Come gli eschimesi

Capitolo 1 - L'ultimo giorno sulle piste

Sollevo gli sci dal supporto della cabina che dondola muovendosi a passo d’uomo accanto alla banchina. Gli scarponi di plastica sono rigidi per camminare e mi tremano sulla gomma che ricopre il pavimento della stazione della funivia. Rischio una storta correndo per raggiungere il resto del gruppo, il peso degli sci in una mano e i bastoncini nell’altra mi sbilanciano.

I miei tre compagni della scuola di sci sono attorno a Katia, che spicca nel gruppo per la sua tuta bianca dalle rifiniture blu. Sulle spalle è cucito lo stemma della scuola di sci “Campioni delle nevi”, insieme ad un altro paio di patch che non ho mai letto. Il culo della ragazza distorce la tuta in una serie di curve che rendono una meraviglia seguirla nelle discese. O imbrattare di sborra i fazzolettini…

La maestra si volta. Gli occhialoni gialli sono sollevati sul caschetto bianco, attorno agli occhi castani si formano delle rughette nel sorriso che mi rivolge. «Bene, ora che anche tu Emanuele sei pronto, possiamo andare.»

Il mio sorriso nasconde lo sforzo di non fissare la terza che riempie la tuta all’altezza del petto di Katia. Annuisco, sia alle parole della donna che al suo corpo meraviglioso.

Stefano è al suo fianco. Due dita lo separano dalla maestra, sembra volersi strusciare contro di lei come farebbe un gatto con la coda sollevata in cerca di attenzioni e di qualche croccantino. Indossa una tuta nera imbottita con delle righe gialle che sembrano un’esplosione o che vi abbiano tirato addosso dei gavettoni di pittura. Gli sci sono neri, lucidi, come se fossero usciti questa mattina dal negozio, nonostante l’abbia visto sciare per delle ore ogni pomeriggio. «Sono davvero dispiaciuto che questo sia l’ultimo giorno del nostro corso.»

Francesco solleva la zip della giacca azzurra e stringe al petto gli sci bianchi e gialli. «Beh, Katia, sei un’ottima insegnante di sci. Non mi sarei mai aspettato di tornarmene dalle vacanze senza una gamba rotta sulle piste.»

Nicola annuisce, la sua pappagorgia si muove come il bargiglio di un tacchino. Si arriccia uno dei suoi grossi baffi da Babbo Natale. Stamattina non sembra più alticcio del solito.

La ragazza ci passa in rassegna con lo sguardo, sorridendo. «Siete stati tutti degli ottimi allievi.» Si ferma un’istante di più su Stefano. «Davvero ottimi.»

Un angolo della bocca dello stronzo si solleva un dito di troppo. Gli occhi azzurri gli luccicano sotto le lenti multicolore degli occhialoni. Cocco della maestra del cazzo…

Katia si volta, i capelli biondi si spostano sulla sua schiena. Le sue splendide chiappe mi fanno prudere nei boxer. «Adesso andiamo o ci rubano il posto.» La seguiamo fuori dalla stazione di mezza quota.

I riflessi che sfolgorano sui cristalli di neve attorno al sentiero mi ustionano gli occhi. Stringo le palpebre e abbasso gli occhialoni. Il fastidio svanisce. Sollevo la cerniera della giacca e fermo il fiato di aria che mi congela lo stomaco.

Procediamo in fila indiana verso la partenza della seggiovia in un sentiero scavato nei venti centimetri di neve caduti questa notte, il ghiaccio scricchiola sotto i nostri scarponi. Nicola davanti a me scivola ma si salva dal capitombolo e dalla figuraccia appoggiando in tempo il fondo degli sci. Un uomo e una donna dalla pelle rossa come un pomodoro che vanno nella direzione opposta gli lanciano un’occhiata e sogghignano.

Diverse persone stanno parlando e ridendo nel piazzale sotto di noi, alcuni con in mano dei caffè in tazze di carta, altri con delle sigarette in bocca. Dal comignolo della cucina del bar della stazione si sprigiona un pennacchio di vapore bianco degno di una ciminiera industriale. L’odore delle pietanze in preparazione è una cappa nauseante, il fetore del soffritto di aglio e cipolla è vomitevole, come se me l’avessero ficcato direttamente nel naso.

Non c’è fila davanti alla stazione della seggiovia. Sulla pista battuta dai gatti delle nevi passano un paio di sciatori, sollevando un suono appena percettibile, come se fossero ben più lontani di un tiro di sasso. Ci mettiamo in fila davanti al tornello e sul volto dell’addetto all’impianto si stampa un sorriso.

«Mh, Katia. Ci sei domani sera al falò di fine anno?»

La ragazza annuisce. «Come sempre.»

«Fate un ultimo giro prima di andare a pranzo?»

La maestra supera la barriera passando un guanto sul sensore e si avvicina alle seggiole. Stefano le è subito dietro, anche lui ha adottato lo stesso metodo, ritagliando il chip e incollandolo nella manica della giacca. «No, ci fermiamo al Focolare Alpino a mangiare e facciamo dopo la nostra ultima discesa insieme.»

