High Utility
Capitolo 65 - Episodio 64

In realtà, come scoprì Flavia un’ora più tardi, “La montagna della morte” non si stava dimostrando affatto noiosa come aveva temuto mentre finiva gli ultimi bocconi di pizza e li mandava giù con la Coca Cola. Si era trovata davvero abbracciata ad Alessio, ma non era per essere di nuovo deliziata dalla sua esperienza nel volo, quanto come risposta istintiva di fronte ad un mostro che si era scagliato fuori dal bosco oscuro e piombato su una delle ragazze che, insieme ai suoi compagni, stava correndo nella neve, sotto una luna piena incredibilmente grande, dopo essere fuggiti da uno squarcio aperto in un lato della tenda.
Il contenuto del bicchierone di popcorn che Alessio aveva comprato all’ingresso era ormai sparso sul pavimento, dopo che la ragazza era balzata sul sedile quando era comparsa per la prima volta un’ombra scura tra i rami spogli del bosco che i protagonisti stavano attraversando per raggiungere un qualche posto su una montagna, scoprendo pochi istanti dopo che era in realtà un orso che, alla vista degli umani, dopo aver recriminato un po’ per il disturbo, aveva deciso di lasciar loro il passo libero. La seconda volta, gettando a terra proprio il bicchierone e strappando una risata di Alessio, che si era poi scusato, era stato quando la zip della tenda, la prima notte di campeggio, si era abbassata di colpo e aveva fatto il suo ingresso, ben poco gradito, un anziano cacciatore del luogo, il viso orribilmente segnato da anni di intemperie, che aveva consigliato, o più esattamente imposto, ai sette ragazzi di andarsene perché un paio di notti dopo i mostri sarebbero venuti a prenderli. “Sono solo ignoranti superstizioni”, aveva risposto, quasi ridendogli in faccia, quello che, dei sette, voleva apparire come il coraggioso compagno leader.
Ora, mentre una delle ragazze, Tasha o qualcosa del genere, spaccandosi i polmoni implorava disperatamente aiuto, le sue grida che scomparivano nella notte sotto il bosco, strappata dal gruppo in fuga precipitosa da un ignorante superstizione balzata fuori dal buio e subito scomparsa, gli altri sei scalpitanti nella neve macchiata di sangue, incerti se fingere una ricerca suicida o riprendere una fuga a rotta di collo altrettanto fatale, Flavia si ritrovò tra le braccia di Alessio, che la strinse a sé, rassicurandola con un sussurro appena riconoscibile nella musica che imperversava nella sala del cinema.
Quando lo guardò, nel riflesso artificiale delle nevi sovietiche, il volto di lui lasciava trasparire una soddisfazione per il lavoro del regista nel cercare… nemmeno di spaventarlo, quasi più di non farlo annoiare, di gettarlo in quel mondo irreale di mostri scontati e finali prevedibili.
La ragazza provò a simulare un po’ della sicurezza del suo amico, sedendosi compostamente sul suo sedile, fingendo di non avere dei popcorn sotto la suola delle scarpe, lasciando che il braccio di Alessio restasse sulle sue spalle. Anzi, quando lui, forse senza nemmeno accorgersene, forse pensando che lei si sentisse a disagio in quell’abbraccio, lo sollevò, Flavia prese la mano con la sua e gli chiese di lasciarlo lì. Lui le lanciò un’occhiata, sorridendole. – Se hai paura, possiamo andare.
Lei non aveva paura, era terrorizzata. Era come se il freddo dell’inverno di quella notte maledetta degli Urali uscisse al pari di una foschia invisibile dallo schermo e scivolasse tra i sedili, fino ad avvolgere le gambe e gelarle il cuore e l’anima ma, al contempo, solo il calore del braccio di Alessio le infondeva le energie per restare lì e non fuggire. «No, non preoccuparti,» gli rispose, sussurrandogli in un orecchio, pensando a quando non aveva dormito tre notti per aver visto “L’esorcista”.
