Ossessione

Capitolo 24 - Esame di coscienza

Giulia emise un gemito di sconcerto quando suo fratello la bloccò contro il tavolo, a novanta gradi. Il piano era freddo, il gelo le aggrediva le grosse tette che ci erano appiattite sopra, ma mai quanto il gelo che stava ghiacciando la sua anima all’idea di cosa stava per succedere.

«Mirco… ti prego!»

«Chiudi quella bocca, cagna!» rispose Mirco, alle sue spalle. Era sempre stato autoritario, fin da bambino, e negli ultimi anni era pure peggiorato.

Giulia implorò con lo sguardo luccicante di lacrime il suo fidanzato.

Lui, al suo fianco, aveva già il cazzo in mano, rigido e pronto ad entrare in azione. «Il progetto di tuo fratello è troppo importante per me: se lui e la sua ragazza vogliono scoparti per farmi entrare nel loro progetto, glielo permetterò.»

«Mario… non farglielo fa…» provò a dire Giulia, ma uno schiaffo violento le fece fare un urlo.

«Finiscila, cagna.» Nadia, la ragazza di Mirco, le afferrò i capelli e glieli tirò. «Tuo fratello ha tutto il diritto di fotterti. E poi ti fotto io.»

Nadia era una ragazza alta un metro e settanta, magra e dagli occhi scuri. Aveva capelli lisci e castani. Si spogliò a sua volta, mostrando una splendida seconda, che Giulia trovò meno volgare della sua quinta, e il pube depilato.

Lucia mi lancia un’occhiata, passa in rassegna il mio corpo. «Assomigli parecchio a Nadia. E sul fatto della depilazione ti credo sulla parola.»

Le labbra mi si tendono in un sorriso di vergogna. «Ehm…»

La mia coinquilina torna a immergersi nella lettura.

Giulia ormai non tratteneva i singulti del pianto. «Cosa… cosa vuoi far…» Il fiato le si mozzò quando qualcosa di caldo le scivolò tra le piccole labbra. «No! No!»

Ma fu inutile. La cappella bollente di suo fratello spinse contro l’apertura della sua vagina, la aprì e scivolò dentro. Giulia sentì il cazzo di Mirco entrare dentro di lei, una parte del corpo di un suo parente, la parte più sbagliata, penetrarla, discostare le pareti del suo sesso, fotterla.

La sua bocca si spalancò quanto i suoi occhi.

«Finalmente mi scopo la tua figa, sorellina cara!» rise Mirco. Quanto lei aveva le tette grosse, altrettanto lui era dotato in lunghezza, ed entrò fino a metterlo dentro tutto.

Nadia spinse all’indietro la testa di Giulia. «Non è bellissimo quando ti scopa? Io lo adoro.»

Mario approfittò di quel momento di confusione e mise il cazzo in bocca alla fidanzata che aveva sacrificato per il proprio tornaconto. Lei si trovò l’uccello del ragazzo in gola, che se la scopava con un suono viscido e ripetuto.

Da una parte aveva un cazzo che la scopava in figa, dall’altra uno che le faceva un irrumatio.

Nadia era in piedi accanto a Mario, si stava ditalinando eccitata per quella situazione. Infilava due dita nella figa per tutta la loro lunghezza, le estraeva bagnate di eccitazione e le passava attorno al suo clitoride eretto. Gemeva fissando negli occhi Giulia, pregustando già quanto sarebbe successo a breve.

Giulia la guardava terrorizzata: aveva suo fratello che la scopava, quello stronzo del suo ragazzo che l’aveva tradita portandola in quella trappola, ma chi temeva maggiormente era Nadia. Non ne comprendeva il motivo, ma sapeva che era così.

Mario emise un grido di piacere. «Sto per venire, Giulia! Cazzo, quanto mi piace fottermi la tua bocca da cagna!» Ma invece di sborrarle in gola, estrasse velocemente il cazzo, afferrò i capelli biondi della ragazza e le puntò la cappella verso il viso. Giulia fece appena in tempo a chiudere gli occhi che quattro abbondanti fiotti caldi e collosi la colpirono sul naso e la fronte.

Anche la disgustosa scopata in figa si fermò. «Mi hai sempre eccitato, sorellina! Ho sempre sognato godere del tuo corpo!»

«Non venirmi dentro,» implorò Giulia, piagnucolando, «ti prego…»

«Non preoccuparti, non ho intenzione di sborrarti in figa…» rispose il fratello. Il cazzo uscì dal corpo di Giulia.

«Abbiamo altri programmi…» disse Nadia, che continuava a ditalinarsi.

