La supplente di matematica

Capitolo 1 - Una ragazza con delle capacità

William Kasanova
22 days ago

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La mano sinistra di Isabella stringe il mio cazzo, un suo dito scivola sulla cappella, spandendo la sborra che vi è rimasta sopra. Chiudo gli occhi, il mio fiato si mozza ogni volta che passa sopra il mio meato; i suoi soffici seni sono appoggiati contro il mio fianco, il calore dei nostri corpi si unisce ormai da tempo. Il suo capo è appoggiato sulla mia spalla, i suoi capelli lunghi mi solleticano il petto. Li accarezzo, amo il loro essere rossi scuro. Fulvi, come dice lei.

Isabella ha gli occhi chiusi, sonnecchia come fa di solito dopo che l’ho fatta godere. Ancora posso vedere il mio cazzo che sprofonda nella sua figa, le sue gambe tremare, lei ululare sconvolta dal secondo orgasmo di quel pomeriggio. Ha un corpo bellissimo, mi sento orgoglioso e fortunato ad essere quello che se la scopa.

La mia mano scivola tra le sue chiappe sode, la punta del mio medio si muove sulle pieghette del buco del suo culo ancora umido del mio seme. Lo voglio di nuovo, il mio cazzo s’irrigidisce al desiderio che cresce nel mio inguine come un fastidio. Il profumo della scopata riempie l’aria della stanza, ogni respiro è come rivivere la penetrazione e il piacere di venirle dentro.

Inspiro a pieni polmoni. Voglio ancora possedere la mia puttanella, mi mordo un labbro immaginandola sdraiata sulla pancia, bloccata dal mio peso, afferrarla per i capelli, il calore del suo retto che avvolge il mio cazzo, io che sprofondo in lei, le molle del letto che gemono quasi quanto lei ad ogni mio colpo. “Chi è la mia puttana? Chi è la mia puttana?”, le griderei, e lei…

Lei non accetterebbe una cosa simile, lo so. Non l’ha mai voluto. La stanza sa di chiuso, quell’odore che riempie le stanze degli ospizi. Tanto varrebbe scostare la sua mano che sta giocando con il mio cazzo e alzarmi e aprire la finestra della mia camera. O, magari…

Le appoggio un bacio sulla fronte. Un sorriso che parte dalle sue labbra si concentra nelle rughette attorno agli occhi azzurri. Il suo bel viso sembra illuminarsi. Forse - forse - è la volta buona.

«Cucciola…» sussurro.

Isabella si mette più comoda, la sua mano scende ancora di più lungo l’asta, la sega si fa meravigliosa. Sì, è la volta buona, questa.

Mi restituisce il bacio sulla bocca. Quello, oltre il rossetto alla ciliegia dev’essere il sapore della mia sborra. Sulle sue labbra è qualcosa di divino. «Dimmi, Lele…»

«Stavo pensando che… beh… potremmo fare… voglio dire, del sesso un po’ più… movimentato».

La soddisfazione scompare dal viso di Isabella, i lineamenti che assumono quello che, secondo lei, è un’espressione di offesa, ma a me fa venire ancora più voglia di baciarla. La mano molla il cazzo e i suoi seni si staccano dal mio corpo: sono una punizione ben peggiore del suo sguardo offeso. Le sue braccia si stringono sul suo petto, nascondendo i suoi piccoli capezzoli. Il dolore stringe il mio cuore. «No. Lo sai che non voglio», volge lo sguardo contro il muro, «mi mancheresti di rispetto».

L’abbraccio, baciandola sulla spalla. Ci sono un paio di segni bluastri: per quanto sia intelligente, è molto distratta e sbatte spesso contro gli oggetti. Per quanto scoparla rudemente mi farebbe impazzire, limitarmi a venire dentro il suo corpo in un modo più tranquillo è comunque meglio del segarmi pensando a lei. «Non era mia intenzione maltrattarti, gioia, lo sai che ti amo».

Non so quante volte ho fallito nel convincerla al sesso violento, abbastanza comunque per sapere come farmi perdonare.

