Il destino di cornuto

Capitolo 1 - Il destino di cornuto 1 Le umiliazioni di Titti

geniodirazza
15 days ago

Il destino di cornuto 1

Avevo poco più di vent’anni, quando decisi di trasferirmi in città con Franco, il mio amico più caro al quale avevo dato la vagina non molto più di quanto l’avevo data, a partire dai miei sedici, a tutti gli amici del ‘giro’ e a qualche sconosciuto; lui sapeva che non provavo nessuna particolare emozione nei suoi confronti, perché la ‘liberissima Titti’ non si piegava a nessuno, ma difendeva il suo diritto a copulare con chi le piacesse senza limiti o ragioni.

L’unico motivo per cui decisi di andare via con lui, in una sorta di ‘fuitina’ che ancora si facevano a quel tempo, fu la certezza che, di pochi anni più grande di me ma già laureato in Economia, aveva iniziato a lavorare in un’azienda della città con un ruolo di piccolo dirigente ed ampie prospettive di crescita; io trovai abbastanza agevolmente un posto da sua segretaria.

I due stipendi ci assicuravano un livello medio - alto di sopravvivenza, con la tacita intesa che il mio contributo al menage fosse limitato al mio salario; affittammo un appartamento ampio e ci vivevamo da pascià; sinceramente, non sapevo e non mi curavo di sapere se Franco sapesse che copulavo assai liberamente come avevo fatto sempre, scegliendo gli amanti tra gli habitué del bar che frequentavo, tra i lavoratori dell’azienda e tra gli amici comuni.

Ero certa della sua estrema buonafede, perché Franco era quel che al paese si definiva ‘tre volte buono, quindi sciocco’; cercavo di non fargli pesare quella subordinazione alle mie voglie, ma, man mano che il tempo passava e lui scalava la carriera, lo trovavo sempre meno gradevole e cominciai a provare un serio rancore per trovarmi puntualmente ad essere ‘la segretaria’, quindi subalterna.

Nel corso degli anni, accentuai sempre più la mia tigna a volerlo vedere schiavo del mio piacere e cercai tutti i percorsi per sbattergli in faccia le corna che gli facevo puntualmente provocando gli amici più vicini a noi due e copulandoci come non ci fosse un domani; a lui concedevo l’amplesso del sabato senza alcun sentimento o gesto di amore da parte mia mentre lui continuava a dichiararsi innamorato e incapace di fare sesso senza amore.

La conseguenza fu che passarono molti anni, venti alla fine, senza che ci schiodassimo da quella condizione di ambiguità per cui non sapevo se fosse un cornuto contento, un omosessuale o un imbecille; era la gallina dalle uova d’oro; non pensavo di lasciarlo o di farmi lasciare e mi cullavo nella mia libidinosa ninfomania godendo ad osservare i suoi patetici tentativi di stimolarmi un sentimento che non mi riusciva di provare, dominata com’ero dalla tigna e dal desiderio di umiliarlo.

La volta che un altro giovane dirigente mi provocò qualche emozione violenta, scoprii che era sposato e fedele alla moglie; volendo, potevo farci sesso come mi pareva ma di divorzio non avrebbe mai voluto parlare; mi trovai d’accordo e decisi che potevo anche permettermi, col compagno che mi trovavo a fianco, il lusso di un amante fisso da alternare con eventuali occasionali incontri a cui ero abituata.

Incontravo il ‘cornuto’, come ormai era diventato per me Franco, solo sporadicamente a casa, talvolta a cena, perché mi aveva ‘spostato’ all’ufficio del mio amante ed aveva assegnato il mio posto a Loredana, una bellissima ragazza sua amica e mia coetanea, di cui sapevo solo che era una single convinta e non avrebbe mai accettato il punto di vista del mio compagno, monogamo e religiosamente fedele.

