Ossessione
Capitolo 3 - ...ma quelle dell'editor anche troppo

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«Bene, Marta.» Carla si spinge con l’indice gli occhiali da vista quadrati sul naso. Si sposta una ciocca bionda dietro l’orecchio. La risoluzione della sua immagine sullo schermo del mio vecchio tablet crolla ad una serie di quadretti che la fa sembrare una strana foto in pixel art per un istante.
Lancio un’occhiata al router bianco sul mobile con il televisore. Già il segnale di rete fa schifo, Lucia sarà in camera a guardare sul suo portatile qualche cartone animato giapponese su qualcuno che muore e si reincarna in una friggitrice ad aria all’interno di un videogioco di strategia a turni…
La trasmissione torna a livelli decenti. L’ambiente alle spalle di Carla è sfumato con qualche filtro: dev’essere a casa e non vuole farlo vedere.
La donna guarda qualcosa sullo schermo e muove il mouse. «Ok.» Torna a fissare la telecamera e me stessa. «Per prima cosa, voglio ringraziarti per aver risposto al nostro post su Facebook rivolto agli scrittori, e scrittrici, emergenti, e aver condiviso con noi i tuoi racconti.»
Un senso di malessere mi contorce le budella, il bisogno di andare in bagno si fa impellente, ma non voglio dire alla donna che potrebbe permettermi di fare il primo passo nel mondo dell’editoria che me la sto facendo addosso per la tensione. Sarebbe un gran pessimo inizio.
«La Wade Imaginarium è una casa editrice giovane e ancora poco conosciuta,» Carla si mette più comoda sulla sedia, «ma abbiamo già portato sul mercato autori italiani nuovi che, fino a pochi anni fa, sarebbero stati costretti a sperare che qualcuno come la Mondadori o la Feltrinelli rischiasse con loro o, peggio ancora, ritrovarsi a provare con quella follia di autopubblicazione che, lasciamelo dire, è una bolgia infernale.»
Mi passo le mani sui pantaloni e lascio due strisce di sudore sul tessuto, il cuore mi batte come nemmeno quando avevo dato gli orali agli esami di maturità. Se diventassi davvero una scrittrice, come sopravviverei a tutto questo stress ogni volta che devo parlare con l’editore?
Deglutisco aria. «Avevo… avevo letto che eravate interessati a degli autori di narrativa erotica… e…»
«Sì,» sullo schermo, la donna annuisce. Sui suoi occhiali si riflette lo schermo del computer. «abbiamo intenzione di espandere la nostra proposta editoriale, e includere una collana di romanzi storici e una di narrativa erotica, cosa che ben poche case editrici hanno intrapreso in Italia, e siamo alla ricerca di autori da pubblicare per questi due generi.»
«Come puoi… puoi vedere, io non sono interessata allo storico.» Un sorriso imbarazzato tende i muscoli del mio viso.
Quello sulle labbra di Carla è di servizio. «Sì, ho letto i tuoi cinque racconti che ci hai mandato…»
Le viscere sono spaghetti stracotti. Una goccia di sudore scivola dalla fronte e passa accanto all’occhio sinistro, fermandosi sull’ala del naso. Trattengo la mano dal togliermi via la goccia che sta facendo prurito.
Carla continua a lanciare occhiate alla destra del suo schermo. Deve avere qualche post-it o una finestra di Blocco Note dove ha segnato degli appunti sul mio conto e li consulta. «Devo dire che hai un certo talento, si nota che hai già scritto in passato. Già solo il fatto che non usi la virgola tra il soggetto e il verbo ti innalza sopra buona parte di chi pensa di essere Hemingway ma non ha mai conosciuto la sua insegnante di italiano.»
Sorrido, anche se mi sembra il complimento più loffio che abbia mai sentito. Al confronto, Dario loda il mio scritto – il mio pessimo scritto – come se fosse “Guerra e Pace”, ma lui non è un editore. «Cosa ne pensi dei miei racconti?»
«Sarò onesta.» La donna sullo schermo, questa volta, non legge gli appunti. «Sono di un livello superiore a buona parte di quello che ci viene mandato…»
Adesso dice che fanno schifo, lo so… Perché ho fatto la cazzata di mandarli ad un editore? Mi sono sputtanata da sola!
«…ma non sono adatti alla pubblicazione.»
Il respiro mi passa attraverso i denti, scende nella mia gola stretta con un sibilo. Le spalle perdono ogni forza e mi dolgono come quando tornavo dalle escursioni portando zaini che pesavano chili. «Mi spiace avervi fatto perdere del tempo…»
Carla si passa un paio di dita sulla punta del naso e incrocia le braccia. «Non è affatto così, Marta. I problemi con i tuoi racconti sono semplicemente due: il primo, più ovvio, è che non possiamo pubblicare fanfiction. Puoi immaginare il caos per avere i diritti di un’opera famosa come può essere The Witcher. Ma sono certa che non avevi intenzione di farci pubblicare questi racconti ambientati nell’universo narrativo di Geralt di Rivia.»
