Linda la nerd
Capitolo 1 - "Io non sono vergine"
Linda sollevò lo sguardo dal libro di matematica sul quale stava passando la pausa pranzo, scostando una ciocca di capelli biondi che le era scesa davanti a un occhio dalle iridi azzurre. Infastidita dalle suonerie che avevano cominciato a trillare, squillare e gorgheggiare, praticamente tutte allo stesso momento, osservò per un istante ogni ragazza maggiorenne presente nella mensa controllare il proprio telefonino. Alcune, dopo qualche secondo, sbarravano gli occhi, qualcun'altra si poneva la mano libera davanti alla bocca, nascondendo una risata nervosa, alcune sussurravano qualcosa alla persona accanto, mostrandogli contemporaneamente quanto apparso sullo schermo.
Confusa, Linda si sporse a sinistra, curvandosi sul suo zaino. Lo aprì, cercando il suo telefonino. Spostò un paio di libri, il dannato modulo di iscrizione al corso di fotografia che avrebbe dovuto consegnare già tre giorni prima, e trovò il suo cellulare, abbandonato sul fondo della cartella. Lo afferrò e lo portò davanti al viso, accendendo lo schermo. La delusione della ragazza fu palese quando si rese conto che a lei, a lei soltanto, non era arrivato nessun messaggio.
Spense lo schermo, lasciando cadere il telefono nella tasca della maglia. In effetti, si disse, se lo sarebbe dovuto aspettare. Perché si era concessa l’illusione che qualcuno volesse avere a che fare con lei?
Chiuse il libro di matematica, mettendolo nello zaino, che sollevò con fatica sopra il tavolo dove aveva consumato da sola il pranzo, quando vide passare Marianna con una sua amica.
Non c’era mai stato un grande rapporto tra lei e Marianna, così come non c’era mai stato con nessuno lì dentro. Era la sua vicina di banco in classe, ma socialmente era come se ci fosse stato l’oceano tra loro due. Non che Marianna fosse esattamente una delle più popolari a scuola, ma almeno lei veniva salutata quando incontrava qualcuno.
Quasi con paura, Linda attirò l’attenzione di Marianna, la quale stava parlando con la sua amica, Gina, una rossa che faceva girare la testa ai ragazzi della scuola. Entrambe avevano in mano il proprio cellulare, di certo con il messaggio sullo schermo. «Ehm… Marianna… scusami…»
La ragazza si fermò, squadrando Linda con aperto astio. «Cosa cazzo vuoi, nerda?» domandò, poi si rivolse a Gina: «Vai pure tu, ti raggiungo tra un attimo».
La rossa fece un cenno di assenso, un sorriso che sembrava dire: “eh, quella rompiscatole…”. Si allontanò senza salutare, diretta all’uscita della mensa.
Senza rendersene conto, Linda ritrasse la testa tra le spalle. «Io… ehm… Scusa, Marianna, ma volevo sapere cosa stia succedendo». Lo sguardo della compagna di classe sembrò uno schiaffo, come se volesse farla tacere e contemporaneamente le imponesse di spiegarsi meglio. «Voglio dire… chi… cosa sono quei messaggi che ricevete tutte?»
Sul volto di Marianna la nube di fastidio venne squarciata da un raggio di derisione. «Certo: a te non l’hanno spedito, perché dovrei meravigliarmene? E perché dovrebbero? Sarebbe solo una perdita di tempo. Di queste cose mica ne capisci».
Linda sussultò, colpita da quell’offesa. Ammetteva di avere molti difetti, non era una delle più simpatiche, probabilmente poteva vantare poca bellezza, era pessima in educazione fisica e non sapeva stringere amicizia come certi suoi compagni che erano in grado di conoscere chiunque come se fosse stata la cosa più semplice al mondo… Ma di certo, non avrebbe permesso a nessuno di dire che era ignorante, o stupida. No, questo non l’avrebbe proprio accettato.
Ma nonostante la rabbia che aveva invaso ed infiammato il suo petto, non lo diede a vedere. Parlando quasi sottovoce, chiese: «Di… di cosa si tratta?»
«Ma cosa cazzo te ne frega? Tanto, scommetto che sei vergine».
