Farsi una famiglia

Capitolo 1 - Farsi una famiglia 1 L'incontro con Vittoria

geniodirazza
2 days ago

Farsi una famiglia 1

Ero decisamente una ragazza fortunata; i miei disponevano di una ricchezza notevole, in parte ereditata da mia madre, in  parte per il ruolo di mio padre in un’importante azienda; ma non erano in grado di proibirmi niente; l’unica cosa che erano riusciti ad inculcarmi, era un senso bigotto della religione e dei suoi principi, al punto di valutare manicheisticamente il bene ed il male come due realtà contrapposte tra le quali mi muovevo, con l’intemperanza, l’imprevedibilità e le oscillazioni proprie dell’età e del carattere.

Non fu affatto strano, quindi, che, in uno scorcio d’estate, mi lasciassi trasportare da una folata di passione e mi facessi sverginare da Elio, un impiegato di banca di belle speranze, nel quale mio padre Aldo vedeva un avvoltoio che aveva di mira la mia eredità piuttosto che il mio amore; si arrese però alle mie proclamazioni di grande passione e cedette quando comunicai che ci saremmo sposati in breve tempo.

Non gli restò che favorire anche le sue ambizioni, sfruttando il potere di cui godeva negli ambienti finanziari, ed esigere una cerimonia adeguata al suo livello sociale, contro il parere di mio marito che l’avrebbe voluta intima; secondo mio padre, si vergognava di presentare i suoi parenti ed amici in una cerimonia che per loro sarebbe risultata troppo impegnativa e per la quale non avevano neppure abiti adatti.

Elio non fece nessuna obiezione e, quando mio padre pretese il regime dei beni separati per evitare future pretese sul mio patrimonio, addirittura, rifiutò il lussuoso viaggio di nozze che i miei avevano programmato e mi propose, in alternativa, di ‘scomparire’ per qualche giorno e fare l’amore alla disperata nell’appartamentino che i miei avevano acquistato per me, nel solito regime di separazione.

In qualche modo, passarono sostanzialmente un paio di anni; Elio si avvalse della sua enorme qualità intellettuale, per percorrere in pochi mesi una rapida carriera; fu destinato ai rapporti internazionali della grande banca con cui lavorava e si dimostrò così valido da meritare per due anni consecutivi il titolo di migliore impiegato ed alcune promozioni che lo resero personaggio di spicco.

Il vero problema tra noi era il sesso; avere contravvenuto ai principi talebani ed essermi fatta sverginare rappresentava già un grave handicap per me; quando, in camera da letto, mio marito avanzò delle pretese che io consideravo immorali, sporche e antigieniche, si aprì tra noi due un baratro che niente riusciva a colmare; Elio decise di cercare altrove quello che io puntualmente gli negavo.

Tornare tardi la sera diventò un’abitudine; le scuse che accampava risultarono sempre più flebili fino a che raggiunsi l’inoppugnabile certezza che aveva delle amanti con le quali sfogava quelle voglie ‘perverse’ che io non accettavo nemmeno di prendere in considerazione; minacciai di chiedere il divorzio e di rovinarlo professionalmente, se non avesse smesso; ma Elio a sua volta continuava a chiedermi di cedere a rapporti orali o anali; ma mi rifiutavo ostinatamente persino di masturbarlo o di lasciarmi masturbare e non prendevo neppure in considerazione l’idea di farmi leccare intimamente.

Ormai al massimo punto di tensione, partì per una missione all’estero; fu in quell’occasione che incontrai un altro ragazzo, bello e prestante più di mio marito; per uno dei miei tanti repentini e ingiustificabili cambiamenti di atteggiamento, non solo gli cedetti ma gli concessi anche quello che, distruggendo il matrimonio, avevo sempre negato ad Elio; non mi chiesi neppure perché lo avessi fatto; semplicemente, scoprii un mondo diverso che mi catturava; mi rendevo conto dell’errore commesso, ma mi difendevo anche con me stessa attribuendone la colpa al coniuge legittimo; decisi di odiarlo di più e per sempre.

Non mi protessi nei rapporti; non lo avevo mai fatto e mio marito era stato sempre paziente ed attento per evitare una maternità prematura; con l’altro, di cui non ricordavo più neppure il nome, non feci niente per evitare che concludesse in vagina e mi trovassi incinta di colpo; quando la cosa fu comunicata ad Elio, prese la naturale decisione di chiedere il divorzio; non tornò più dalla missione e si stabilì in Sudamerica dove aveva costruito un suo personale impero, anche di sesso.

