Sei amiche in videochat

Capitolo 2 - Chiara sente declamare il Sommo Poeta

Quel tardo pomeriggio non fu Chiara l’ultima a collegarsi alla chat, precedendo Helga che sostenne, come scusa, di aver incontrato un altro giamaicano il quale, rimasto colpito dalla sua bellezza, ci aveva provato con lei. «Ovviamente non potevo lasciarmi scappare un’altra nerchia di quelle dimensioni,» ammise, con un sorriso sornione.

Beatrice annuì con sufficiente vigore da lasciar comprendere che non ci credeva affatto, dimostrando di essere della stessa opinione di Chiara.

«Comunque, voi cosa avete fatto di bello?» domandò la rossa, palesemente desiderosa di costringere le altre ad ammettere di avere una vita noiosa rispetto alla sua.

Nonostante non fosse stata sbattuta in spiaggia da un fantomatico cazzo di trenta centimetri, Cecilia apparve felicissima quando annunciò: «Siamo arrivati a Ollomont due ore fa! Finalmente posso vedere i miei nonni!» Alle sue spalle, si accorse Chiara, non c’era più la sua camera da letto ma svettavano montagne e delle case in pietra formavano una contrada di alta quota. La qualità dello streaming era crollata rispetto al giorno prima, e di tanto in tanto l’immagine si gelava, ma Chiara avrebbe accettato una trasmissione anche peggiore per poter essere anche lei al mare, o in montagna, o in qualsiasi altro posto che non fosse casa loro.

«Beata te,» ribatté Beatrice, sincera.

«Qui però internet fa schifo...» ammise Cecilia.

«Allora ci vengo subito!» esclamò l’altra. «Almeno mio fratello smette di smanettarsi guardando Cinzia che si fa pagare da dei morti di figa per farsi sbattere da un altro».

Un brusio di consenso si levò da un paio di ragazze, interrotto dopo qualche istante da Anna, impaziente: «Oggi è il mio turno di narrare il racconto, vorrei ricordarvi».

Beatrice si mise più comoda sulla sua sedia e da sotto la scrivania prese un pacchetto di fazzoletti ed un dispenser di un qualche liquido trasparente. Avvicinandosi allo schermo per leggere meglio la scritta sull’etichetta, Chiara si lasciò sfuggire un sorriso nello scoprire che era un lubrificante a base d’acqua. «Eravamo qui solo per questo, ma ricorda che sono molto esigente e mi sgrilletto solo con le storie più porche».

Arianna e Cecilia scoppiarono in una risata. Chiara si chiese se avesse visto di nuovo la sua amica godere in diretta. Il suo sguardo cadde sul pulsante della tastiera che permetteva di catturare uno screenshot: avrebbe potuto immortalare Beatrice nel bel mezzo di un orgasmo e… beh, pensò, qualche uso piacevole avrebbe potuto trovarlo facilmente. Anche come modello per il viso di un possibile disegno con due ragazze, curiosamente somiglianti a lei e alla sua amica, intente a fare sesso lesbico, per esempio.

«Va bene,» la riportò alla realtà Anna, zittendo anche le altre ragazze. «allora io inizio, ma vi chiedo di non interrompermi e farmi perdere il filo del discorso».

Qualcuna lo promise, Beatrice finse di chiudersi le labbra voluttuose con una cerniera immaginaria, Cecilia prese un paio di auricolari, se li posizionò nelle orecchie e poi si sporse verso la webcam del suo tablet, infilando il jack, probabilmente per non far sentire ad altre persone nei pressi cosa si apprestasse a raccontare Anna.

La ragazza si schiarì la voce rumorosamente, sistemandosi quindi meglio sulla sedia. «Come sapete, quest’estate la sto trascorrendo a Bologna per preparare l’appartamento dove vivrò durante gli anni durante i quali frequenterò la facoltà di letteratura. Ciò mi ha dato la possibilità di conoscere i miei due coinquilini: una è Michela, una ragazza anche lei veneta, molto simpatica, ma che sembra avere un maggiore interesse per le serate alcoliche con alcune sue amiche ed il suo ragazzo sudamericano rispetto allo studio, e Simone, un ventenne di Ferrara.

