Conflitti

Capitolo 1 - Conflitti 1 Lo scontro

geniodirazza
4 days ago

Conflitti 1

Passai dalla palestra ma neppure scesi dall’auto; uno squillo e il mio ragazzo fu lesto a scendere le scale e affacciarsi al finestrino dell’auto; lo feci salire e mi sbrigai a partire per il solito motel; erano ormai sei mesi e più che uscivo due volte al mese con questo ragazzo di venti anni, meno di mia figlia Ada che ne aveva ventitré e meno ancora di Mario, mio figlio, che ne aveva venticinque ed era sposato da tre con Marika, giovane avvocato brillante ed ambizioso.

Caratterialmente, erano il nostro ritratto; mia figlia assomigliava tutta a me, che riassumevo le caratteristiche della ninfomane rancorosa con il marito che si occupava solo di soldi e non mi rivolgeva più un complimento per errore; mio figlio invece era tutto suo padre, meticoloso, preciso, attento al lavoro ed alla progressione sociale; per questo, sapevo poco di Ada che forse usava la figa a piacimento, ma non aveva, come me, il vincolo matrimoniale a renderla puttana, mentre Mario era un libro aperto.

Per tutti gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza, mi ero preoccupata di educarli all’odio verso il padre, segnalandone pesantemente la ‘distrazione’ dagli affari familiari, preso com’era dal lavoro; ed ero riuscita ad allontanarli da lui perché fossero solo ‘cosa mia’ fedelissimi alla mamma e pronti a tutto per lei, ma altrettanto rancorosi col padre di cui non vedevano gli enormi sforzi per assicurargli vita serena, studi qualificati e risultati positivi.

A quel distanziamento acrimonioso ero arrivata istigata dai miei genitori che male vedevano il ‘piccolo ragioniere’ farsi largo nella società e raggiungere obiettivi da altri neppure sognati; col tempo, mi ero incancrenita nella violenza e negli ultimi due anni avevo cominciato a fargli le corna con sempre maggiore cattiveria e più dura convinzione; mentre parassitariamente sfruttavo la ricchezza che lui produceva, cercavo dovunque chi mi soddisfacesse a letto per il solo gusto di umiliarlo e offenderlo.

Anche le visite a quel motel erano strutturate per fargli tutto il male possibile; addirittura, le spese erano coperte da una carta di credito che mi aveva concesso e che usavo anche a sproposito, senza preoccuparmi se se ne rendesse conto; neppure mi sfiorava il dubbio che fare inviare le fatture alla società a cui la carta era intestata era pericoloso perché, come avrebbe dovuto essere evidente immediatamente, era mio marito che controllava quella società.

Ma la mia follia non aveva limiti; neppure mi resi conto che, col passare degli anni, i miei ‘ragazzi’ si erano smaliziati, avevano imparato a riconoscere il bene e il male, si erano presto convinti che era da papà che dipendevano totalmente, che lui si preoccupava delle cose veramente importanti, scuola e lavoro innanzitutto, e che la mamma invece si crogiolava nel suo parassitismo condito da una troiaggine che diventava sempre più evidente ed offensiva, per tutti tranne che per la mia vittima.

L’ultima mia ‘geniale invenzione’ era stata farmi assegnare un lavoro in un’azienda cittadina, ma solo perché ero diventata l’amante fissa del padrone che mi scopava ogni paio di settimane in albergo, ma soprattutto organizzava lunghi viaggi in cui gli facevo compagnia e passavamo settimane a girare il mondo e a scopare come scimmie; per onestà riconoscevo che non era gran che a letto; mio marito mi aveva dato, e ogni tanto mi dava, molto di più e di meglio; ma era umiliarlo che mi ingolosiva.

Per contrastare la sua arroganza e per arricchire il palco di corna del mio amato-odiato compagno di vita, ricorrevo a giovani quasi vergini che mi garantivano sedute straordinarie di sesso tempestoso; era esattamente la situazione in cui mi stavo immergendo e di cui ancora non ero annoiata, come spesso mi capitava coi miei capricci; il giovane stallone incontrato in palestra e ‘adottato’ immediatamente, da sei mesi, puntualmente mi faceva tornare a casa gongolante e con lo slip grondante di sborra.

