Club Tlazo

Capitolo 1 - Mattina

William Kasanova
a month ago

Vicolo nei pressi della spiaggia, ore 09:30

Cristina strinse le gambe attorno alla vita dell’uomo, allungando una mano dietro la propria testa e afferrando un tergicristallo. «Sì…» ansimò, arcuando la schiena sul cofano dell’auto già bollente, il calore che sembrava volesse bruciarle i pantaloncini e ustionarle la pelle delle spalle. In realtà, aveva inarcato il busto per non scottarsi più che per il piacere che il cazzo del taxista avrebbe dovuto darle. Nonostante questo, ormai esperta della pratica, simulò un grido di piacere all’ennesimo colpo nella sua fica, bagnata più per abitudine che per la vista dell’uomo grasso e ben poco piacevole o per i colpi che le infliggeva con la forza di quel macchinario che piantava i pali nel terreno. «Cazzo, sì! Sfondami!»

Probabilmente, il taxista non aveva compreso una sola sillaba, che, da quando le aveva caricate sulla sua macchina, non aveva usato una singola parola che non fosse spagnola, ma il tono di voce ed il muoversi di Cristina dovevano averlo ingannato ed eccitato al punto tale che, ad un tratto, afferrò con maggiore forza i fianchi della ragazza, la penetrò completamente con il suo scarso attrezzo di piacere, lanciò un grugnito che si sarebbe potuto definire, con una buona dose di fantasia, di piacere, e restò dentro.

La ragazza, ringraziando silenziosamente il cielo per la conclusione di quella tortura, percepì una pisciata calda riempirle l’utero, rilassandosi, nonostante la lamiera del cofano attendesse la sua schiena nuda con il suo morso bollente.

L’uomo fece un passo indietro dopo essersi svuotato completamente, osservando le labbra del sesso della ragazza chiudersi ed una grossa goccia bianca scivolare fuori e colare sulla carrozzeria nera. Mentre metteva a riposo il cazzo bagnato di umori e si chiudeva la patta dei pantaloni da ginnastica lisi, Cristina scivolò giù dal cofano, sollevandosi i pantaloncini di jeans scoloriti.

Si avvicinò all’uomo, gli appoggiò un bacio ad una guancia rubiconda e dal pelo ispido, assicurandosi che i suoi piccoli seni spingessero contro il suo braccio flaccido.

«Muchas gracias,» disse, questa volta in spagnolo, simulando una gioia che non provava affatto. Lui le rispose con un sorriso che sembrò più una smorfia, probabilmente pensando che quei due secondi di orgasmo non gli avrebbero pagato il pieno dell’automobile, le strinse una chiappa e poi le diede uno schiaffetto che fece sobbalzare e ridere la ragazza.

Cristina si avvicinò al muro che li aveva nascosti dalla vista dei villeggianti sulla spiaggia, guardando l’uomo che faticava a salire sull’auto che si piegò sul lato sinistro e poi andarsene senza degnarla di uno sguardo. La ragazza non se la prese affatto: in fondo, aveva barattato il pagamento di tre passeggeri dal bed and breakfast dove pernottavano fino a lì per una veloce scopata. Nonostante tutto, era lei quella più soddisfatta.

Probabilmente, non sarebbe stato il primo, quel giorno, ad essere pagato in natura. Certo, si disse la ragazza, sistemandosi meglio le mutandine e avviandosi verso la spiaggia, se anche le altre due troie che erano con lei avessero pagato con il loro corpo una volta ogni tanto non le sarebbe dispiaciuto, mica potevano passare una settimana in Spagna a spese della sua figa, come avevano fatto il giorno precedente…

Miriam ed Eleonora la aspettavano appena oltre l’angolo, come se avessero avuto paura di prendere parte alla scopata o provassero vergogna a vedere la loro compagna di viaggio farsi fottere anche per loro…

Miriam sorrise, allungando una sacca da palestra verso la bionda. «Come trombano i taxisti spagnoli? Sono bravi?» domandò, ridendo.

Cristina, afferrando il borsone, sorrise a sua volta. La risata della ragazza le sembrava un po’ troppo affettata, ma la sua attenzione venne di nuovo catturata dalle sue chiome dai capelli rossi e lunghi che scendevano fin sotto le spalle, vampe di passione che sembravano infiammare il cuore di chi le vedesse. Quanto erano belli? Si immaginò intenta a portarli al proprio viso, riempirsi del loro profumo e godere della loro morbidezza… Quella zoccola le aveva tutte, pensò con invidia Cristina: occhi verde chiaro e corpo alto e sinuoso, per non parlare delle bocce che facevano fatica a passare inosservate. «Il cofano era largo, potevi unirti a noi,» rispose la bionda con un occhiolino, lei stessa incerta se addolcirlo di complicità o inacidirlo di sdegno.