“La prima volta che ho visto Simone è stato quando sono arrivata all’appartamento dalla stazione dei treni e lui stesso mi ha aperto la porta. Avevo parlato con lui al telefono poco prima, essendo qui già dall’anno scorso ed avendo postato lui, su Internet, l’annuncio che cercava due coinquilini: la sua voce era profonda, conturbante quando usciva dall’altoparlante del mio smartphone, ma me l’ero, per qualche motivo che non sarei in grado di stabilire coscientemente, raffigurato come uno di quei barboni con la pancia devastata dall’alcool, con ridicoli tatuaggi in elfico perché hanno visto la saga de ‘il Signore degli Anelli’ in DVD un paio di volte senza aver mai nemmeno sospettato dell’esistenza dell’opera letteraria, ed una canna puzzolente sempre in bocca.

“La mia sorpresa fu totale quando me lo trovai davanti la prima volta.

“’Simone, piacere’, si presentò, o almeno credo abbia pronunciato quelle parole, perché il suo sorriso e quegli occhi castani, quei suoi capelli ordinati e tagliati corti della stessa tonalità delle iridi riempirono in qualche modo inspiegabile la mia anima come mai prima di allora, un profondo senso di benessere invase ogni mio senso, la sensazione di inquietudine che aveva gravato sul mio petto fino a quel momento ormai da giorni era svanita come farebbe la bruma della notte all’affacciarsi del sole oltre le cime delle montagne.

“Solo quando lo ripeté per la seconda volta mi resi conto che mi aveva chiesto se andasse tutto bene, turbato dallo sconcerto che doveva essere trasparito dai miei lineamenti.

“’Sì, io… sì’ balbettai, cercando di riprendere controllo dei miei sentimenti. ‘Sì. Il piacere è tutto mio’, gli risposi, sfoderando senza fatica il miglior sorriso della mia vita.

“Inutile dire che Simone mi aveva affascinata, colpita, stregata… Io avevo preso posto nel suo appartamento, ma lui aveva preso possesso di ogni mio pensiero e, penso, anche del mio cuore: ogni mia attività, ogni mio compito sembrava difficoltoso come mai prima di allora perché Simone era sempre davanti ai miei occhi anche quando era a cento chilometri da me.

“Ogni minima, sciocca motivazione era una scusa più che accettabile per passare del tempo nell’appartamento in sua compagnia, possibilmente senza Michela nei pressi. In breve, sembrava che anche Simone iniziasse ad apprezzare la mia presenza accanto a lui e dopo qualche settimana che ci eravamo incontrati per la prima volta sull’uscio della nostra casa in affitto avevamo cominciato a esplorare anche le sfere più intime delle nostre anime.

“Lui frequentava la seconda classe della facoltà di medicina, e già questo lo rendeva un uomo interessante ai miei occhi. Come disse qualcuno, nulla eleva l’uomo al livello degli dèi quanto il curare i propri simili e, ogni volta che la sua voce indugiava nella spiegazione di qualche processo biologico che si svolge nei nostri corpi e sostiene la nostra esistenza, sentivo nascere nel mio petto un incendio che solo il contatto fisico con lui avrebbe potuto estinguere.

“Un pomeriggio di una settimana fa, dopo aver pulito il frigorifero, mentre eravamo seduti sul divano ascoltando della musica classica dalle casse acustiche collegate al suo cellulare, iniziammo a parlare di quali sogni ci portavano a intraprendere un percorso impegnativo come poteva esserlo quello universitario. Io gli confessai che già alle medie avevo cominciato ad essere affascinata dalla letteratura, ed una delle mie passioni era stata l’immortale opera di Dante, arrivando a rileggerla e studiarla di conto mio con tale impegno da poter dire di saperla recitare tutta a memoria. Lui ammise di essere davvero colpito da una simile determinazione, e aggiunse, ridendo, che lui non aveva imparato a memoria nulla che non fosse il San Martino di Carducci, ma solo perché anni fa Fiorello ne aveva tratto una canzone.

“’E tu, come mai hai scelto medicina?’ gli domandai, accoccolandomi a lui e stringendo tra le mie braccia il suo destro. ‘Vuoi diventare un chirurgo?’

“Lui mi guardò, e il sorriso di derisione che incurvò le labbra della sua bocca che avrei voluto baciare mi sciolse il cuore e, devo ammetterlo, un senso di calore si diffuse nel mio inguine, causandomi nel sesso quello che, un metro più in alto, avrei definito ‘un languorino’. Non potei trattenermi dal domandarglielo: ‘Perché quel sorriso?’ mentre uno simile si disegnava sul mio viso.