Libera da impacci, mi scatenai nella lussuria più sfrenata ed in pochi mesi contai quattro amanti diversi coi quali imparai a praticare tutte le forme di sesso possibili e immaginabili; un minimo di coscienza razionale suggeriva che solo io avevo colpa di quello che era avvenuto; l’ipocrisia borghese a cui mi ero abituata nella famiglia, mi indusse a dichiarare che la figlia che aspettavo era di mio marito.

Mio padre non aspettava altro, per avviare una pratica giudiziaria per punire il ‘colpevole’ nella maniera più sanguinosa; riuscì, con avvocati abilissimi, a farlo condannare a versarmi un congruo contributo per il mantenimento di mia figlia; ma ormai la condanna non gli pesava più di tanto; grazie alla sua abilità nel manovrare capitali, non suoi ma di ricchissimi speculatori, era ricco abbastanza, ovviamente favorito anche dal vivere in Sudamerica, vicino alle banche off shore più famose del mondo.

Gli anni scivolarono lenti e pigri; io mi trovai a scatenare la mia troiaggine in una libidine continuamente insoddisfatta; cambiavo amante più rapidamente di come alternassi i vestiti secondo le stagioni; imparai a godere da pazzi e a mandare in paradiso i miei amanti con pratiche sessuali, un tempo considerate peccaminose e sporche, nelle quali adesso ero diventata una maestra indiscussa; il pensiero di mio marito non mi sfiorò mai più; dimenticai persino il suo volto.

Non mi occupavo molto nemmeno di Vittoria, mia figlia, che fu allevata nel lusso e nelle concessioni che avevano già costruito la mia personalità; per effetto dei tempi mutati e delle diverse condizioni di crescita, imparò presto a gestirsi con intelligenza e con un senso della libertà molto oculato; era economicamente indipendente per il contributo che indebitamente incameravo dal mio ex marito; era totalmente libera e viveva lontano da me.

Quando toccai i quarant’anni, cominciai a rendermi conto che rischiavo una vecchiaia da sola e senza riferimenti, se non le copule sregolate e assurde che mi concedevo forse per riempire un grande vuoto di affetto che solo con Elio avevo visto alleviato; accettai allora di sposare un uomo assai più vecchio di me, amico di mio padre, vedovo da anni, che volle anche riconoscere come sua mia figlia Vittoria, che non si oppose quando le fu chiesto di assumere il nuovo cognome.

Aveva da tempo cominciato a girare il mondo, sia per lavoro, perché si occupava di import export con grande abilità, sia soprattutto per una sua fame di conoscenza che non sapevo da dove derivasse; in uno dei rarissimi momenti in cui ci trovammo a parlare di noi, riuscii a strapparle a malapena che non aveva preso niente dalla mia perversione, che aveva fatto qualche esperienza come tutti i giovani della sua età, ma sempre senza esagerare.

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Quando conobbi Nilde, avevo appena venti anni; da due lavoravo in banca e finalmente avevo l’autonomia economica per vivere per mio conto e non gravare sulla famiglia; non mi dispiaceva la vita in un ambiente piccolo borghese di tono non proprio modesto ma non elevato; ma essere autosufficiente era una sorta di ‘viatico’ alla crescita e alla prospettiva di farmi una mia famiglia; la ragazza di cui ero innamorato aveva invece tutte le stimmate della ricca spensierata e svagata, incapace di reggere un confronto serio su temi importanti, ma decisamente bella ed affascinante per eleganza, per qualità, per intelligenza.

Non si interessava ai grandi temi, ma alle grandi emozioni; un’educazione da baciapile la portava a dividere le cose categoricamente in bianco e nero; però spesso si lanciava su quelle ‘nere’ per un istintivo gusto del proibito; la prova la ebbi quando, dopo che ci eravamo frequentati per quasi tutta l’estate insieme agli altri, ci trovammo a passeggiare da soli, di sera, lungo la battigia; sdraiati su un pattino arenato, la baciai all’improvviso, rispose e sentii che ricambiava la passione.

A vent’anni, il momento propizio si coglie senza stare a pensarci; la sverginai a sorpresa, senza neppure essermi reso conto che per lei era la prima volta; subito dopo, ci chiarimmo e avvertii netto il senso di colpa che la opprimeva per il ‘peccato’ commesso e soprattutto per essere venuta meno ad uno dei principi di famiglia; suo padre, amministratore delegato di un’importante azienda e titolare di una fortuna enorme, si rivelò, com’era da aspettarsi, categorico e inflessibile.