I due ragazzi afferrarono Giulia per i piedi e le spalle e la girarono a pancia in su. Le sue grosse tette ondeggiarono nel movimento, poi si afflosciarono sul suo petto.

Il fratello raggiunse Mario, che andò ai piedi di Giulia, puntò il cazzo in faccia alla sorella e sborrò con soddisfazione. Nuovi schizzi colarono sulle gote e la bocca di Giulia. Lei strinse le labbra, non voleva assolutamente assaggiare lo sperma uscito dalle palle di suo fratello.

Ma non poté che aprirle per gridare: «cosa state facendo?» quando Mario e Mirco la bloccarono per le caviglie e i gomiti. Provò a divincolarsi, ma le fu inutile: i due erano troppo forti. Qualche goccia del seme di suo fratello le finì in bocca, colandole sulla lingua.

La ragazza sputò.

«Aspetta a sputare,» disse Nadia. Salì sul tavolo e gattonò fino a Giulia. «Adesso tocca a me.»

«Cosa... cosa vuoi fare?» Giulia sentiva il cuore batterle all’impazzata, uno stimolo a vomitare la stringeva lo stomaco, in cui pareva avesse l’acido delle batterie dell'auto.

«Adesso mi diverto io, cagna.» le dissi.

«Fagliela vedere, amore,» le disse Andri, «se la merita.»

Giulia fissò sbigottita Nadia mettersi sopra la sua faccia, un paio di gocce di eccitazione si staccarono dalle grandi labbra della mora e piovvero sul viso della bionda.

«Cosa… cosa…»

Nadia mise le mani sulle tempie di Giulia, tenendola ferma. «Adesso mi fotto la tua faccia, cagna.»

La bionda provò a dire qualcosa, ma l’inguine di Nadia si appoggiò sul suo viso e iniziò a muoversi avanti e indietro, la figa che scivolava sulla bocca, sul naso, sulle gote di Giulia, spandendo la sborra dei due ragazzi e—

Lucia interrompe la lettura e resta a bocca aperta. Legge qualche altra riga e mi lancia un’occhiata oltre il tablet.

«Come…» Non sembra meno confusa di quanto lo sia Giulia nel racconto. «Come ti è venuta in mente l’idea di…»

Come fa la gente a non sapere certe cose? Scopano tutti ma sembra non vadano oltre il missionario o il pompino. «Si chiama “queening”, è tipo il facesitting, ma ha una connotazione di potere su chi sta sotto. Sì, tecnicamente non sarebbero necessariamente coinvolti degli uomini che… lubrificano, prima.»

La mia coinquilina stringe le labbra. «Non ti facevo così esperta della cosa.» Si gratta sopra un occhio. «Non voglio essere indiscreta, ma l’hai mai…»

«…fatto, intendi? No… Era in un sogno.»

Lucia annuisce. «E tu eri coinvolta in questo rapporto?»

Distolgo lo sguardo. «Io ero sotto, e Giulia…» Nella mente passano le scene del sogno di due mesi fa. Ho fatto di certo sogni bellissimi, il cui ricordo mi farebbe scintillare gli occhi, e l’unico che è rimasto impresso nella mia memoria è quello della cagna che fa un enorme creampie sulla mia faccia e poi mi violenta…

La ragazza mi guarda, le sopracciglia sollevate. «Vuoi parlarne?»

Un sorriso mesto solleva un angolo delle mie labbra. «Mi vuoi psicanalizzare?»

Le gote di Lucia avvampano, abbassa lo sguardo sul suo tablet. È una gran bella ragazza: mi piacerebbe avere un rapporto più vicino con lei. «Scusa, deformazione professionale.» Il suo sguardo si muove sulle parole della scena dello stupro di Giulia. Indica qualcosa con un dito. «Ah, l’avevo notato prima, ma ero troppo presa dal racconto: qui hai usato la prima persona e uno dei due ragazzi cambia di nome e diventa Andrea. Tra l’altro scritto male.»

Ho un balzo al cuore e il fiato mi si mozza. «Cosa… Andri?»

Lucia mi lancia un’occhiata. «Ma esiste davvero qualcuno con quel…» I suoi anni passati a studiare psicologia entrano in azione: stringe gli occhi, analizza il mio linguaggio corporeo. «Marta, stai bene?»

Il cuore mi batte in gola, la schiena si sta imperlando di sudore. «Sì, va tutto bene…»

Lei non smette di fissarmi. Mette il tablet sul tavolo. «Marta, da quando sei tornata dalle vacanze sei diversa, ancora più dello scorso anno scolastico.» Intreccia le mani sotto il mento e abbassa la voce. «Vuoi parlarne? Ti sarà d’aiuto.»