Andai alla reception e chiesi la solita camera, ormai quasi mia per diritto; segnai il mio nome e quello del mio stallone, senza pensare a conseguenze; espletai le solite pratiche e feci spedire, come sempre, la ricevuta alla società; presi per i fianchi il ragazzo e mi diressi al primo piano, conoscendo perfettamente il percorso; anche quel corpo era ormai mio personale possesso e sapevo come baciarlo per sentire immediatamente il cazzo picchiarmi sulla figa, da sopra i vestiti, per cominciare ad eccitarmi.

Ormai i gesti seguivano un rito finanche monotono; sfilai il vestito, che si reggeva solo su due spalline, e lo lasciai scivolare a terra; restai in slip, avendo abbandonato altri indumenti; alle mutandine avevo deciso di non rinunciare mai perché, l’unica volta che ero venuta nuda sotto l’abito, al ritorno, dalla figa era debordata la sborrata che, per abitudine, lui mi scaricava dentro poco prima di lasciare la camera; il vestito e il sedile dell’auto ne risentirono e decisi di usare sempre lo slip per contenere la fuoruscita.

Lui era stato altrettanto rapido a spogliarsi del jeans, della maglietta e delle scarpe ed ora mi stava davanti, splendido nella sua bellezza apollinea col corpo giovane segnato da una muscolatura tonica ma non di palestra, da un cazzo che, barzotto, valeva quanto quello di mio marito duro, da una bellezza quasi angelica per i riccioli biondi a circondare un viso regolare, gli occhi intensi e la bocca carnosa; lo abbracciai e lo avvolsi in un bacio lussurioso.

Ricambiò l‘abbraccio con la foga della giovane età e sentii la lingua invadermi la bocca, riempirla e perlustrarla tutta provocandomi intensa lussuria ed eccitazione notevole, testimoniata dai capezzoli che si erano fatti duri come chiodi; non avevo scopato molto, quella settimana, e la voglia era sicuramente tanta; accostai il pube al suo e appoggiai con una mano il cazzo alla figa facendolo strusciare sul clitoride che reagì da par suo provocandomi un leggero orgasmo.

Per un lungo tempo mi abbandonai al piacere di sentirmi manipolare da lui che mi divorava letteralmente la bocca e la lingua, succhiandola come un piccolo cazzo, mentre le mani artigliavano i glutei e strapazzavano le natiche; un dito scivolò verso l’ano e sentii la prima piccola penetrazione della serata; continuai a baciarlo abbandonandomi al languore che il piacere mi suggeriva; mi spinse seduta sul bordo del letto e mi intimò.

“Succhiamelo!”

Mi piaceva sentirlo autoritario e impositivo, specialmente se, dentro di me, lo confrontavo con la sdolcinata arrendevolezza di Oscar, mio marito, che si perdeva in lunghissime ed estenuanti sedute di preliminari leccando, carezzando, titillando ogni punto erogeno fino a farmi sentire esausta e svuotata di ogni forza, prima di decidersi a mettermi nel corpo la sua mazza che restava, imperterrita, dura come cemento anche per ore.

Presi in mano il cazzo che mi inteneriva per come, al tempo stesso, appariva fragile e delicato per rivelarsi poi duro e spietato quando sfondava; lungo almeno una ventina di centimetri, roseo del colore di un neonato, al centro leggermente incurvato verso l’alto, scappellato offriva un glande a fungo di impressionante spessore che amavo moltissimo sentirmi penetrare in bocca e forzarmi la gola fino al vomito.

Quando lo infilava in figa, dovevo prima lubrificarmi molto coi miei orgasmi, per non avvertire dolorosamente quella cappella violare il canale vaginale e penetrare fino in fondo, fino a colpire la cervice dell’utero; quando poi decideva di incularmi, la preparazione era assolutamente indispensabile perché, anche se avevo preso nel culo delle belle mazze, la sua mi premeva sempre sforzando lo sfintere ed io amavo sentire piacere senza dolore, come per anni mi aveva abituato Oscar.

Accolsi molto volentieri la mazza dura e la presi a due mani, una per reggere i coglioni grossi e gonfi, forse di sborra e di voglia; l’altra per masturbare l’asta tenendola ritta sul ventre; le smorfie di piacere che leggevo sul viso deformato dalla libidine mi suggerivano i movimenti per farlo godere al massimo; appoggiai la lingua sul meato ed avvertii il sapore noto del precum che urgeva; strinsi le labbra e spinsi per farmi stuprare la bocca come una figa vergine.

