Adulteri

Capitolo 1 - Elena e la famiglia

geniodirazza
2 months ago

Elena, quarantenne titolare di una grossa agenzia di pubblicità, stava sfruttando la rara occasione che si concedeva di prendere un caffè in pace nel bar sotto l’ufficio; la frenesia degli impegni di lavoro e la passione che metteva nell’affrontarli avevano reso quasi illusoria quella occasione, piccola per molti; per venti anni ormai, da quando aveva iniziato, aveva sacrificato al lavoro tutta se stessa e non solo; anche la famiglia era stata trascurata o ignorata completamente.

Non era stato affatto così, prima del matrimonio, quando ancora viveva in provincia e l’unica preoccupazione erano i ragazzi con cui uscire a fare sesso; era diventata addirittura famigerata per la frenesia con cui li cambiava più spesso delle mutande; non era mai soddisfatta e non si accontentava di nessuno, finché un errore banale, non avere usato un preservativo al momento giusto, la mise nella necessità di sposare un amante occasionale, Lucio, di due anni più grande di lei, perché era rimasta incinta.

Non le marcò male perché lui, fresco laureato in architettura, era entrato nelle grazie di un famoso professore ed aveva avviato una rapida e brillante carriera professionale; per non essere la moglie nullafacente di un ricco consorte, entrò in un’agenzia di pubblicità e vi percorse la carriera che la portò rapidamente ai vertici; l’impegno però la assorbì totalmente; col suo carattere tenace e determinato, lasciò da parte ogni altra incombenza e si buttò anima e corpo nel lavoro.

La sua fortuna fu che il marito, il cui carattere al paese era definito ‘tre volte buono, quindi fesso’, accettò senza discutere tutte le sue decisioni, compresa quella di non allattare per non sottrarre tempo al lavoro e di demandare a lui, che poteva anche lavorare da casa, la cura dei figli; la conseguenza fu che non seppe niente della crescita e della vita di Roberto, nato per il famoso incidente , e di Francesca, venuta ancora per un errore di calcolo dei giorni fertili, sei anni dopo il primo.

Si trovò, a quarant’anni appena compiuti, con un figlio ventenne che si era iscritto ad Architettura per amore alla professione di suo padre che aveva praticamente assorbito dalla pelle con la lunga e intensa convivenza; e con una figlia quattordicenne, alunna del liceo cittadino, che era visceralmente legata a suo padre, da cui, come suo fratello, era stata accudita, in tutte le fasi della sua esistenza; per i due ragazzi, la madre era un ectoplasma che ogni tanto compariva a imporre dictat.

I rapporti con suo marito non erano mai stati idilliaci, sin dalle prime battute; era la fase in cui la sua ricerca del ‘principe azzurro’ era incessante e mai monotona; quando lo incontrò e ci fece sesso, flirtava già abbondantemente con Paolo, suo primo ragazzo al quale aveva concesso tutte le verginità possibili; l’incidente di percorso da cui era nato Roby, come affettuosamente tutti chiamavano Roberto, venne quando la fiamma della sua passione per Paolo era forse all’apice.

Non pensavano ad una relazione stabile e tanto meno a un matrimonio, ma scopavano volentieri, spesso e meravigliosamente; l‘esperienza con Lucio avrebbe dovuto essere solo una delle tante occasioni di trasgressione ma si rivelò fatale quando fu posta davanti alla necessità di sposarsi per rimediare all’errore giovanile, non si rifiutò ma non riuscì mai ad amare suo marito e lo tradì spesso, ma senza cattiveria e senza costruirsi storie alternative, solo per il gusto di dare sale alla sua vita.

Stava ripensando con sofferenza ai bei tempi dell’adolescenza, quando un uomo dal fisico saldo e compatto, elegante nell’abito e nei modi, le si accostò e le chiese se ‘per caso’ fosse Elena; gli saltò addosso e lo avvolse in un un abbraccio caloroso e tentacolare, quando si rese conto che era proprio il Paolo a cui in quello stesso momento stava pensando con intensa nostalgia; sentire il corpo vibrare delle stesse emozioni provate da adolescente fu una conseguenza irrazionale e involontaria.

Impiegarono meno di mezz’ora per comunicarsi i dati fondamentali della loro esistenza; lei confermò che era ancora sposata col Lucio che aveva interrotto la loro storia d’amore adolescenziale; che il figlio concepito in quella occasione aveva adesso vent’anni e che sua sorella ne aveva quattordici; che lavorava nell’agenzia di pubblicità del palazzo a fianco al bar; che non aveva problemi di danaro e che, in quanto a sesso, si rifaceva largamente per conto proprio della scarsa intesa che aveva col marito.

