High Utility

Capitolo 64 - Episodio 63

I dieci minuti preventivati da Flavia per raggiungere la pizzeria al trancio “Sarno” crebbero fino quasi a venti a causa della telefonata imprevista, ma comunque soddisfacente, di Giada. Il problema era che sembrava che, quella sera, chiunque a Caregan avesse deciso di prendere una pizza, e all’interno del piccolo ristorante c’erano già sei persone in attesa di ordinare: i due pizzaioli erano all’opera e, mentre uno lanciava l’impasto in aria davanti ai clienti, l’altro distribuiva a pioggia cubetti di mozzarella che di campano non doveva avere nulla. Forse l’unica cosa napoletana all’interno della pizzeria, pensò Flavia, era la fotografia incorniciata del golfo e del vulcano partenopei, visto che anche i due cuochi erano uno egiziano e l’altro friulano.

La sua elucubrazione venne interrotta da una voce proveniente nella fila davanti a lei. «Flavia! Come mai da queste parti?»

La ragazza tornò al presente, mettendo a fuoco la sua vista su Alessio, un paio di persone prima di lei. Si stupì lei stessa della felicità di incontrarlo. «Ehi, come mai da… eh… voglio dire: ciao!»

Si scambiarono un paio di battute, scoprendo così che il ragazzo era in giro quella sera visto che i suoi ospitavano un gruppo di colleghi del padre a cena.

«E allora te la sei data a gambe?» domandò bonariamente lei, prendendolo in giro.

«Ho resistito un paio di volte in passato alle loro cene di lavoro, ma questa ho inventato una scusa che avevo un appuntamento e me la sono squagliata. In realtà, ho solo intenzione di mangiarmi una pizza e poi andare al cinema, e tornare dopo che se ne sono andati i nostri ospiti. Tu?»

Flavia sollevò le spalle. «Avevo un appuntamento anch’io, ma mi ha dato buca,» rispose, modificando quel poco la verità in modo che non fosse proprio una bugia ma assumesse comunque un aspetto più interessante.

«Povero idiota…» commentò lui, passandola dalla testa ai piedi con lo sguardo e nascondendo malamente il proprio apprezzamento.

Lei trattenne un sorriso all’idea che lui avesse equivocato, credendo che un appuntamento romantico fosse sfumato. «Non era un ragazzo, ma una ragazza».

«Ah…» rispose lui, equivocando palesemente di nuovo.

Flavia rise ponendosi una mano davanti al viso. «No, non era un incontro di quel tipo! È una mia amica con cui di solito passo il sabato sera,» spiegò, senza aggiungere che passava anche parecchi pomeriggi in sua compagnia, nude e con quattro uomini, e che, comunque, aveva fatto con lei davvero quanto doveva essere sicuramente passato per la mente di Alessio, ma preferì non specificarlo.

Il ragazzo sollevò le spalle. «Beh, se sei sola, che ne dici se mangiamo insieme. Non mi fa impazzire l’idea di occupare da solo un tavolino da quattro qui dentro e ancora meno andare di fuori con quell’aria».

Lei fu tentata di rifiutare. Non le andava di lasciare sua madre a casa senza cena.

«Poi, io pensavo di guardare un film dell’orrore, ma, se vuoi unirti anche lì, possiamo scegliere altro,» concesse lui, ignaro della decisione di Flavia.

Ma la decisione di Flavia vacillò a quelle parole. «Orrore?» domandò, quasi balzando sul posto.

«So che ci sono un paio di commedie, questa se…»

Flavia mosse le mani davanti a lui, come a fermarlo. «Che film dell’orrore volevi vedere?»

Alessio sollevò le sopracciglia, confuso. «“La montagna della morte”: racconta di una spedizione su certi monti della Russia negli anni Sessanta o Settanta del secolo scorso…»

Le sopracciglia rosse della ragazza si sollevarono ancora più di quelle del ragazzo, così come il tono di voce. «Volevo tanto andare a vederlo!» disse, eccitata. Ne aveva letto su Internet e aveva deciso di aspettare che divenisse disponibile il noleggio in formato digitale, ma poterlo vedere con qualcuno al cinema sarebbe stato certamente un’esperienza migliore.

L’espressione di Alessio fu di stupore di fronte a quella di Flavia, ma presto assunse la stessa. «Allora, abbiamo già organizzato la serata».