Linda non si pose nemmeno la domanda di perché avesse tirato fuori quell’argomento. Non che Marianna fosse la prima, comunque. Era una tiritera abbastanza frequente quando qualcuno voleva offenderla. Linda, almeno all’inizio, aveva negato questa idea, ma dopo un po’ aveva compreso che era fiato sprecato. Considerando poi quanto era stato squallido quel primo, unico rapporto, avrebbe in realtà preferito rimanere vergine fino a quel momento.
In ogni caso, forse mossa a compassione, forse spinta da una voglia di infierire ulteriormente, Marianna si decise a spiegare l’accaduto. Linda la considerava una gran bella ragazza, con gli occhi azzurri come il cielo, a differenza dei suoi più slavati, e i capelli biondi come l’oro, mentre i suoi erano più chiari, quasi platinati. Aveva un bel viso, con delle labbra carnose e forse solo il naso era un filo troppo lungo, ma nulla di che. Fisicamente era qualche centimetro più bassa di Linda, sebbene la ragazza l’avvertisse grande come un gigante, e con un gran bel culo che ammirava silenziosamente, chiedendosi come potesse modellare anche il suo ad una simile foggia.
Marianna sospirò, osservando Linda divertita come se fosse stato un animale dello zoo. Un animale particolarmente buffo o sciocco. «Alcuni ragazzi hanno organizzato una gara e hanno invitato ogni studentessa meritevole».
Linda sbattè le palpebre. «Una gara? Di cosa?»
Marianna si avvicinò con la testa alla ragazza, come se dovesse confidarle un segreto, ma il sorriso infiammato di scherno lasciava comprendere che non lo era per nessuno, lì dentro. Parlò sottovoce, lentamente, come se stesse assaporando le parole stesse. «Una gara di pompini.»
Se prima Linda era confusa, ora lo era ancora di più. Una cosa? Ma la stava prendendo in giro? Ancora per questa storia della verginità? «Ma… scherzi?»
Marianna le scoppiò in una risata in faccia. Scossa, si ritrasse: era uno scherzo, ovviamente, si disse la ragazza. Chi avrebbe mai fatto una schifezza simile?
Mentre la risata si spegneva lentamente nel petto dai piccoli ma ben visibili seni nella maglietta bianca, Marianna mosse un paio di volte il pollice della mano che stringeva ancora il telefonino. Un istante dopo un trillo si alzò dalla tasca di Linda: la ragazza comprese che il messaggio, per vie traverse, era giunto anche a lei.
«Leggi se non ci credi,» la incoraggiò l’altra, quando estrasse il cellulare.
Linda premette la notifica del messaggio e comparve un testo in WhatsApp. Lo lesse, ma già dopo qualche secondo le sue sopracciglia si alzarono come poche volte prima di allora. No, Marianna non stava scherzando: qualcuno aveva realmente organizzato una gara di pompini, ed ogni ragazza maggiorenne era invitata a parteciparvi, ma che nessuno ne facesse parola con gli adulti.
La risata era terminata, ma quando Linda abbandonò con lo sguardo il piccolo schermo per il viso di Marianna, vi trovò ancora il sorriso beffardo.
«Allora, immagino che non vorrai iscriverti, o no?»
Su quello di Linda apparve il disgusto. «No, che schifo! Succhiare… un ragazzo… no!»
Le labbra dell’altra si storsero in una smorfia di disprezzo. «Sei una merda, Linda. Resta a diventare scema sui libri, ma non mettere fuori la testa dal guscio, eh! Ti fa schifo il cazzo solo perché non ne hai mai visto uno, ma io vado a iscrivermi, perché niente ti fa apprezzare da un ragazzo quanto un buon pompino, e io sono una maestra nel farli».
La ragazza rimase colpita dal comportamento di Marianna, offesa per la sua opinione. Si aspettava la buttasse sul ridere, o convenisse con lei che mettersi in bocca un pene non fosse una cosa da fare, soprattutto se quello di un estraneo. Ma mai si sarebbe aspettata di trovare una ragazza che non solo lo facesse con piacere, ma che pure si vantasse di farlo con una certa maestria… no, quello proprio mai.
