Le interpretazioni di Alba

Capitolo 1 - Le interpretazioni di Alba 1 La rivelazione dei tradimenti

geniodirazza
a month ago

Le interpretazioni di Alba 1

Eravamo in volo verso Gran Canaria, io, Alba, 37 anni, impiegata in una grande azienda nell’hinterland milanese, e mio marito Claudio, 40 anni, secondo dirigente della stessa azienda; eravamo sposati da 18 anni ed avevamo un figlio, Franco, che andava verso la maggiore età; apparentemente, eravamo una coppia serena e in pacifica armonia; mio marito, con l’impenetrabile aplomb di cui era capace, lo dava a vedere con tutti; e forse davvero ci credeva.

In realtà, quando mi conobbe, venti anni prima, avevo l’età che in quel momento aveva mio figlio e già ero fidanzata con Luigi, un ragazzo poco più grande di me, al quale avevo già dato tutte le verginità e con cui avevo avuto notevoli esperienze; Claudio, forse veramente del tutto ignaro e ingenuamente convinto della mia purezza e castità, si innamorò perdutamente e mi possedette quasi devotamente in tutti i buchi, senza mai dare la sensazione di capire che già avevo fatto quelle esperienze.

Per un perverso equivoco, supportato dai consigli perfidi delle amiche, mi innamorai di lui e decisi che sarebbe stato l’uomo della mia vita; ma che non avrei smesso di dare sesso ad altri, soprattutto a Luigi che restò sempre l’altro uomo, per me; in alcune occasioni, lungo gli anni di matrimonio, quando andavamo fuori per una lunga vacanza, sopperivo all’assenza delle copule con Luigi con quelle un poco più estemporanee con sconosciuti, soprattutto bagnini prestanti.

Mio marito Claudio sembrava non preoccuparsi dei miei eccessi; o forse mi faceva comodo pensare che sapesse e non si curasse delle corna che gli piantavo, metodicamente con l’amante fisso e casualmente con quelli che capitavano; perfidamente, mi ero radicata nella convinzione che a mio marito davo tutto l’amore di cui ero capace, e lo facevo davvero con tutta me stessa, ed agli altri davo il sesso che mi stimolava anche se lui era largo di attenzioni e di copule soddisfacenti.

In sostanza, mi piaceva e mi intrigava il doppio regime dell’amore in casa e del sesso fuori casa; lasciai scivolare gli anni in questa condizione e non mi preoccupai neppure di proteggermi nelle mie copule fuori dal matrimonio; la mia logica, incontrovertibile per me, era che, se davvero mi amava, doveva farlo anche con tutti i limiti e le deviazioni; non potevo consentire che diventasse talebano su sciocchezze come qualche copula per mio piacere.

Non affrontai con lui il tema neppure quando mi trovai incinta e non sapevo se il figlio fosse suo o del mio amante fisso, con cui copulavo spesso e senza precauzioni; nella mia perversione, il figlio che nasceva doveva essere mio e dell’uomo che se ne fosse occupato e gli avesse dato l’imprinting; le evidenze scientifiche e i certificati anagrafici dovevano essere solo l’attestato di quello che io dichiaravo e che mio marito doveva accettare come verità indiscutibile.

Mentre atterravamo, non pensavo affatto a valori morali o a riflessioni di razionalità, ma piuttosto mi giravano in testa i racconti che avevo sentito dalle amiche che avevano già fatto quell’esperienza, sulla facilità di incontrare in quei posti, di turismo anche sessuale, giovani possenti e pronti a soddisfare i bisogni sessuali delle turiste; mentre mio marito si guardava in giro per rendersi conto della logistica della sistemazione, io cercavo i bei ragazzi e li individuavo.

Dopo la sistemazione in camera, scesi immediatamente in spiaggia sfoggiando il mio più ardito e stuzzicante bikini, quello che risolveva tutto in pochi laccetti infilati tra le natiche, dietro, e nella vulva, davanti, mentre due francobolli coprivano a stento i capezzoli; mio marito mi guardava incredulo e accettava tutto col solito viso impenetrabile del funzionario abituato a trattative miliardarie; in compenso, gli occhi di tutti erano per il mio corpo.

Notai un giovane prestante che si era steso a poca distanza dai miei piedi, col corpo rivolto a me, ed esponeva una dotazione sicuramente di oltre una ventina di centimetri che ogni tanto accarezzava per spazzare via improbabili granelli di sabbia; era sicuramente straniero e non potevamo comunicare verbalmente, ma gli occhi dicevano tutto e, da sotto gli occhialoni da sole, gli trasmettevo il mio desiderio di possederlo almeno in via provvisoria.