Il petto mi si stringe. Che idiota che sono stata… non potevo scrivere un racconto originale? Sono una cretina! «E… il secondo problema?»
Le mani della donna si uniscono e le dita si intrecciano. «Una delle missioni che ci siamo dati qui alla Wade Imaginarium è portare la letteratura italiana nel XXI secolo, uscendo da una serie di paradigmi di scrittura ormai abbandonati nel resto del mondo e, per quanto possano essere accettati nei capolavori del nostro passato, al giorno d’oggi sono anacronistici.»
Mi tolgo la goccia di sudore che scivola sulla tempia e sembra intenzionata ad entrarmi in un occhio. Di cosa sta parlando, Carla? È come mi hanno insegnato a scrivere a scuola, dalle elementari fino ad ora… «Scusa, cosa… cosa intendi?»
«L’uso di tecniche conosciute come lo “show, don’t tell”, la scrittura trasparente, lo studio della narratologia… Sono tecniche poco conosciute in Italia ma che vogliamo divulgare per un maggiore coinvolgimento del lettore e sperare di portare il nostro Paese fuori da questa situazione di lettura pressoché inesistente.»
La bocca mi si è asciugata. «Io conosco a malapena queste cose…» O per lo meno, credo di averle sentite nominare.
Una notifica compare nell’angolo destro dello schermo. Proviene dalla versione desktop di Whatsapp.
Dario
Ci vediamo questa sera? Ho voglia di sushi
Distolgo lo sguardo dal messaggio. Mi sono persa le prime parole di Carla.
«…normale. Molti non sanno nemmeno cosa sia. Ma questo stile è un requisito per poter pubblicare con la Wade Imaginarium.»
Un senso di delusione mi riempie la mente. La mia possibilità di poter pubblicare con un editore, per quanto minuscolo, è sfumata. I miei sogni di gloria si dimostrano tali: dei semplici—
«Naturalmente, non è nulla di complicato da imparare e utilizzare nei propri testi narrativi.»
Tiro su con il naso. «Posso anch’io?»
«Certo. Ci sono manuali che lo insegnano, e anche ottimi corsi online.»
Mi è sempre stato detto che i corsi di scrittura sono delle perdite di tempo, ma se un editor sostiene il contrario… Passo l’indice sotto il naso: sul dito resta dell’umido. «Puoi consigliarmi qualcosa?»
«Volentieri. Posso indicarti dei testi, ma penso che un corso online sia più comodo e veloce.» Sulla chat testuale accanto alla finestra video compare un link. «Questo è un buon corso, molti nostri autori hanno imparato a scrivere con questo.»
Quella stringa di lettere azzurre sottolineate afferra il mio sguardo, mi guarda dall’alto in basso. È il confine tra saper scrivere abbastanza bene da essere pubblicata e premere tasti a caso, come una scimmia. E io, agli occhi della editor, sono solo un babbuino.
Apro le labbra, sono secche. «E…» Torno a concentrare la mia attenzione su Carla. Mi sembra la mia insegnante di italiano delle elementari, la stessa che si lamentava che dimenticavo l’”H” nei verbi, che scuoteva la testa quando mi consegnava i compiti in classe corretti… «E le scene di sesso? Vanno bene?»
«Non preoccuparti per quelle, Marta: quando le mostrerai invece di raccontarle il lettore le amerà.» Accenna un sorriso. «In questo caso, la tecnica della “penetrazione profonda” le renderà indimenticabili.»
Perché si mette a parlare anche di kamasutra, adesso? La voce che esce dalla mia gola è un gracchiare. «Va bene, grazie.»
Lei sorride e alza una mano in segno di saluto. «È stato un piacere conoscerti, Marta. Ti mando un documento con le informazioni della nostra casa editrice e i requisiti per i manoscritti da proporci.»
Nella chat testuale, sotto il link compare l’icona di un file pdf con sovrapposta una freccia che punta verso il basso.
Mi duole il petto. «Grazie, Carla, per il tuo tempo.»
«Spero sarai dei nostri, Marta. Buona giornata.» L’immagine della donna scompare e sullo schermo del mio tablet rimane solo la chat testuale.