Fissò senza esitazione la data del matrimonio e non mi restò che accettare, perché amavo Nilde, nonostante la sua ‘leggerezza’ che consideravo fresca ingenuità, e mi piaceva anche l’idea di mettere su famiglia al più presto; l’unica difficoltà era fare incontrare i miei con il corteggio dei suoi titolati parenti ed amici; si risolse con la grande nobiltà d’animo di mio padre e l’infinita dignità di mia madre che fecero brillare la loro onestà anche nello sfarzo delle cerimonie.

La brutta sorpresa venne durante la luna di miele; quando tentai di abbassarmi sulla vulva di mia moglie per un cunnilinguo, la vidi scattare come una molla e scappare dal letto matrimoniale; mai lei avrebbe consentito una pratica peccaminosa e contraria ad ogni norma, soprattutto di igiene; tentai delicatamente, con tutto il garbo possibile, di spiegare che il sesso era una parte fondamentale ed integrante dell’amore, ma non ci fu niente da fare.

Per qualche mese cercai di persuadere mia moglie ad informarsi, anche da altre persone in cui avesse fiducia, per conoscere i meccanismi che presiedevano ai rapporti tra coniugi; non ci fu verso di convincerla; mi rivolsi ad alcune colleghe, che conoscevo di costumi alquanto liberi, e cominciai a praticare con loro il sesso che a casa mi veniva negato; per giustificare le mie lunghe sedute dopo la chiusura d’ufficio, mi inventai tutte le scuse possibili.

Sapevo che era assurdo sperare che la cosa passasse inosservata per sempre; ma speravo che, continuando ad insistere con Nilde, perché abbandonasse quell’atteggiamento di integralismo becero e fuori tempo, risolvessimo la crisi coniugale; ottenni solo che si intestardisse nelle sue convinzioni ed arrivasse a negarsi totalmente e definitivamente; dopo pochi mesi, dormivo nel letto con una statua di ghiaccio; esasperato, chiesi ed ottenni di partire per una missione.

Infatti, in banca avevo avuto da sempre l’incarico dei rapporti con l’estero; dopo il matrimonio, mi impegnai allo spasimo e feci valere le mie qualità; nel periodo che durò il mio matrimonio, presi contatto con tutti i maggiori azionisti della banca, di cui curavo il portafoglio estero, con operazioni spesso ai bordi della legalità; questo mi assicurò fiducia e incarichi delicati.

Mentre ero in Sudamerica, mi arrivò la notizia che mia moglie era incinta; per certo, non potevo essere il padre; lo dissi a mia moglie per telefono; mi rispose che erano cavoli miei anche tutte le conseguenze; difatti, suo padre usò tutta la sua potenza e le sue conoscenze per farmi condannare, nella sentenza di separazione, a versare alla mia ex moglie un notevole assegno di contributo al mantenimento della figlia che doveva nascere.

Avrei ucciso con le mie mani Nilde che, dopo essersi proclamata ‘santa’, mi aveva tradito, si era fatta mettere incinta da chissà chi e alla fine scaricava su di me il peso della bambina; fortunatamente, per me e per lei, proprio in quella fase, misi a segno alcuni grossi colpi che resero l’assegno obbligatorio una spesa facile da sostenere; avevo a fianco un’indigena di rara bellezza e con lei scaricavo tutte le tensioni e le voglie sessuali; mi suggerì che la bambina non c’entrava; lasciai stare.

Non mi occupai più né di Nilde né di Vittoria per la quale fu sufficiente incaricare un mio fondo vitalizio di versare la cifra pattuita fino a quando fosse stato imposto dalla legge, forse fino alla maggiore età; mi dedicai totalmente a me stesso, vivendo una vita da nababbo resa agile e ricca di soddisfazioni dalle manovre fiscali che seguivo dal Costarica; avevo sempre numerose amanti tra le quali mi dividevo con impegno quasi metodico.

Curavo la mia persona praticando gli sport che amavo; acquistai una barca con cui navigavo i favolosi mari del sud; frequentavo la più alta società del mondo; cominciai ad acquisire immobili nelle grandi capitali dove trascorrevo brevi periodi in coincidenza con eventi mondani di lusso; facevo veramente la vita da ricchi che solo nei sogni è possibile; dentro di me, un vuoto di affetto mi opprimeva; ma il ricordo della bestialità di mia moglie uccideva rimpianti, rimorsi ed emozioni.

