Sei amiche in videochat
Capitolo 1 - Chiara dimostra di conoscere la capitale della Jamaica
Chiara non lo avrebbe ammesso con nessuno, ma era ossessionata da Marco. Lo amava, lo desiderava, lo voleva sentire dentro di sé più di ogni altra cosa: era sempre nei suoi pensieri. Forse per questo, quando una mano le si posò su una spalla senza preavviso e la voce di lui le confessò: «Devo dire che la mia sorellina è davvero brava a disegnare,» la sorpresa fu tale che le sfuggì di mano il pennino con cui stava lavorando sul tablet e solo per caso non rotolò fino al bordo del tavolo, cadendo a terra.
Dopo un sospiro di sorpresa ed essersi portata una mano al piccolo seno sotto il quale sentiva il cuore battere all’impazzata, Chiara riprese il pennino. Sentì le mani del fratello appoggiarsi sui suoi capelli biondi e lunghi ed un bacio adagiarsi sulla sommità della sua testa.
Avrebbe preferito che ciò che stava disegnando venisse visto da suo fratello solo una volta terminato, così da avere una sua opinione prima di pubblicarlo sul blog che aveva aperto qualche mese prima, con l’intenzione di ospitare il suo portfolio, nella speranza che qualche azienda lo vedesse e decidesse di contattarla per un lavoro come grafica.
«Grazie, Marco,» rispose, ugualmente felice che apprezzasse nonostante l’opera fosse ancora a livello embrionale. Ci stava lavorando da un paio di giorni, e non prevedeva di completarlo prima di altre tre settimane. Certo, se avesse avuto un tablet migliore ed un paio di programmi appositi per fare quello che il software di grafica che usava abitualmente faticava a gestire o non aveva implementato affatto…
«Passerei il tempo a guardarti disegnare,» confessò lui, appoggiandole una mano su una spalla e sporgendosi sopra di lei per vedere meglio lo schermo senza essere disturbato dai riflessi della finestra illuminata dal sole di un caldo pomeriggio d’inizio agosto. «Come riuscirai a fare tutte quelle… cose lì…»
Lei rise. Nonostante fossero fratelli la cui differenza d’età si limitava a soli tre anni, lui era negato in qualsiasi forma di arte, che fosse il disegno, la scrittura o la musica. Beh, dovette ammettere con sé stessa, non che negli ultimi due lei fosse più competente di Marco, ma nel disegno, tradizionale o digitale, dimostrava una bravura non indifferente, anche secondo l’opinione dei suoi insegnanti del liceo artistico.
Chiara si voltò verso il fratello. Il suo sorriso si rese ancora più solare nel contemplarne il viso. Non avrebbe ammesso che era bellissimo, ma… aveva qualcosa che non avrebbe saputo descrivere che le faceva battere il cuore più velocemente quando lo ammirava. «Che cosa farai questa settimana?»
Lui non parve troppo felice nel ricordare la situazione in cui era finito col trovarsi. «Eh… la cosa è un po’ una… uno schifo. Mi prendo due settimane di ferie dal lavoro per andare al mare con la famiglia, e la famiglia resta a casa. Parecchio fastidioso».
«Non è colpa di papà e mamma,» ribatté Chiara, quasi a ricordare la cosa più a sé stessa che a Marco.
«Non lo sto affatto dicendo,» sostenne il fratello, sollevando le spalle. «Non è mica colpa loro se a Roma cambiano una qualche legge economica appena prima della chiusura estiva e il programma di gestione aziendale che doveva essere messo in commercio alla fine di settembre se lo ritrovano già datato».
«Immagino sia il problema di avere i genitori che lavorano in un’azienda di informatica. Ma la settimana prossima sono liberi e possiamo andare al mare,» ricordò la ragazza. Anche lei, quel giorno, avrebbe preferito essere in spiaggia invece di colorare un disegno digitale nel salotto di casa. «Quindi, nei prossimi giorni, cosa prevedi di fare?»