L’uomo annuisce e afferra il bracciolo di una seduta per rallentarla. Katia e Stefano – bastardo, si siede accanto a lei per tutta la salita! – si mettono in posizione e la seggiola li raccoglie come un cucchiaio. «Fai attenzione che il meteo ha messo nebbia nel pomeriggio.»

La donna si volta verso di lui. I lunghi capelli biondi schiaffeggiano il caschetto di Stefano. «Il meteo non indovina in montagna.»

L’uomo scuote la testa e sussurra qualcosa che lo sferragliare del motore della seggiovia soffoca.

Francesco e Nicola sono passati per il tornello e rinfilano in tasca gli skipass. Me ne sono dimenticato! I due si mettono in posizione e si voltano verso di me. «Vieni, Emanuele, che saliamo insieme.»

Getto le mani nelle tasche della giacca. Vuote! Dove cazzo l’ho…

«Occhio…» L’addetto prende per la spalliera la seggiola che arriva.

Metto le mani nei pantaloni, le dita non incontrano nulla se non il telefono e le chiavi dell’auto. Non l’avrò lasciato in… È al collo, per non perderlo!

Abbasso la zip e l’aria mi gela il sudore che sta inzuppando la canottiera. Tiro fuori lo skipass e sollevo lo sguardo. Francesco e Nicola vengono catturati dalla seggiola che dondola per il loro peso.

Sollevo la mano. «Io… prendo il prossimo.»

Nicola si volta verso di me. «Ci vediamo in cima.»

Stringo le labbra. Che sport di merda, lo sci…

 

 

Il resto della compagnia è accanto alla stazione di monte, intento a guardare il panorama. Katia indica con uno dei bastoni, descrivendo qualcosa. Stefano si volta verso di me intento ad uscire dalla recinzione dell’arrivo della seggiovia. Un lampo corre nei suoi occhi. Ti è piaciuto stare accanto alla maestra, eh, cocco bastardo?

Da questa posizione si scorge tutta la Valscighera, coperta di neve fino al fondovalle, dove giace Santa Elisabetta, con i camini che sollevano fumo e poche auto in movimento sulle strade ghiacciate. Il cielo azzurro senza una nuvola contrasta con il mondo in bianco e nero sotto di lui. Non c’è un filo di aria e il freddo mi sta mordendo la pelle delle guance.

Prendo il telefono da una tasca e scatto una foto allo scenario. Accedo a Instagram per caricarla come storia, ma compare la scritta “Rete non disponibile”. Rimetto in tasca il telefono: in questa zona riceve sempre male. Al diavolo.

Katia abbassa il bastone. «…e li è dove mio padre mi ha insegnato a sciare a quattro anni.» Si volta verso di me e mi sorride. «Bene, ora andiamo a mangiare che ho proprio fame.» Si avvia verso l’edificio ad una decina di metri di distanza, una baita a due piani con mezzo metro di neve sul tetto. I muri sono coperti di sassi e davanti, accanto ad un cartello in legno con la scritta “Il focolare alpino” ci sono quattro tavolini vuoti. Chissà se serve anche oggi al bar la ragazza con i capelli neri?

 

 

Faccio scivolare i rebbi della forchetta dalle labbra, il sapore deciso della carne del cervo al salmì si diffonde nella mia bocca, coperto appena dalle spezie che pizzicano la lingua. Non mi sarei mai aspettato fosse così buona la cacciagione…

Infilo la forchetta nella polenta gialla screziata da puntini neri e la sollevo con uno sbuffo di vapore, il profumo della pietanza si spande fino al mio viso.

«…e allora ho suonato il clacson…» Francesco gesticola troppo e qualche goccia di sugo di carne finisce sulla tovaglia. «…e gli ho detto: “Va che il senso della strada è l’altro!»

Tutti gli altri presenti al tavolo scoppiano in una risata. Non ho ascoltato una sola parola della storia, ma lo faccio anch’io per non sembrare maleducato. Per lo meno, nessuno di noi ha la risata sguaiata della donnona qualche tavolo più in là.

Stefano si pulisce la bocca con il tovagliolo e lo appoggia sul tavolo accanto al bicchierone di birra. Ha la mia età, o forse un anno in più, di certo non ha finito l’università, ma si atteggia come uno che ha visto il mondo. «A me una volta è successo che…»

Sospiro con il naso e sollevo la forchetta, la polenta sembra neve gialla, calda e gustosa. Non usano la farina del supermercato dove va mia madre a fare… Il telefonino in tasca emette un trillo: si è agganciato al WiFi del ristorante con la password che la barista mora mi aveva confidato di nascosto qualche giorno fa. È il terzo messaggio che ricevo da quando siamo qui al ristorante: non voglio sembrare maleducato prendendo in mano il telefono durante il pranzo, ma Katia e gli altri due sono incantati ad ascoltare le cazzate di Stefano. E per quello che mi importa delle mirabolanti avventure del cocco della maestra…

Metto in bocca la forchettata di polenta – mhm, divina… - e mi sporgo dietro sulla sedia. Dalla tasca della giacca prendo il telefono. Le notifiche mostrano alcuni messaggi arrivati da quando sono salito sulla cabinovia nella stazione a Santa Elisabetta. Apro il primo.