A Madrid si teneva una manifestazione di moda; uno stilista spagnolo emergente mi aveva ‘imposto’ di essere presente; gli avevo risolto delicati casi di pratiche fiscali e ci teneva a farmi conoscere le donne più belle della serata, conoscendo la mia smania di incontrare bellezze da collezione da amare per una sera, da portare solo a cena o da conoscere semplicemente; non pensai neppure per un attimo di declinare l’invito e mi presentai al meglio del mio splendore; mentre mi lasciavo trasportare in giro a stringere la mano a donne a dir poco favolose, notai una ragazza assai giovane che mi intrigava non sapevo perché; me la presentarono come ‘Victoria’ ed io mi complimentai con lei in spagnolo.

“Bada che il mio nome è Vittoria e sono italiana!”

Le chiesi scusa per la gaffe e la invitai a bere con me; in dieci minuti avevo davanti la più intrigante, la più affascinante, la più desiderabile donna che mai avessi incrociato nella mia vita; non era la più bella, anche se era bellissima; faceva un lavoro di import export che non mi interessava per niente; non aveva nessuna delle caratteristiche per le quali normalmente decidevo per una serata da sogno, con o senza implicazioni passionali o amorose.

Eppure, mi sentivo attratto da lei come una mosca dal miele; non smettevo di guardarla e di sentirmi preso, cercai di trovare nella memoria qualcosa che la legasse al mio mondo, visto che la sua città di origine coincideva con la mia; ma il cognome mi era estraneo, il lavoro anche; insomma, non trovavo niente in comune su cui poggiare un dialogo parolaio e stupido come in tutte le conquiste a cui ero fin troppo abituato; ruppe lei l’imbarazzo.

“Senti, Elio; io qui mi annoio; non potremmo andarcene da qualche parte e parlare?”

Sentendo che rischiavo di innamorarmene, le obiettai.

“Vittoria, ti rendi conto che potrei essere tuo padre? Ho almeno il doppio della tua età e non vorrei avventurarmi in un equivoco che potrebbe farmi male … “

“Io non ho paura dell’età; sei un bell’uomo, mi piaci, ho voglia di parlare con te, non so neppure perché; ho voglia di farlo in un posto più intimo, più privato; non voglio concupirti né portarti in albergo, anche se non lo troverei nemmeno azzardato. Conosci un posto dove possiamo essere due amici che parlano al di là della differenza di età?”

“Vieni con me!”

Prendemmo i soprabiti e uscimmo quasi furtivamente dal lussuoso palazzo; le feci percorrere alcuni vicoli caratteristici, vuoti a quell’ora, e ci infilammo in una taverna dove facevano musica; ci sedemmo su due sgabelli rustici ed ordinammo delle ‘tapas’ per ascoltare un concerto di chitarre classiche; ad un passaggio più languido e struggente dei suoni, la sua mano si appoggiò sulla mia; la girai ed intrecciai le dita alle sue.

A mano a mano che la chitarra flamenca accentuava il dolore languido delle note, sentivo che mi stringeva con più forza e avvicinava il volto al mio, da sopra al tavolino rozzo; il bacio scattò senza che lo avessimo deciso; fu delicato, quasi una carezza lunga e lenta; la sua lingua guizzò rapida e dolce; ricambiai leccandole le labbra e i denti; improvvisamente il turbinio nella mia bocca si fece intenso, forte; le presi la testa e la baciai con passione; le lingue si intrecciarono e mi accorsi di essere terribilmente eccitato; riuscii a stento a staccarmi.

“Vittoria, non credi che ci stiamo spingendo troppo oltre?”

“Oltre cosa, Elio? E’ una serata come non ne ho conosciute, c’è una musica suggestiva, è un ambiente d’amore; è troppo sentirmi innamorata di te per questa sera?”

“No, il troppo è che anch’io mi sento innamorato e non solo per stasera; è come se ti conoscessi da una vita, ti aspettassi da sempre, ti volessi per l’eternità.”

“Bene; io provo la stessa cosa. Possiamo lasciare che gli eventi seguano un corso naturale?”

“Quando cominceremo a ragionare?”

“Quando sentiremo di essere vicini a quel discorso strano che fanno due che vogliono stare insieme in eterno.”

“Ci arriveremo?”

“Ci parleremo lungo il viaggio, chiaro e a lungo; quando ci accorgeremo di qualche incrinatura, prenderemo le precauzioni. E’ solo un’ora che ti conosco; possiamo almeno cominciare a parlare?”