Con la lingua lo feci scivolare sulle gote e, strusciando la cappella sul palato, spinsi verso l’ugola per ingoiarne al massimo; mi scopò per qualche momento nella bocca e dovetti frenare la mazza fuori dalle labbra per impedirgli di spingere fino a soffocarmi; mi dilettai per un tempo lunghissimo a scoparmi in gola col movimento della testa e, soprattutto, con un lavoro di lingua che ricoprì la mazza di saliva e la fece scivolare in fondo, finché riuscii un paio di volte a toccare con le labbra la peluria del pube.

Lui mi penetrò con violenza in gola, facendomi salivare fino a gocciolare fuori dalla bocca e spingendomi il cazzo fino a darmi conati di vomito e sensazioni di soffocamento; per un tempo infinito mi scopò in bocca e lo succhiai con passione; poi decise di fermarsi, sfilò il cazzo, mi sollevò per i piedi e si inginocchiò accanto al letto con la bocca impiantata direttamente sulla figa; cominciò un cunnilinguo che per esperienza sapevo lungo e dolcissimo.

Come ormai era quasi rituale, cominciò a leccarmi il ventre tutto, soffermandosi sull’ombelico con cui giocava volentieri, per passare lentamente sul monte di venere e aggredire la figa; prima leccò amorosamente le grandi labbra, poi le aprì con le dita e passò alle piccole labbra; le titillò con la punta della lingua e affrontò il clitoride che si era rizzato per effetto della stimolazione; catturatolo con il pollice e con l’indice, lo strofinò a lungo finché urlai per la sborrata.

Poi appoggiò le labbra e lo succhiò a lungo, beandosi degli umori di orgasmo che sgorgavano dalla vagina; con l’abilità che conoscevo e che gli avevo suggerito, forte dell’insegnamento di Oscar in queste cose autentico maestro, lo prese delicatamente fra i denti e cominciò un’altra stimolazione, un poco più aggressiva, che mi inondò di piacere, scaricato in un nuovo orgasmo che bevve come un assetato.

Fui io a quel punto che lo spinsi supino sul letto, gli montai sopra a sessantanove e lo ‘obbligai’ a continuare a leccarmi mentre io prendevo in bocca il cazzo; poiché avevamo già praticato quella soluzione, lo fermavo stringendogli la testa tra le cosce, quando preferivo essere io a lavorarmi il cazzo dai coglioni alla cappella e scoparmi in bocca con tutta la mazza, fino ai peli; lo lasciavo fare quando preferivo che fosse lui a leccarmi culo e figa, che gli si aprivano davanti come paesaggi di paradiso.

Mi bloccò autorevolmente quando si rese conto che rischiava una sborrata precoce; si sfilò da sotto a me e mi lasciò carponi sul letto; si sistemò alle mie spalle e cominciò a succhiare e leccare, stavolta da dietro, tutto l’apparato sessuale offerto, anzi spalancato, davanti al suo sguardo e alla sua bocca; a spatolate larghe, percorse infinite volte il perineo, dalla figa al culo e viceversa, strappandomi orgasmi quando si tratteneva con la lingua in uno dei buchi.

La dolcezza della lingua che accarezzava la pelle mi fece abbandonare languida al piacere immenso che la pratica mi dava; sentivo intanto che, per dare forza alla scopata, mi stringeva i capezzoli e scosse di piacere si aggiungevano ai brividi che venivano dalla bocca che tormentava il sesso; conoscendo i ritmi del mio amante provvisorio, avvertii quasi in anticipo il movimento del corpo che si appoggiava al culo e la mazza che penetrava in figa, a pecorina.

Nel silenzio generale si udiva solo lo sciaff tipico del ventre che sbatteva contro il culo e mi sentii profondamente riempita perché il ragazzo spingeva come se dovesse far entrare in figa anche i coglioni; aiutava le spinte afferrandomi i lombi o i seni che pendevano, per gravità; piacere si aggiungeva a piacere; andò avanti a lungo; sapevo per esperienza che, quando si impegnava, aveva una gran bella resistenza; e quella sera si impegnava davvero allo spasimo.

Mi scopò da quella posizione, poi mi rovesciò su un fianco e continuò a pompare in figa; sentivo l’utero maltrattato dalle spinte della cappella contro la cervice, tutto il pacco intestinale spostato quasi verso lo stomaco; ma le sensazioni erano di piacere intenso, di orgasmo continuo e di sborrate che punteggiavano l’assalto; sembrava irrefrenabile, il ragazzo, ed io mi perdevo appassionatamente nella scopata più bella e lunga che ricordassi.

