Ammanettato al letto

Capitolo 1 - L'invito

Metto le mani sotto il getto di acqua fredda della fontana e me le rinfresco. Le muovo a scatti per liberarmi dalle gocce. La via è una di quelle più esterne di Caregan, una strada con i buchi nell’asfalto circondata da case ristrutturate e altre vecchie, con le terrazze di legno annerito dal tempo. L’abitazione di Vittoria è l’ultima, un edificio che dev’essere stato costruito negli anni ’70. Il minuscolo giardino con l’erba alta da cui spuntano pochi fiori e un cespuglio di rose confina con il primo prato della campagna, solcato da file di fieno giallo in attesa di una imballatrice.

Attraverso la strada, percorro il piccolo piazzale e premo il campanello accanto alla porta. Un dlin-dlon attutito risuona nell’edificio.

Deglutisco e mi mordo le labbra. Non riesco ancora a credere che Vittoria mi abbia invitato a casa sua. In palestra ci siamo scambiati un paio di saluti al massimo, a stento sappiamo qualcosa l’uno dell’altra, nemmeno il cognome per trovarla sui social.

Anche solo per cercare le foto del suo culo meraviglioso…

La mezza erezione che mi porto nelle mutande da quando sono uscito da casa per venire qui diventa fastidiosa nei jeans. Nella mia mente compare l’immagine del sedere di Vittoria che si muove nei suoi pantaloncini mentre è intenta a fare ellittica davanti a me, che corro sul tapis roulant. Dopo quello ancora più maestoso di Linda, è il fondoschiena più bello di tutta la palestra.

La mia passione per il sollevamento pesi mi causa un aumento del testosterone tale che, arrivato a casa, per rilassarmi devo segarmi. Un tempo usavo Tori Black o su qualche troietta di Instagram come soggetto delle mie fantasie sessuali, ma da quando è arrivata in palestra Vittoria, e poi Linda, le sborrate che ho tributato ai loro culi sono diventate incalcolabili.

Una voce femminile proviene da oltre la porta. «Arrivo.»

La serratura scatta e l’uscio si apre. Vittoria compare di fronte a me. I suoi occhi castani, messi in evidenza da dell’eyeliner nero, brillano, e i capelli neri a caschetto scivolano sulle spalle. «Ciao, William, sono felice che tu sia venuto.»

Le sorrido. Il mio sguardo cade per un istante sulla camicetta bianca, alla ricerca della sua seconda di seno. Non si vede nulla: trattengo una smorfia di delusione. «Grazie per l’invito, Vittoria.»

Si scosta dalla porta e mi fa segno di entrare. La chiude alle mie spalle e la serratura scatta di nuovo sotto l’azione delle chiavi. Si avvia davanti a me. «Seguimi, per favore.»

La ragazza è alta una spanna meno di me, ma i tacchi alti che indossa la portano alla mia altezza. Non conosco la sua età, ma credo abbia qualche anno in più di me, per quanto tutta l’attività fisica la faccia apparire poco più che una ventenne. Il culo è modellato alla perfezione nei pantaloncini; le chiappe che salgono e scendono, tendendo il tessuto, sembrano due indici che mi incoraggiano ad avvicinarmi.

Annuisco alle sue spalle. Gran bella figa, Vittoria. Peccato per le tette che non siano un granché, ma una chiavata con lei me la farei volentieri lo stesso. Anche due, soprattutto tra le sue chiappe.

La seguo in cucina. Il profumo appena percettibile di pesca riempie l’aria. La ragazza solleva dai fornelli una teiera di metallo al cui interno scroscia dell’acqua.

«Mi stavo preparando del tè, ma sei arrivato prima del previsto.» Avvicina il beccuccio del bricco a una tazza rossa e ne versa un po’. «Vuoi berne? Ne ho preparato troppo e non mi va di buttarla. E poi ho notato che in palestra ne bevi. Me lo diceva anche Linda che quando vi fermate alla macchinetta a chiacchierare lo prendi sempre.»

Non controllo l’orologio, ma sono sicuro di essere in orario. Sorrido. «Volentieri, grazie.» È amica di Linda, nonostante ci siano forse dieci anni di età di differenza? Beh, buono a sapersi…

Vittoria prende una nuova tazza blu dall’armadietto sopra i fornelli e la riempie di liquido. «Quanto zucchero?»

«Un cucchiaio basta.»

Me la allunga già mescolato. Una colonna di vapore si solleva dalla bevanda. «Eccola. Bevi che è ancora caldo.»

«Ti ringrazio.» La tazza è calda e pesante. L’accosto alle labbra e bevo un sorso: il tè è bollente da ustionare la lingua, e il sapore è pessimo, fa ancora più schifo di quella della macchinetta della palestra. Ma forse è la badilata di zucchero che ci mettono che nasconde il sapore di quella.

Vittoria mi invita a sedermi al tavolo della cucina. Nel suo non ha aggiunto lo zucchero. Sarà una di quelle che controlla fino all’ultima caloria. Soffia sulla sua tazza e beve un sorso. Lei non sembra fingere che il sapore sia pessimo.

Mi sorride. «Sai, William, è da un po’ che ti vedo in palestra, e…» Il suo sorriso si allarga.

Le rispondo con il mio. Avvicino alle labbra la tazza e suggo un sorso. Cazzo, che schifo…

Vittoria appoggia sul tavolo la sua tazza vuota. Si alza in piedi e si siede sulle mie gambe. Mi abbraccia e mi bacia. La sua lingua scivola nella mia bocca, si muove tra le mie labbra. I jeans diventano stretti contro la mia erezione. I suoi piccoli seni spingono contro i miei pettorali.

Esplora per bene la mia cavità orale, la mia lingua accoglie la sua, si sfregano una contro l’altra come serpenti nel rito dell’accoppiamento.

Cazzo, come bacia bene, la troia…

Le nostre labbra si staccano. Mi guarda negli occhi e sorride. «Ti piace il mio culo?»

Il bacio mi ha sconvolto al punto tale che mi gira la testa. Metto le mani sulle sue chiappe e le stringo. «Lo adoro.» Quanto non aveva fatto il bacio, quella palpata porta alla massima erezione il mio cazzo.

«Allora, andiamo a divertirci, William…» mi sussurra in un orecchio. Alza la gamba e scende dalle mie. Sulla porta mi fa segno di seguirla.

Mi alzo. L’equilibrio mi manca per un’istante e sono costretto ad appoggiarmi al tavolo della cucina. Scuoto la testa, il mondo smette di ondeggiare e la seguo. Deve venirmi un calo degli zuccheri proprio dopo che ho bevuto il tè?


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