“’Non è il chirurgo che voglio fare, ma il ginecologo’, confessò quasi sul punto di scoppiare in una risata. Mi fissò, forse per scoprire quale reazione avrei avuto davanti ad una simile notizia, ma, se pensava di scoprire l’imbarazzo imporporare le mie gote, rimase deluso. Anzi, fu il più vivo interesse a far luccicare i miei occhi.

“’E…’ gli chiesi ‘quanto ne sai, nonostante tu sia solo al secondo anno di…’ e con un movimento circolare della mia mano, quasi fosse casuale, indicai il mio inguine.

“’Abbastanza da sapere dove mettere le mani. E la lingua” aggiunse. Il sorriso non aveva abbandonato un solo istante il suo volto, che in quel momento divenne ancora più luminoso.

“Fu forse più l’espressione del suo viso che le sue parole che appiccò un incendio nella mia anima, nel mio petto ma soprattutto nelle mie mutandine. Più lo guardavo, più sentivo il bisogno di accarezzare la sua pelle, riempire le narici del suo odore maschio e virile, sentire scivolare parte del suo corpo dentro il mio. Diverse parti del suo corpo simili alle mie o virate al maschile. Percepii il mio utero inumidirsi rapidamente e un paio di gocce di desiderio scivolarne fuori, infradiciando il tessuto del mio intimo. Una nota di profumo simile al fiore di gelsomino si spanse nell’aria, ritrovandomi per la prima volta imbarazzata accanto a Simone.

“Lui sembrò comprendere quanto stesse accadendo, e nonostante non avesse detto una sola parola, nei suoi occhi passò un lampo che mi fece arrossire ancora di più. Mai, come in quel momento, mi sentii alla mercè di un uomo, completamente indifesa, e se mi avesse chiesto di sdraiarmi sul pavimento a bocca aperta, vi avesse introdotto il suo pene e mi avesse posseduto la faccia, riversandomi il suo seme nella mia gola senza alcun riguardo, lo avrei lasciato fare.

“Un brivido corse lungo la mia colonna vertebrale scaricandosi nella mia figa, tramutandosi in altro desiderio liquido che parve appesantire ancora più l’aria dell’appartamento: mi è impossibile spiegare quanto avrei voluto che mi ordinasse di sdraiarmi sul pavimento per poi chiavarmi la bocca con il suo cazzo e riempirmi lo stomaco con la sua sborra bollente…

“Ma, con mia profonda delusione, quel giorno la mia bocca rimase insoddisfatta. Fu un tormento passare le due ore successive in sua compagnia senza che i nostri corpi si unissero in uno scambio di fluidi corporei. Solo quando uscì, verso le sette di sera, per prendere le pizze che aveva ordinato come cena al ristorante in fondo alla via, potei chiudermi in bagno e soddisfare il mio appetito più impellente e insostenibile con un paio di dita sussurrando il suo nome, poi piansi.

“Un paio di giorni si trascinarono con una lentezza snervante, la nostra intimità assediata dalla continua presenza di Michela che sembrava non avesse altri impegni che restare costantemente in mezzo a noi, quasi fisicamente. È una ragazza simpatica, che non si tira affatto indietro se c’è da pulire, ma è come quei bambini che ti si attaccano ad una gamba e non te li stacchi più nemmeno a corromperli con i dolci.

“Per nostra fortuna, verso le tre del pomeriggio, si convinse che le strisce nere nella guarnizione del box della doccia dovessero sparire e, non trovando i prodotti di pulizia a sua opinione adatti all’opera di sfratto delle muffe, decise di andare a comprarli. ‘Mi fermo un momento a vedere se trovo anche un paio di tendine decenti per la finestra del bagno, che queste fanno compassione’ aggiunse, prospettando almeno un’ora prima di rientrare.

“Noi la salutammo, promettendo di continuare a spazzare lo sgabuzzino. Chi aveva occupato l’appartamento durante l’estate, una famiglia di villeggianti che doveva vivere solitamente in una discarica, l’aveva lasciato in uno stato pietoso e avrebbe richiesto ettolitri di olio di gomito per rendere il tutto passabile.

“Dopo che Michela ci lasciò, provammo a trovare la voglia di continuare a pulire, ma io avevo in mente solo il ragazzo accanto a me. Lo desideravo, ma ogni possibile mossa mi sembrava un azzardo che avrebbe condotto solo ad un disastro e allontanato da me. Fortunatamente, fu lui a fare la prima mossa: dopotutto, era dalla mattina che mi lanciava sguardi che non facevano altro che mozzarmi il fiato e farmi girare la testa.