L’aria del salotto puzza di polvere. È stantia. La sedia è scomoda, e la luce che cade dalla finestra sul televisore crea un riflesso fastidioso. «No, non è successo…» Devo dirlo a qualcuno, non posso tenerlo dentro… «…nulla.»

«Hai qualcosa, un’esperienza, una vicenda che sta disturbando la tua—»

Il cuore smette di battere come un tamburo, le membra mi si rilassano per la prima volta da mesi. «Ho lavorato in un bordello, quest’estate.» L’ho detto! L’ho detto a qualcuno!

Lucia è a metà di una parola, la lettera le sta ancora uscendo di bocca, rimasta aperta. Sbatte gli occhi. «Un… un bordello?»

Sospiro. Merda, quanto mi sento meglio… «Sì, un bordello in Svizzera. Non lo sa nessuno, a parte te e le mie due migliori amiche. E Andri, Giulia, Eva… sì, ok, i miei colleghi.» Un attimo di silenzio. «E un paio di centinaia di uomini che mi hanno scopata.»

Lucia ha perso qualsiasi espressione, mi guarda a occhi spalancati. Dice qualcosa che si rivela essere solo una manciata di sillabe disconnesse, sbatte gli occhi. «Hai… hai fatto la prostituta?»

«Lavoravo in un locale all’interno del bordello, si chiamava “La fritula”, palese riferimento sia al piatto locale che a quella che abbiamo in mezzo alle gambe in dialetto valtellinese. Ci chiamavano “hostess”. Ero una cameriera. Nuda. Completamente, a parte una fettuccia rosa che indossavo, anche se non ne ho mai capito il senso.»

«E… e portavi al tavolo le consumazioni?»

Annuisco. «E sul menù c’ero pure io, con una serie di prestazioni sessuali.»

Lucia è allibita. Chissà cosa si prova a condividere l’appartamento con una che ha fatto la puttana come lavoro estivo e fino a dieci minuti prima pensavi avesse fatto solo la cameriera in un bar. «Non… Ammetto di faticare a crederlo.»

Sospiro. «Temo di non avere nulla per provarlo. Esisteva una pagina sul sito del bordello con le mie foto nude e cos’ero disposta a fare ai clienti, ma due giorni dopo che ho smesso di lavorare alla "Chesa dal Piacér" l’hanno eliminata. O messa offline…» Stringo gli occhi: a che valutazione ero, l’ultimo giorno? Boh, non ricordo…

Mi alzo in piedi. «Ti va un te? La storia è un po’ lunga.»

Lei annuisce.

«Non preoccuparti, lo servirò vestita.»

Lo sguardo della psicologa in erba si abbassa sul mio corpo. Magari gradirebbe il contrario.

Magari le piacerebbe provare anche lei, a lavorare a “La Fritula”.

 

 

****

 

Lucia appoggia la tazza sul piattino.

Sollevo la teiera di metallo ma è vuota. «Vado a preparare altro te?»

La mia coinquilina solleva la mano. «Non per me, grazie. Ne ho già bevute due tazze. Ma mi dicevi di Giulia che… uhm, spruzzava…»

Porto alle labbra la mia tazza. L’ultimo sorso di te è zucchero liquido freddo. Faccio una smorfia. «Sì. Era una delle sue abilità. Non perdeva occasione di farlo ai clienti.»

«E lo ha insegnato alle due vostre colleghe.»

«Sì, quando me ne sono andata hanno cominciato anche loro a farlo.» Quelle due stronze… «Ne erano entusiaste.»

Lucia mi fissa negli occhi. «E a te non ha proposto di insegnartelo?»

Il cuore perde un colpo. La mia voce è un sussurro. «Sì…»

«E perché non hai voluto?»

Il mio sguardo è rivolto nella direzione della mia psicologa preferita, ma non vedo lei, quanto piuttosto il vuoto. Il vuoto che c’è nella mia mente. C’è stata una motivazione più che valida a spingermi a non volere, a disprezzare l’idea che Giulia mi insegnasse a squirtare: se la dicessi, Lucia non potrebbe che darmi ragione, converrebbe che ho fatto bene a non accettare. Ma non la ricordo. Era lì, in quel punto della mia memoria, bella, precisa, solida quanto una montagna, quanto il Bernina che scavalcavo due volte al giorno.

Ma adesso non c’è nulla, un quadrato senza polvere nel pavimento della mia mente.