La ragazza gli diede un bacio su una guancia, felice. Gli chiese di ordinare per lui la pizza e la bibita e, adducendo la scusa che doveva fare un salto in bagno, si allontanò.

Raggiunta una posizione non visibile dalla folla, prese il telefono dalla tasca e compose il numero di Sam.

«Dimmi, amore, – rispose la donna, dopo un paio di squilli».

«Ehm… mamma? Non posso portarti la pizza, ho… un impegno».

La voce di Sam si fece preoccupata. «Stai bene?»

«Sì, sì: passo fuori la sera».

«Ah, va bene…» concordò la donna, sebbene il tono lasciasse intendere che non era particolarmente soddisfatta di vedersi sfumare la capricciosa. Si aggiunse una punta di avversione quando domandò: «È la tua amica Alena, quella… quella delle orge?»

«No, no,» la rassicurò lei, «è un amico, Alessio».

«Va bene, ma mi raccomando…»

«…niente sesso,» concluse per lei Flavia, sospirando.

«Ma quale sesso! Niente horror! Mi raccomando!»

«Ma, mamma! Ho diciotto anni, non ho più paura».

La voce di Sam divenne canzonatoria. «Sì, certo: l’ultima volta che hai visto lo speciale di Halloween dei Simpson non hai dormito la notte».

«Mamma!» ribatté Flavia, offesa e rallegrata al medesimo tempo.

«Dai, divertiti, che la tua povera mamma si preparerà qualcosa di precotto e…» la donna finse di tirare su con il naso, «…lo salerà troppo con le sue lacrime per essere stata abbandonata dalla figlia che ama tanto».

«Mi fai sentire in colpa…»

La donna rise. «Dai, sciocca, divertiti! E, mi raccomando…»

«…niente sesso».

«Niente horror! Non ti voglio ancora nel mio letto perché hai paura! E non trattarlo troppo male, se lo porti a letto: non tutti sono portati al sesso come piace a noi».

 

Flavia, dopo essere davvero andata in bagno a darsi una rinfrescata e un po’ di lucidalabbra, tornò nel salone del ristorante, dove trovò Alessio che reggeva due piatti di alluminio da cui si sollevavano volute di vapore caratterizzate da un deciso profumo di basilico.

Il ragazzo indicò un tavolo che avrebbe, a stento, permesso di appoggiarvi sopra quattro piatti, nonostante le sedie, accanto a loro. «Va bene, lì?»

«Perfetto,» rispose lei, «Vado a prendere le bibite».

Quando fece ritorno dal bancone, appoggiò sul tavolo una bottiglietta di Coca Cola per sé e una cedrata per Alessio. Inspirò a pieni polmoni l’effluvio che saliva dalla sua pizza, soddisfatta.

«Napoli, eh?» constatò il ragazzo, dopo un sorso di bevanda. «Vedrò di ricordarmelo».

A Flavia tornò alla mente l’episodio di un paio di settimane prima, durante il quale Alessio aveva ordinato per lei il suo dolce preferito quando si erano incontrati per caso al bar, sebbene gliel’avesse visto prendere solo una o due volte nel periodo del suo fidanzamento con Luca. Sorrise al pensiero che qualcuno avesse tutto questo interesse per questi suoi piccoli particolari. Si chiese se il ragazzo avesse avuto tutte queste attenzioni anche con Giada, la quale, a differenza sua, di tanto in tanto gli permetteva di farsela…

«Tu, invece, pizza alla diavola…» ribatté Flavia, consapevole che entro lunedì non se lo sarebbe comunque ricordato. Tagliò una fetta con quel coltello che a stento avrebbe fenduto la nebbia, scoprendosi ridicola. Sollevò lo sguardo verso Alessio, con un sorriso per stemperare l’imbarazzo.

Lui sorrise a sua volta, e non fu uno di quelli di circostanza: sembrava stesse per mettersi a ridere, ma non per la sua goffaggine, quanto per la felicità di essere con lei; invece di farlo, però, indirizzò la sua attenzione alla propria pizza. Probabilmente, più avvezzo di lei a mangiare al “Sarno”, conosceva quanto fossero affilate e inutili le posate, lasciandole ancora nella confezione di carta bianca, abbandonata sul tavolino accanto al piatto. Prese piuttosto la pizza, la piegò due volte, quindi in quattro, e la sollevò davanti a sé, con la bocca aperta.