Marianna se ne andò con un gesto della mano come a scacciare Linda, mormorando che fottendosi un cazzo avrebbe magari smesso di essere così strana, perdendosi tra le altre ragazze che stavano uscendo dalla mensa.
Linda rimase lì, lo zaino sul tavolo davanti sé, lo sguardo sul pavimento. Forse, pensò, Marianna non aveva tutti i torti ed era lei quella strana, quella che non aveva mai avuto la fortuna di apprezzare un buon rapporto sessuale e scoprire come un ragazzo capace potesse farle provare emozioni tali da invogliarla a restituirgliele, senza imbarazzo o disgusto.
***
Tommaso contemplava Tania respirare affannosamente, il suo corpo scosso da movimenti incontrollati, le mani che la tenevano per i fianchi accaldati e fradici di sudore, il seno generoso che si muoveva al ritmo delle spinte delle gambe della ragazza che stringevano il costato di lui. Sentiva il suo cazzo muoversi nella fica grondante di Tania, ormai percorsa anche lei dall’imminente piacere: per dare un aiuto, abbandonò il contatto con la pelle della ragazza, passò la punta degli indici sulle labbra infiammate, bagnandoli per bene, e poi cominciò a massaggiare con delicatezza il clitoride scoperto e allungato.
Bastarono pochi colpi perché sopraggiungesse l’effetto desiderato: la ragazza fu scossa da un movimento inconsulto, come se fosse stata attraversata da una scossa elettrica, ritraendo a sé le braccia che fino ad un istante prima puntellavano sul petto di Tommaso, le dita ritorte, un brivido lungo tutto il corpo. Le gambe si alzarono, tremando, e il ragazzo si affrettò a riprendere i fianchi della ragazza, che si stava inclinando tanto all’indietro che i loro due sessi si divisero, il suo cazzo che scivolava fuori dalla passera della ragazza che sembrava stesse urinando tanto era il flusso di ambrosia che fuoriusciva, l’utero che si spalancava per farne uscire uno sprizzo che colava nel perineo, si chiudeva e si apriva di nuovo per un'altra grossa goccia.
Tania lanciò un grido strozzato, poi un altro, mentre sembrava fosse vittima di un attacco epilettico. Sembrò provare a dire il nome del ragazzo, a dire che lo amava, poi gli crollò letteralmente addosso, in parte sul corpo di lui, in parte sul cuscino, essendosi lui spostato celermente con la testa.
Lui la strinse a sé, sentendone il corpo come febbricitante, caldo e sudato, e che profumava di donna e di sesso. Quanto amava quella sensazione fisica, e quanto adorava far venire la sua donna. Le accarezzò le chiome castane e la schiena bagnata di sforzo.
Lei respirò profondamente per diversi secondi, il cuore che batteva talmente forte che perfino il ragazzo lo percepiva, colpo per colpo. «Grazie, Tom…»
Lui volse la testa verso di lei, lei che era già pronta a baciarlo. Fu breve, perché Tania era troppo stanca e in debito di ossigeno, ma fu il corollario perfetto di quell’orgasmo.
«Tu però niente…» disse lei, con la voce roca. Un braccio si insinuò sotto le scapole di Tommaso, accoccolandosi meglio sopra di lui.
«Sì, effettivamente credo di meritarmelo,» concordò il ragazzo. Non era la prima volta che facevano sesso la mattina, dopo che lui aveva finito il turno in fabbrica e prima che lei andasse a lavorare al supermercato. Tommaso pensava principalmente all’orgasmo di Tania, e da tempo avevano concordato che lui facesse da solo una volta che lei era stata falciata dal piacere.
Sempre tenendo i fianchi, posizionò meglio il corpo della ragazza stremata, fece scivolare il suo cazzo nella figa accaldata e bagnata e, afferrando un gluteo di Tania e stringendola a sé, iniziò a muovere il bacino, scopandola. Lei, che aveva recuperato un po’ di forze, riprese a baciarlo e a limonarlo, finchè anche lui si lasciò scappare un profondo respiro e venne dentro di lei. Si lasciò andare sul materasso, completamente esausto, chiudendo gli occhi e godendosi il calore che trasmetteva il corpo di Tania, l’umidità della sua vagina e l’impeto con cui usava le sue labbra e la sua lingua per ringraziarlo per quella splendida sveglia.