“’Mi dicevi che sapresti recitare tutta la Divina Commedia, giusto?’, ricordò all’improvviso.

“Annuii, e non posso negare di aver messo un certo orgoglio nel movimento del mio capo.

“’E sapresti recitarla anche in condizioni…’, aggiunse, fermandosi un attimo come a trovare il termine corretto che descrivesse al meglio l’idea che aleggiava nella sua mente, ‘…diciamo: sotto stress.’

“Questa volta sul mio volto si disegnò l’incomprensione, chiedendogli con lo sguardo di spiegarsi meglio.

“’Sì, diciamo che mentre tu stai recitando le parole del Sommo Poeta ti succeda qualcosa che possa distrarti…’

“Scossi la testa. ‘Continuo a non capire cosa…’

“Lui mi sorrise divertito. Mi si avvicinò, inginocchiandosi davanti a me. Quando il suo volto fu all’altezza del mio inguine, fissando con piacere i miei pantaloni di jeans, continuò: ‘Mettiamo che, mentre tu stai declamando, qualcuno si accosti al tuo sesso e cominci a venerarlo… riusciresti a continuare?’

“A quelle parole, una nuova ondata di profumo di gelsomino fece la sua comparsa nel locale, avvolgendoci. Sentii sulle labbra della mia vagina la trama del tessuto delle mie mutandine come se le avessi toccate con i polpastrelli. Fu senza fiato che dissi: ‘Proviamoci’, o almeno credetti di aver pronunciato quelle parole perché il mio cuore batteva troppo forte per sentire la mia stessa voce.

“Simone appoggiò le sue dita al bottone dei miei jeans che in un attimo fu fuori dall’asola, poi la zip oppose un po’ di resistenza, ma solo quanto bastava per non sembrare guasta. Un attimo dopo, i pantaloni scivolavano lungo le mie gambe, adagiandosi sulle scarpe. Lui mi sorrise mentre infilava i pollici sotto l’elastico delle mutandine nere che avevo comprato dopo averlo conosciuto: le calò lentamente, come se volesse scoprire qualche tesoro inestimabile ma temesse, al pari di Stendhal di fronte alla Basilica di Santa Croce, di essere sopraffatto dalla sua bellezza.

“Io deglutii a vuoto, nervosa come nemmeno quando avevo perso la verginità. Chiusi gli occhi, il cuore che continuava a battere come un tamburo; trassi un profondo sospiro e iniziai: ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita mi…’

“Sussultai nel momento in cui una mano si posò sul mio gluteo sinistro, ma riuscii a riprendere la declamazione: “…mi ritrovai per una selva oscura, ché la dritta via era…’. Un gemito di sorpresa mi sfuggì quando la punta della lingua si posò tra le labbra bagnate e turgide del mio sesso e, scivolandovi dentro, iniziò a discostarle lentamente. Una sensazione di calore e umidità comparve in fondo alla mia vagina e, lentamente, si mosse verso l’alto.

“Qualcosa dentro di me sembrò sciogliersi in una vampa che raggiunse ogni punto del mio corpo, invase la mia mente e abbracciò la mia anima. Ogni fibra in tensione si rilassò e il mio cuore cominciò a battere ancora più forte.

“Passarono forse dieci o quindici secondi prima che mi rendessi conto che, al posto dei versi immortali, dalla mia gola provenivano solo gemiti di piacere e una mia mano aveva afferrato per i capelli Simone. Con uno sforzo ripresi a fare l’unica cosa che dovevo fare: ‘…smarrita. Ahi, quanto a dir qual era è… Ah!’”

“Simone muoveva la lingua lentamente su e giù, poi a sinistra e a destra, zigzagando nello spazio della mia passera, solleticandomi. Di tanto in tanto si fermava per succhiare le labbra, tenendole con i denti e tirandole un po’, quindi scendeva più in basso e la punta della lingua penetrava per qualche centimetro nel canale dell’utero, colante desiderio come una grondaia quando si abbatte un temporale: allora lui emetteva un gemito di piacere nel gustare il mio liquido più intimo, suggendolo con avidità come se fosse stato la bevanda degli dèi.

“La mia mente si stava colmando di confusione come, in un freddo pomeriggio di inverno, il vetro di una finestra si riempie di brina, mentre il mio corpo si scaldava sempre più al semplice tocco della punta di una lingua. Forse solo la mano che mi toccava il sedere mi impediva di crollare a terra, stordita com’ero dalle emozioni.