Luisa
Ciao Manu, come va in montagna? Non prendere freddo, ma tanto poi ti scaldo io quando torni 😘

Trattengo un sorriso. Avevo promesso a Luisa di portarla fuori al cinema quando sarei tornato a casa. Devo controllare se c’è qualche film interessante in programmazione. Sollevo le spalle: tanto la nostra concentrazione sarà rivolta ad altro…

Passo al successivo.

Michela
Spero che tu nn stia facendo il simp con qualke zoccola sulle piste da ski, pisellone, o sono guai sia per te ke x lei!

Devo ancora capire se chiudere il rapporto con Michela. Non ho mai conosciuto una ragazza così gelosa, mia sorella dice che una simile mi farà finire nei guai. Trattengo una smorfia: quando non è gelosa, Michela succhia e ingoia come la migliore delle pornostar, e sono certo che usa il sesso per farmi dimenticare le altre.

Apro il messaggio di Bianca con un’immagine. Abbasso il telefono perché nessuno veda la sua foto nuda. Ma non ho ancora imparato che non devo aprire mai la sua chat in presenza di altre persone? Per lo meno non manda vocali, perché sono certo che sarebbero molto imbarazzanti.

Attorno al tavolo, sono tutti intenti ad ascoltare le balle di Stefano, nessuno mi sta considerando. Sollevo appena il telefono. Bianca è a pecora, in primo piano il suo inguine con la figa e il buco del culo in bella vista. Il suo viso è appena sfuocato, sorride sapendo che questa è la mia posizione preferita. Zoccoletta…

Spengo lo schermo e rimetto il telefono nella tasca della giacca. Domani sono di nuovo a casa, ma non so se voglio uscire la sera a festeggiare il Capodanno con qualche ragazza. O magari invito Bianca da me...

L’immagine, per quanto vista solo di sfuggita per mezzo secondo, mi ha ringalluzzito. Un senso di eccitazione mi infastidisce, il cazzo si è dato una stirata ma non è ancora che barzotto. Il seno di Katia guadagna diversi punti interesse, sorpassando anche l’ottimo cibo del Focolare Alpino. Un sorriso cerca di sfuggirmi sulle labbra nello studio di come la maglia della maestra si deforma all’altezza del petto…

«…e la ragazza stava gelando,» Stefano è ancora immerso nel suo racconto inventato, come tutti gli altri, nemmeno viva le avventura di Nathan Drake o Jack Reacher da mattina a sera. «Le ho messo addosso una coperta termica - quelle argentate, avete presente? - che tengo sempre in auto per ogni evenienza.»

Certo, come no. Poi l’hai operata con un coltello di plastica…

«Hai una coperta termica in auto?» Francesco non è meno dubbioso di me. Mi ha raccontato di essere un paramedico, e lui di queste cose deve intendersene.

Stefano ha la forchetta davanti alla bocca, un pezzo di salsiccia fuma in cima ai rebbi. Solleva le spalle. «Gli anni passati nei boy-scout mi hanno insegnato molte cose, compreso essere sempre pronto a qualunque evenienza.» Si mette in bocca il pezzo di carne e mastica.

Katia gli sorride. «Bravo, Stefano, bisogna saper trovare sempre un modo per risolvere i problemi.»

Conficco la forchetta in un cubetto di cervo. Il mio fiato sibila nel naso.

Nicola abbassa il bicchiere di birra e si passa una mano sui baffi a manubrio grigi per pulirseli dalla schiuma. «Io l’avrei scaldata come gli eschimesi.» Una mezza risata scuote il suo pancione.

Gli lancio un’occhiata. Come si scaldano gli eschimesi? Aprono la pancia di un orso polare e ci si infilano dentro, come Han Solo con il tauntaun quando vuole salvare Luke dal congelamento? Francesco si ferma a metà di un boccone, solleva le sopracciglia e inclina la testa con la forchetta ancora in bocca.

Stefano si fa avanti sul tavolo. «Cioè, come fanno?»

La risata dell’uomo si fa più forte. Gocce di birra gli schizzano dalla bocca. «Si spogliano nudi e scopano come ricci!» Nicola si tiene il pancione, che si scuote come una gelatina.

Stefano si ritrae, sbattendo gli occhi. Si volta verso Katia. «Ma è vero?»

Chiudo le palpebre e mi stringo la radice del naso. Davvero devi chiederlo? Secondo te, sul pack, con trenta gradi sottozero, per salvare qualcuno dall’assideramento lo spogliano e se lo ciulano? Ma nemmeno se fanno una gang bang…

Piccole rughe compaiono sulle labbra della maestra chiuse a “O”. «Così dicono…»

Stefano annuisce. «Capisco.»

Sospiro, spero per lui di non avere mai il bisogno di essere soccorso dagli eschimesi nell’Artico. O magari no…

La cameriera, la stessa che serve al bar e mi ha confessato il codice del WiFi, si avvicina a noi e mi fa l’occhiolino. Ha in mano un block notes e una penna. «Come sta andando il pranzo?»