Rimasero ancora un po’ a letto, lei sopra il suo corpo, scaldandosi l’un l’altra, poi la sveglia vera e propria volle far sentire la sua fastidiosa voce. Con il dispiacere di entrambi, lei dovette alzarsi nella stanza debolmente illuminata da lame di sole che filtravano dalle persiane e che disegnavano delle linee gialle sulla parete occidentale.
Tania prese le mutandine dalla sedia, si sedette e iniziò a infilarvi le gambe.
Sdraiato su un fianco, semiaddormentato, con solo un occhio aperto, Tommaso contemplava il corpo di Tania. Era alta quasi quanto lui, con un corpo magro e ben proporzionato. Il viso era un po’ allungato, con il mento che ricordava la parte inferiore di un cuore stilizzato; le labbra erano grosse ma non troppo, rosee, e gli occhi luccicanti erano castani; i capelli lunghi scendevano fin quasi ai glutei ed erano di un castano chiaro, soffici. Tommaso adorava accarezzarli quando facevano l’amore, e tirarli dolcemente quando invece la possedeva da dietro. La pelle era di un bianco latteo, come quello che gli autori inglesi del XIX secolo usavano applicare alle protagoniste principali dei loro romanzi, una particolarità che faceva sembrare la chioma e i peli pubici ancora più scuri. Il seno era tanto, forse una terza abbondante, magari una quarta che non aveva avuto il coraggio di svilupparsi del tutto. Ecco, forse il sedere non era il punto di maggiore interesse in quel corpo meraviglioso, ma Tommaso lo desiderava più di ogni altra cosa.
«Ti si bagneranno le mutandine,» l’avvisò lui, accorgendosi che i loro liquidi corporei stavano ancora defluendo lentamente dal suo sesso, raccogliendosi tra le gambe.
Lei sorrise. «Sì, lo so: voglio passare la giornata al lavoro con l’afrore di questa scopata. Mi terrà eccitata per oggi pomeriggio».
Lui fece un verso come a dire che aveva capito. E quella sera avrebbero scopato di nuovo, pensò sospirando mentalmente. Quando si erano conosciuti e messi insieme, lei, mentre lui le dava il secondo orgasmo della sua vita, il secondo di quattro di quella notte, aveva confessato che amava in maniera folle il sesso. “Oh”, lui aveva pensato, soddisfatto: “ho fatto tombola! Finalmente una ragazza che ammette di adorarlo quanto me.” Ci erano voluti pochi mesi per scoprire che non si erano intesi perfettamente: dopo che lei si era trasferita a casa sua, lui aveva scoperto che, al suo confronto, lei era dipendente del sesso. Da allora, se fosse voluto uscire una sera, sarebbe stato quasi costretto a caricarsela in spalla e gettarla in auto, o l’avrebbe trovata nel letto o sul divano nuda, pronta a ricevere quanti più orgasmi possibili, e a donarne a lui finchè non fosse crollato, stanco e incapace di avere una erezione.
Lei non conosceva la natura dei pensieri di Tommaso, ma lui avrebbe fatto poca fatica a indovinare quelli di lei: «Sai,» disse lei, mentre indossava i pantaloni, «potremmo aggiungere un po’ di pepe al nostro rapporto… che ne so…»
Tommaso sapeva che era solo una chiacchiera che tirava fuori ogni tanto, come a sondare i suoi pareri sull’introduzione di qualche sex toy o boiate simili. Lui però aveva una ben precisa idea a riguardo. Sempre con un occhio chiuso ed uno aperto, rispose con quella che si poteva definire l’equivalente della chiacchiera sui sex toy: «Io sono comunque dell’idea che la cosa migliore che potresti fare è darmi quella meraviglia che hai lì dietro. Adoro stringere quelle due chiappe tra le mani, discostarle e poi leccare quel dolce buco che nascondono, così vicino al bocciolo di rosa che non hai problemi a donarmi».