Volta il suo capo verso di me, e l’acredine sul suo volto si tramuta in soddisfazione.

Sciolgo l’abbraccio e mi scosto per uscire dal letto. Sposto le coperte e sospiro. «Adesso sarà meglio cominciare davvero a studiare, o…»

Isabella appoggia una mano sul mio petto e mi spinge di nuovo contro il materasso. «Dove pensi di andare, ragazzo? Io non ho ancora finito con te».

Funziona sempre, è come se si sentisse in colpa per non consentirmi di divertirmi come voglio io e mi dà un contentino. Un ottimo contentino.

La mia giovane amante scivola fino alle mie gambe, che apre senza fatica così da poter stare più comoda e afferra saldamente il mio cazzo scivoloso... Avvicina il viso alla cappella, con delicatezza la fa fuoriuscire dalla pelle e inala l’intenso odore di sesso che sprigiona; il gemito di piacere che emette quando espira lentamente mi arrapa ancora più di quanto lo sia stato fino a quel momento.

«Mi fa sempre bagnare l’afrore di maschio del tuo uccello eccitato, Gabriele…» sussurra, soddisfatta. Passa la lingua lungo l’asta del mio cazzo, la sua saliva sostituisce i nostri liquidi sessuali.

Lascio cadere la mia testa nel cuscino, emettendo a mia volta un sospiro di piacere, pregustando quanto mi farà entro breve la ragazza. É una delle sue qualità che più apprezzo, e più volte mi sono chiesto come faccia una diciottenne a dimostrare una tale maestria con i pompini: è una risposta che non sono certo di voler conoscere, e ignorare l’un l’altra il numero di partner che abbiamo avuto rispettivamente è una specie di patto silenzioso.

Il pensiero passa in secondo piano quando la mano libera della ragazza si appoggia sui miei coglioni e inizia ad accarezzarmeli: diventano più duri, quasi si ritraggono dentro di me. Le labbra di Isabella abbandonano l’asta e si adagiano in un bacio sulla cappella ormai viola; i suoi occhi si fissano nei miei, e sorridono: Isabella è pronta a fare quello che adoro. Devo impedire alla mia mano di appoggiarsi sul capo fulvo della mia amante e spingerla verso il basso. La sua bocca si apre appena per scivolare lungo il mio cazzo, fino a inghiottirlo quasi tutto. Sento i suoi denti perfetti accarezzare il velluto del mio glande, la sua lingua comprimersi nel cavo orale, le sue tonsille accogliere la punta della mia nerchia.

Isabella resta qualche istante così, quasi in apnea, lasciando che la saliva, come se stesse gustando una pietanza prelibata, inizi a muoversi verso la cappella, sale lentamente, la pelle libera, appena scivolata fuori dalle sue labbra, che incontra un’aria più fredda e secca della sua bocca meravigliosa.

Stringo le lenzuola, un respiro inonda i miei polmoni di odore di sesso. «Porca puttana… non so se preferisco la tua figa o la tua bocca…»

Percepisco a malapena la mano che coccola le mie palle scivolare lungo il mio perineo, tra le mie cosce, infilarsi tra le mie chiappe e la punta del suo medio fare ingresso nel mio buco del culo. Cazzo… sì…

La prima volta che me l’aveva proposto ero inorridito all’idea di qualcosa di simile, e l’avevo infine accettato solo nella convinzione che poi, anche lei, avrebbe seguito il mio esempio e acconsentito al sesso grezzo; ma da allora non ho più potuto smettere, e da mesi il pompino che conclude pressoché ogni nostra scopata è accompagnato dal suo frugare nel mio retto alla ricerca e al solleticare la prostata.

Un capogiro ed un senso di straniamento iniziano ad occupare la mia coscienza. Mi sembra di cadere, come quando ci si sta addormentando. Stringo le palpebre. «Non fermarti, cucciola!».

Il suo dito ruota nel mio culo, ad ogni suo movimento il mio cazzo si ingrossa e divampa il mio bisogno di godere. Succhia più forte, muove con maggiore veemenza la testa, aumenta il suono – gluc gluc gluc - che emette spompinandomi.

