonda nella notta più buia. La luce di un telefono si accende, mi acceca e si sposta nella stanza fino a illuminare una torcia elettrica che pende da una trave del tetto.

«Dici che funziona?» Stefano si abbassa la zip della giacca. Sotto indossa una maglia verde e azzurra di lana.

La maestra non solleva la torcia ma sposta un cursore sotto e si accende. Una fortuna che le batterie siano cariche.

Una luce gialla riempie la baita. Una baita vuota, senza alcun oggetto, se non un cumulo di ghiaietta e un plaid alla scozzese rosso e blu pieno di buchi abbandonato sopra.

Le guance mi bruciano. Non è come essere nel bar dopo le lezioni di sci della settimana scorsa, ma rispetto all’esterno sembra comunque di starsene ai tropici. Mi tolgo gli occhialoni e il sudore che avevo attorno agli occhi mi cola lungo il viso.

Prendo il telefono dalla tasca. L’icona del segnale del cellulare ha una croce sovrapposta. Apro la app di escursionismo che mi è stata consigliata: la mappa mostra la zona degli impianti di risalita, al posto del puntino è presente un grosso cerchio che ci posiziona ad un tiro di schioppo dalla stazione di mezza quota. Scuoto la testa, l’ultimo aggiornamento dev’essere di quando siamo partiti con la seggiovia e poi ha perso il segnale. Inutile.

Katia si siede sulla coperta lurida. «Dovete essere sudati, è meglio se vi spogliate.» La guardiamo tutti e due. «Se il sudore dei vestiti vi ghiaccia addosso, rischiate di ammalarvi.»

L’idea di restare nudo in una baita simile mi piace poco, ma un brivido mi corre lungo la schiena. La canottiera è zuppa e non è affatto calda. «D’accordo.» Mi sfilo la giacca, i polsini sono bagnati e ghiacciati: la getto a terra. Tolgola maglia e ve la getto sopra.

Stefano, a fianco a me, è più titubante.

«Non è freddo.» Mi sfilo la maglietta. Pesa per il sudore della sciata fuoripista. Tra un paio di ore puzzerà come quelle che uso in palestra? «Non troppo freddo, comunque.»

Resta un istante con le mani sulla zip della giacca, mi fissa mentre mi tolgo la canottiera. Abbassa gli occhi e se la apre. Cos’è, fa il pudico davanti alla maestra da cui cercava lodi fino a mezz’ora fa?

La testa mi esce dallo scollo della canottiera. L’aria umida ma tiepida della baita solletica il mio sudore. «Tu Katia non sei…»

Katia si stringe le braccia al petto, ha le spalle sollevate e trema.

La canottiera mi pende da una mano. «Katia, hai freddo?»

I suoi denti tremano sotto le labbra. Accenna un sorriso e abbassa gli occhi. «Confesso che.. che sto gelando.»

Stefano appoggia la maglia sulla sua giacca e si avvicina a lei. «Se sei sudata, spogliati anche tu. Non… non preoccuparti per noi.» Bella tecnica di seduzione, gliel’avranno insegnato ai boy-scout anche questo o l’ha letto sul manuale delle Giovani Marmotte?

Katia si sfrega le braccia. «Non sono sudata, ma ho davvero freddo.»

Per il prossimo inverno, oltre ad una torcia elettrica, magari è meglio lasciare anche una stufa e del combustibile. Non possiamo nemmeno darle i nostri vestiti, visto che peggiorerebbero solo la situazione.

La voce della donna si abbassa. «Ma voi continuate pure a togliervi gli abiti bagnati, o vi ammalerete.» Si siede sulla coperta a scacchi colorati e si stringe tra le spalle.

Il pelo interno dei pantaloni da sci è umido, ma non so se è la situazione di restare in mutande. Soprattutto considerando che effetto mi fa lì Katia. Blocco una smorfia: non è il momento più adatto.