“Ma quando Virgilio giunse in aiuto del Poeta, fecero la loro comparsa nella scena anche due dita o, più esattamente, fecero la loro scomparsa nel mio utero, scivolandoci per tutta la loro lunghezza, aprendo le pareti e facendo scivolare fuori copiosa la mia ambrosia. Il grido che lanciai, sebbene fosse di sorpresa e di piacere, avrebbe fatto fuggire qualsiasi fiera che si fosse aggirata per la tenebrosa selva.

“Mentre mi fotteva con le dita, la lingua di Simone abbandonò il suo vagheggiare per la mia passera, scivolando per l’ultima volta fino alla sommità: le labbra si chiusero attorno al clitoride ormai innalzato dal desiderio che aveva prepotentemente invaso ogni mia fibra. La lingua cominciò a massaggiarlo e a coccolarlo, accarezzandolo sulla punta e poi abbracciandolo sui lati.

“Provai a continuare la recitazione del viaggio di Dante, ma ogni mio respiro era un ansimo, ogni parola uno sforzo inutile, qualcosa che echeggiava nella mia mente sommersa dal piacere prossimo a scaricarsi nella mia passera. Un potente capogiro mi costrinse ad appoggiarmi pesantemente al piano del tavolo accanto a me facendo tintinnare i bicchieri appena lavati che vi avevamo appoggiato prima perché asciugassero, accanto ad alcune confezioni di farina scaduta recuperate da un armadietto che avevamo pulito. Il fragore di vetro che si schiantava sul pavimento e il tonfo sordo di qualcosa di morbido risuonarono nella cucina.

“’Cazzo…”, sibilai quando le dita di Simone conclusero la simulazione di una generosa minchia nella mia fica per arcuarsi e iniziare a spingere verso l’esterno. Il flusso di liquido che scivolava fuori di me sembrava aumentare ancora, e così l’odore di gelsomino, rendendo quasi impossibile per me respirare senza che avessi la sensazione di avere il naso infilato nella mia stessa passera.

“Quando credetti che non sarebbe potuto andare meglio, Simone pose fine al mio meraviglioso tormento smettendo di leccarmi il clitoride ma succhiandolo con vigore. Credo di aver perso conoscenza quando il braccio mi cedette e caddi a terra, se non che ricordo che ebbi l’impressione che la fica deflagrasse in un boato di puro piacere, un ardente orgasmo consumò il mio inguine come fiamme nel mio utero, qualcosa di simile ad un potente flusso di urina mi sfuggì con la pressione di un idrante.

“Simone mi prese al volo prima che arrivassi davvero sul pavimento, e mi pose sul brutto divano nei pressi, ma non potrei giurarlo: ero stordita dal piacere come se stessi morendo dissanguata, il mio corpo che si muoveva senza il mio controllo.

“Mi riebbi dopo diversi, lunghi secondi, trovandolo accanto a me, che mi sorrideva. ‘Stai bene?’, mi domandò, ma credo mi stesse prendendo in giro: era impossibile stare meglio. Sembrava che la mia vita non avesse più problemi, ogni cosa appariva illuminata dalla luce che filtra dai cancelli del Paradiso e lui era l’uomo più affascinante e dolce al mondo. Risposi con un sospiro che significava tutto ciò che provavo nella mia anima.

“Guardai oltre Simone e, sul pavimento, vidi uno spruzzo di liquido trasparente, l’equivalente di un paio di bicchieri di acqua. ‘Sono… sono stata io?’ chiesi, ancora priva di fiato.

“Lui annuì. ‘Sei stata bravissima. Non è la tua prima volta, vero?’

“Chiusi gli occhi. ‘Non ho mai nemmeno avuto un vero orgasmo, mi rendo conto adesso…’. Restai qualche momento in quella posizione, riposando, lasciando che il cuore riprendesse il suo ritmo naturale, poi riaprii le palpebre e lo guardai, sorridendo. ‘Mi avevi confessato che conosci il San Martino di Carducci…’

“Simone non rispose ma comprese benissimo: la felicità illuminò il suo volto mentre sbottonava i suoi pantaloni e le mutande, quando li abbassò, non poterono nascondere il suo desiderio.