L’occasione me la fornì praticamente mio marito, non so se per straordinaria coincidenza o, come preferivo pensare, per esplicita decisione di cornuto contento; si alzò dall’ombrellone e si diresse alla battigia per passeggiare come era suo costume; colsi a volo l’occasione meravigliosa che mi veniva offerta, mi alzai a mia volta e mi diressi alla fila delle cabine coi servizi alle mie spalle; il ragazzo intuì il mio cenno di invito e mi seguì.

Mi infilai in un bagno per disabili, che sapevo più ampio e meglio attrezzato, e lasciai la porta socchiusa; lo sconosciuto entrò, chiuse la porta dietro di sé e mi abbrancò per le natiche; sentii la sua lingua penetrarmi in bocca, perlustrarla tutta e scavare fino in fondo alla gola; le mani mi artigliarono le natiche e le strinsero con forza e libidine; il ventre si spinse contro il mio e, dal leggero costume, sentii la mazza stimolarmi il clitoride già immediatamente eccitato.

Mi sollazzò per qualche minuto, strusciando sulla mia la pelle di tutto il suo corpo; sapevamo che non avevamo molto tempo, perché i bagni potevano essere reclamati in qualunque momento; mi abbassai accosciata, gli sfilai il costume e portai alla luce il fallo lungo, come avevo pronosticato, quasi venticinque centimetri; lo leccai amorosamente dai testicoli alla punta e lo infilai con forza in bocca; godevo molto per gli umori che scorrevano via dallo slip del bikini, considerato che c’era solo un laccetto.

Non volevo che eiaculasse in bocca e mi alzai, trattenendo in mano e masturbando il sesso duro come acciaio; mi girai di spalle e mi abbassai a pecorina; guidai la punta alla vagina e mi sentiti squartare il ventre dalla mazza che entrò prepotente fino a picchiare contro la testa dell’utero; il piacere mi faceva gemere con forza e dovetti mordermi una mano per non urlare a tutta la spiaggia che stavo godendo; non dovette cavalcarmi molto; per la voglia, esplose subito in un grosso orgasmo.

Usai dei tovaglioli di servizio per pulirmi vulva e cosce sporcate dallo sperma scivolato fuori; poiché non sapevo neppure di che nazionalità fosse, cercai di fargli capire che la sera avremmo potuto vederci; era molto intuitivo e colse la cosa; gli feci appuntamento per le nove e gli indicai il numero della camera; avevo deciso che ci avrei copulato sotto gli occhi di mio marito, per arrivare finalmente a fare chiarezza e liberarmi dell’anonimato dell’amante clandestino.

Uscendo, trovai Claudio fermo davanti alla porta che ci squadrò come due bidoni di spazzatura; uscii dalle ambiguità e decisi di sfidarlo; se era un cornuto contento era l’ora di dichiararlo; se invece era proprio stupido e non si era accorto delle corna di venti anni, peggio per lui.

“Che hai da guardare? Dopo che per venti anni ho avuto un amante fisso e altri passeggeri, vieni a fare il talebano per una sveltina? La realtà è questa; sei cornuto, da prima che ci sposassimo; stasera questo ragazzo mi possiederà davanti a te e finalmente sarai il cornuto contento che non vuoi ammettere; se mi fossi sbagliata, farò i conti con te e con nostro figlio!”

Non abbozzò risposta e se ne andò; non mi si accostò per tutta la giornata; ma lo scontro mi aveva demoralizzata; pareva proprio che scoprisse la cosa come una novità e che fosse molto depresso dalla rivelazione; lo vedevo passeggiare a testa bassa, come oppresso da un grande peso, e mi commuovevo all’idea di avere distrutto le illusioni di chi mi aveva creduto pura e casta quando ci eravamo sposati; la tenerezza mi prese e lo accostai mentre passeggiava.

“Claudio, non te ne fare un cruccio; io ero già fidanzata con Luigi, quando ci conoscemmo, e lui mi aveva già avviato alle pratiche del sesso; ti ho amato e ti amo con tutta me stessa, ma il sesso è altra cosa; non riesci proprio ad accettare il mio punto di vista, che il sesso sia un’area di fattibilità e di provvisorietà mentre l’amore è il fulcro della stabilità, della famiglia, delle certezze? Perché non ti rassegni ad essere il mio amore anche quando faccio sesso con altri?”