Stefano torna accanto ai suoi abiti e si leva maglietta a maniche lunghe e canottiera in una volta e le getta sul suo mucchio. Si siede a sua volta sulla sua giacca. Non è muscoloso quanto me: con gli abiti addosso sembrava più grosso, ma una volta sbucciata la cipolla è rimasto poco. La pelle è priva di peli, e non so se per motivi estetici o se perché non gli crescono di natura. Un guizzo sotto la pelle della schiena e un brivido lo scuotono.

Il mio braccio ha la pelle d’oca, i peli sono sollevati e trattengono il poco calore che c’è qui dentro. Le mie ragazze si lamentano che dovrei depilarmi, ma sono felice di aver sempre rimandato il passaggio dall’estetista.

Katia si sdraia sulla coperta bucata e si volta da una parte. Trema. La cosa è peggio di quanto pensassi… Avvolgerla in quello straccio sporco e mangiato dai topi avrebbe ben pochi effetti. Ci ha cacciati in una situazione assurda – dispersi in montagna con una maestra di sci su una pista dove hanno fatto i Mondiali negli anni ’90, come mi aveva detto il barista della stazione di mezza quota – ma vederla soffrire…

Mi inginocchio e afferro la giacca. Potrei coprirla con questa: non sarà il massimo, ma aiuterà comunque…

Stefano mi richiama con un sibilo. Tiene le braccia premute contro il corpo, un tremolio lo scuote appena. Con un cenno del capo indica la maestra. «Facciamo qualcosa.»

Le mie mani stringono il tessuto della giacca. L’interno è bagnato di sudore. «Sì, io…»

Lui sussurra per non farsi sentire, ma siamo a un metro e mezzo di distanza dalla donna. «Ricordi quando parlavamo a pranzo di come riscaldare le persone congelate?»

Siamo in una cazzo di stalla per capre abbandonata, non vedo coperte termiche. Ma c’è la mia giacca e potrebbe essere un passabile sostituto. «Io stavo pensando di usa—»

«Ricordi cos’ha detto Nicola?»

Nicola spara scemenze una dietro all’altra. Se non avesse fatto l’elettricista avrebbe potuto fare il politi— Sgrano gli occhi: questo scemo non starà davvero pensando che…

Stefano si infervorisce. «Ricordi cosa diceva degli eschimesi?»

Lo fisso. Sta scherzando? «Certo che lo ricordo, ma…»

Lui si alza in piedi e si inginocchia accanto a Katia. Si vedono le costole nella schiena. È talmente magro che deve congelare non meno della ragazza, ma sta cercando di non darlo a vedere. D’accordo che è una bella figa, ma pensare di scopartela come ultimo atto prima di morire assiderato mi sembra un po’ eccessivo.

E poi lei non accetterebbe mai. Sarebbe ridicolo!

Stefano le stringe una mano. Lei è girata di spalle. «Katia… mi senti?»

Le parole della ragazza sono bocconi morsi dal battere dei denti. «Stai… stai bene, Stefano?»

«Sei gelida, Katia. Devo scaldarti.»

C’è della dolcezza nella voce della maestra, come se parlasse con un bambino scemo. «E come potresti? Non ci sono fonti di calore, qui dentro.»

Non glielo dirà, non può essere così sprovveduto da credere davvero…

Stefano prende con entrambe le mani quella di Katia. «Con il mio corpo. Come gli eschimesi.»

Scuoto la testa. Non ci credo… Adesso si becca una sberla da Katia che…

La mano libera della ragazza si solleva e impatta contro un braccio di Stefano. «Lo… lo faresti davvero?»

Sgrano gli occhi. Cosa?

Katia si volta sulla schiena. Ha le labbra aperte che tremano. Fissa il suo cocco come se fosse un eroe che ha attraversato una tempesta per raggiungerla. «Mi salveresti…» Gli accarezza una guancia, lo guarda negli occhi e muove le labbra senza pronunciare una parola.

Sei sempre stato il migliore…

Il freddo scompare dal baitèl, l’aria arroventa attorno a me al ritmo del battito del mio cuore che rimbomba nelle orecchie. Le dita mi fanno male nei due pugni che ho stretto. Quel figlio di puttana non solo è migliore di me a sciare e ha tutte le attenzioni di Katia, ma adesso se la ciula pure! «No!»