“Mi scoprii a leccarmi le labbra mentre mi mettevo a sedere sul divano, ponendomi davanti a lui. Presi il suo intimo e lo calai: il suo cazzo si abbassò sotto la pressione dell’elastico delle mutande ma, una volta libero, subito scattò versò l’altro, ergendosi fiero nella sua mascolinità e pronto a svolgere il suo operato. Era lungo almeno venti centimetri, leggermente curvato verso l’alto, e maestosamente grosso: se le due dita mi avevano dato tutto quel piacere, non provai nemmeno ad immaginare cosa avrebbe potuto donarmi quella minchia. Dal meato emerse una goccia trasparente, che luccicando parve mi facesse un occhiolino di intesa e complicità.

“Avvicinai il viso alla cappella, rossa, liscia come la seta, dal profondo afrore di maschio. Nonostante avessi appena spruzzato, sentii nuovamente un aumento degli umori scivolarmi fuori dalla passera e bagnare il divano.

“Appoggiai le labbra alla punta e mossi la lingua sulla cima, insinuandola nel taglio della cappella, gustandone il sapore salato. Simone lanciò un ruggito mentre un tremito sembrava scuoterlo fino alle ossa.

“Mi staccai da lui e gli sorrisi. ‘Forza, inizia con la declamazione!’

“Lui attaccò con la recitazione della simpatica poesiola di Carducci mentre io aprivo le labbra e inghiottivo l’asta che cresceva dal suo inguine. La sua cappella mi schiacciò la lingua, scivolando nella mia bocca fino alle tonsille: mi accorsi che mancavano ancora dieci centimetri di cazzo rimasti all’aria, e volli sfidare me stessa a tenerlo tutto dentro di me, anche facendolo scendere nel mio esofago.

“Mentre il vento ululava sulle colline, strappando schiuma dalle ondate impetuose del mare, appoggiai una mano sull’inguine di Simone, spingendo ancora più la testa in avanti, la cappella che iniziava a insinuarsi nella mia gola. Sentii un leggero senso di nausea che non avevo messo in conto, ma provai a trattenerlo e…

“’Ma che cazzo…’ esclamò sconvolta una voce femminile alla mia sinistra.

“Simone si dimenò sorpreso, girandosi di colpo ed estraendo il suo cazzo dalla mia gola e dalla bocca, una sensazione atroce, come se mi avessero estratto con violenza una sonda gastrica. Boccheggiai, confusa, poi guardai verso la porta.

“Michela era lì, sull’uscio, con una sporta della spesa in una mano mentre, sull’altro braccio, pendevano un paio di tendine. Il suo sguardo passava dal generoso inguine di Simone e il mio volto allo schizzo di piacere sul pavimento, al bicchiere in frantumi e la farina ai piedi del tavolo. Tornò a guardarci, i lineamenti distorti dal disgusto: ‘Almeno finite di pulire prima di chiavarvi, luridi.’»

Calò il silenzio nelle cuffie di Chiara quando Anna smise di raccontare. Nessuna parlò per diversi secondi, aspettandosi ci fosse una continuazione, ma fu quasi con dolore che compresero che finiva lì, con l’intervento della ragazza che tornava dal supermercato e poneva fine a quella strana gara di declamazione. La prima a rendersene conto fu Cecilia che, in mezzo ad un giardino a mille e più metri di quota in Val d’Aosta, applaudì, e fu come se le altre quattro ragazze si svegliassero da un sogno erotico.

«Complimenti, Anna!» disse Helga da 8000 chilometri di distanza, molto colpita per essere una che raccontava di essersi fatta sbattere da due superdotati.

«Come ti leccava l’ambrosia…» mormorò Arianna, rapita.

Chiara non pronunciò parola, soprattutto per la sensazione di bruciore che le era sorta nella gola ascoltando la storia di Anna. Era rimasta rapita dalle parole della ragazza e, nonostante provasse verso di lei una profonda avversione, non poteva negare che fosse brava nel raccontare, ma il tratto in cui Simone praticava del sesso orale l’aveva colpita al cuore. Nessuno si era mai abbassato, letteralmente, ad amare con la bocca la sua passerina, ponendo, anche solo per un attimo, il suo piacere al proprio. Sapeva benissimo che era solo questione di tempo, e un ragazzo o un uomo che le facesse scoprire cosa significasse essere davvero amata avrebbe fatto la sua comparsa nella sua vita, ma l’idea che le sue amiche, o persone che, con una certa fantasia, poteva definire tali, lo avessero già sperimentato ma non lei la gettava nella depressione.