Abbasso lo sguardo, è come quando mi chiedevano da piccola perché avessi fatto un errore e non sapevo cosa rispondere.

Adesso saprei squirtare, vivere le emozioni che Giulia, Eva, Sabine e quella cagnetta a stelle e strisce possono godere quando scopano, e invece non so nemmeno da che parte si comincia. Potrò mai imparare?

«Giulia ha qualche colpa, in questo?» La voce della mia coinquilina sembra provenire da un altro locale. Indica il tablet dove ha letto il mio racconto. «Hai sognato che ti facesse del male, ma, nella realtà, l’ha mai fatto davvero, intenzionalmente?»

Le parole di Lucia afferrano il palo di legno scricchiolante che sostiene i ricordi del tempo passato al bordello, lo tirano e lo scalzano. Otto settimane di convinzioni, racconti, frottole che mi sono inventata crollano a terra, si sfasciano, rotolano via. «Merda…» sibilo. Una boccata d’aria riempie i miei polmoni, accende la luce della coscienza nella mia mente. È una sensazione orribile quella che viene illuminata e cerca di nascondersi correndo in un angolo buio. «Sono stata una stronza con lei…»

«Forse “stronza” è un termine trop—»

«La detestavo perché era migliore di me!» Qualcosa come un nodo nel mio petto si scioglie, un nodo che non sapevo nemmeno di avere. «Io…» Mi metto le mani nei capelli. «Cazzo! Ho passato tutto il tempo odiandola perché lei si divertiva a fare sesso, mentre io lo vedevo come un lavoro, dove dovevo dimostrare di essere la migliore!»

Lucia apre le labbra per parlare ma io sono un fiume in piena. Troppe cose stanno cambiando colore sotto la luce della mia nuova consapevolezza. «Mi sono… mi son fatta rompere il culo da uno che sembrava un assassino dei cartelli della droga e mettere il suo cazzo lurido di merda in bocca ed umiliata davanti a tutti per sembrare migliore…» Cazzo… «…la migliore puttana di un fottuto, lurido bordello!»

Gli occhi della mia coinquilina sono sbarrati. «Che cosa…»

Solo il tavolo tra di noi mi impedisce di afferrarla per le spalle e scuoterla. «È stato il giorno che ho rotto l’incantesimo che c’era tra me e Andri!» Gli occhi mi bruciano, mi sembra di essere ancora nel gabinetto del fast food, abbracciata al cesso dove ho appena vomitato la colazione, l’anima, la dignità, che rispondo male al ragazzo migliore che abbia mai conosciuto perché ero – sono - una testa di cazzo che mette il proprio orgoglio davanti alla possibilità di…

Il mio fiato si interrompe in singulti, il bruciore degli occhi diventa liquido. Getto il viso tra le mani e quattro mesi di dolore nascosto nella mia anima, alla fine, si riversano fuori dal mio corpo.

 

****

 

Lucia mi porge un bicchiere d’acqua. «Ti senti meglio?»

Ora so come si sente una merda mangiata da un cane e poi vomitata tra gli spasmi. «Sì, un po’. Grazie.» Prendo il bicchiere e bevo un sorso, l’acqua passa appena nel nodo che ho in gola.

«Sono dispiaciuta che quella mia osservazione ti abbia sconvolta.» Lucia abbassa lo sguardo. «Non era mia intenzione.»

Butto giù tutta l’acqua e alzo una mano. «No, hai fatto bene, e non posso che ringraziarti. Era da quando ho smesso di lavorare al bordello che avevo un… un senso di rabbia dentro di me che mi rendeva nervosa.»

Lei annuisce. «Io sono qui, se hai bisogno.»

Sorrido. L’unica cosa che mi serve è una buona scopata, essere leccata in mezzo alle gambe, essere amata fino all’orgasmo, il grosso cazzo del mio amante che entra nella mia figa e mi possiede con vigore fino a quando non gli pianto le unghie nella schiena e veniamo insieme. Lui che nell’estasi del piacere che grida il mio nome mentre mi inonda della sua sborra, io che contemplo i suoi occhi azzurri e i capelli biondi e sussurro: «Andr—

Sgrano gli occhi, trattengo il respiro. Cazzo…

Sono bagnata in mezzo alle cosce.

Non mi accade mai quando penso di scopare con Dario…

«Marta?»

Muovo solo gli occhi verso Lucia.

Lei mi guarda preoccupata. «Tutto a posto?»

Il cuore è un tamburo nelle orecchie, ho un incendio e un’inondazione nelle mutandine. «Sì…»

Lucia mi fissa. Non si sta facendo ingannare.


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