I due si voltano verso di me. La ragazza ha abbassato la cintura della tuta da sci bianca e azzurra fino alla vita, una maglia di lana rosa è deformata dal suo seno prosperoso, Stefano le sta tendendo i lembi della zip per spogliarla.

Il calore del baitèl scompare, lasciando il gelo. La bocca diventa secca, il fiato mi si blocca nel petto. «No, intendo…» La mia voce è un pigolio. La alzo a volumi meno imbarazzanti. «Intendo che da solo non riusciresti a scaldarla.»

Le pupille che mi punta contro Stefano sono i fori di due pistole cariche e pronte a spararmi contro. Sembra che abbia appena rivelato il trucco dietro ad una magia. Katia, invece, allunga una mano verso di me. «Hai ragione, Emanuele… uno davanti e uno dietro… mi scalderete al meglio.»

Un sorriso idiota solleva gli angoli della mia bocca. Non può essere vero: sono di fuori nella neve, sto morendo congelato e il cervello è partito per la tangente e me lo sto sognando…

Katia si gira su un fianco, Stefano si sposta per starle davanti. «Emanuele, abbassami la tuta dietro, per cortesia.» Le spalle le tremano in un brivido.

Mi inginocchio sulla coperta, afferro il colletto della tuta e lo abbasso fino al sedere di Katia. Avrei potuto avere un’agonia peggiore…

 

 

Il corpo di Katia è magro, slanciato. Il seno è grosso ma senza essere eccessivo sul suo busto stretto. I capelli biondi le arrivano fino alle spalle, tranne un paio di ciocche che raggiungono l’altezza dei capezzoli. La figa è depilata… nelle mie sessioni di sesso solitario l’ho sempre immaginata con un ciuffo di pelo ben curato…

La ragazza si inginocchia davanti a me, gattona sulle mie gambe, le sue tette dondolano, il bisogno di afferrarle diventa insostenibile. Lei si gira, mostrandomi la schiena; le sue mani afferrano il mio cazzo in piena erezione, la cappella fuori dalla pelle per tutta la sua lunghezza. Le dita sono affusolate e fredde.

Katia volge il viso verso di me, mi guarda sopra la spalla. Un sorriso pieno di malizia si disegna sulle sue labbra. «Mhm… è bollente. Mi scalderà.»

Tiene il mio uccello in posizione eretta e cala con il suo bacino. La punta s’insinua in una cavità, che si apre e l’interno di Katia mi accoglie. Un gemito roco esce dalle labbra della maestra mentre si impala.

Trattengo un sospiro. Non è quella che speravo, ma mi farò andare bene anche il suo culo…

La ragazza si sdraia sul mio corpo, il plaid sotto la schiena non fa molto contro i sassolini sparsi sul pavimento del baitèl. Muovo una spalla per non trovarmi un pezzo di ghiaietto conficcato nella colonna vertebrale.

Allungo una mano e prendo una tetta, soda e dalla pelle vellutata. Stringo un po’, il battito del cuore della maestra si riverbera tra le mie dita. Chiudo gli occhi, un prurito nelle palle si muove lungo l’asta del cazzo.

Katia solleva le braccia verso il mio compagno di corso. «Vieni, Stefano, scaldami.»

La luce fioca della lampada elettrica non nasconde il sorriso soddisfatto del cocco della maestra. Il suo cazzo eretto fa una curva verso l’alto a metà della sua lunghezza. Nudo è magro quanto la ragazza. Si inginocchia tra le nostre gambe, afferra il suo uccello e si sdraia su di noi. A stento percepisco il suo peso. Qualcosa che si muove contro il mio cazzo, invece, sì.

Katia espira con il naso, un lungo soffio. «Ah… Ora scaldatemi, ragazzi…»

La afferro per le anche e inizio a muovere il mio bacino contro le sue chiappe sode. Quante volte ho immaginato una scena simile, nell’ultima settimana, con un fazzolettino di carta sulla cappella? Il suo retto è caldo, il buco del culo che lascia scivolare senza sforzo l’asta del mio cazzo. Trattengo un insulto. E un bacio sulle labbra di Katia. La mano dalla tetta non la sposto.