“Dovrò dirti molte cose; qualcuna sarà anche brutta … “

“Elio, i casi sono due; o cominciamo a parlarci e seguiamo il cuore; oppure stiamo zitti, incartiamo questi momenti e li mettiamo nel cassetto dei ricordi … “

“Io non metto un bel niente nei ricordi. Parliamo, tantissimo; ma prima o poi voglio fare l’amore con te.”

“E per cosa credevi che ti lasciassi parlare, dopo averti sentito baciarmi? Delle tue donne mi parlerai dopo … “

“Non ho nessuna donna; se facciamo l’amore, non sarà solo per stasera.”

“Dove mi porti?”

Non le risposi; l’appartamento che avevo a Madrid era a pochi passi, ci andammo a piedi; ogni tanto mi fermava, mi abbracciava e mi baciava appassionatamente; la guardai interrogativo.

“Mi piace come mi baci; mi piace baciarti e sentirmi baciare. Ti da fastidio?”

La presi nella vita sottile e me la strinsi forte addosso schiacciando il seno prepotente contro il torace; spinse il pube contro il ventre e sentii che cercava il piacere contro l’osso pubico; feci scivolare le mani intrecciate sopra l’inguine e la carezzai da sopra al vestito; mi sussurrò.

“Continua ancora un poco, fammi godere un attimo!”

Mossi la mano e col dorso le strofinai l’inguine; mosse le dita e tastò il sesso duro da sopra il vestito.

“Continua, non ti fermare; sto per godere; vai fino in fondo. Siiiiii.”

Me lo sibilò in un orecchio, le presi le labbra e la tacitai con un bacio; sembrava singhiozzare dentro la mia bocca; i pochi passanti pensarono che stavo facendola piangere mentre la baciavo; lei stava scaricando il suo amore; mi affrettai a portarla a casa e l’accompagnai direttamente in camera; mi guardava sorpresa; le spiegai che quello era il mio alloggio a Madrid e che da quel momento poteva considerarlo il nostro rifugio d’amore; cominciò a spogliarmi ed io feci altrettanto.

In pochi minuti fummo nudi ed io non ebbi il tempo di fermarmi ad ammirare la sua meravigliosa figura; mi trascinò con se sul letto, mi avvolse i fianchi con le gambe e si penetrò, forse con dolore.

“E’ tutta la sera che spettavo solo questo; adesso prendimi; a fare l’amore ci penserai dopo; per ora fammi saziare di te!”

Fu l’amplesso più travolgente che avessi mai anche sognato; mi sentii preso in lei e sentii lei posseduta da me come se non avessimo desiderato altro per tutta la vita; la cavalcai da dominatore e mi lasciai montare da schiavo, cercando, regalando, scavando, inseguendo tutto l’amore che la passione ci poteva suggerire; tirai in lungo la copula finché tutto mi doleva; quando sentii che per la terza volta aveva urlato un orgasmo e m’imponeva di venire, scaricai tutto il piacere che avevo accumulato.

Mentre ci rilassavamo dopo il faticoso amplesso, mi dedicai finalmente a scoprire il suo corpo; ero stato tanto affascinato da lei, dalla sua personalità, dall’amore che mi ispirava, che quasi non avevo guardato la forma statuaria delle gambe lunghe, snelle ed elegantissime, la curva perfetta dei fianchi sodi e pieni, il seno rigoglioso e provocante che avevo appena sfiorato con le labbra e il viso dolce e femminile, che vagamente mi ricordava in qualche tratto Nilde.

Mentre passavo in rassegna le forme bellissime, mi colpi un piccolo tatuaggio, appena visibile, in cima alla vulva, che rappresentava una rosa rossa con foglie e spine; le chiesi come mai lo avesse in quel punto così segreto; mi confidò che da bambina aveva voluto imitare sua madre e se l’era fatto tatuare con tante urla di suo nonno.

“Per caso tua madre si chiama Nilde?”

“Si, come fai a saperlo? Ti sei informato?”

“Lei ti ha raccontato che se l’era fatto tatuare il giorno che si fece sverginare?”

“Cristo, come fai a saperlo? Ne dovrebbe essere al corrente solo mio padre che la sverginò!”