Lanciò un grido e nascose il viso nel petto del ragazzo quando i sei sopravvissuti trovarono Tasha su un albero, o almeno una parte di lei, per quanto la mancanza di abiti, pelle e alcune estremità trascinate via da alcuni lupi ringhianti rendesse il riconoscimento solo probabile.
«Mi domando se un chirurgo troverebbe qualche errore nella scena,» ironizzò Alessio, accarezzando i capelli arancioni della ragazza. «Hai mai pensato di studiare chirurgia, Flavia?»
«Vaffanculo!» rimbrottò lei, la voce che si smorzava nell’addome del ragazzo, strappandogli una risata.
La ragazza passò buona parte del tempo al sicuro tra le braccia di Alessio, incerta se pentirsi di aver accettato la sua offerta di vedere un film dell’orrore, o felice per quel contatto fisico così piacevole. Provò un paio di volte a guardare lo schermo, ma constatò che la scena di Tasha, o quello che restava dopo il suo rapimento, era una delle meno disgustose della pellicola da quel momento in avanti, e passò l’ora successiva a chiedersi perché l’evoluzione non avesse creato un equivalente delle palpebre anche per le orecchie.
Alla fine, quando mancava più di mezz’ora alla fine, con tre soli sopravvissuti che si aggiravano per il villaggio di Vizai in piena bufera di neve, senza un’anima viva, Alessio le chiese se voleva andare.
Flavia, il volto piantato nella sua spalla sinistra, domandò se non preferisse vedere anche il finale, per quanto lei, in realtà, avrebbe preferito essere a mille chilometri dalla sala del cinema.
«Ah, volevo scoprire chi fossero i mostri,» rispose lui, senza nascondere una certa delusione, «ma è evidente che sono gli abitanti del paese che si trasformano in animali mannari… che miseria… Avrei scommesso nello Yeti o in esperimenti genetici segreti dell’esercito sovietico sfuggiti al controllo, ma, evidentemente, la maledizione di una Baba Yaga sembra essere sufficiente per il regista,» aggiunse, senza nascondere il suo giudizio sul film nell’intonazione della voce.
«Va bene,» rispose lei, e lo seguì all’esterno, nella piazza, cercando di non mettere una mano tra lei e lo schermo per non sembrare proprio una fifona totale. Continuava a non apprezzare la piadina, ma sul fatto di vedere solo commedie e film d’amore cominciava a comprendere le ragioni di Alena.
Alessio riaccese il suo telefonino e controllò l’ora. «Sono quasi le undici». Sollevò lo sguardo sulla ragazza. «Vuoi fare qualcosa?»
Lei prese la palla al balzo. «Credo che sarà meglio se vado a casa,» disse, aggiungendo: «Però, confesso che il film mi ha terrorizzata».
«Effettivamente,» concordò lui, «nonostante la caduta di stile con i mannari, non era poi così male».
Flavia sorrise, nascondendo la convinzione che quel film l’avrebbe perseguitata fino al resto dei suoi giorni. Sarebbe stato meglio se Sam non ne fosse mai venuta a conoscenza, o “Lo speciale di Halloween dei Simpson” avrebbe smesso di essere il soggetto delle sue prese in giro… «Eh, sì, Alessio, io… confesso che adesso ho una paura matta a tornarmene a casa da sola».
Il ragazzo sollevò le spalle. «Nessun problema, ti accompagno io».
«Sei gentilissimo».
***
Si avviarono lungo le strade illuminate dai lampioni appesi agli edifici, con il concreto rischio di essere assaliti da qualche falena attratta dalle lampadine accese o un paio di gatti che, alla vista dei due ragazzi, attraversarono la via e scomparvero in qualche vicolo laterale. Flavia non fu sicura di vedere dieci persone nei venti minuti che passarono a camminare. Lei cercò di sondare un paio di cose sulla vita del ragazzo, e lui le raccontò senza problemi di com’era essere fidanzati con Giada, andando anche a chiedergli qualcosa sulle sue preferenze sessuali.