Paolo rivelò che aveva sposato Lucia, una ragazzotta coetanea di lei, dalla quale aveva avuto due figli, di dodici e dieci anni; che lavorava per conto di una banca locale e che era spesso in viaggio, ma che la sua sede primaria era la filiale lì vicino; la considerazione che lavoravano a due passi di distanza fece avanzare inevitabilmente l’ipotesi che potevano incontrarsi spesso; lei oppose le sue difficoltà a gestirsi momenti liberi, ma accennò anche al desiderio di una storia lunga e impegnativa.

Sull’onda dell’emozione per essersi di colpo ritrovati dopo vent’anni, Elena telefonò in ufficio e fece rinviare tutti gli appuntamenti tenendosi libero il pomeriggio di quel mercoledì; solitamente assai poco impegnato, lui non aveva bisogno di spiegazioni per essere libero tutto il pomeriggio; decisero di andare in una vicina trattoria a mangiare qualcosa insieme; subito dopo pranzo, presero la metropolitana, per evitare le noie del traffico, e raggiunsero un discreto e modesto hotel fuori mano.

Elena ottenne dal receptionist, che conosceva avendo più volte soggiornato lì con amanti occasionali, la camera più discreta e appartata, al secondo piano, con vista su un cortile interno; nel breve percorso fino all’ascensore, lungo la rapida salita e il corridoio fino alla porta della camera, ebbe la possibilità di sentire sul culo e sulle tette il tocco delicato di lui, che le risvegliò nei recessi più segreti della memoria le emozioni giovanili delle prime esperienze di sesso.

Erano ambedue completamente vestiti degli abiti funzionali al lavoro, lei in tailleur castigato, con la gonna fin sotto il ginocchio e la blusa che a stento raccoglieva il seno prorompente, e lui elegantissimo nel suo completo grigio fumo quasi obbligatorio per gli impiegati della banca che avessero rapporti col pubblico; si guardarono un attimo impacciati, prima di precipitarsi in un abbraccio di estrema passionalità, anticipo di quanto desideravano concedersi.

Elena lasciò cadere a terra il vestito e, nuda, corse ad abbracciarlo, lo strinse forte con le braccia attorno al collo mentre con un ginocchio cercava di infilarsi tra le gambe; lui allargò le sue per farle posto, poi la abbracciò prendendole le natiche con le mani; era così che iniziavano un tempo; a lei piaceva il cazzo in erezione e a lui prendere il culo a piene mani; quando glielo permise, lei si inginocchiò per arrivare al cazzo col viso.

Le accarezzò la testa mentre lo baciava, lo vezzeggiava e ci giocava; poi finalmente lo prese in bocca e se lo infilò fino in gola più volte; ma non era il momento del pompino, non ancora; era solo un assaggio per portarlo a regime, ammesso che ne avesse bisogno; comunque, da adolescente, la prima cosa che voleva fare per cominciare era quella; e non lo aveva fatto solo con lui; dapprima col marito, poi con tutti gli amanti che si era procurata, esigeva comunque, prima del pompino, un gioco di leccate.

La lasciò gettarsi sul letto ad attenderlo; corse da lei, che non smetteva di guardarlo; non era proprio cambiata; le montò sopra stimolato da quegli approcci così vicini a quelli delle loro scopate da giovani, allargò le gambe e lo baciò; le ricambiò il bacio

“Scopami!” gli sussurrò lei nell’orecchio, infilandoci la lingua; puntò il cazzo e lei non volle aiutarlo con le mani perché sin da quelle prime esperienze amava che il cazzo si cercasse la strada da solo, magari sbattendo più volte sul clitoride prima di entrare.

Imboccata la figa, lui spinse dentro con lussuria, aiutandosi con i movimenti dei piedi; lei, man mano che cresceva la cavalcata, allargava di più le gambe, fino a incrociarle dietro la mia schiena; lui, come una volta, cominciò a penetrarla in tutte le maniere, dal faccia a faccia passò a metterla sul fianco, facendole raccogliere una gamba per sedersi su quella stessa e montarla così; sempre tenendola su un fianco, le raddrizzò la gamba e la alzò per montarla mentre faceva la spaccata.

Senza mai uscire, la girò pancia sotto e la scopò da dietro, nella posizione che preferiva, perché era come se la inculasse; sentire le sue natiche sbattere sul basso ventre era sempre stata una delizia; lei cominciò a sborrare e lui la sbatté con crescente veemenza, fino a sentirla ansimare e urlare l’orgasmo; rallentò il ritmo per farle prendere fiato, poi l’affondo; goderono insieme, lui si gettò di fianco, mentre lei rimase prona a somatizzare il piacere ricevuto.