Appoggio il computer sul tavolo e mi lascio cadere sullo schienale, le braccia a penzoloni prive di forza. «Merda…» sibilo. È andata malissimo… Chiudo gli occhi e sospiro. Tutto questo lavoro per nulla, anni passati all’università per diventare un’autrice e mi dicono che non va bene come scrivo, che sono rimasta ai tempi di Manzoni…
Apro gli occhi. Il link sullo schermo del tablet è una ferita azzurra in un mare di bianco. È l’armadio che, invece di portare a Narnia, mi getterà in un mondo di sconforto, di nozioni da imparare, di frustrazione. Di cognizioni che non so e non posso nemmeno immaginare.
Di conoscenze che mi mancano per poter essere la migliore scrittrice di narrativa erotica in Italia.
Tocco la scritta azzurra.
La schermata di un sito web si apre sullo schermo. Il nome “La forgia delle storie – Scuola di narratologia” compare in alto, sotto è presente un video di presentazione pronto ad essere visto, a sinistra un menù che conduce a varie sezioni. Clicco su “Corsi”.
Immagini di incudini con penne d’oca al posto dei martelli sovrastano scritte in grassetto: sono i corsi disponibili. Sono una mezza dozzina, vanno dal corso base di scrittura trasparente a quello avanzato di narratologia, passando per uno sui dialoghi e uno sul world building. C’è una breve descrizione di ognuno, con il prezzo.
Sgrano gli occhi: ma quanto cazzo costano? Il base 1.200 euro, quello di creazione delle storie 1.500, gli altri anche di più… Devi essere un cazzo di milionario per poter scrivere, altroché fare l’universitaria!
Non posso permettermi qualcosa di simile, a stento arrivo alla fine del mese con quanto mi passano i miei, e già devono fare sacrifici per poter mangiare anche loro. Sono fregata…
La scritta “Offerte” ha un colore più in chiaro, sembra disattivata. Non importa: la tocco.
Si apre una nuova pagina. Tre incudini, le stesse che comparivano prima, ma in gradazioni di grigio invece che a colori, sono raggruppate in un’unica immagine. Sotto compare la scritta: “pacchetto offerta” e “Scrittura trasparente + narratologia + dialoghi a soli 1.800 euro!”.
Mi gratto una gota. Il prezzo è ancora proibitivo, ma… cazzo, è forse un terzo di quello dei tre corsi singoli sommati. A questo punto, farei meglio a prendere questo.
Se avessi i soldi. E fosse attivo.
Lo tocco, l’ennesima pagina si apre. “Disponibile da ottobre”, recita il titolo. “Alla riapertura autunnale della scuola di scrittura La forgia delle storie un’offerta imperdibile, solo per i primi 20 che ci contatteranno compilando il modulo…”
Sospiro. Se solo avessi quei soldi…
Come li recupero in cinque mesi?
Una nuova notifica appare nell’angolo destro dello schermo. Capisco perché tutti sostengono che vanno bloccate. È Dario. Tocco prima che scompaia.
Si apre Whatsapp.
Dario
O preferisci la pizza?
Faccio una smorfia. Mi è passato l’appetito, e non sono certa di poter essere di grande compagnia, questa sera… Ma se offre lui, dieci euro li risparmio. I primi dieci euro di milleottocento…
Marta
Va bene la pizza Grazie 😘
****
Dario prende il tovagliolo ocra accanto al piatto con la pizza fumante, lo apre e avvicina un angolo al colletto della maglia.
È così caro, ma sembra davvero cresciuto su un alpeggio. Scuoto la testa quanto basta per farmi notare da lui senza attrarre troppo l’attenzione del resto dei clienti.
Lui mi guarda confuso. Ha il dito infilato nello scollo con un lembo del tovagliolo. «Che c’è?»
Prendo il mio, lo apro e lo appoggio sulle gambe. Sollevo le sopracciglia. Non è così difficile.
«Ah, giusto.» Se lo sfila dal collo e mi imita.
Inspiro a pieni polmoni: il vapore che si solleva dalla pizza al tonno, guarnita da una splendida coppia di foglie di basilico, colma il mio naso del profumo di pomodoro, mozzarella e origano. Un lungo e sommesso gemito si alza dalla mia gola. Inghiotto un bicchiere di acquolina: l’appetito mi è tornato, e sembra essere più del solito.
Prendo le posate, affondo i rebbi della forchetta su un blocchetto di tonno e inizio a incidere con il coltello. Stringo le labbra. L’unico difetto della pizzeria è che hanno i coltelli privi di punta e lisci come l’acqua.
Dario piega la pizza a metà, poi a un quarto, la solleva e azzanna la punta. Dal foro colano gocce di polpa di pomodoro e fili di formaggio restano intrappolati tra le labbra del ragazzo.
Mi sbagliavo: Dario non è cresciuto sugli alpeggi, perché pure le capre sono più civili di lui…
Inghiotte e beve un sorso di birra dal bicchiere. «Sei silenziosa, questa sera, Marta. C’è qualcosa che ti preoccupa?»