Lui tornò a guardare il disegno ma nel frattempo aveva cominciato ad accarezzare, sovrappensiero, la spalla di Chiara. «Se non volessi passare tutto il tempo a completare il tuo capolavoro, mi piacerebbe fare qualcosa con te».
Lei sentì il cuore aumentare un po’ la sua velocità e un, per nulla spiacevole, fastidio svilupparsi nella sua passera. Cercò di non far trasparire la propria eccitazione nello stare accanto a Marco, nel loro contatto fisico. «Potremmo andare a correre,» suggerì, ben sapendo che il fratello odiava qualunque sport che non fosse sollevamento pesi.
Il ragazzo si lasciò sfuggire un gemito di sconforto. «Che diamine mi è venuto in mente…»
Chiara sorrise, spegnendo lo schermo del tablet e infilandoselo sotto un braccio. «Vado in camera mia,» spiegò. «Ho una videochat con le mie amiche e non vorrei disturbarti».
«“Non vorrei disturbarti”,» ribatté Marco, come a vendicarsi per la proposta di Chiara a correre, «nella lingua femminile significa “parleremo di ragazzi e di chi ce l’ha più grosso e non vogliamo farlo scoprire ai maschi”, giusto?»
La porta della camera si chiuse sbattendo e troncando l’ultima parola di un “vai a cagare, Marco!”, seguita da una risata dal marcato tono maschile.
Chiara appoggiò il pennino accanto alla stampante nell’angolo della scrivania in camera sua, poi prese a due mani il tablet da sotto la spalla, aprì il supporto e lo posò sul tavolo. Lanciò il programma per la videochat e, intanto che si caricava e collegava alla stanza che avevano usato anche in precedenza, infilò il jack delle cuffie nel foro sul lato del computer portatile.
Mentre se le accomodava sulle orecchie, sullo schermo apparvero sei quadrati, ognuno con una ragazza diversa. L’ultimo venne occupato dalla sua stessa immagine quando un led rosso si accese accanto alla telecamera infissa nella sommità del tablet.
«Ciao a tutte,» salutò Chiara, sebbene la cordialità fosse rivolta solo ad una parte delle giovani sul monitor.
«Oh, finalmente sei arrivata, Chiara!» rispose Beatrice, il viso illuminato da un sincero sorriso. Del gruppo di ragazze che frequentava, Chiara riconosceva in Beatrice la sua migliore amica, quella a cui avrebbe confessato tutto quanto le passava per la testa.
No, forse non tutto: con quel corpo maestoso da supereroina, quasi maschile, ingentilito da grosse labbra e seni maestosi, la ragazza provava verso di lei anche una vaga attrazione sessuale. In più di un’occasione, Chiara si era ritrovata a contemplare la sua amica, immaginandosi avvinghiata a lei, il viso tra i lunghi capelli biondi di Beatrice, in un letto, mentre si sgrillettavano a vicenda, donandosi l’un l’altra profondi orgasmi.
In effetti, erano due le cose che non le aveva mai confessato: l’attrazione lesbica che provava verso di lei, e il desiderio di fare sesso con il proprio fratello.
Cecilia, una ragazza timida che non poteva vantare un fisico come quello di Beatrice, ma il viso gentile, il corpo longilineo, i capelli castani che tendevano al rosso ed un sorriso discreto che lasciava trasparire una dolcezza profonda che compensavano ogni altra carenza, salutò con un gesto della mano. Anche lei era una sua cara amica, ma una punta di gelosia accompagnava ogni occhiata che le rivolgeva perché Chiara era a conoscenza dell’attrazione che Marco provava nei suoi confronti, come spesso lui sosteneva, seppure con tono di scherzo.
Anche Arianna si limitò ad un sorriso ed un cenno con il capo. Assomigliava a Cecilia, sebbene la natura non si fosse sforzata nella stessa misura: era carina, ma nulla di più. Era meno timida e più aggressiva. Per lo meno, Arianna amava le ragazze e non avrebbe cercato di insidiare Marco, ma sembrava che tra i due non ci fosse comunque una grande intesa, per non dire che lui non la guardava nemmeno e lei sembrava ignorarlo ancora più intensamente.