Non l’avverto quando vengo: l’avevo fatto le prime volte e non aveva smesso di fare ciò di cui è maestra. Mi trattengo appena dal bloccarle la testa contro il mio inguine, serro i denti e mi godo la sborra che lascia i miei coglioni, fluisce nel mio corpo e viene spinta lungo il mio cazzo con la pressione di una lancia antincendio. Mi sento mancare quando piscio secchiate di sborra in bocca a Isabella, talmente tanto liquido che mi sembra che anche una parte della mia anima venga spruzzata dal mio meato nello stomaco della mia amante.

Lei estrae con delicatezza il dito dal buco del mio culo, afferra con entrambe le sue mani il mio cazzo e lo netta con la punta della lingua, passando prima lungo il bordo della pelle, strappandomi gemiti di piacere, e poi appoggiando di nuovo le labbra sul meato e aspirando come la cannuccia di una bibita.

Il cuore batte all’impazzata e un senso di stanchezza si appoggia sulle mie membra, nemmeno abbia fatto attività fisica per tutto il giorno invece di passare un’ora a letto con un pezzo di figa. Nessun’attività fisica può dare la soddisfazione di cui è capace la bocca di Isabella.

Lei si solleva dal mio inguine, quasi più soddisfatta di me, passandosi la lingua sulle labbra a prendere le gocce di sperma che vi sono rimaste. Nella magnificenza del suo corpo nudo di diciottenne, si siede accanto a me. «Piaciuto?»

La scoperei a sangue, la possederei con tutta la forza di cui sarei capace, se non fosse che mi sento come un settantenne. Il mio cazzo luccica della sua saliva, tirato a lucido come se l’avessi appena lavato. «I tuoi pompini sono fenomenali, cucciola».

Lei sorride, fingendosi imbarazzata, ma non può nascondere di esserne orgogliosa. Si avvicina al mio orecchio sinistro, il suo fiato che sa di cazzo e sborra accarezza il mio volto. «Mi piace il gusto del tuo succo».

La guardo stupito, mentre il suo viso diventa rosso nel confessare quel segreto. Bianca com’è di carnagione, appare ancora più evidente. Ha sempre inghiottito, ma ho sempre creduto lo facesse per farmi un piacere: scoprire che ama il sapore della mia sborra è qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Nemmeno a me dispiace il liquido che cola dalla sua fica quando gliela lecco, ma proprio arrivare ad amare il sapore della sborra…

«Mi auguro che tu non stia con me solo per questo…»

Lei sorride e mi abbraccia. «Quando ci sposeremo, tutte le mattine ho intenzione di prendere una brioche vuota, ci farò un foro, ci infilerò il tuo uccello, lo userò per farti una sega e poi, quando ci avrai svuotato dentro le palle…» avvicina la mano alla bocca, dà un morso all’aria e si passa la lingua sulle labbra, muovendo l’altra appena sotto le tette in un cerchio ed emettendo un gemito di gusto. L’immagine di lei che, seduta al tavolo di una cucina che non abbiamo, nuda, con davanti una tazza di the, addentare un croissant da cui scivola fuori una crema biancastra e collosa mi riempie la mente e anche il cazzo. Isabella abbassa lo sguardo sulla mia erezione, ma non è quella che attira la sua attenzione. «Però dovrai depilarti i gioielli, Lele, o mi troverei i peli in bocca», Annuisco, trattenendo un gemito di sconforto: non è la prima volta che me lo dice, e non sarà l’ultima che mi dimentico di farlo. «Ok, farò qualcosa…» Non ho ancora molta familiarità con i peli che non crescevano sulla mia testa, e spesso non me ne ricordo nemmeno.

Isabella ha lo sguardo di chi non si aspetta nulla di simile, come ha ormai compreso.

Ci baciamo e cominciamo a vestirci. Non posso trattenermi dal dire: «Mi svuoti le palle tutte le volte con il pompino finale, lo sai?»