Finimmo per perderci completamente di vista; passavo le serate e talvolta le notti in giro per fornicare e non mi preoccupavo di controllare se Franco frequentasse regolarmente la nostra abitazione; comunque, le incombenze ordinarie, dalle lavatrici alla spesa per gli alimenti, erano di mia competenza e da quelle sapevo che ancora eravamo compagni di vita; mi sorprendeva molto la sinecura con cui viveva la distanza da me ma non azzardavo porre domande per non essere costretta a dare spiegazioni.

Una sola volta ebbi la sensazione di essere osservata e forse controllata; poiché riconobbi nell’uomo che mi spiava un addetto alla sicurezza che dipendeva direttamente dal mio compagno, capii che, nonostante tutto, era attento alle corna; quasi inevitabilmente, decisi di fargli avere un resoconto succoso delle mie ‘trasgressioni’; forse, secondo me, lo avrebbe usato per darsi qualche piacere solitario più ricco ed affascinante.

Uscita dalla fabbrica, individuai subito il mio ‘spione’; salii sulla macchina del collega nella maniera più esibizionistica che potevo; controllai dallo specchietto che l’altro ci seguisse con la sua auto e convinsi il mio amante ad andare in un motel lungo la statale dove già eravamo stati altre volte; mi accertai che il ‘controllore’ avesse parcheggiato, in posizione più defilata, nello stesso piazzale del motel, e mi avviai all’ingresso; feci svolazzare la minigonna quasi per salutarlo e suggerirgli di aspettare.

Appena fummo in camera, non gli diedi scampo e lo avvolsi in un bacio di estrema sensualità; mi aprì il vestito e fece emergere il seno pieno e maturo, una terza taglia abbondante, i fianchi arrotondati e ben delineati da una vita ‘da vespa’, il ventre piatto e le gambe statuarie.

Nell’abbraccio, spinsi il pube sul ventre e sentii la mazza ergersi prepotente contro la vulva già grondante per l’emozione della novità; intuii un bastone non indifferente, forse di stazza minore di quello a cui ero abituata quotidianamente, ma certamente degno di attenzione; restava solo da verificare la capacità dell’amante occasionale di utilizzare la sua dotazione per darmi il piacere che mi aspettavo da quella trasgressione.

Lo spinsi contro la parete e gli sfilai dalla testa la maglia, mettendo in luce un torace solido e armonico; il ragazzo era ben tonico, forse abituato a tenersi in forma con un poco di palestra; mi abbassai a leccare e mordicchiare il torace e i capezzoli, che trovai particolarmente ricettivi; aprii la cintura e sbottonai i pantaloni; fatta scorrere la cerniera, potei abbassarli con un gesto deciso fin sotto le ginocchia; il fallo mi apparve sorprendendomi.

Come previsto, era di poco più piccolo di quello di Franco, ma era circonciso e con la cappella che si apriva superba a coprire l’asta; notai sulla punta un accenno di preorgasmo, segno che era particolarmente eccitato; mi augurai che non soffrisse di eiaculazione precoce; lo presi con la destra e accennai a masturbarlo dolcemente; con la sinistra, raccolsi i testicoli grossi come prugne e godetti intimamente a sentirli teneri e gonfi.

Il tipo, però, non accettava di essere manipolato come un oggetto sessuale; mi afferrò per i seni e mi fece alzare; si abbassò sui capezzoli e prese a succhiarli con devozione; intanto, teneva in mano le natiche stringendo la vulva contro il sesso piantato tra le cosce; scalciò via il pantalone, mi scostò, si sfilò calzini e scarpe, mi prese per mano e mi guidò verso il letto.

Mi fece sedere sul bordo e accostò al viso la mazza dura; tirai fuori la lingua e andai ad assaggiare la cappella e a raccogliere la goccia di precum; trovai che il sapore acidulo mi eccitava al limite della resistenza; spinsi per le natiche il ventre contro il viso, appoggiai le labbra strette e mi feci penetrare in bocca come se fosse una vagina particolarmente stretta; dai gemiti capivo che lui godeva molto per quella manovra; la ripetei più volte.