Non riuscii a cavargli una parola dalla bocca; se ne stette in ostinato silenzio per tutto il tempo; quasi mi vergognavo di stare accanto a lui, così serio e compunto, col mio abbigliamento provocatorio; me ne andai sotto l’ombrellone e mi sdraiai a leggere un libro; per fortuna, il ragazzo con cui avevo copulato si era allontanato e non ci fu motivo per altri rimorsi; saltammo il pranzo, risolvendo con un panino e, verso le sette, cenammo perché ardevo dalla voglia di andare in camera.

Eravamo seduti sulle sdraio a guardare un insulso programma alla tv, quando il ragazzo bussò delicatamente alla porta; andai ad aprire, lo feci entrare e ‘sparai’ apertamente a mio marito.

“Se non l’avessi riconosciuto, questo ragazzo è quello con cui ho fatto sesso stamane; sono venuta a Gran Canaria perché sapevo che si fanno incontri memorabili; sono decisa a portarmi un ricordo meraviglioso; una copula ben fatta è l’ideale. I casi adesso sono due; se sei il cornuto contento che io penso, perché per vent’anni hai fatto finta di non sapere, ti metti su una sedia e stai a guardare mentre mi sbizzarrisco con questo stallone; dopo forse farò l’amore, bada darò amore non sesso, anche con te.

Se invece davvero sei il povero allocco che non si è accorto che avevo fatto sesso assai prima di conoscerti e che per vent’anni ho mantenuto un doppio regime di vita, amore a te e sesso agli atri, la decisione sarà solo tua; alla fine, se sceglierai la rottura del matrimonio, resterò con mio figlio e mi rifarò un’altra vita; tu andrai dove e con chi ti pare. Che decidi, cornutone mio?”

Non batté ciglio; prelevò le sue cose dai mobili dove le aveva sparse, uscì e sbatté la porta dietro di se; ormai però avevo saltato il fosso e decisi che potevo anche divertirmi, visto che la frittata era fatta; se conoscevo mio marito, avremmo avuto campo e tempo, tornati a casa, per riprendere il discorso e chiarire; se era la persona intelligente che io conoscevo, avrebbe accettato la mezzadria; forse avrei dovuto solo rinunciare a qualche libertà e discutere con lui i comportamenti futuri.

Intanto, mi scatenai con il forestiero; aveva indosso solo un pantaloncino e una maglietta; lo portai accanto al letto, gli sfilai gli indumenti e afferrai immediatamente il fallo duro come acciaio; stavolta avevo la possibilità di godere al massimo della copula e mi sedetti sul bordo del letto, lo attirai a me per le natiche e mi dedicai al sesso; leccai amorosamente tutto, dall’ano alla punta del fallo; mi sbizzarrii a lungo su tutta l’asta godendo dell’eccitazione che le mie linguate gli procuravano.

Presi in bocca i testicoli uno per volta e leccai; percorsi tutta l‘asta e la infilai in bocca, trattenendo in una sapiente masturbazione quanto restava fuori; tra risucchi e leccate attraversai tutta la bocca provando infiniti brividi di piacere e provocando a lui intense sferzate di lussuria; ogni volta che mi accorgevo che rischiava l’orgasmo, lo frenavo stringendo i testicoli e bloccando il piacere.

Stanco di farsi possedere, mi spinse supina sul letto e mi sfilò il pareo con cui mi ero coperta; si abbassò su di me e mi leccò appassionatamente la vulva fino a penetrare in vagina con la lingua; mi fece girare e mi leccò e succhiò da dietro, percorrendo tutto il sesso, dal pube all’osso sacro; ogni tanto penetrava in vagina o nell’ano e mi deliziava con lunghe succhiate e leccate; approfittando della mia posizione carponi, mi attirò verso il ventre e mi infilò la mazza, fino in fondo.

Urlai come un animale sacrificato, per il dolore ma soprattutto per il piacere che l’improvvisa violenta penetrazione mi aveva procurato; mi montò a lungo fermandosi spesso, con la mazza bene infitta nel ventre, e prolungò quanto possibile la copula; mi abbandonai a lui lussuriosamente e mi feci possedere come forse non era mai avvenuto; mi piaceva molto la mazza che spingeva il ventre fino a sbatterlo contro lo stomaco.

Intanto, mi aveva afferrato i seni e li usava per darsi l’abbrivio quando spingeva, mentre pollici e indici titillavano i capezzoli piacevolmente; ero fuori di me dal piacere e sentivo di avere pienamente realizzato il mio obiettivo di portarmi a casa, per ricordo, una copula stratosferica; mi montò per quasi un’ora, finché non resse alla voglia e mi scaricò nel ventre un’eiaculazione che sembrava non voler finire mai.