Restarono esamini per qualche tempo; forse si appisolarono; lui si svegliò quando la sentì stimolare il cazzo con la bocca; lasciò fare soddisfatto e, senza ulteriore impegno, le sborrò in bocca, con intensi e numerosi fiotti; poi si lasciarono andare nuovamente, supini fianco a fianco; recuperarono dopo qualche minuto di relax e si trovarono con una voglia di nuovo crescente; la cercò con le gambe e lei rispose; si aggrovigliarono a forbice; giocarono un po’ con le bocche e i sessi, poi lei lo tentò maliziosamente.

“Sono forse anni che non lo prendo in culo!”

Il riferimento era chiaramente alla loro abitudine preferita, perché l’inculata, da ragazzi, era la pratica più frequentata e più apprezzata da tutti, maschi e femmine; quando erano morosi, Elena spesso contestava la sua voglia di metterlo nel culo come una sorta di perversione; ma le piaceva e non diceva mai di no, forse perché riteneva di avere anche lei la piccola perversione di desiderare di prenderlo nel culo; ma erano giovani e forse ne sapevano troppo poco.

Prese il flacone che aveva preparato sul comodino, si unse il medio e lo portò al buco del culo; lei si allargò il più possibile; le prese la figa con la mano sinistra e introdusse il medio nell’ano; al principio era molto irrigidita, ma poi l’ano si rilassò, fremette e si allentò sempre di più, fino a manifestare la voglia di sodomia; passò più volte il medio per il culo e lei cominciò a gemere; il dito fece posto al cazzo.

Si prepararono intendendosi a gesti, come un tempo; quando lei gli fece cenno annuendo con gli occhi chiusi e le labbra soddisfatte, le infilò il cazzo in figa e lei gli facilitò il compito, sapendo che serviva per lubrificarlo; subito dopo, infatti, la cappella si sfilò e si appoggiò all’ano; lei, sdraiata a pancia sotto con le gambe larghe, sapeva cosa avrebbe fatto e si stava godendo il tutto in maniera passiva e soddisfatta.

Spinse il cazzo con attenzione, facendo entrare la sola cappella; l’ano si strinse attorno alla base del prepuzio; era evidente che non era più abituata a farsi inculare; attese che l’ano si rilassasse e, quando lo sentì allentato, spinse ancora in modo che tutto il suo apparato fosse pronto a godere; lei allargò di più le gambe, come se in quella maniera si allargasse anche il buco; lui spinse deciso e lo infilò tutto nel culo.

Lei reagì godendosi il momento, inarcando indietro la testa, stringendo i pugni sulle lenzuola, sbattendo i piedi come una forsennata ed emettendo gridolini di piacere; il cazzo scivolava perfettamente e si godeva le pareti del retto, morbide e scivolose; iniziò a incularla come ricordava che piacesse ad entrambi; lo sfilava piano e lo rinfilavo tutto; ogni volta godevano di più; a lui sarebbe piaciuto guardare mentre la inculava, ma purtroppo non era facile e sapeva che lei non lo gradiva.

Allora si concentrò sull’azione che prese un ritmo crescente; lei strinse di più le gambe per godesi meglio la sodomia e lui la pompò finché non avvertì che stava per venire analmente; accelerò gli ultimi colpi ed esplose come un idrante nel suo retto; quando smise di eiaculare, si lasciò espellere dal retto e si buttò di lato col fiatone; lei si strinse al corpo amato e ritrovato, guancia sul petto e mano sul cazzo; presero fiato così.

Stettero in albergo fino a notte inoltrata; in quelle ore, non si risparmiarono nessuna delle vecchie voglie che continuamente emergevano nel ricordo e nelle pratiche sessuali; scoparono in tutti i buchi, in tutti i modi e da tutte le angolazioni; ciascuno dei due portò in quel pomeriggio di grande sesso le esperienze maturate in quei venti anni nei quali non si erano risparmiati niente, mossi da quella libidine che li aveva caratterizzati sin dall’adolescenza.

Da un lato, quindi, riemergeva la vecchia grande passione che suggeriva di ripercorrere le strade sempre battute anche se in forme ingenue e approssimate, dalle inculate alle masturbazioni, dalle fellazioni alle copule canoniche o a pecorina; dall’altro lato, sperimentarono quelle forme di piacere anche estremo o trasgressivo che avevano appreso da amanti occasionali, quelli da una botta e via, che avevano aperto loro gli orizzonti di un sesso più lussurioso e intenso.