Quando ritenne di avermi smantellato abbastanza le reni con la lunghissima monta in figa, sentii con dolore che si sfilava, si allungava verso il comodino e prelevava il tubetto di gel che avevo appoggiato; secondo copione, quasi, adesso era il momento della più saporita e lunga inculata che potessi desiderare; con la punta del cazzo raccolse dalla figa abbondanti umori e li trasferì al buco del culo; ripeté l’operazione con un dito e lo infilò profondamente nel retto che lo accolse quasi deridendolo per la pochezza.

Le dita diventarono due e si aprirono a ventaglio ruotando; lo sfintere cedette immediatamente la sua elasticità; per infilare tre dita e poi quattro, a cuneo, e farle ruotare, versò un poco di gel e mi sentii aprire il culo fino al dolore; poi avvertii la cappella che passava l’ano e si spingeva in fondo nell’intestino; il ritmo classico dell’inculata da dietro mi prese e spinsi in direzione contraria per sentire il ventre fin sull’ano, tra le chiappe spalancate.

Mi montò così per un poco e godevamo entrambi mentre la mazza entrava in profondità, finché i coglioni picchiavano sulla figa, poi si ritirava fin quasi ad uscire completamente e, con un colpo secco o con una lenta progressione, rientrava dentro portando libidine e piacere; eravamo entrambi presi dalla passione del culo e godevamo infinitamente; amavamo molti, entrambi, l’inculata e il ragazzo mi fece percorrere tutta la gamma delle ipotesi.

Prima fu la volta della penetrazione da dietro classica, io carponi e lui inginocchiato; poi mi fece crollare su un fianco, mi sollevò in alto la gamba libera e continuò imperterrito a pompare nel culo; intanto, una mano passava davanti e raggiungeva la figa che masturbava sapientemente; la seconda cavalcata in culo mi deliziò moltissimo; mi fece rotolare sull’altro fianco e riprese la spinta dalla nuova posizione; mi abbandonai e godevo da matti.

Fu una pratica lunga, quella nel culo; dopo forse un’ora il cazzo scivolava liberamente e indifferentemente in figa o nel culo, che si era assuefatto alla mazza ed ora la desiderava sempre più a fondo; mi chiese in un soffio di voce se poteva sborrare dentro; gli dissi senz’altro di sì e finalmente gli spruzzi di una sborrata lunga e sapida mi colpirono con sferzate all’interno del ventre; ad ogni spruzzo corrispose un mio orgasmo e mi sentii vuota, alla fine, mentre crollavo sul letto inchiodata col cazzo nel culo.

Quando l’asta si svuotò e si ridusse di volume, delicatamente la lasciò scivolare fuori e sentii la sua sborra che scorreva dal culo sulle lenzuola; ci accarezzammo con dolcezza e restammo per qualche minuto immobili a riprendere vigore; appoggiai la testa sullo stomaco e titillavo con la lingua, delicatamente, il cazzo barzotto, in attesa che riprendesse energia e mi sfondasse ancora; nella calma del momento, mi riprese la rabbia contro mio marito.

Aurelio, il mio amante primario, tra l’altro anche mio datore di lavoro, mi aveva annunciato che alla fine della settimana seguente saremmo partiti, ufficialmente, per un giro di fabbriche analoghe e parallele; in realtà, per prenderci una bella vacanza in diverse località, da quelle sui monti più alti a quelle in riva al mare, dalle città d’arte famose ai borghi affascinanti sparsi lungo il territorio; l‘obiettivo primario, ovviamente, era scopare senza limiti quanto più a lungo possibile, anche un mese e più.

Sapevo che Oscar non avrebbe fatto obiezioni; a parte il fatto che il viaggio era ben motivato, vista l’abitudine acquisita dal mio amante a portarmi con se in viaggi che definiva ‘di lavoro’; ormai era subentrata in mio marito un’indifferenza che non sapevo a cosa attribuire; scartando l’ipotesi di un’altra donna, per la quale lo ritenevo inetto, non restava che pensare a rassegnazione da cornuto contento o ad una tendenza omosessuale emersa nel tempo.

Nel mio vocabolario solo le mie verità erano possibili; le altre neppure potevano ipotizzarsi; per questo, mi andavo convincendo che una volta almeno dovevo costringere mio marito ad assistere ad una mia scopata nel letto di casa; per dare più sapore alla cosa, sognavo di ammanettarlo sulla poltrona ai piedi del letto, applicargli una gabbietta di castità e costringerlo ad assistere alle più belle evoluzioni di cui ero capace su una mazza extra large.