Lei sorrise, inconsciamente accarezzandosi il sedere, apprezzando l’idea di un anilingus. La risposta al sesso anale, comunque, sarebbe stata sempre la stessa.
Lui, come se stesse tentando il tutto per tutto con la simpatia, aggiunse: «Secondo me, è invidioso della tua fica, e ci resta male quando scopiamo».
Divertita, Tania si abbassò su di lui, lo baciò e, attraverso la coperta del letto, gli accarezzò il cazzo. «Ci vediamo questa sera,» disse. E con un occhiolino, aggiunse: «E magari con una sorpresa».
Lui annuì, poi, quando lei uscì dalla stanza e la sentì aprire l’acqua del rubinetto in bagno, si girò sull’altro fianco e provò a prendere sonno. Riconobbe che una scopata la mattina, dopo il turno di notte in fabbrica, aiutava molto nel prendere sonno.
***
Linda era sempre l’ultima ad uscire da scuola. Non che ne avrebbe sentita la mancanza durante il fine settimana, ma non voleva restare nella calca degli studenti che, eccitati dall’agognata libertà, si riversavano all’esterno dell’edificio nemmeno fossero in fuga dalle fiamme di un incendio. Poi, per qualche motivo, una volta fuori, all’aperto, la fretta svaniva, e la furia di fuggire dalla scuola era solo un ricordo già nel piazzale della stessa. Un po’ come un fluido che, costretto in un passaggio angusto, aumenti la sua velocità, che poi cali quando lo spazio disponibile è maggiore, pensò la studentessa. “Come l’acqua di un fiume che, libera da sponde profonde e strette, in un lago può distendersi e perdere la sua violenza”, si immaginò.
Ma quando varcò le porte della scuola, più che un lago il piazzale, con tutti quegli studenti fermi, a parlare tra di loro, simili a predatori pronti a saltarle addosso e sbranare il poco di autostima che le rimaneva, le parve una palude lurida e infestata. Lo vedeva come un campo minato, dove avvicinarsi ad un gruppo di studenti piuttosto che un altro poteva costarle un insulto od una presa in giro. Certamente, c’erano anche parecchi ragazzi e ragazze che non le avrebbero fatto nulla, ma di certo non l’avrebbero protetta da nessuno dei bulli e degli imbecilli che si aggiravano tra di loro.
Facendosi il più piccola possibile, incassando la testa tra le spalle, cominciò a muoversi cercando di tenere lo sguardo basso, senza intercettare quello di nessun altro. Forse, con un po’ di fortuna sarebbe riuscita ad andarsene da lì senza subire danni alla sua autostima. Solo ogni tanto un’occhiata veloce, per capire dove fossero i peggiori elementi e creare una strategia con cui sfruttare qualche capannello di studenti per non essere vista.
Con il cuore che batteva nemmeno fosse in mezzo alla savana africana, con i venti che portavano l’odore di selvatico e carogne cotte al sole, Linda aveva raggiunto quasi la metà del piazzale, quando le parve di perdere un colpo in petto nel sentire una voce che non avrebbe mai voluto udire.
«Ehi, guardate! Ecco la secchiona!» gridò una voce femminile intrisa di derisione.
Linda percepì gli occhi di tutti puntare su di lei, tutte le teste che si giravano nella sua direzione. Si sentì poco più grande di una spanna.
Dal gruppo di ragazzi alla sua sinistra fece la sua comparsa proprio Francesca, forse la più stronza presente in tutta la scuola, la carogna che infestava la sua vita e i suoi sogni.
Linda la odiava a morte, ma allo stesso tempo un po’ la invidiava. Aveva un bel corpo, come dimostravano tutti i ragazzi che le correvano dietro: alta forse dieci centimetri più di lei, aveva gli occhi neri ed i capelli castani, lunghi fino alle spalle; il viso non era niente di particolare, ma era incredibilmente espressivo, un po’ a punta, secondo la ragazza. Era magra, con un seno di dimensioni incredibili sempre fasciato in magliette che lasciavano ben poco lavoro alla fantasia. Il sedere, poi, era qualcosa che nemmeno Marianna poteva sperare: un vero sogno erotico per ogni ragazzo che vi posasse sopra gli occhi, che poi non poteva desiderare altro che metterci sopra le mani e dentro qualcos’altro.