Lei mi fa l’occhiolino. «Certamente: è la mia intenzione. Così non hai la materia prima per tradirmi».

Sollevo le sopracciglia. «Cosa ti fa credere che voglia andare con un’altra? Sei bellissima». Evito a stento di aggiungere che fa i migliori pompini che abbia mai provato in vita mia, per quanto sia sicuro che lo sappia perfettamente.

Lei sbuffa come se avessi detto una sciocchezza. «Gabri, sei un ragazzo bellissimo, e le mie amiche continuano a dire che sei un gran bel figo, e un giro nei tuoi pantaloni se lo farebbero volentieri…»

Trattengo un sorriso: sarei ipocrita a negare che un paio di sue amiche sono delle gran belle fighe, e l’idea di farci fare un giro nei miei pantaloni non glielo negherei, non fosse che avrei paura di perdere Isabella. Ma loro, ne sono certo, non saprebbero lavorare di bocca bene come la mia ragazza.

La sua testa sbuca dal foro della maglia. «…e poi, mi spiace dirlo, è innegabile che nella tua famiglia la promiscuità sia un tratto piuttosto comune».

Quando mai mio padre ha tradito mia…

La sua mano sinistra appare dalla manica. Mi guarda, sogghignando alla mia confusione. «Guarda che sto intendendo tuo fratello».

Per un paio di battiti di cuore l’imbarazzo accalda le mie guance. Isabella sa chi è mio fratello…

Ma, dopotutto, perché non dovrebbe saperlo? Per quanto stimi Daniele e lo consideri segretamente il mio idolo, il fatto che gli altri mi associno a lui… sì, mi mette molto a disagio. Soprattutto per quanto è successo anni fa e lo scandalo che ne è seguito. Porca puttana, se avesse ucciso qualcuno non ci sarebbe stato tutto quel casino, mediatico e no.

Ancora con un braccio fuori dalla maglia, Isabella si tocca il naso, abbassando lo sguardo. «Voglio dire, so che è lui che ha organizzato la gara di… di fellatio a scuola, e che era uno dei giudici a cui le ragazze in gara dovevano…»

Sono passati tre anni, ma sembra ieri quando Daniele, in segreto, con tre suoi amici, decise di fare una gara tra le ragazze che frequentavano l’ultimo anno alla N. Sandrini e, nel segreto della vecchia segheria nei boschi, si era fatto succhiare il cazzo di alcune delle più belle fighe diciottenni di Caregan e dintorni, così da scoprire quale fosse la migliore pompinara della zona: tra le partecipanti c’erano figlie di avvocati, professori e imprenditori, tutte inginocchiate nella polvere del parcheggio abbandonato a dimostrare la propria bravura con la bocca davanti ad un pubblico di compagni e compagne di scuola.

E tra le partecipanti c’era anche Francesca Tadini, quella dea dai capelli corvini e il corpo perfetto. La tensione che mi ha irrigidito abbandona i miei muscoli per concentrarsi in un unico punto del mio corpo, per fortunata imprigionato nelle mie mutande e celato dai jeans. Il mio sguardo balza al cassetto del comodino in cui custodisco la mia copia del calendario erotico della Tadini, su cui spesso e volentieri mi sego, anche dopo che Isabella è diventata la mia ragazza…

Da piccolo consideravo mio fratello Daniele una persona da cui prendere esempio, ma quando avevo scoperto che era stato lui il giudice di Francesca, che quella dea si era inginocchiata davanti a lui di fronte a tutti, aveva preso in mano il suo cazzo e poi infilato in bocca, fino a farlo sborrare nelle sue labbra e bevuto la sua sborra… Porca puttana, Daniele aveva smesso di essere il mio esempio ed era assorto a mio mito, soprattutto quando mi aveva confessato di essersela anche scopata in figa in un’ altra occasione.

Sì, è decisamente un bene che Isabella sia impegnata a finire di vestirsi e non veda il mio cazzo, o comprenderebbe che il suo pompino anti-tradimento non ha davvero effetto.