La rossa annuì, muovendo troppo velocemente il capo. «La prossima volta».

Eleonora, invece, abbassò lo sguardo quando quello, diventato duro, della ragazza che aveva offerto la corsa incontrò il suo. «Grazie, Cristina».

Cristina scosse la testa, sbuffando irritata. Per l’ennesima volta si chiese perché si fossero portate dietro quella figa di legno. «La prossima volta puoi offrire tu,» disse, come se fosse stata una condanna.

 

Spiaggia, ore 09:40

Quando Miriam aveva proposto di raggiungere una spiaggia per passare quella mattinata che si preannunciava noiosa quanto la precedente, la seconda di sette che avevano intenzione di passare in Spagna con un regime economico prossimo a zero, Eleonora si era aspettata qualcosa di fuori mano, senza le strutture che rendevano Barcellona tanto famosa, ma non quello che si apriva davanti a lei: invece di ritrovarsi i piedi che sprofondavano in soffice sabbia calda, le sue scarpe da tennis scivolavano su ciottoli lisci e costellati di alghe e rifiuti. Nonostante questo, diverse persone erano presenti su quella distesa di rocce, chi con dei cani, chi a scattare foto, un paio con degli aquiloni, molti intenti a prendere la tintarella lontano dalla confusione del turismo di massa. In fondo, si disse, tentando di illudersi, ciò che importava era il sole e un po’ di tranquillità.

Seguì le altre due ragazze che stavano discutendo di qualcosa. Provava una cocente invidia verso la loro amicizia. Ma, in fondo, non era difficile esserlo quando gli argomenti preferiti erano il sesso, gli uomini e come farlo il più possibile. In realtà, provava uno straziante desiderio di parteciparvi anche lei, ma si sentiva bloccata ogni volta che il discorso approdava o anche solo sfiorava il sesso. Era inibita, così la appellavano le persone più educate quando parlavano di lei, ma non sapevano che la cosa era nata solo qualche mese prima, quando aveva avuto un’orribile relazione sentimentale con un ragazzo più grande di lei di dieci anni, che, in qualche modo, l’aveva manipolata, costringendola ad avere solo rapporti anali perché sosteneva che il suo grosso seno gli dava il ribrezzo anche solo a guardarlo. Da allora, quelle due maestose mammelle che le pendevano dal petto, che erano il sogno erotico di qualunque uomo che la vedesse e l’invidia di buona parte delle donne, le causava un senso di vergogna ed inadeguatezza. Soprattutto quando era con Cristina.

Si sedette vicino a loro, ma non eccessivamente, su un sasso più elevato degli altri. Osservò Miriam guardarsi attorno.

«C’è una certa differenza tra questo posto e Barceloneta,» commentò, senza nascondere la sua delusione.

«Ma che cazzo te ne frega?» reclamò Cristina, che sembrava soddisfatta del semplice fatto di trovarsi lì. «In quelle spiagge ti fanno pagare anche la sabbia che ti finisce nel culo».

«Già, qui il rischio non c’è…» concordò sconfitta la rossa, scalciando un sasso in un buco tra due rocce.

Cristina smise di darle ascolto. Mise a terra la borsa da palestra che aveva con sé, poi, sfilate le scarpe usando solo i piedi, iniziò a spogliarsi, togliendosi la maglietta e dimostrando di non avere il reggiseno. Rimasta in topless come se nulla fosse, iniziò ad abbassarsi i pantaloncini e poi le mutandine con una lentezza che a Eleonora sembrava studiata affinché chiunque sulla spiaggia avesse il tempo di vederla nuda e diventasse il punto focale della sua attenzione, soprattutto quando si abbassò in avanti per prendere i vestiti da terra. Eleonora non poté evitare di immaginare i glutei di Cristina aprirsi come un invitante sorriso verticale verso chi guardasse il sedere. Probabilmente anche la passera aveva occhieggiato tra le cosce nel momento che aveva afferrato i pantaloni, per poi scomparire quando si era rialzata.

La ragazza si sorprese quando Cristina si girò verso di loro. «Cos’è, voi non vi cambiate?» domandò con una certa durezza. Eleonora non riuscì a staccare lo sguardo dalla passera della bionda, dimostrando, con un rivolo bianco che colava, che il taxista non aveva usato un profilattico. Trattenne a stento un’espressione di disgusto che le stava salendo al viso: poche cose la imbarazzavano più del suo seno, e di certo mostrare del seme fuoriuscire dal suo sesso era… La sola immagine nella mente le strinse lo stomaco. Il ricordo del suo ex che pretendeva, dopo il rapporto anale, che lei cagasse letteralmente la sua sborra davanti a lui le fece venire un brivido lungo la schiena ed un dolore all’inguine.