Il cornicione della pizza mi fa la grazia di tagliarsi. Le spalle mi si abbassano alla domanda di Dario. Sospiro.
«Non è niente.»
«Di solito sei un fiume in piena di parole, quando usciamo. Nel tempo che ho finito la pizza, tu hai ancora in mano la seconda fetta. Cosa c’è che non va?»
Appoggio le posate al piatto. «Ho avuto oggi una call con la tipa di una casa editrice.» Sollevo lo sguardo sul volto del mio ragazzo. Ha un’espressione interrogativa. «Un paio di settimane fa, girando su Internet, nei forum di scrittura, ho trovato il post di una casa editrice piccola che cercava nuovi autori, e chiedeva di mandare i propri manoscritti.»
Dario inghiotte il suo boccone. Ha le labbra che brillano di unto. «E tu l’hai fatto? Hai mandato…» Muove la pizza a fisarmonica come se fosse il nostro segnale segreto per “merda porno scritta da bambini di seconda elementare”. «…il racconto di Gerald e Yennefer. Mi è piaciuto.»
Un sorriso mesto prova ad allargare le mie labbra ma non ci riesce. «Sì, e mi hanno detto che non va bene, e che devo comprare un corso di scrittura creativa se voglio pubblicare con loro.»
Lui si ferma con la pizza ad un paio di dita dalla bocca. «Che pazzia. Studi letteratura e devi fare un corso per scrivere? Come se io dovessi fare un corso per imparare a disegnare con AutoCAD.» Assesta un morso alla pizza. «Prova con un'altra casa editrice, magari rompono un po’ meno le balle.»
Facile dirlo, per te. Se in uno studio di architetti non piace come disegni i buchi delle finestre, puoi sempre andare a lavorare in quello dall’altra parte della strada. «Non ci sono poi tutte queste case editrici che… vogliono fare una collana del genere dei miei racconti.»
Dario abbassa il bicchiere di birra e lo posa sul tavolo. L’impronta unta delle sue labbra testimonia dove ha bevuto. «Allora credo che non ti resterà che fare il corso.»
«Eh, sì, ma costa parecchio.»
Lui fa una smorfia. «Che cosa si dovrà poi imparare per scrivere un romanzo? C’è gente che fa cose e parla, metti qualche descrizione e ti inventi un titolo un po’ figo..»
E progettare una casa? Sono solo muri con dei buchi per far passare le persone, pavimenti per non farle cadere in cantina e tubi perché non crepino di sete. Le facevo anch’io con i Lego a sette anni e l’omino pirata o quello vestito da Robin Hood non si sono mai lamentati delle loro abitazioni: che ci vuole? «Beh, devo comprare, e imparare, quel corso. Una bestia di più di quaranta ore su come si scrive nel XXI secolo, la progettazione dei personaggi, le strutture narrative, le sei funzioni del dialogo, le semine e le rac—»
«Ok, ok…» Dario solleva una mano. «E quanto viene a costare?»
Sospiro. La pizza sta diventando fredda, e lo stomaco si sta chiudendo di nuovo. «Il pacchetto in offerta, 1.800.»
«Minchia!»
«Già.» È l’equivalente di quattro mesi di “paghetta” che ricevo dai miei per campare all’università: dovrei stare 120 giorni senza tirare fuori una lira per mangiare o pagare affitto o bollette.
«E come pensi di recuperare quei soldi?»
Dandola via ai miei compagni? Dieci euro a botta, non di più perché anche loro campano di pasta e tonno, e con duecento scopate mi sono pagata il corso. L’idea non mi disgusta poi nemmeno tanto, ma passare per zoccola dove vive anche il mio ragazzo… e magari sarebbe più utile puntare a clienti più facoltosi che… Scuoto la testa, che cazzo sto pensando?
Mi gratto una tempia. «Non lo so. Potrei provare a racimolare un po’ di denaro lavorando quest’estate.» Ma con quello che mi hanno pagato l’anno scorso a stento mi prendo le prime dieci ore di corso…
C’è sempre la prospettiva del lavoro in qualche bar in Svizzera.
E lì il mio ragazzo non ci vive…
Dario dà un altro morso alla sua pizza. «Su, non pensarci, Marta.» Indica la mia, ancora intatta. «La finisci?»
Considerando che dovrò fare economia fino all’ultimo centesimo, sarà utile approfittare di ogni briciola che mi viene offerta. «Sì.» Sollevo la fetta: ha smesso di fumare e l’unto ha perso la sua attrattiva. Me la caccio in bocca. È un blocco di formaggio solidificato e pomodoro raffreddato.
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