Quando poi, durante la finale, la gara era stata scoperta dai professori ed il preside, era scoppiato un casino: chiunque era stato trovato nella segheria in quel momento era stato bocciato e i loro genitori avvisati. Il clima di sbalordimento, che poi era diventato di tensione, che si era creato tra i miei quando era giunta la telefonata dalla presidenza della N. Sandrini, scoprendo cosa avesse fatto loro figlio, mi stringe ancora il petto. “Quel coglione…” aveva detto mio padre, credendo di non farsi sentire da me, chiuso in cucina con mia madre, “non sa finire a venti e passa anni la scuola, e si caccia in una stronzata simile…”

Ma la nostra famiglia, paradossalmente, non era stata quella che se l’era passata peggio: molte ragazze che avevano gareggiato avevano abbandonato gli studi e ogni prospettiva futura, ritrovandosi come delle emarginate dalla società. Parecchie, appena avevano recuperato un piccolo gruzzolo, avevano abbandonato Caregan, cercando un posto dove vivere in cui nessuno conoscesse la loro storia. A questo si erano aggiunti televisione, giornali e social, facendo passare Caregan e la gente che vi viveva da luogo sconosciuto quasi pure a chi altro viveva in provincia di Belluno a centro della perversione sessuale dell’Europa meridionale. E l’unica che era stata in grado di cavalcare l’onda mediatica, trasformandola in quella del successo, era stata la divina Francesca, che era riuscita prima a finire sulle pagine delle riviste maschili e, in tempo di record, su un calendario sexy tutto suo. Nel giro di tre anni, letteralmente succhiando un paio di cazzi e dandola via, era passata da bulla della scuola locale a co-conduttrice di un programma sul calcio in tv, nuovo sogno erotico della nazione.

Isabella si allaccia i jeans. Non lo immagina nemmeno, ma io e Daniele, ognuno a casa propria, una volta alla settimana contempliamo Francesca in tv, io sospirando nell’ammirarla, lui sospirando nel ricordarla… E sono sicuro che anche lui fissava lo schermo con le mutande abbassate ed una confezione di fazzolettini di carta a portata di mano.

«Mi stai ascoltando?»

Scuoto la testa, tornando alla realtà, ritrovandomi la mia ragazza in carne e ossa che mi fissa.

«Sì, scusa… Stavo… pensando alla prof di matematica, che è finita in ospedale». Davvero questo è il miglior argomento che riesco a trovare oltre le grosse tette della Tadini che stanno riempiendo la mia mente. «La… la Mancuso. Deve farsi operare, non lo sapevi?»

In piedi, Isabella si infila le scarpe senza sciogliere il nodo dei lacci. «Ah, sì. Ma nemmeno mia madre sa chi hanno preso al suo posto, ed è nel consiglio dell’istituto, guarda te… In ogni caso, peggio della Mancuso non possono trovare nessuno».

Concordo con un gesto del capo. Non saprei dire se la Mancuso peggio a livello fisico, con quei nei pelosi e la faccia che la fanno sembrare la Strega del Mare di Popeye, o come carattere, sempre pronta a urlare ad ogni errore e a minacciare di chiamare i genitori al minimo sgarro. Starsene senza per qualche tempo è una liberazione. Non che mi faccia delle grandi aspettative per quanto riguarda chi ne prenderà il posto: sempre un prof di mate sarà.

La ragazza muove un piede a terra, facendolo entrare meglio nella scarpa. «La nostra curiosità verrà soddisfatta domani, quando quello nuovo inizierà le lezioni. Spero solo non si metta in mente di spiegare nulla di complicato».

«È facile per te, sei un genio della matematica. Io a stento so quante dita ho nelle mani».

Lei sorride, chiude la distanza che ci separava e mi bacia palpandomi il pacco, come a controllare se le mie palle non abbiano bisogno di una nuova svuotata. «A me basta che ti ricordi delle due che infili nella mia micia…»

«Ti amo, cucciola. E non preoccuparti, che non ho intenzione di tradirti con nessuna».

«Lo so, anche perché non troveresti nessuna in grado di succhiarti il salsicciotto bene quanto me».

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