«Oh, ci sei anche tu…» commentò Helga senza mettere troppo sforzo nel nascondere una smorfia. Era in costume da bagno, seduta in quello che sembrava un bar in spiaggia: aveva ripetuto da febbraio che lei sarebbe andata in vacanza con la famiglia in Jamaica con quel suo pesante accento teutonico che le era rimasto nonostante si fosse trasferita dalla Danimarca in Italia a cinque anni, quando la madre aveva deciso di trasferirsi nel paese del marito. Chiara non poté fare a meno di guardare con una certa inquietudine la magrezza della ragazza, compensata in parte dai lunghi capelli rossi mossi, forse l’unico aspetto piacevole di Helga.
Il saluto di Anna fu più colloquiale, ma era evidente che la ragazza avrebbe preferito che Chiara non si fosse fatta vedere in chat: non aveva mai nascosto il suo disprezzo verso di lei e soprattutto nei confronti di Marco. Lui lo sapeva, e, tutte le volte che Chiara la nominava, il fratello non dimenticava di chiederle in quale latta di pittura, quel giorno, avesse infilato la testa la futura scrittrice. E quel giorno, se lo schermo non la ingannava, Chiara riconobbe un magenta per la chioma ed un giallo paglierino per le punte dei capelli. In più di un’occasione, Chiara aveva accarezzato la certezza che Anna non facesse apposta a scegliere quei colori così disarmonici tra di loro ma fosse proprio daltonica e cercasse di tenerlo nascosto.
«Come mai non c’è Cinzia?» domandò Helga, palesemente felice che non fosse presente in chat. Era stata Cinzia a farle conoscere tutte, ma ben poche di loro l’avevano davvero apprezzata, come amica o come mentore.
Cinzia era coetanea di Marco, con cui aveva frequentato le scuole elementari, bellissima, con un corpo da sogno e dei lunghi capelli neri. Ma quello che le aveva spinte a diventare le sue “adepte” era la sua strafottenza e l’indifferenza a ciò che pensavano gli altri. Aveva uomini di qualunque età che le sbavavano dietro, pronti a gettarsi nel fuoco anche solo per la promessa di una strizzata alle sue grosse bocce, che le pagavano cene con in mente solo quando il loro uccello sarebbe sprofondato nella sua passera o in uno degli altri due orifizi di cui disponeva e che lei non si faceva problemi ad usare ogni qual volta le fosse d’aiuto. E non che la suddetta passera fosse necessario immaginarla, poiché, grazie ad una pagina su “Onlyfans”, Cinzia pubblicava sue foto di nudo molto esplicito vendute a prezzi piuttosto cari; il suo profilo Instagram, chiuso dall’azienda per aver infranto le regole relative a immagini a sfondo sessuale e riaperto in continuazione dalla ragazza, mostrava il suo corpo pressoché nudo, sebbene pixellato nei punti più interessanti, invitando lo spettatore a comprare la foto priva del fastidio provocata dalla spiacevole censura.
Ciò che le aveva spinte a seguirla era il desiderio di rubare i suoi segreti per conquistare gli uomini e perdere la timidezza che aveva condizionato l’infanzia di molte di loro, ma Cinzia si dimostrava tutto fuorché una vera insegnante quanto piuttosto una perfida aguzzina, che le ridicolizzava continuamente, arrivando addirittura a sostenere che l’unico modo per diventare spigliate quanto lei fosse fare un soffocotto al proprio fratello…
A quella proposta, Beatrice si era sbellicata, sostenendo che suo fratello Nicola non si meritava un suo lavoro di bocca, mentre le altre, almeno quelle che avevano un fratello, erano inorridite. Chiara era convinta che il suo disgusto fosse stato convincente.
«Nicola la sta guardando adesso in camera sua sul computer,» spiegò Beatrice, «Si starà facendo di nuovo sbattere a pagamento su quel sito da camgirl. Spero ci resti per tutto il tempo della nostra chiacchierata».
Non si alzarono voci contrarie alle parole di Beatrice, sono un mormorio di chi era felice che la ragazza le lasciasse un po’ in pace.