“L’uomo che la sverginò l’amava, ma non è tuo padre … Ascolta, Vittoria, ufficialmente tu sei mia figlia, perché questo ha dichiarato tua madre per non far scoprire a tuo nonno che mi aveva tradito; in realtà, non ho rapporti di sangue con te, tranne essere stato per qualche mese marito di tua madre e poi vittima delle sue corna e delle sue pretese economiche. Domani andiamo in un buon laboratorio e facciamo il test del DNA; non vorrei avere commesso un incesto; ma so per certo che non sono stato io ad ingravidarla e posso amarti come sento di farlo adesso.”

Stava piangendo e non potevo fare niente per calmarla; quando si fu alquanto acquietata, cercai di riprendere il discorso.

“Adesso che succede? Se sei mio padre, è terribile; se non lo sei, e voglio che non lo sia, come ci comportiamo?”

“Vittoria domani mattina comincia la nostra nuova vita; tu continui a lavorare nel tuo mestiere, ma avrai il mio appoggio incondizionato; faremo il test del DNA; io so che non sei mia figlia ma solo la donna che amo, dopo vent’anni di solitudine; quando avremo la certezza scientifica che sei solo il mio grande amore, si porrà il problema di fare chiarezza con tua madre.

Questo dovrai farlo tu. Se dovessi agire io, lo farei di certo con la riserva di un inganno durato più di venti anni, contro tuo nonno, un tiranno che mi ha perseguitato e, per credere all’ingenuità della figlia troia, mi ha spillato un capitale; se parlo io, come minimo chiedo il rimborso di quel che ho pagato per venti anni; non escludo di arrivare a gesti di cattiveria con quella donna.

Se lo fai tu, puoi solo perdonarla perché è sempre tua madre; forse ti spiegherà, se ha un minimo di onestà, quale terribile stupidità commise venti anni fa e quanto sia adesso grave la conseguenza della sua imbecillità; non so dirti cosa sarà dell’idiota che l’ha sposata, sapendo che è troia, e che si è fatto attribuire la paternità di una figlia di cui non conosce neppure l’esistenza.”

“Per favore, mi racconti meglio? … “

“Semplice; conobbi tua madre che aveva 18 anni e non sapeva cosa fosse una copula o un fallo; la sposai pieno d’amore; dalla prima sera si rifiutò di farsi leccare tra le cosce, di prenderlo in mano per masturbarmi, di prenderlo in bocca; insomma, mi negò i diritti basilari in ogni rapporto amoroso, tutto quello che la religione considerasse peccato o che l’igiene sconsigliasse perché sporco; per mesi mi negò ogni accostamento non sacramentale; cercai qualcuna che mi concedesse il resto; quando lo scoprì chiuse qualunque tipo di contatto.

Mentre ero in missione in Sudamerica, scatenò tutta la troiaggine ed ebbe vari amanti; seppi che era rimasta incinta di te e divorziai; raccontò a suo padre che tu eri figlia mia e lui mosse tutto il tribunale per farmi condannare a pagare gli alimenti; per non combattere una guerra inutile, stetti zitto; da allora non ho più voluto sapere niente di lei né di te; fino a ieri sera, quando ho scoperto la perla nel trogolo per porci.

Ora so che ti amo, che voglio la certezza che amarti non è un incesto; voglio che la verità emerga e che tu possa essermi vicina, come compagna, non come figlia, per tutta la vita.”

“Insomma, la ‘cara mammina’ deve fare i conti, tirare le somme e pagare il dovuto; ma a te non basta il test del DNA che chiarisce che non sono tua figlia?”

“Amore, io posso dimenticare tutto; una rosellina tatuata non cambia la vita; la cambia se desidero averti con me per sempre, se voglio un figlio da te. Io ho già tante paure; se ci aggiungi il dubbio che un nostro figlio possa nascere tarato perché figlio di un colpa, di un incesto; o che tu possa scappare e lasciarmi solo, io sono morto.”

“Io scappo solo da quella finestra per schiantarmi sul marciapiede se tu, dopo questa notte, non mi tieni stretta, ti occupi di me, mi ami e mi proteggi per tutta la vita. Mia madre, prima di te, ha capito che era il caso di garantirsi una vecchiaia serena; ha scelto l’ameba giusta; se tu sei già nella stessa logica, devi per forza affidarti al mio amore, di figlia, di amante, di compagna, di convivente, di concubina, di quello che vuoi; a me basta che tu resti con me e mi accompagni; io lo farò quando sarai vecchio e inabile, fra un’altra delle tue vite, per lo meno.”

“Allora, d’accordo? Andiamo a fare il test, poi tu parli con tua madre.”

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