Davanti allo sguardo sorpreso di Flavia, lui la abbassò di nuovo sul piatto, confuso. «Dici che è troppo da rozzi?»

«Cosa?» domandò lei, non capendo, troppo presa a contemplare la soluzione semplice ed efficace del ragazzo. Si scosse, sbattendo gli occhi. «No, non preoccuparti. Piuttosto, non hai paura di sporcarti?»

«Paura? – sbottò lui, sogghignando. – Se mi lancio con un parapendio, non è di certo una pizza unta a mettermi paura!»

A sentirlo introdurre quell’argomento, il sorriso di Flavia si espanse come la vela multicolore che faceva volare Alessio sopra Caregan. Il velo di agitazione che si era posato sulla sua anima all’idea di passare una serata con lui, temendo di non apparire interessante ai suoi occhi, volò via in una folata di eccitazione. «Ti va di parlarne?» domandò, con un interesse che forse solo le lezioni di sesso che sua madre le aveva impartito erano state in grado di risvegliare in lei. Inconsciamente, sentì il bisogno di abbandonare le posate e piegare a quarti la pizza, indifferente dell’olio che luccicava sotto le luci del piccolo ristorante.

«Cosa vuoi che ti racconti?» domandò lui, sollevando le spalle e lasciando intendere che non aveva molto da dire. «È una passione che mi è nata anni fa e…»

E nei dieci minuti successivi le loro pizze rimasero quasi tutto il tempo sui rispettivi piatti, raffreddandosi. Fu quella di Flavia, la quale quasi nemmeno si rese conto del sapore, a diminuire di dimensione, mentre quella di Alessio non venne nemmeno toccata, perso nelle correnti d’aria ascensionali che si sollevavano dalle rocce a vista delle montagne attorno a Caregan, accompagnato dal ricordo degli schiocchi della vela e dal senso di vuoto sotto di lui che riempiva il suo petto di un’emozione indescrivibile, di cui, aveva scoperto, non poteva fare più a meno.

Flavia lo guardava ma, al tempo stesso, dopo pochi attimi, aveva smesso di vederlo. Davanti ai suoi occhi si disegnava il blu del cielo e le nuvole al suo stesso livello, le cime delle Dolomiti come denti di fauci che cercavano di riportarla alla sua futile esistenza sulla superficie della terra e il fondovalle nascosto da ombre e una nebbia spessa, che sembrava nascondere qualcosa che non le sarebbe piaciuto scoprire. Si sentiva svuotata da ogni pensiero, finalmente libera, mentre le parole di Alessio scivolavano sulla sua pelle come avrebbe fatto il vento in quota, insinuandosi sotto i suoi vestiti. Chiuse le palpebre, sorridendo appena, e rilassandosi. Appoggiò una guancia ad una mano per sorreggersi, e lasciò che quella sensazione di benessere crescesse dentro di lei, cullandosi con le emozioni che le parole di Alessio facevano nascere nel suo cuore, che si infondevano in ogni fibra del suo corpo.

Purtroppo, la narrazione non durò quanto il volo reale, e quando Alessio concluse spiegando l’atterraggio nei pressi della cava e delle attività successive per la sistemazione dell’attrezzatura, Flavia ebbe bisogno di fare uno sforzo per non esprimere con il corrucciamento delle sue labbra quella sensazione simile all’essere svegliata da un bel sogno.

«Sarà meglio se mangiamo la pizza,» disse lui, fissando la propria, appena sbocconcellata, «prima che diventino troppo fredde».

«Ehm, sì…» convenne Flavia, che in quel momento, in realtà, aveva ancora troppe emozioni nel petto per trovare il posto per del cibo.

«E poi, tra venti minuti inizia il film,» aggiunse il ragazzo, lanciando un’occhiata al grande orologio appeso su una parete del locale.

«Il film!» esclamò lei, ma fu più che altro educazione perché, dopo il racconto di Alessio, di vedere una pellicola horror gli importava poco. Scoprì che avrebbe preferito passare la serata con lui, il capo appoggiato su una spalla, a sentirlo di nuovo raccontare dei suoi voli in parapendio...