«Dove siete andate in vacanza?» domandò Anna, visibilmente delusa. «Eh, io quest’anno niente svaghi: devo passare l’estate a sistemare l’appartamento che ho preso in affitto con altri due ragazzi qui a Verona, dove frequenterò la facoltà di lettere moderne. Pulizie tutto il giorno, olio di gomito, polvere, detergenti e sudore».
Chiara notò per puro caso Beatrice che muoveva le labbra silenziosamente con una smorfia dicendo qualcosa come “Povera sguattera…”. La ragazza trattenne a malapena un sorriso.
«Io, invece,» annunciò Helga, prendendo la parola «sono in Jamaica».
Anna si lasciò sfuggire un sospiro di tedio. «Sì, ormai l’abbiamo capito, stai tranquilla…»
«Qui è pieno di nerchie nere che non potete nemmeno immaginare,» aggiunse la rossa, cercando di catturare la curiosità dei presenti.
Chiara scoprì di avere improvvisamente trovato interesse nella vacanza di quell’antipatica. Non seppe dire se l’immagine di quella rossa rachitica che veniva devastata da un giamaicano fino a tramortirla che le passò per la mente fosse più erotica o soddisfacente.
Ci fu un brusio di fondo di approvazione e invidia finché Beatrice, spinta dalla sua curiosità e aiutata dalla sua apparente mancanza di imbarazzo, non si autonominò portavoce di tutte quante e incitò Helga a un’approfondita descrizione della situazione.
La ragazza tergiversò con un paio di smorfie. «Non lo so, non vorrei che ci restiate male…»
«Dai, racconta,» la implorò Chiara. Non riusciva a togliersi dalla mente la snob che veniva scopata con violenza in un vicolo malfamato di Kingston, una mano sulla bocca per impedirle di implorare aiuto, la schiena spinta contro un muro scrostato, la solita maglietta costosa strappata per far vedere uno dei suoi seni appena abbozzati, trenta centimetri di cazzo piantati nella sua figa tanto in fondo che la costringevano a stare sulla punta dei piedi per non farsi sfondare. La ragazza si ritrovò a mordersi il labbro inferiore in un attacco di eccitazione: quell’immagine di Helga sarebbe stato il soggetto perfetto di un disegno da colorare e contemplare quando quella snob avesse fatto di nuovo la stronza con lei.
Chiara sogghignò. In realtà, il racconto della rossa aveva smesso improvvisamente di interessarla.
Nonostante ciò, Helga sentì ugualmente la necessità di rendere partecipi le presenti alla videochat di quanto le era accaduto. «Un paio di giorni fa,» iniziò a raccontare, accomodandosi meglio sulla sedia in vimini del bar sulla spiaggia in cui si trovava, i raggi del sole della mattina che sfavillavano sul mare alle spalle, «stavo camminando dove finiscono le onde, provando il mio nuovo costume da bagno a due pezzi rosso della Agua de Coco che ho comprato questa primavera a Milano, in un negozio di Via Monte Napoleone molto esclusivo che…»
Beatrice si alzò e disse: «Vado a bagnare i gerani in terrazza. Chiamatemi quando ha finito di tirarsela e inizia a parlare di cazzi».
Le cuffie di Chiara risuonarono delle risate di tre ragazze e delle sue mentre lo schermo mostrava lo sguardo assassino di Helga.
«Se non siete interessate…» sbottò la rossa, risentita, alzando la testa come suo solito, al punto tale da mostrare le narici al posto degli occhi.
«Ma no,» l’assicurò Anna, cercando di far dileguare dal suo volto l’ilarità che la battuta di Beatrice le aveva provocato, «siamo interessate».
«Solo, evita la pubblicità,» consigliò Arianna, anche lei che cercava di nascondere con una smorfia la risata che le era rimasta impressa nei lineamenti.
Helga rimase qualche istante ancora stizzita, ma poi il bisogno di vantarsi di essere stata montata da un superdotato ebbe il sopravvento. Si sistemò meglio sulla sedia, bevve un sorso di una bevanda gialla con un ombrellino e dei pezzi di frutta conficcati nel bordo di vetro, poi, mentre un paio di turisti passavano alle sue spalle, ricominciò a raccontare.