Poi spinsi la mazza in fondo, accompagnandola con la lingua che lambiva tutto, sbattei la punta verso il palato per farla discendere verso l’ugola e spaziare in tutta la cavità orale per deliziare la cappella e per godere di quel contatto che copriva tutti i punti sensibili; lui mi prese la testa e copulò con forza in bocca, spingendo l’asta fino al limite possibile della gola; si fermò perché lo frenai, non resistendo a conati e a sensazioni di soffocamento.

Feci appello a tutta l’esperienza maturata da adolescente e successivamente nei frequentissimi coiti orali che Franco mi chiedeva prima della penetrazione; riuscii immediatamente a sconvolgere la determinazione del mio amante e ad imporgli la fellazione che preferivo, tutta giochi di lingua lungo la mazza, fino ai testicoli, succhiate profonde che tiravano su l’anima dal sesso e copule stratosferiche sulle gote e contro l’ugola; in breve, lo sentii urlare di piacere; mi fermai per non farlo eiaculare.

Era molto emotivo, il tipo, e rischiava orgasmi troppo veloci; ma con la mazza che si ritrovava e ben educato poteva essere un ottimo amante; mi proposi di svezzarlo e di goderci al massimo; non ritenevo di umiliare il mo coinquilino, mentre copulavo con l’altro, ma solo di mettere in pratica la libertà che da lui esigevo e che in quella seduta di solo sesso trovava la più gratificante soddisfazione.

Il collega mi sfilò il sesso dalla bocca, forse per non arrivare all’orgasmo, e mi spinse a salire ginocchioni sul letto, mi piegò carponi e prese a ricambiare la cortesia leccando la vagina da dietro; con larghe spatolate della lingua, percorse più volte il tratto dal monte di venere al coccige, insinuando ad ogni passaggio la lingua in vagina e ‘tastando’ l‘ano di cui avvertì immediata la sicura abitudine al rapporto per le condizioni delle pieghe che si aprivano alla lingua che penetrava.

Ero abituata ai lunghissimi preliminari di Franco che spesso esauriva la carica sessuale proprio in quelle pratiche; apprezzai comunque la prestazione del ragazzo che per più di un’ora si ‘perse’ tra leccate profonde, titillamenti e stimolazione con le dita; non contai gli orgasmi e lui riuscì a controllarsi fino a che, in una fellazione particolarmente ricca e sapiente, non resse e mi scaricò in gola una violenta esplosione di sperma che ricevetti con gioia ed ingoiai devotamente.

Si riprese assai più rapidamente di quanto avevo sperato; mi fece stendere supina al centro del letto, mi montò sopra e mi penetrò alla missionaria; lo accolsi con entusiasmo, seguendo con passione la penetrazione del sesso in vagina, centimetro per centimetro; per accentuare la fusione dei corpi, gli passai le gambe intorno ai fianchi e usai i piedi per spingerlo contro di me; capii che era assai profondamente immerso nella vagina quando i testicoli colpirono l’ano fremente.

La copula durò a lungo; io ebbi una serie di orgasmi squassanti mentre lui mi sfondava da sopra o di lato, sollevando la gamba libera mentre mi penetrava; quando mi dispose a pecorina e mi sbatté in corpo la mazza, ritrovai il piacere mentale dello ‘sciaff’ del ventre contro le natiche e mi esaltai, implorandolo di spingere, di possedermi, di farmi sentire nello stomaco la mazza.

Affascinato dal mio sedere, mentre possedeva la vagina da dietro, lui spostò un poco la cappella verso l’alto e fece sentire la punta sull’ano; lo fermai, prelevai dal comodino il tubetto di gel e glielo passai; felicissimo, mi unse abbondantemente il foro e, con un dito, il canale rettale; infilò più dita e le ruotò, per abituarmi; ma ero ben avvezza a ricevere nel retto la mazza dei miei amanti e non feci una piega.