Ci abbattemmo sul letto quasi esausti e per qualche minuto restammo ansanti a prendere fiato; quando riprese a leccarmi amorosamente, da dietro, vulva e ano, soffermandosi volentieri sul buchetto e infilandoci progressivamente da uno a tre dita, capii che il suo obiettivo era una penetrazione anale che fosse più bella della copula in vagina; presi dal mobile il tubetto del lubrificante e glielo passai; capì che avevo voglia come lui.

Nell’ora successiva, si sbizzarrì col mio sedere penetrandovi da dietro, in piedi accanto al letto mentre carponi mi sporgevo verso di lui; mi fece rotolare sul letto e continuò a possedermi analmente a cucchiaio, da dietro, dall’alto; insomma, percorse tutte le possibili posizioni della penetrazione anale concedendomi straordinarie sensazioni di piacere; non potevo fare a meno di pensare a mio marito e alle limitazioni che voleva imporre al mio desiderio di libidine pura.

Era passata l’una quando mi resi conto che stavo impedendo a Claudio di riposare come era nelle sue abitudini; per non esagerare nell’oppressione che stavo esercitando sul suo orgoglio, suggerii al ragazzo di continuare la nostra performance in spiaggia; ci rivestimmo provvisoriamente e andammo a passeggiare sulla battigia; alla luce delle stelle, più volte mi possedette in vagina e nell’ano, stesi sulla sabbia umida; succhiai l’uccello così a lungo da farmi dolere le mascelle.

Decidemmo di assistere al sorgere del sole e fino alle sei di mattina non facemmo che copulare e amarci; il sole era già alto quando tornai nella camera ormai vuota e crollai sul letto dove dormii fino a mezzogiorno; quando mi svegliai, scesi nella hall con l’illusione di trovare mio marito pronto a dialogare per lasciarsi imporre il mio punto di vista; lo trovai vestito di tutto punto che sorbiva una bibita ad un tavolo; non mi lasciò tempo per parlare.

“Ho cambiato il biglietto aereo; parto questo pomeriggio; se hai tanta voglia di farti sbattere da caproni forestieri in questo hotel, la camera è stata già pagata; te la regalo; io torno a casa; però, prima di ogni cosa, devi firmarmi una liberatoria”

Poggiò sul tavolo un foglio già riempito; lessi che autorizzavo un’indagine sul DNA per accertare la compatibilità tra lui e mio figlio.

“Io non ti firmo un bel niente; forse Franco non è biologicamente tuo figlio perché, al tempo, copulavo indifferentemente con te e con Luigi; ma mio figlio è anche solo tuo perché, per diciassette anni, lo hai svezzato, allevato, educato, plasmato, fatto diventare tuo a tutti gli effetti; io non obbligo mio figlio ad affrontare l’incognita di una diversa paternità; il padre sei tu che lo hai vissuto, non uno che mi ha solo scopato!”

“Bene; avevo previsto questo rigurgito morale in una donna che la morale l’ha messa sotto i piedi; questa sei tu; le tue verità non si discutono e quelle degli altri non contano; lo hai fatto per vent’anni, figurati se non lo facevi adesso che ti senti trionfatrice! Purtroppo per te, ho già assunto le necessarie informazioni; lo sai bene che io sono meticoloso e razionale quanto tu sei avventuriera e illogica; mi basterà denunciarti per avermi affibbiato un bastardo come figlio per ottenere da un giudice l’imposizione a far effettuare l’analisi.

Se non lo fai, ti terrai il figlio come solo tuo; se lo facciamo, hai qualche remota probabilità che sia veramente mio figlio e dovrò accettare certe scelte del giudice per salvaguardare Franco; il pallino è a te; io domani faccio le mosse necessarie per affrontare la nuova situazione che mi hai prospettato; in ogni caso, hai distrutto il matrimonio, massacrato il mio amore e forse sconvolto anche il mio desiderio di paternità; grazie, carissima!”

“E’ mai possibile che non ti riesca di accettare nemmeno una volta che hai perso? Hai sposato una ragazza che credevi immacolata e che non lo era nemmeno di nome; ti ho fatto le corna metodicamente, settimanalmente, per venti anni e non ti arrendi; non sarebbe più facile accettare che ti ho amato, che ti amo e che ti amerò sempre ma che sento il bisogno di trasgredire alla tua metodicità dando in giro la vagina? Sei proprio prepotente!”

“Già! Lo racconta l’umiltà fatta donna che, venti anni dopo, mi comunica che sono un cornuto imbecille o, se preferisco, contento di esserlo. Questa cos’è? Democrazia? Concordia? Armonia? Hai scelto, deciso e imponi; e sono io il prepotente. Firmi o devo mettere le corna in piazza per cacciarti dalla mia vita?”