E se fisicamente fosse sembrava un angelo, caratterialmente era l’esatto contrario: malvagia, infame, sfruttava gli altri per i propri comodi e interessi. Non si contavano sulle dita i ragazzi che l’avevano portata fuori a cena o accompagnata da qualche parte, e poi erano rimasti a bocca asciutta, ritrovandosi poi magari vittime di voci che mettevano in dubbio la loro mascolinità, intelligenza o addirittura l’igiene. Le ragazze, poi, venivano divise da lei in alleate, ossia amiche che potevano essere utili per qualche periodo e poi gettate senza troppi problemi in classi inferiori, le zoccole e le sfigate, e poi, nel gradino più basso, Linda.
Linda si prese con la mano destra lo spallaccio sinistro all’altezza del petto mentre vedeva Francesca fissarla con un sorriso malvagio sul volto e camminarle attorno come una leonessa che cercasse il punto debole di una gazzella terrorizzata alla vista del predatore. L’unica cosa in comune che aveva con quel magnifico felino, però, era la spietatezza con cui uccideva le sue prede.
«E allora, secchiona?» gridò la mora, facendo tacere ogni chiacchiera attorno a loro. «Non vai a dare il tuo nome per la gara, Linda?»
La ragazza sentì ridere attorno a sé, sia persone che considerava già degli infami, sia alcuni che riteneva innocui. Anche il ragazzo che, segretamente, le piaceva tanto, Alessio, stava ridendo di lei. Fu la cosa più dolorosa di tutte. Si sentì male, e dovette trattenersi dal piangere o di fuggire da lì.
Ma Francesca doveva fare il suo spettacolino, dimostrare di avere le palle e rovinare il fine settimana a Linda. «Guardalo lì, quello è Enrico, e aspetta solo che tu vada da lui e gli dica che vuoi fargli una pompa perché tu sei una esperta in queste cose, vero?» E quel “vero” non era rivolto a Linda, ma al pubblico che assisteva con tanto interesse e che sembrò apprezzare la battuta.
Come se fosse stato pilotato dal dito di Francesca, lo sguardo andò davvero dove si trovava un ragazzo circondato da alcune studentesse. Aveva in mano un grosso smartphone e inseriva a due mani i nomi di chi si stava iscrivendo. Enrico era il tipico ragazzo che sembrava destinato a non avere attorno nessuna donna, con i suoi capelli rossi e qualche chilo di troppo. Per lo meno, raggiunti i diciotto anni, l’acne aveva deciso di abbandonare il suo viso e ora era anche possibile guardarlo senza esserne disgustate. Era anche lui uno che aveva passato gli anni precedenti a studiare come Linda, ma poi, un giorno, era diventato simpatico ad Adriano, il leader del gruppo di ragazzi che aveva organizzato la gara. Enrico, che fino all’anno prima non aveva visto una donna, da lì a qualche giorno delle studentesse si sarebbero messe in bocca il suo pene e succhiato per dimostrare di essere le migliori in quel campo: un bel passo avanti per il giovane, pensò Linda. Gli era bastato entrare nel gruppo dei fighi e ora lo era anche lui, sebbene per luce riflessa.
Lei sarebbe stata capace di entrare nelle grazie di qualche ragazza cool? No, ne era sicura.
Le parole di Francesca la strapparono dai suoi pensieri e la gettarono di nuovo in mezzo a quel massacro. «…sei vergine, eh, Linda. Una come te dovrebbe essere piena di uomini, ma no! Meglio la testa nei libri che un bel cazzo nella tua figa, giusto?»
Altro scroscio di risate attorno a loro, un’altra badilata di terra nella fossa dove l’autostima della ragazza era stata gettata dilaniata dalle parole affilate di Francesca.
«Io non sono vergine,» obiettò Linda con la voce tonante di un pulcino.
Francesca fu quasi stupita di sentire la sua vittima aprire bocca. «Oh, ma un dito che esce sporco di sangue dalla tua passerina non fa numero,» ribatté, seguita dal pubblico che apprezzò la risposta con un boato.