Una notifica sullo schermo la richiamò alla realtà. Era un messaggio privato di Beatrice che le proponeva di vedersi in un’altra videochat una volta finita quella in corso. Chiara non ci pensò due volte e, nella finestra di chat testuale comparsa nel cliccare sull’invito, digitò che lo avrebbe fatto con gran piacere.

La videochat non durò comunque molto a lungo: Cecilia doveva andare a cena dai nonni, Arianna era attesa da una ragazza per un giro al centro commerciale seguita da una pizza ed Helga voleva andare a vedere in spiaggia se riusciva a farsi rimorchiare da un altro giamaicano. Si salutarono, ripromettendosi che si sarebbero viste il giorno successivo, alla stessa ora.

«Arianna, ricordati che domani tocca a te raccontare,» ebbe cura di rammentare Anna prima di abbandonare la chat.

«Senz’altro,» rispose la ragazza, e aggiunse, non celando una certa soddisfazione: «Ho proprio qualcosa di interessante…» prima di chiudere la trasmissione anche lei.

Chiara salutò, premette il tasto per abbandonare la stanza ma rimase davanti al tablet con il programma tornato alla rubrica. Contemplò per qualche istante i pallini verdi delle ragazze diventare prima grigi e poi rossi mentre si allontanavano dal computer con cui erano state in streaming, quindi una nuova notifica di invito ad una chat comparve nell’angolo in basso a destra. Lo toccò quando vi lesse il nome della sua migliore amica.

L’immagine di Beatrice occupò il pieno schermo: una ragazza di diciotto anni che ne dimostrava venticinque, bellissima, una chioma di capelli biondi degna di un leone e labbra che le altre donne avrebbero potuto avere solo con ingenti introduzioni di silicone. Aveva le spalle larghe, che avrebbero desiderato avere anche molti uomini, ma bastava abbassare lo sguardo sul petto perché fossero le donne a provare una cocente invidia.

Chiara non ammirava, e desiderava, solo il corpo della sua amica, inteso sia in senso platonico che no, ma anche la personalità. Beatrice sembrava prendere la vita con leggerezza in ogni circostanza, un sorriso sardonico costantemente sulle labbra e la battuta sempre pronta, soprattutto se ciò comportava l’abbattimento dei piedistalli su cui solevano ergersi certe ragazze che non avevano alcun titolo per farlo.

Nessuno, forse nemmeno lei stessa, sapeva esattamente con quanti ragazzi avesse condiviso il proprio sesso, ma erano comunque parecchi. Forse era proprio questo che Chiara più invidiava in Beatrice: alcuni la consideravano una zoccola, ma a lei non importava affatto, e si godeva la propria bellezza e figa, sostenendo che chi la criticava fosse solo invidioso.

Ancora una volta, si chiese se l’amica fosse mai stata con una ragazza e se mai, un giorno, avrebbe avuto il piacere di essere la sua amante, anche solo per una volta. Chissà se Beatrice sarebbe stata in grado di dare piacere a lei come sapeva fare con un uomo…

«Sono felice di chiacchierare un momento sola con te, Chiara».

Il sorriso che illuminò il viso della ragazza fu il più genuino del pomeriggio. «Anche a me, Bea».

Passarono qualche minuto a parlare, raccontandosi come trascorrevano le giornate. Beatrice, a differenza di Chiara, sarebbe rimasta in paese fino a settembre, per poi cominciare a lavorare in uno studio di avvocati a qualche chilometro di distanza. «Per festeggiare potremmo uscire una sera noi due a mangiarci una pizza».

«Mi piace la proposta,» rispose Chiara, felice di poter passare un po’ di tempo con lei.

«E se tuo fratello non avesse impegni, potresti dire di venire anche lui?»

Chiara rimase un attimo interdetta: la sua amica non sembrava mai aver avuto alcun interesse per suo fratello, ed una punta di gelosia fiorì nel suo petto, ma non avrebbe saputo dire se nei confronti di Marco o Beatrice.

Ma subito l’amica cambiò argomento. «Come ti è sembrato il racconto di Anna?»