«Allora. Stavo camminando sulla spiaggia ascoltando il suono delle onde nella baia accanto a me, quando ho visto un ragazzo che stava portando a riva una barca piena di reti. Era alto e magro, la pelle nera con dei muscoli da fatica che mi sembravano davvero sensuali. Indossava solo un paio di pantaloncini blu e grigi rovinati ed un paio di ciabatte di plastica. Mi ha visto e mi ha sorriso. Io gli ho risposto allo stesso modo.
“Allora mi sono avvicinata e ho iniziato a parlargli. Aveva una voce bassa, sensuale, melodiosa. Sembrava triste per la pessima pesca e… allora… ho pensato che magari lo potevo tirare su un po’ di morale. Ho pensato che potevo offrirgli qualcosa al bar, ma poi mi sono guardata attorno: non si sentiva voce umana oltre alla nostra, e gli unici rumori erano i pappagalli e il mare.
“Allora mi sono detta che avremmo potuto divertirci entrambi e, senza dire nulla, ho messo le mani dietro al collo e ho slacciato il top del costume. Il ragazzo è rimasto ammutolito nel vedere le mie tette».
Chiara trattenne una risata nell’immaginare il giamaicano che abbassava lo sguardo a terra, ma non per educazione o vergogna quanto piuttosto per vedere dove fossero rotolate le bocce che Helga non aveva mai potuto vantare.
«Lui ha sgranato gli occhi e… e ha detto che sono una ragazza bellissima e che il mio ragazzo era davvero fortunato. Io gli ho detto che il mio ragazzo non era qui e che avevo voglia di scoprire se è vero quanto dicono sui giamaicani.
“Allora lui mi ha sorriso e si è abbassato i pantaloncini. Beh, ascoltate quello che vi dico: le voci a riguardo la lunghezza del pendolo che hanno tra le gambe da queste parti non rendono idea della realtà. Io ero senza parole, e ne ho visti di superdotati».
Chiara non poté fare a meno di sorridere quando vide, nel suo rettangolo, Beatrice allontanare sempre più le mani come un pescatore intento a illustrare a gesti la dimensione del leggendario luccio che aveva preso all’amo ma che, curiosamente, non c’era stato nessuno a vederlo e la fotocamera del telefonino era andata in ferie, annuendo soddisfatta ma lasciando intendere che stava prendendo in giro la loro conoscente. Anche Cecilia la vide, ponendo una mano davanti alle labbra per occultare una risatina.
Ignorando quanto stavano pensando le sue uditrici, Helga continuava con la sua storia. «Mi sono inginocchiata davanti a lui e sembrava che le onde stavano implorandomi di succhiarlo e gli uccelli cantare ad un volume ancora maggiore, come eccitati all’idea di cosa stavo per fare. Non me lo sono fatta dire due volte: non era ancora in erezione e pendeva molle tra le gambe, ma l’ho preso con una mano e l’ho sollevato davanti alla mia bocca. Era nero e grosso, le vene che passavano sulla pelle sembravano larghe come un mio mignolo; la cappella, scura e bagnata, fuoriusciva per qualche centimetro dalla pelle: l’ho spinta indietro e tutta la punta è comparsa. Mi sono sentita tutta bagnata davanti a quello spettacolo, con il tessuto delle mutandine che si stavano attaccando alla mia pussy.
“Mi sentivo stordita come se avessi avuto un’orchestra nella testa che stava accordando gli strumenti prima del concerto, un giramento mi aveva presa, mi sentivo svenire. Ma non potevo lasciarmi scappare una nerchia così armoniosa. Non ho parole per poter dire com’è stato mettermela in bocca, sentire il sapore salato della cappella: dovevo aprire le labbra completamente per riuscire a succhiarla tutta. La stavo stringendo a due mani, leccandola e contemporaneamente stavo facendo un lavoro di polso.