A questo scopo, avevo comprato per via telematica l’occorrente e accarezzavo, quasi sognando, l’idea di vedere il gigante atterrato dalla femminuccia; il punto più difficile era bloccargli le mani con le manette; il resto poteva scivolare facilmente; ma ero certa che con qualche falsa moina potevo farcela; per mettere in atto il piano, pensavo di utilizzare la vigilia della partenza con Aurelio; l’assenza avrebbe dato a lui modo di assorbire il colpo, se non fosse stato arrendevole e partecipe come speravo.

Abbandonai i pensieri di lotta impegnativi e tornai a dedicarmi al giovane stallone che ormai aveva recuperato le energie ed era pronto a dare vita ad una nuova fase di quella grande scopata; mi stesi supina al centro del letto e lo invitai a sedere sullo stomaco, col cazzo piantato tra i seni; abituato ormai ai capricci della ‘signora’, il caprone non ebbe bisogno di ulteriori indicazioni e si preparò alla ‘spagnola con pompino’ che già aveva avuto modo di sperimentare con gusto.

Appoggiò tra i seni il cazzo, di nuovo duro e ancora viscido del gel dell’inculata; raccolsi le mammelle, che per la posizione si erano leggermente appoggiate ai lati, e le portai a stringere in una dolce morsa di soffice carne la mazza che reagì inalberandosi; stringevo i globi intorno al cazzo e mi titillavo i capezzoli; il ragazzo si spingeva in avanti col corpo e faceva scivolare il cazzo tra i seni, fino a toccare con il glande il mento; piegai la testa, tirai fuori la lingua e lambii il meato.

Trovammo istintivamente la coordinazione; mentre lui spingeva il corpo intero a scivolare su me e portare il cazzo alla bocca, io piegavo la testa, con sacrificio della cervicale, e facevo in modo da ricevere in bocca almeno l’intera cappella; intanto, mi strofinavo tra le dita i capezzoli e mi procuravo un ininterrotto ed intenso piacere che più volte culminò in sborrate di media forza; non ci mise molto, il ragazzo, ad avvertire che la sborrata gli premeva dalla prostata; frenammo il giochetto a ritardare l’orgasmo.

Passammo sollazzandoci con il sesso tutto il pomeriggio fino a sera; il giovane stallone mi titillò e mi scopò a lungo in ogni modo, mettendo in pratica tutto quanto aveva appreso in quei mesi; passò la mazza sulla pelle di tutto il corpo; mi riempì più volte tutti i buchi, culo figa e bocca, mi sditalinò a lungo e mi fece il classico ‘pigiama di saliva’ leccando ogni punto, dai capelli alla punta dei piedi; non me ne stetti ferma a farmi scopare ma manipolai, leccai, succhiai, morsi, presi in ogni buco il cazzo ritto.

Alla fine della performance, non ero in grado di dire quante volte avessi sborrato; moltissime, senza dubbio, di cui almeno una decina ad alto tasso di libidine, con urla disumane di piacere; lui limitò le sue a tre, con eiaculazione, la prima nel culo, la seconda nella gola, dopo un pompino durato un tempo interminabile, e l’ultima in figa quando mi scopò alla missionaria, proprio al momento di uscire dalla camera perché mi piaceva portarmi a casa la sborra in figa, forse in spregio al cornuto mio marito.

Negli ultimi mesi, infatti, non mi ero più preoccupata di nascondere le condizioni in cui rientravo in casa dopo le lunghe sedute di sesso, sia col mio amante fisso e datore di lavoro sia con i personaggi occasionali dai quali elemosinavo ancora un poco di illusoria giovinezza, scopandomi ragazzi addirittura più giovani dei miei figli, senza preoccuparmi di un’opinione corrente che ormai mi classificava puttana e ninfomane, quanto meno bisognosa di assistenza se non da condannare.

Fibrillai per tutto il tempo che mi separava dal ‘grande momento’; Aurelio aveva stabilito che il venerdì, dopo pranzo, saremmo partiti in macchina per la ‘grande vacanza’; decisi allora che il ‘momento della verità’ sarebbe stato il giovedì sera, quando Oscar fosse tornato dall’ufficio, subito dopo cena; organizzai accuratamente tutte le mie cose e mi preparai alla manfrina per convincere mio marito a farsi ammanettare e ad ad essere spettatore dell’incontro con un ragazzo mulatto, a me già noto, fornito di un gran bel cazzo.