A quelle parole, le emozioni che erano sorte nel cuore di Chiara mentre ascoltava l’esperienza sessuale di poco prima riaffiorarono di nuovo e qualcuna sembrò dovesse sfuggirle dagli occhi. Si trattenne con uno sforzo e dovette attendere qualche istante prima di rispondere o la voce sarebbe stata rotta dal desiderio di godere anche lei sotto i colpi di una lingua sul suo sesso, che gustasse con piacere il suo succo. «È stato bellissimo,» ammise, abbassando lo sguardo. «Mi sono commossa…»

«Ma era una balla,» le confessò l’amica. «Ho letto un racconto che ha scritto e pubblicato qualche giorno fa su un sito internet di letteratura erotica». Le labbra voluttuose di Beatrice lasciarono sfuggire una smorfia di divertimento. «Ero curiosa di scoprire quali fossero i sogni erotici della nostra amica dai capelli tinti. Mi domando se, quando lo scriveva, si è immaginata pitturati di qualche colore strano anche i peli della fregna… magari blu metallizzato. Comunque, è praticamente uguale, cambiano solo un paio di cose».

Chiara sbatté le palpebre, confusa. «E come lo sai che pubblica su una pagina simile?»

L’espressione dell’amica fu di noia affettata, come se fosse qualcosa che facevano tutte abitualmente. «Mi sono fatta suo fratello qualche mese fa. Sono sicuro che lui non gliel’ha mai detto,» aggiunse la ragazza con una smorfia. «È un modo piuttosto semplice per scoprire i segreti delle amiche chiederlo ai fratelli mentre si stanno riposando accanto a te dopo che ti hanno riempita».

«Allora è meglio se non ti porti a letto Marco o scopri che mi piace il cioccolato alle mandorle,» ironizzò Chiara.

Beatrice scoppiò a ridere, ma non sembrò una risata sincera quanto piuttosto imbarazzata. Chiara era consapevole di non essere divertente, ma ringraziò mentalmente l’amica di sostenerla anche in queste piccole cose.

«Comunque,» continuò la ragazza, «dici che anche la parte in cui spruzza è falsa? A me sembrava una descrizione davvero… beh, vissuta».

Beatrice fece un gesto come a scacciare l’asserzione di Chiara. «Ma va là! Ha usato termini che compaiono in un libro di educazione sessuale in pdf che ho scaricato da Internet e di cui ho mandato una copia ad Anna visto che me l’aveva chiesto».

«Ehm…» provò a domandare Chiara, imbarazzata, «potresti mandare una copia anche a me?»

Beatrice sorrise. «Se lo mando ad Anna, vuoi che non lo faccia con la mia migliore amica?» le promise, poi restò un attimo in silenzio. «Ok, ammetto di non sapere come si mandino i file con questo programma: te lo spedisco dopo, allegato ad una e-mail».

«Grazie,» rispose Chiara, consapevole di essere diventata rossa e sperando che Beatrice non se ne accorgesse.

«Beh, dai un’occhiata al capitolo quattordici, nella sezione delle interviste a chi l’ha vissuto davvero uno spruzzo di piacere, e poi dimmi se non c’è la stessa descrizione che ha usato Anna nel suo racconto,» disse Beatrice, mentre lavorava di mouse appena oltre il bordo destro dell’inquadratura della sua webcam.

«Quindi non è vero quanto ha raccontato, secondo te?»

«Se per questo pure la storia di Helga era realistica quanto il video con i gatti che rifanno il film degli Avanger che mi avevi mandato tempo,» dichiarò l’amica mentre sembrava guardare lo schermo intenta a cercare qualche file. «Quindi non farti problemi a scrivere qualche balla pure te, tanto…» aggiunse, sollevando le spalle.

«Dici di scrivere la storia?»

«Io lo sto facendo da ieri e…» Beatrice si voltò verso la porta alle sue spalle e gridò qualcosa, poi tornò a rivolgersi alla webcam. «Mi spiace, Chiara, ma devo andare. Evidentemente, mio fratello si è stancato di smanettarsi davanti al computer e ha deciso di farsi da mangiare. È meglio che vada ad aiutarlo o questa sera ci vedi al telegiornale circondata da tanti virili e muscolosi pompieri intenti a spegnere un incendio».

Si salutarono e chiusero il collegamento, ma un attimo prima che Chiara spegnesse il tablet una nuova notifica le annunciò l’e-mail promessa da Beatrice. La ragazza l’aprì e non trovò alcun testo ma solo un file allegato in formato pdf. Lo scaricò nel proprio cloud e controllò che fosse accessibile dallo smartphone.

Forse lì avrebbe trovato anche lei qualcosa da copiare perché, dovette ammettere, non sapeva affatto cosa inventarsi.

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