Il cazzo di Stefano pompa nella ragazza con foga, la riempie e la svuota come il pistone di un motore. Le sue braccia si mettono tra il mio petto e la schiena di Katia, la stringono come se fosse solo sua.

La vuole solo per sé, vuole escludermi dalla scopata.

Cha cazzo altro vuole, ‘sto bastardo? Si è beccato la parte migliore della scopata con Katia, io sono sotto a fare da materasso e lui sopra a fotterla.

Stringo una mano sul collo della ragazza. Il suo cuore batte come un tamburo, riempie i polmoni con un fiato breve ed espira con un gemito che le sfugge dalle labbra.

Stefano non è da meno: ansima, ringhia, spinge troppo e con troppa veemenza. Non trattiene la sua eccitazione. Sembro io le prime volte a sedici anni.

Una figa come Katia va amata con metodo: scopata con dolcezza per portarla alla sua massima eccitazione, e poi sottomessa con forza come merita una troia come lei.

Le bacio la mascella, le accarezzo il collo. Lui sarà bravo con gli sci, ma poi mi dirai chi è davvero capace con il cazzo… «Ti stai scaldando?» Mordo e inghiotto un “amore” che stava per sfuggirmi.

Lei volge appena il capo verso di me. Le sue labbra sono ad un tiro di bacio dalle mie. Deglutisco.

«Inizio a sentire qualcosa, ma…» Ansima. «…ma non fermatevi.»

Il cazzo di Stefano scuote la membrana tra la vagina e il retto come il vibratore che usa Bianca quando la inculo, ha l’energia di un chihuahua arrapato che fotte la gamba di una sedia. Non è una gara di sci, coglione, non vince chi arriva prima.

Lui si ferma per un secondo. Spinge fino in fondo e inizia ad ansimare. «Katia… Katia!» Emette un ringhio e sembra svenire, con i muscoli che perdono rigidità.

Respira a pieni polmoni, come se avesse appena fatto venti rampe di scale di corsa. Si solleva con il busto da Katia, le sorride. «Ti sei scaldata.»

Anche i muscoli della ragazza contro i miei pettorali sono più flaccidi, il cuore batte meno forte. «Sì, un po’…»

Stefano si alza in piedi, Il cazzo pende tra le cosce e una goccia bianchiccia dondola dalla punta. «Bene, allora abbiamo fini—»

Parla per te, mezzasega. Lo fisso. «La scaldo un altro po’ io, Katia…» Lascio il collo della ragazza e faccio scivolare la mano lungo il suo busto.

Lo sguardo del cocco della maestra si fa più duro del suo cazzo, gli occhi diventano brace, mi scagliano contro fulmini

La ragazza si volta verso di me. «Grazie, Emanu…» Si interrompe, le labbra della bocca le si aprono nel percepire due mie dita penetrarla.

La figa è bagnata e bollente, la sborra collosa di Stafano si spande tra le mie falangi. Appoggio il polso sul cappuccio del clitoride e inizio a muovermi dentro il suo sesso e nel suo culo. Un suono viscido ritmato rimbalza tra le mura di pietra.

Katia emette un gemito mordendosi le labbra, si irrigidisce a tal punto da staccare la schiena dal mio petto.

Avvicino la bocca al suo orecchio. «Ti piace così, troia, eh?» sussurro.

Le è a denti stretti. Sembra fare fatica a parlare. «N-non fermarti, ti prego!»

«Voglio vederti sudare, puttanella…»

Katia non risponde, gli ansimi sono troppo forti, coprono quasi il suono bagnato che il movimento delle mie dita sollevano dalla sua figa.

Stefano si è seduto ancora nudo sulla sua giacca. Ha le ginocchia sollevate e ci si è appoggiato sopra. Sul suo volto c’è un’espressione di rabbia e disgusto, ma il cazzo gli punta verso l’alto, incapace di nascondere l’eccitazione di vedere il suo sogno erotico venire scopata senza rispetto.