Quando lui spinse il fallo nell’intestino, mi limitai a godermelo lussuriosamente e a catturarlo coi muscoli anali per ‘succhiarlo’ fino a farlo eiaculare; non ci volle molto, abituata com’ero a quella pratica; il ragazzo si trovò di colpo, suo malgrado, a scaricare nell’intestino la più grossa eiaculazione che ricordasse; accolsi lo sperma con gioia e mi rammaricai solo di non potere assistere allo spruzzo, cosa che amavo particolarmente.

Passarono forse troppo in fretta le poche ore che avevamo a disposizione; uscendo dal motel, salutai con uno sberleffo i miei pedinatori e andai tronfia a casa, alla faccia del mio cornuto; nel corso degli anni, la scena si ripeté infinite volte; non mi presi mai la briga di manovrare per sottrarmi allo spionaggio degli uomini di Franco, perché ero ormai decisa a fargli sapere con chiarezza che ero padrona assoluta del mio sesso; a lui, concedevo l’elemosina del sabato sera senza nessun impegno; per tutto il tempo residuo, io ero mia e lui poteva solo assumere il ruolo che gli competeva di schiavo al servizio di una donna calda e desiderosa di trasgredire.

Non ebbi la forza morale, non capivo nemmeno io perché, di portarmi un amante nella nostra casa, nel nostro letto; per quell’oltraggio, in qualche modo definitivo, volevo qualcosa che gli restasse impresso per sempre nella memoria; se dovevo mettere a rischio la ‘gallina dalle uova d’oro’, in pratica l’uomo che mi garantiva benessere e ricchezza, volevo che fosse per qualcosa che valesse la pena.

Per le pratiche di ‘ordinaria amministrazione’, copule senza limiti, dalle sveltine nei bagni ai soggiorni in hotel nei viaggi a bella posta inventati ‘per lavoro’ fino alle ammucchiate più terrificanti, per la mentalità del mio compagno, sapevo ormai che potevo impunemente fare quello che mi girava per la testa; e riprese video di cui avevo precisa coscienza potevano valere solo per lo stupido guardone che a casa aspettava me e le relazioni che i suoi incaricati gli facevano.

Venti anni sono decisamente lunghi e difficili da trascorrere, in una situazione di stallo come quella che avevo realizzato e in cui solo io godevo dei massimi vantaggi per il mio spirito libertino; Franco accettava, o sopportava, tutto con la massima indifferenza solo perché era ancora ‘tre volte buono, quindi sciocco’; se c’era in lui una vena di cornuto contento, di slave o anche addirittura di omosessuale latente, non mi aveva mai dato occasione di accorgermene; e, comunque, non mi interessava.

Si avvicinava il ventesimo anniversario di un avvenimento centrale alla nostra vita; io la consideravo e l’avevo sempre definita la nostra convivenza; Franco più volte, molto decisamente e talora con accesa rabbia, mi aveva fatto osservare che non avevamo condiviso niente, meno che mai il sesso, visto che lo davo a tutti senza discernimento ma lo lesinavo a lui; al massimo potevo parlare di parassitismo, visto che mi facevo mantenere squallidamente da lui.

Forse anche per rimbeccargli questa affermazione, decisi che avrei celebrato l’anniversario, quale che fosse, facendo l’ultimo gesto significativo del disprezzo nei suoi confronti, portarmi nel ‘talamo’ un giovane amante, calpestando l’ultimo tabù che gli era rimasto della sua cultura, per me cavernicola; non potevo sapere che stavo per smuovere un sasso da cui si sarebbe scatenata una valanga che avrebbe sommerso tutti, me per prima.