Provò a spostare lo sguardo da quello spettacolo squallido, finendo sul seno di Cristina, o quella seconda scarsa che la bionda si ostinava a chiamare con insistenza “tette”. Eleonora giunse nuovamente alla conclusione che la ragazza nuda dimostrasse tanto astio nei suoi confronti fosse dovuta all’invidia, un’invidia marcia verso di lei che sfoggiava, suo malgrado, una quarta.

Non l’avrebbe mai confessato con nessuno, soprattutto con Cristina, ma avrebbe fatto volentieri cambio con il suo.

«Sì, hai ragione,» rispose Miriam, togliendosi con decisione la maglietta, ma sembrò trattenesse il fiato e sollevò lo sguardo al cielo quando si liberò il seno, una splendida terza dai capezzoli piccoli e le aureole che sembravano sparire rispetto al resto delle poppe, come se lo stesse offrendo in sacrificio allo sguardo delle persone presenti sulla spiaggia sassosa, e subito lo coprì con un top, notò Eleonora. La osservò levarsi i pantaloni neri senza problemi, ma quando si tolse le mutandine si piegò, nascondendo il suo sesso tra le gambe, a differenza di Cristina, assicurandosi che non ci fosse nessuno alle sue spalle, e infilandosi il sotto del costume con movimenti convulsi.

Eleonora non si lasciò sfuggire l’imbarazzo con cui la sua amica si era cambiata, ma, nonostante questo, rispetto a lei, si dimostrava comunque più spigliata. Al contrario, solo dopo qualche secondo si accorse che Cristina la stava fissando, le mani sui fianchi.

«E tu non ti spogli?» le domandò, ma dal tono di voce sembrava più un ordine. Cristina era ancora priva di abiti, e un paio di uomini, quelli con i grossi aquiloni, avevano smesso di guardare il cielo per fissare il suo culo nudo.

Eleonora abbassò lo sguardo sul proprio seno, prosperoso al punto tale da considerarlo un difetto, da far ignorare a tutti i suoi occhi azzurri come il mare e i capelli biondi come il grano, e nonostante questo essere vilipeso da chi aveva preteso da lei piacere per quasi un anno. «Non ho… non ho un costume».

Cristina scosse nuovamente il capo. «Ammazzerei per essere figa come te, stupida troietta…» si lasciò sfuggire. La sua voce era tagliente quanto la lama di un coltello. Poco mancò che fendesse la morsa che stringeva il petto della ragazza e la facesse scoppiare in un pianto. «Goditi il potere che ti darebbero quelle due bocce, cretina».

Eleonora non disse una parola, stringendo le gambe al seno con le braccia.

 

Erano passate un paio di ore quando Miriam iniziò a lamentarsi di avere fame.

«Se ci fossero quelli del cocco bello, potremmo spompinarli per farcene dare qualcuno,» disse Cristina, ironica. Non aveva fatto altro che starsene sdraiata su un asciugamano, girandosi di tanto in tanto, senza pronunciare una parola, arrostandosi al sole, godendosi segretamente la soddisfazione che gli davano gli sguardi degli uomini che, passando più o meno casualmente di lì, si posavano su di lei.

Eleonora aveva comunque notato che Miriam attirava ben più l’attenzione, compiacendosene silenziosamente, e, con un tuffo al cuore, nonostante fosse vestita da capo a piedi, scoprendo che quasi ancora di più si fissavano su di lei.

«Forse sarà meglio cercare un ristorante, o un negozio, nelle vicinanze,» ribatté Miriam, continuando a guardare lo schermo del telefonino, poi si affrettò ad aggiungere, quasi fosse stato un insulto non dire: «per quanto mi piacerebbe fare un bel pompino».

«Siamo a Barcellona,» disse Cristina, come se stesse ricordando una verità universale, «qui è pieno di vip. È a loro che dovremmo fare un pompino, altroché aprire le gambe per una notte in un B&B o ad un taxista. Guarda dove vanno quegli stronzi, Miriam, che andiamo a farci un giro anche noi». Poi si sollevò a sedere, guardando la terza ragazza, ancora seduta sul sasso. «E tu, Eleonora, faresti la puttanella di un vip per pagarti le ferie? Farti scopare da un vecchio con i soldi che gli escono dal buco del culo per goderti il sole su un panfilo di cento metri, finendo su tutti i giornali?»