“Il giamaicano stava ridacchiando, contento del mio splendido operato. Purtroppo, durò poco perché l’avevo eccitato talmente tanto perché… beh…» Helga indugiò improvvisamente, come colta dalla vergogna.
«Dai, non fermarti!» la incitò Anna, che non aveva perso una sola sillaba durante la narrazione. Anzi, aveva chiuso gli occhi per poter assaporare meglio ogni parola, in un paio di occasioni mostrando con smorfie di piacere l’apprezzamento del racconto.
«Forza, adesso che stava arrivando la parte interessante!» replicò Beatrice.
Helga inspirò una volta, forse chiedendosi se proseguire. O più probabilmente, si convinse Chiara, godendosi la popolarità, sempre stata bassa nel gruppo, a cui l’aveva sbalzata la descrizione del suo incontro con il giamaicano.
Dopo qualche istante, la rossa riprese per la soddisfazione del suo pubblico. «Allora, come stavo dicendo… Il tipo superdotato, che aveva apprezzato la mia bellezza e la mia capacità nel succhiare, mi aveva messo una mano sulla testa, bloccandomi. Nella bocca avevo sentito la cappella del suo pendolo vibrare come una corda di violino tesa, poi era venuto: una quantità di latte caldo si era riversata tra le mie labbra, sulla mia lingua, giù per la mia gola. Mi era venuto un attacco di tosse e avevo iniziato a rigurgitare sborra sul mio mento, che colava sulle mie tette e sulla mia pancia.
“Non trovo le parole per descrivere la soddisfazione di aver avuto quella nerchia in bocca, ma non volevo certo che me la mettesse solo lì. Ho abbassato le mutandine e gli ho chiesto di scoparmi. Lui all’inizio non voleva, diceva che non aveva diritto di fare l’amore con una ragazza come me, con la mia classe e la mia bellezza e…»
Beatrice balzò in piedi in preda all’agitazione. «I gerani, me li stavo dimenticando!» gridò.
Chiara e Arianna scoppiarono a ridere, mentre Anna, che stava ancora assaporando a occhi chiusi quello che doveva essere il sapore dello scarico di seme del giamaicano, mostrò sul volto tutto il disappunto per il trambusto che l’aveva strappata dal sogno; si rivolse a Helga celando appena nella voce il fastidio che stava provando: «Per favore, non…» cominciò, per poi trattenersi dopo aver stretto i pugni.
La rossa rifece la smorfia di prima, mostrando nuovamente le narici, ma dopo un attimo riprese a raccontare. «Allora… Io non potevo lasciar andare quel grosso pendolo nero bagnato della mia saliva e di latte maschile ancora un po’ in erezione senza avere la soddisfazione di averlo dentro di me. Ne ho visti molti di grossi ma… beh, quello era dannatamente enorme. Allora mi ero seduta sulla spiaggia completamente nuda, la sabbia che scricchiolava sotto il mio didietro e avevo aperto le gambe, poi gli avevo detto di avvicinarsi. Il giamaicano allora aveva accettato la mia offerta: si era tolto completamente i pantaloncini e gli infradito e si era inginocchiato davanti a me, aveva preso in mano la sua nerchia e, dopo essersi messo meglio, me l’aveva messa dentro».
L’interesse nel pubblico, notò Chiara, crebbe quasi più che in occasione della descrizione del soffocotto: nessuna pronunciò una parola ma sembrarono tutte ipnotizzate dalla fastidiosa voce di Helga, la quale continuò con dovizia di particolari.
«La mia bocca si stava aprendo nell’ondata di piacere allo stesso modo in cui si spalancava la mia pussy sotto la spinta della nerchia nera. Ero bagnatissima, e il mio inguine si stava inondando per la bava che strabordava dalle labbra mentre venivo riempita, ma la cappella era troppo grossa e la mia fica sembrava incapace di contenerla. Mi era sfuggito un grido di piacere mentre mi inarcavo all’indietro quando lui era entrato completamente; poi si era sporto in avanti e mi aveva afferrato le tette e aveva iniziato a uscire e a spingere, a uscire e a spingere, un’armonia che non credevo di poter mai vivere. Io stavo gemendo di piacere sentendo quel grosso pendente riempirmi, lui continuava a ripetere che ero bellissima, che lo stavo eccitando tantissimo, che era fortunato a poter amare una creatura splendida come me, il tutto accompagnato dal suono liquido dei nostri sessi che sfregavano uno dentro all’altro.