Individuai il ragazzo che mi andava a genio nel bar che frequentavo per soddisfare le mie voglie di sesso veloce e giovane, vale a dire le sveltine in bagno; sapevo che si chiamava Vittorio, che aveva venti anni, che si stava laureando in economia e che era fidanzato con una diciottenne di nome Ginevra, figlia di un piccolo imprenditore locale; dai loro battibecchi avevo dedotto che lei si era rifiutata di ‘dargliela’ se lui non decideva di andare a convivere.

Era manna dal cielo, per me che aspiravo a copulare con un giovane inesperto e assai voglioso; la mia bellezza matura lo avrebbe travolto e la mia esperienza nel sesso lo avrebbe sconvolto fino alla follia, se avessi avuto modo di godermelo alla grande; ci misi poco a concupirlo e a travolgerlo con il mio potere di seduzione; quando gli prospettai la possibilità, invece della solita sveltina, di fare l’amore alla grande in un vero letto, toccò il cielo con un dito.

Dieci minuti dopo era in macchina con me e ci dirigevamo a casa mia dove sapevo che Franco sarebbe tornato solo alquanto più tardi; appena entrata in camera, gli sfilai la maglietta e mi lanciai sui capezzoli, li succhiai da affamata, li morsi come per impossessarmene, li leccai con devozione; sentivo che il sesso vibrava; gli slacciai i pantaloni, abbassai i boxer e afferrai la mazza con voglia, con ansia, con libidine; lo accarezzavo su tutta l’asta e mi stringevo col corpo a lui, facendogli sentire il seno, il ventre, le cosce; titillavo il sesso con dolcezza; mi fermò la mano, mi bloccò, si piegò a liberarsi di pantalone e boxer; mi aprì la camicetta e sfilò il reggiseno.

Il seno ricco, carnale, quasi prepotente, gli esplose sul viso; afferrò un capezzolo tra le dita e lo sfregò lussuriosamente; vibrai di piacere; la mano scivolò verso il pube; mi sollevò la gonna, un dito si infilò nel perizoma e penetrò in vagina; sobbalzai di piacere e gemetti per un primo, improvviso orgasmo; abbassò la testa a succhiare i capezzoli, mentre mi masturbava sapientemente; mi limitavo ad accarezzarlo, con gli occhi al cielo, abbandonata alla libidine.

Mi ripresi per un attimo; lo spostai un poco; tenendo ben stretto in mano il suo fallo, che non avevo mollato, lo spinsi sul letto; per un’infinitesima frazione di tempo, mi sorpresi a pensare che quello era il talamo nuziale; non potevo essere più perfida, scegliendo il posto dove tradire il mio cornuto; perché accoppiarmi nel tempio dell’amore con il mio ideale di giovane amante era autentico tradimento; ma lui se l’era voluta ed io volevo essere me stessa.

Mi liberai velocemente dei vestiti e, tutta nuda, mi accoccolai prona accanto a lui; baciai dolcemente tutto il corpo, lo leccai e lo mordicchiai in ogni dove; sentivo una particolare passione per questo giovane uomo che riassumeva in se tutti i miei sogni, le mie illusioni, la mia sensibilità di donna e di amante; godevo infinitamente mentre lo assaporavo in ogni parte del corpo, specialmente sui capezzoli che titillavo con le mani e con la bocca strappandogli brividi di piacere.

Quando raggiunsi il sesso ritto come un palo, non mi preoccupai della mia abilità di fellatrice; non era farlo eiaculare, il mio obiettivo; volevo piuttosto sentire il gusto del sesso in ogni parte sensibile del corpo; leccavo tutto per assaporarlo, per farmi penetrare nelle fibre gli odori, i sapori, il gusto, il piacere di quel membro che adoravo come una divinità; quando lo sentivo rabbrividire, anche il mio corpo vibrava per nuovi piaceri.