Linda sentì le gote avvampare per la vergogna. «No, io… ho…»
«E lo hai succhiato?» domandò Francesca. Era ovvio che comprendeva che la ragazza era troppo imbarazzata e terrorizzata per riuscire a inventarsi una bugia anche solo minima. «Sei stata brava? Lui ha goduto, ti è venuto in bocca?»
Linda non riusciva a pensare, e l’unica cosa che riuscì a fare fu annuire.
«Ma che brava!» disse Francesca, ironica. Il pubblico apprezzò nuovamente. «E allora perché non partecipi anche tu alla gara? So di essere la migliore, qui dentro, e senza una sfidante del tuo valore mi annoierei. Non avrei uno stimolo».
La ragazza bionda si chiese cosa stesse accadendo, spaventata. Vide solo Francesca girarsi verso i ragazzi attorno a loro e, dopo un gesto, alcuni studenti cominciarono a gridare. Dopo qualche secondo, però, le parole che sembravano causali, vennero sostituite da una sola: “Firma! Firma!”.
Assalita da quelle grida, Linda non si accorse di essersi mossa, forse spinta da Francesca, finchè non si rese conto di essere tra alcune ragazze che la stavano guardando con disprezzo, davanti a Enrico. La giovane sbattè gli occhi, come se questo avesse potuto rimuovere la confusione che aveva ottenebrato la sua mente negli ultimi secondi.
Una voce alle sue spalle, quella di Francesca, disse: «Enrico, la mia amica vuole dimostrare la sua bravura nella vostra gara».
Il ragazzo non dimostrò nei confronti della nuova gareggiante più interesse di quanto ne avrebbe riservato ad un insetto o ad un segno su un muro. «Mhmm…» si limitò a dire, aggiungendo tra sé e sé: «Spero non tocchi a me questa sfigata».
«Dille il tuo cognome,» la spinse Francesca.
Linda fece per aprire la bocca per rispondere, quando Enrico sollevò le spalle, come se avessero voluto confidargli il cognome di un calciatore o di un musicista che venerava. «Non serve. Tanto sei “Linda la nerd”».
La ragazza rimase con la bocca aperta, colpita da quella rivelazione. Davvero la consideravano solo “Linda la nerd”? Quello forse fu anche peggio di quanto l’aveva trattata fino a quel momento Francesca.
«E levati!» strepitò una ragazza, Vincenza, spintonandola. Anche lei sembrava intenzionata a dimostrare quanto fosse brava a succhiare.
Linda cercò di non inciampare mentre si allontanava dal gruppo di ragazze future atlete di pompini, stordita. Francesca l’aveva abbandonata, ormai soddisfatta di essere riuscita a imbarazzarla davanti a tutti e farla iscrivere a quello schifo di gara. Si intrufolò in un gruppo di studenti che stava abbandonando il piazzale, raggiungendo la strada.
Una volta fuori, si fermò nei pressi di un edificio e si nascose dietro un angolo. Le veniva da piangere e da vomitare. Come si era trovata in una situazione simile, si chiese. Come aveva fatto Francesca a farla iscrivere?
E quante ce n’erano che volevano fare sfoggia delle proprie capacità di pompinare? Incredibile… Da quando la gente aveva smesso di considerare poco igienico, per non dire stupido, mettersi in bocca quello da cui gli uomini urinavano e amavano metterlo nella vagina, e spesso nel retto di una donna? Strinse gli occhi, disgustata. Un po’ come chiedere ad un uomo di leccare la passera di una donna… chi l’avrebbe fatto davvero di buon gusto? Forse nei tre o quattro porno che aveva visto, e anche gli attori si limitavano ad un paio di passate per poi continuare con qualcosa di meglio.
E adesso cosa avrebbe fatto? Avrebbe perso più la faccia chiedendo che la sua iscrizione venisse annullata, o succhiando un uomo che nemmeno conosceva, e dimostrare di essere incapace?
Aveva avuto un solo cazzo nel suo corpo, e si riteneva fortunata che si fosse limitato alla sua vagina.
Generi
Argomenti