“Dev’essere durato dieci o quindici minuti, poi ho avuto un orgasmo. ‘Sì, mio splendido giamaicano, riempimi tutta con il tuo latte caldo e saporito!’ l’ho implorato, poi è venuto di nuovo anche lui. A quel punto aveva lanciato un grido e si era svuotato nella mia pussy calda e bagnata.
“Aveva provato a sollevarsi ma l’avevo afferrato per il didietro muscoloso e gli avevo detto che volevo fino all’ultima goccia del suo latte dentro di me. Lui aveva sorriso, poi aveva spinto di nuovo un paio di volte per soddisfarmi e mi aveva detto che sperava che nascesse un bambino bello come la madre».
Helga sorrise. «Dalla quantità di sborra che mi aveva messo dentro, penso sarebbero nati almeno una dozzina di bambini,» spiegò. «Lui poi si era alzato e mi aveva detto che doveva portare il pesce al mercato e poi tornare da sua moglie e dai suoi figli, ma era sicuro che non mi avrebbe mai dimenticata.
“Lui aveva preso i suoi tre pesci dalla barca e si era allontanato nel bosco, io invece ero rimasta sulla spiaggia, senza la forza di rialzarmi. Il suo latte aveva continuato a scivolarmi fuori dalla pussy per un momento, bagnando la sabbia. Mi ero sdraiata meglio, avevo chiuso gli occhi e continuato a sentirlo dentro di me… Non posso dirvi quanto mi sia piaciuto! Una vera nerchia come non se n’erano mai sentite dire!» concluse, visibilmente soddisfatta. «Fosse per me, resterei qui per sempre».
Nessuna disse nulla, anche perché si aspettavano che fosse Beatrice a commentare con una qualche battuta o presa in giro contro Helga, ma le ragazze impiegarono poco a comprendere perché la bionda non aveva aperto bocca.
«Beatrice si ditalina!» esclamò Arianna, la voce che non sapeva se ricadere nel disgusto o nel divertito.
Chiara, come immaginò pure le altre, si ritrovò a guardare nel riquadro della sua migliore amica: se mai si fosse chiesta che espressione avesse Beatrice quando stava avendo un orgasmo, in quel momento lo scoprì. La bionda aveva la testa inclinata leggermente all’indietro e il labbro inferiore che rientrava nella bocca, probabilmente morso tra i denti; gli occhi erano chiusi e sembrava avere ogni fibra del suo corpo in tensione, immobile: solo il braccio destro si muoveva convulsamente, scomparendo oltre la parte bassa dell’inquadratura. Restò qualche attimo in quello stato, poi la sua bocca si aprì in un gemito roco e sembrò svuotarsi dell’aria che aveva bloccato dentro di sé.
«Porca merda, che meraviglia…» esclamò con un filo di voce, riprendendo a respirare rumorosamente. «Helga, complimenti per la storia».
«Spero adesso non voglia farci vedere il dildo di plastica con cui ti sei chiavata da sola la passera,» sbottò disgustata Anna.
La bionda ben dotata sollevò un paio di dita che luccicarono sotto la luce del tardo pomeriggio che entrava obliqua dalla finestra della sua camera. L’alta definizione della webcam catturò una goccia di desiderio colare pigra dalla punta dell’indice. «Oh, non preoccuparti: sono a favore dell’artigianato e del biologico,» confidò; quindi, si appoggiò le dita sotto il naso, inspirando con evidente piacere e soddisfazione.
«Cazzo, che schifo!» esclamò Anna.
Beatrice guardò sorpresa nella telecamera. «Cosa? Non dirmi che non sniffi l’odore delle tue scoregge quando molli, perché non ci crederei. Beh, quello è l’odore che ha il tuo intestino intasato. Vuoi forse venire a dirmi che è preferibile al profumo della mia fregna gocciolante di eccitazione?»