Il mio giovane amante era in grado di cogliere questo mio desiderio e si lasciava possedere; poi allungò una mano al seno e mi titillò un capezzolo; avvertivo le fiumane di orgasmo che mi scorrevano dalla vagina; spostò la mano e la portò sulla vulva; accarezzò col dito le grandi e le piccole labbra, catturò il clitoride e lo stimolò provocandomi grossi e rumorosi orgasmi, perché gemevo in continuazione; mi prese per i fianchi e mi costrinse a spostare il ventre sul suo viso; cominciò a leccare lui il mio sesso.

Mi abbassai sulla mazza e la presi in bocca, la spinsi fino all’ugola; lo fermai e gli lasciai intendere che ‘uno per volta’ potevamo divorarci, ma facendo esplodere il piacere individuale; lasciavo che mi facesse sprofondare la lingua fino alla vagina, quasi all’utero, tanto era bravo; esplosi in un orgasmo; gli bloccai la testa e cominciai a succhiare io, con voluttà, con desiderio, con gioia; quando sentiva che l’orgasmo era troppo vicino, mi bloccava la testa e riprendeva a mordermi il clitoride.

Andammo avanti così, a lungo, succhiandoci il sesso alternativamente, mordicchiando, leccando fino a sentire la bocca indolenzita; mi staccai e lo scavalcai; mi distesi al suo fianco; ma non smettevamo di carezzarci e di baciarci a lungo; ci eravamo incontrati alle quattro e, alle sette, eravamo ancora sul letto ad amarci; mi aveva penetrato in vagina, con un’esplosione di piacere che non ricordavo uguale; mi era montato addosso e mi aveva fatto sentire la verga tra i seni, alla spagnola.

Mi aveva preso da dietro, a pecorina, facendomi sentire la mazza fin nello stomaco, ma non avevo avuto fastidi; mentre mi montava così, aveva giocato a lungo col mio ano; quando si era staccato, aveva ripreso a leccarlo, da dietro, infilandoci prima un dito poi gli altri, allargandolo; capito che voleva penetrarmi analmente, avevo preso dal bagno il lubrificante che usavo spesso e glielo avevo dato; senza bisogno di parole, mi aveva fatto sdraiare supina e mi aveva penetrato nel retto, dolcemente.

Non avevo mai vissuto con tanta gioia un amplesso; ed ero veramente felice di avere copulato con tanta energia, con tanto desiderio, con tanta dolcezza; ma prima o poi, dovevamo uscire; fui costretta ad avvertirlo che la realtà incalzava; aveva già avuto tre eiaculazioni, in bocca, in vagina e nel retto; ma non rinunciava ad un ultimo assalto in cui concedermi l’ultimo grande orgasmo di quella giornata; mi prese alla missionaria, immerso dentro di me con tutto il corpo, dal sesso che sprofondava fino all’utero agli arti che carezzavano i miei corrispondenti, dal ventre fuso col mio ai seni che schiacciava coi suoi; si fermò a godersi il calore del corpo per lunghissimi momenti.

Non avrebbe voluto più staccarsi ed io facevo tanta fatica a sollecitarlo, mentre avrei voluto assorbirlo in me e tenermelo forse per sempre; ero anche fortunata, mi trovai a pensare, che la giovane età gli consentisse prestazioni così lunghe e così intense con orgasmi strepitosi; io ero ormai stanca e dolorante, ma ancora vogliosissima e innamorata di quel corpo che sognavo di consumare; quando esplose nell’ultima, enorme eiaculazione, fui costretta a imporgli di porre fine.

Mentre ancora ci rotolavamo nel letto come se non ci dovesse essere più un domani, sentii che la porta si apriva e che Franco entrava in casa; riconobbi senza problemi i rumori di porte e il passo di lui che prima si accostò alla camera che avevo chiusa e poi si allontanò forse verso la cucina; mi fece rabbia la sua correttezza inalterabile, anche in presenza di un evidente caso di adulterio consumato nella nostra casa, nel nostro letto.