Il fastidio alle palle cresce, un formicolio all’uretra che conosco alla perfezione inizia a farsi sempre più forte. Cazzo, non voglio venire in culo a Katia. Non davanti a quello stronzo che le è venuta in figa!

Interrompo il movimento nel suo retto ed esco dalle sue chiappe. L’aria fresca del baitèl aggredisce il mio cazzo che fino ad un istante prima stava al calduccio. Scivolo fuori da sotto la ragazza e mi metto al suo fianco, stringendola con il braccio che termina sulla sua tetta e continuando a fotterla con le dita.

Abbasso la testa e prendo tra le labbra il capezzolo libero e lo succhio, poi passo a baciare il collo di Katia.

Lei mi mette una mano su una chiappa e me la stringe. Ha la bocca aperta, il respiro è roco e breve. «Fo-fottimi, Manu!» Lancia un grido, trema, il fiato le si blocca in gola. I muscoli della sua figa sembrano volermi masticare le dita. Katia ha gli occhi spalancati ma le pupille castane spinte verso l’alto.

Emette un sospiro e cede, come se svenisse. La tetta che stringo è sconquassata dal battito del cuore, il petto è bagnato di sudore e una goccia le corre lungo la fronte, tuffandosi tra le ciocche bionde della tempia.

Non riesco a trattenere del tutto un sorriso di soddisfazione. «Sei abbastanza calda, adesso, Katia?»

Lei sorride e annuisce. «Grazie, Manu…»

Sorrido a mia volta. «Meno male… ma adesso vorrei scaldarmi un po’ anch’io.»

Stefano si muove, i suoi occhi si socchiudono e le labbra si fanno stretta. Katia annuisce. «Mi sembra giust…»

La prendo per una spalla e la volto prona. Lei emette un gridolino di sorpresa. La afferro per le anche e le sollevo dalla coperta lurida.

Stefano appoggia una mano a terra e si prepara a balzare in piedi, ma si ferma. I suoi occhi sono spalancati, non si staccano da noi, non sa se intervenire o meno. Il rispetto che ha verso la maestra è troppo per immaginare di metterla a novanta? O qualche lato voyeuristico o di cuckold della sua anima si sta risvegliando?

Ti piace vedere la tua amata maestra scopata come l’ultima delle troie, eh, Stefano?

Il buco del culo di Katia è ben visibile, ma è la figa che voglio, adesso: le piccole labbra sono marroni, gonfie, grondano umore sessuale femminile sporco di sborra. Afferro il mio cazzo, appoggio la cappella nell’orifizio e spingo. Le pareti della fregna si aprono al mio passaggio, scivolose per l’orgasmo che le ho appena dato.

Katia non resta impassibile, arcua la schiena verso il basso come una che è esperta della posizione, discosta appena le cosce. Emette un gemito quando il mio cazzo sprofonda dentro di lei.

Stringo i suoi fianchi, allontano il suo bacino dal mio quanto basta per lasciarle dentro solo la mia cappella e la spingo verso di me. La ragazza solleva la testa. «Ah!»

Prendo il ritmo, il mio cazzo scivola nella sua vagina bagnata, il suo umore scivola fino alle mie palle e cola sulle sue cosce. Il suono delle sue chiappe contro i miei pettorali riempie il baitèl, copre gli ansimi di Katia, circonda Stefano, che si stringe le braccia attorno alle gambe e affonda il viso tra le ginocchia.

Il suo cazzo resta duro e pende tra le cosce.

Lascio con la mano il fianco della ragazza e le prendo i capelli biondi che le sono scesi oltre la spalla. Glieli tiro, le sollevo la testa. «Ti stai scaldando?» Strattono le ciocche. «Ti stai scaldando, troia?»

Lei ansima, le sue mani stringono la coperta lurida. «No-non fermarti, Manu!»

Mollo i capelli e le stringo una tetta, l’altra mano si infila tra le sue cosce e prendo con due dita il suo clitoride in erezione, uscito dal cappuccio. Glielo sego, lo premo, lo faccio ruotare.

Il grido di Katia potrebbe causare una slavina. Stefano stringe gli occhi e discosta il volto.