“Firmo, va bene, firmo; mi auguro solo che mio figlio sia anche tuo; non solo avrò il frutto di un amore che non vuoi neppure prendere in considerazione per qualche scopata fuori legge, ma sarai anche costretto a rivedere il tuo atteggiamento perentorio se vuoi ancora avere l’amore di tuo figlio!”

Sapevo di dire eresie; ma ormai ero in gioco e non avevo scampo; non pensai nemmeno per un attimo ad andare via con lui; non volevo uscire sconfitta dallo scontro decisivo della nostra vita; firmai e mi allontanai; solo allora mi accorsi che aveva già le sue valigie e che si dirigeva alla navetta che portava all’aeroporto; per tigna passai all’albergo la settimana programmata copulando talvolta con personaggi occasionali; sapevo che il matrimonio era finito e ritardavo, insieme al ritorno, le responsabilità.

Tornai a Milano convinta che in una settimana non fosse successo niente di irreparabile; nella mia presunzione arrogante, Claudio era tornato, aveva scoperto di essere padre genetico di Franco e aveva abbassato la cresta; avevo tentato sin dalla partenza di contattare mio marito, ma non mi era stato possibile, forse per difficoltà sulla linea; in Italia, il blocco della chiamata persisteva; chiamai mio figlio ma mi chiuse il telefono in faccia; con un tassì andai a casa tra mille timori.

La trovai stranamente vuota e, poiché era ora di pranzo, cercai di imbastire qualcosa da mangiare col niente che trovai in frigo e in dispensa; i primi dubbi che la casa fosse rimasta abbandonata mi soffocarono; solo il letto di Franco era disfatto perché non aveva mai provveduto a ravvivarlo; Claudio era certo che non avesse mai dormito nel nostro letto; ormai il terrore mi angosciava, perché mio marito non era raggiungibile e mio figlio mi sbatteva giù il telefono ad ogni chiamata.

Mi dedicai a sistemare le mie cose per riempire il tempo; di mio marito era sparito tutto, dalle stanze e dagli armadi; ormai era un fantasma passato e scomparso nel nulla; se aveva traslocato, l’unica spiegazione era che non fosse risultato padre di mio figlio e mi avesse lasciato; se la parte tignosa e prepotente di me si difendeva suggerendo che spettava a me rifarmi una vita, quella meno ottusa e innamorata di Claudio mi invogliava a piangere la morte del matrimonio.

Finalmente intorno alle sette di sera sentii la porta che si apriva e mio figlio entrò con un viso più nero del ciuffo di cui era orgoglioso; mi lanciai a braccia aperta per salutarlo; mi schivò e disse una frase che mi segnò come una frustata.

“Ah, la troia è qui!”

“Franco, che linguaggio è questo, con tua madre?”

“Perché cosa è una donna che per vent’anni rifila a suo marito un bastardo come figlio legittimo?

“Claudio ha avuto la certezza che non è tuo padre? Cosa è successo? Ti prego, posso accettare che sei imbestialito contro di me; ma, almeno cerca di farmi capire; non fare come mio marito che rimprovera e non cerca di dialogare.”

“Dovrei darti molte risposte ma poche basteranno a una che parla per enunciati categorici e dice che vuol capire ma non si sforza di capire; l’esame del DNA ha detto che non sono figlio di Claudio; non c’è, tra me e lui, nessun legame, né di sangue né giuridico; non esiste la valutazione morale che accampi tu; per la legge e per la realtà il tuo ex marito non ha responsabilità nei miei confronti; perciò Claudio ha chiesto la separazione; quindi sei una ex non una moglie; ti è chiaro, oca testarda?

Pertanto, lui se n’è andato via da te, da me, da questa città, dal suo lavoro; è emigrato, mamma; è andato quanto più lontano poteva; ha ragione quando dice che hai fatto piazza pulita della famiglia, dell’amore e della paternità; in un colpo solo hai distrutto amore, fiducia e convivenza; inutile che lo cerchi; non ti vuole più; ti basta questa come risposta o hai bisogno di altro?”

“Avrei bisogno di tante risposte, ma le può dare solo l’uomo che amo, se è disposto a parlare con me.”

“Perché non provi a parlarne col mio padre genetico?”

“Non serve a niente; ha negato ogni responsabilità; ha detto che, come ho tradito Claudio, posso avere tradito mille altri e fare il figlio con chiunque … “

“Perfetto, mamma! Anche in queste scelte dimostri chi sei!”

 

continua …

Argomenti