Eleonora non si mosse nemmeno, continuando a fissare Cristina come se avesse paura che, oltre a prenderla in giro, decidesse anche di picchiarla. La bionda, però, sembrava non aspettarsi una risposta, perché confessò con la massima naturalezza: «Io sì, cavalcare il suo cazzetto moscio e lasciarglielo mettere anche nel mio culo pur di poter vivere senza lavorare per il resto della mia esistenza lo farei senza fiatare. Sarebbe il mio sogno».

Miriam sembrò prendere la palla al balzo. «Beh, se non vuoi puntare direttamente ad un oligarca russo, Cristina, potresti andare a pasturare al Club Tlazo per cercare qualche attore o sportivo».

«Il… cosa?» domandò la bionda, improvvisamente interessata. «Aspetta… Tlazo… Intendi la discoteca aperta dal calciatore… come si chiama? Ji… Jiménez, giusto? Lo so perché ho sentito delle voci strane riguardo a quella discoteca… Sai…» aggiunse con un sorriso sornione e muovendo una mano come se stesse mescolando qualcosa di invisibile.

La rossa annuì. «Ho letto anch’io qualcosa sui siti di gossip, ma saranno quelle voci che i PR mettono in giro per fare pubblicità gratis ai loro clienti. Anche perché lo ha aperto con la Flores, quell’attrice che fa la vecchia contadina nella telenovela “Solchi d’amore”, e mi sembra tutto fuorché una che fa girare droga in una sua discoteca esclusiva per soli vip. Comunque, ci andiamo?»

Gli occhi di Cristina brillarono. «Senza dubbio!» esclamò, entusiasta all’idea. Poi non perse l’occasione di dare contro a Eleonora. «E tu, ti faresti scopare da Jiménez Eduardo? Fargli stringere le tue grosse bocce mentre sprofonda nella tua figa, ed ogni colpo sono due o tremila euro guadagnati in regali, gioielli, macchinoni?»

Eleonora non rispose. Per lo meno, non subito. Per quanto non si interessasse di calcio e celebrità, sapeva benissimo chi fosse Jiménez. Era impossibile non conoscerlo, anche solo grazie alle sue amiche di università, che non perdevano occasione di parlarne, sia per i soldi che guadagnava, sia per quanto sembrava celasse nei suoi pantaloncini. Una sua compagna sosteneva che, quando Jiménez giocava, nella sua squadra c’erano ventitré gambe invece ventidue che si muovevano sul campo. “Ci staresti per i soldi o per il cazzo?”, si domandavano le sue amiche, scoppiando poi in una risata.

Clelia Flores, invece, Eleonora l’aveva vista nelle due o tre puntate della soap opera che aveva guardato, un’anziana che, sebbene nello spettacolo fosse il diavolo senza le corna, le sembrava la nonna che qualunque nipote avrebbe voluto, sempre intenta a dispensare sorrisi, carezze e a sfornare torte.

«Sì,» ammise Eleonora con una voce bassa, quasi colpevole. In realtà trovava Jiménez un bell’uomo, anche se non avesse avuto un conto corrente a otto o nove zeri o superdotato. Non le sarebbe dispiaciuto farsi cavalcare da lui, sebbene fosse sicura che, trovandoselo davanti, non avrebbe saputo fare nulla, bloccata dalla sua timidezza.

Ma poi, si chiese, come avrebbero potuto tre sciagurate, che si illudevano di pagarsi le vacanze in una delle mete turistiche più famose in Europa facendo venire gli uomini dentro o sopra di loro, entrare in un club esclusivo per vip?

«Non ci faranno comunque entrare,» aggiunse, come a vendicarsi per le angherie che quella zoccola bionda le aveva fatto subire negli ultimi giorni, «non siamo delle celebrità e non possediamo degli abiti adeguati a una serata di quel livello».

Subito se ne pentì, aspettandosi un rimbrotto da Cristina, ma Miriam le diede ragione.

«Io un vestito adatto ce l’ho, ma, da quello che ho visto quando disfaceva la valigia, lei no».

Cristina rimase un attimo in silenzio, poi ammise: «Nemmeno io, cazzo. Dobbiamo comprarne uno per me e uno per lei».

«Ma non abbiamo i soldi…» ricordò Eleonora, petulante.

«Ma abbiamo queste,» ribatté dura la bionda, stingendosi l’inguine. Poi scoppiò in una risata alla vista dell’espressione terrorizzata di Eleonora.

«Comunque, che cazzo significa “Tlazo”?» domandò Cristina, alzatasi in piedi e intenta a piegare il suo asciugamano per riporlo nella sacca.

Miriam le lanciò un’occhiata, allargando le braccia. «Sarà qualche esclamazione di gioia del Centro America,» tirò a indovinare.

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