La ragazza dai capelli tinti, probabilmente punta sul vivo, si limitò a una smorfia di rabbia mista a disprezzo.
«Anche a me il racconto è piaciuto parecchio,» ammise Cecilia, sebbene a voce bassa. «Anche se…» aggiunse con un sorriso di divertimento e abbassando lo sguardo, «forse non quanto a Beatrice».
Anna, probabilmente per far distrarre le altre ragazze dalla discussione sugli odori corporei che l’aveva vista perdente, propose d’improvviso: «Ho un’idea che vorrei porvi ma che sono sicura apprezzerete: ogni sera, quando ci colleghiamo, ognuna di noi deve raccontare la propria esperienza sessuale che più serba con gioia nel proprio cuore».
«La vincitrice sarà quella che avrà causato più ditalini!» esclamò Arianna, decisa a prendere in giro Beatrice, la quale, probabilmente troppo intelligente per cadere in un tranello tanto stupido per arrabbiarsi, annuì convinta alla proposta.
«A me l’idea piace,» convenne «E non intendo solo quella della votazione tramite introduzione di dita, ma proprio quella dei racconti. E brava Anna, mantenerti ogni tanto torna utile».
A differenza della bionda, la ragazza tinta trattenne a stento l’espressione offesa.
Arianna non sembrò molto convinta. «E in che ordine lo facciamo?»
Anna ci pensò un istante. «Direi alfabetico,» propose infine. «Visto che Helga lo ha già fatto, domani lo fa… oh, io. Poi tu, quindi Beatrice… Cecilia ed infine Chiara».
All’idea di dover raccontare una propria esperienza sessuale, l’ultima nominata storse la bocca.
«Che c’è, Chiara,» domandò Anna, notando l’espressione di quest’ultima, «non hai nulla da raccontare?»
«Per me è ancora vergine,» ribatté Arianna cogliendo la palla al balzo.
«Ehi, stronze!» sbottò Beatrice, improvvisamente infuriata, «Finitela!»
Chiara abbassò lo sguardo, contrita.
Anna e Arianna sogghignarono. «Stiamo scherzando,» sostennero, ma non era la prima volta che la timidezza della ragazza era fonte dei loro motteggi. Soprattutto dopo che Cinzia, mesi prima, aveva spiegato a Chiara che l’unico modo per diventare più estroversa sarebbe stato succhiarlo a Marco e bersi il suo seme, le due stronze avevano cominciato a burlarsi di lei e di suo fratello.
«Chiara è solo riservata,» continuò Beatrice. «A differenza nostra, che non abbiamo ancora finito di asciugarci la fregna che siamo già a raccontarci di esserci sbattute questo o quello, quanto ha lungo il picio e di che cosa sa la sua sborra, lei se lo tiene per sé. E ha ragione lei».
Le altre due non dissero nulla, ma anche Helga sorrise al loro scherzo. L’unica che sembrò a disagiò, oltre a Chiara, fu Cecilia: anche lei, in realtà, non sembrava aver avuto molti a condividere il suo letto, e subiva lo stesso trattamento della sua amica.
Chiara, con la scusa che doveva essere lei a preparare la cena quella sera, chiuse il collegamento dopo aver salutato sommessamente. Si alzò dalla sedia della scrivania ma non si allontanò: guardò il tablet spento, provando un forte senso di tristezza. Chiara non era più vergine già da un paio di anni, e tre ragazzi diversi avevano trovato piacere tra le labbra della sua bocca e del suo utero, ma lei, l’unico orgasmo che aveva provato era stato come lo aveva ricevuto la sua migliore amica pochi minuti prima. E non avrebbe fatto una grande figura davanti a loro, che sembrava potessero vantare cazzi di trenta centimetri infilati nel loro corpo, pronti a farle godere in continuazione, raccontando di quando si era ditalinata nuda, sul letto, immaginando suo fratello che la possedeva con violenza, dandole della troia…
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