«Questo lei non me lo ha mai chiesto,» disse lui, divertito, ma non aggiunse null’altro, lasciando la curiosità di Flavia insoddisfatta.
«Ho un po' di freddo,» si lamentò lei, stringendosi tra le braccia. L’aria non era così spiacevole, in realtà, ma magra com’era dava l’impressione che non possedesse un filo di grasso a proteggerla dal gelo. In ogni caso, Alessio si tolse la giacca leggera e gliela porse, scoprendo che la ragazza avrebbe potuto starci dentro forse anche tre volte.
Parlottarono del più e del meno, quando arrivarono al condominio della ragazza. Alessio guardò verso l’alto, studiandolo.
«Ci passo spesso davanti, ma non ho mai pensato fosse casa tua,» le disse.
«Già,» rispose lei, sentendosi improvvisamente imbarazzata. Aprì bocca per dire qualcosa, poi la richiuse, umettandosi le labbra. Prese il telefono di tasca e controllò le notifiche, trovando la risposta di Sam.
Mamma
D’accordo, l’appartamento è tutto vostro. Ma niente sesso sul tavolo di cucina
La faccina che faceva la linguaccia al termine del messaggio quasi la rinfrancò, ma cercò di non farlo vedere ad Alessio, il quale la guardava sollevando le sopracciglia, come a chiederle se tutto fosse a posto.
Lei sorrise, imitando alla perfezione un certo disagio. «Mi… mi vergogno a dirlo, ma… Ehm, Alessio… ho paura a salire le scale da sola».
Prima ancora che lei gli chiedesse di accompagnarla fino al suo pianerottolo, lo sguardo di lui si ammorbidì, diventando quasi radioso. «Vuoi anche che ti rimbocchi le coperte?» ironizzò lui, ma la ragazza ebbe l’impressione che fosse quasi una proposta che avrebbe esaudito più che volentieri.
Lei stette al gioco. «Magari ti faccio anche controllare se nell’armadio non c’è qualche mio amante licantropo,» ribatté, incapace di trattenere un’espressione maliziosa.
Alessio annuì, invitandola a entrare nell’androne del condominio e seguendola con una mano su una spalla. Flavia si avviò verso l’ascensore.
«Ah, niente scale?» domandò lui. «Ma così non c’è nessun divertimento».
Quando, giunto al piano dell’appartamento della famiglia Pozzobon, Flavia aveva spiegato, in punta di piedi e con le braccia attorno al collo di un Alessio stupefatto e altrettanto deliziato, come, invece, ci si potesse divertire anche in una scatola di metallo, non più grande di una vecchia cabina telefonica, senza mostri a tendere agguati, ma usando due bocche e altrettante lingue. Le porte che si aprivano sorpresero i due che si stavano ancora baciando.
«Sei brava, lo sai?» disse il ragazzo, soddisfatto, cercando di prendere fiato.
Flavia si sentì avvampare in un calore che la fece tremare, e non solo fisicamente. «Vuoi vedere cosa sono davvero brava a fare?» domandò lei, la voce che sembrava incapace di uscire dalla sua gola.
Alessio non rispose, quasi fosse stato contagiato dall’emozione che aveva preso la ragazza. Non sbattè nemmeno le palpebre, tanto che, se fosse passato qualcuno lungo il corridoio, vedendolo, avrebbe pensato stesse partecipando ad una funzione sacra a tal punto da averne catturato mente e anima.
Quando le porte si aprirono sul corridoio del suo piano, la ragazza lo prese per una mano, avviandosi verso la porta del proprio appartamento. La porta, come aveva chiesto via messaggio a sua madre, era aperta e la luce del salotto accesa. Sam era andata a letto, lasciandoli soli.
Generi
Argomenti