Risultò chiaro che, dopo che si erano incontrati, non si sarebbero limitati ad un pomeriggio di sesso, per quanto meraviglioso, ma che avrebbero avviato un’autentica relazione adulterina che avrebbero fatto vivere il più a lungo possibile, cercando di risparmiare gli assetti familiari costituiti restando in casa con coniugi e figli; ma non avrebbero ancora messo in una teca della memoria uno scorcio importante della loro vita e lo avrebbero riproposto più intenso, affascinante e lussurioso.

Quando tornò a casa, Elena scoprì che il marito e i figli erano già a letto e dormivano della grossa; passò velocemente dal bagno per liberarsi delle scorie dalle scopate fatte con tanto gusto e si andò a sistemare nel lettino di emergenza che suo marito teneva nello studio, evitando di disturbarne il sonno col rischio di svegliarlo e di dovere rispondere ad eventuali domande che potevano metterla in imbarazzo, anche se sapeva perfettamente che non l’avrebbe mai fatto.

Il risveglio della famiglia seguì la prassi ormai radicatasi; l’unica variante fu la levata anticipata di Elena che neppure a colazione volle rischiare di incontrare gli sguardi dei familiari che non erano stati avvertiti del ritardo nel rientro a casa la sera precedente; aggrappandosi alla speciosa motivazione di dover recuperare i ‘buchi’ lasciati nel pomeriggio precedente, si precipitò in Agenzia assai per tempo e si impose di recuperare in parte il lavoro accantonato.

Da quella volta, il pomeriggio del mercoledì diventò, per lei e per Paolo, l’occasione per incontrarsi, rinverdire i giovanili entusiasmi e scopare come adolescenti in tempesta ormonale fino a tarda sera se non a notte fonda; l’unica accortezza fu di avvertire metodicamente suo marito che si sarebbe fermata in ufficio fino a molto tardi e che quindi non si preoccupasse se dormiva nello studio per non turbare il sonno dei familiari; lui le credette e la incoraggiò a lavorare al meglio.

Non provava nessun senso di colpa, la donna; anzi, nella sua logica, che per lei aveva il valore di Verità assoluta e incontrovertibile, subire le corna era il minimo che potesse capitare ad un imbelle che aveva accettato matrimonio e figli senza dare prova di nessuna reazione umana o di maschio dominante come sarebbe stato suo dovere; alla fine, si poteva tenere il palco di corna ed essere anzi contento che lo tradisse solo con un antico amante.

La sicumera che aveva raggiunto era ormai ad uno stadio di tale esaltazione che niente l’avrebbe fermata; e non poteva certo essere di ostacolo alle sue voglie il fatto che suo marito, che poteva benissimo lavorare da casa senza muoversi dallo studio, si dovesse prendere cura della casa e dei figli; lo aveva fatto per venti anni e non vedeva motivo per cambiare una situazione ormai incancrenita e di cui solo lei sentiva il peso e la noia.

Il livello di esagerazione fu tanto alto che non esitò a manifestare in pubblico, apertamente e incurante delle persone intorno, la sua passione per l’amante; molto spesso, quando erano fermi alla stazione ad attendere un convoglio della metropolitana, si abbandonavano ad effusioni inequivocabili; lei baciava il suo Paolo con tutto l’entusiasmo giovanile che cercava in quella relazione; lui stringeva, succhiava e palpava senza vergogna i seni e le natiche, quando non la masturbava da sopra la gonna.

Il diavolo, come è noto, fa le pentole ma non i coperchi; niente poteva coprire agli occhi di tutti la scena di lussuria volgarmente ostentata in attesa del treno; non si resero conto che, sul convoglio diretto in direzione opposta che si era fermato sul binario opposto, viaggiavano quel pomeriggio Roberto e Francesca, che tornavano a casa dall’Università dove avevano pranzato in mensa, come spesso facevano quando il padre aveva impegni.

Francesca sobbalzò e a stento il fratello le bloccò un urlo di dolore, quando scorse le figure trivialmente abbracciate sul marciapiede di fronte; prontamente, Roby tirò fuori il telefonino e, nei brevi momenti di sosta, riuscì a registrare un piccolo video e alcune immagini della madre che baciava lussuriosamente un amante, sotto gli occhi di tutti, in un spazio decisamente aperto al pubblico; lui stesso, come sua sorella, dovette asciugarsi una lacrima di fronte al fallimento della loro famiglia.

Il ragazzo avrebbe forse anche evitato di denunciare il fattaccio per sentire prima la versione della madre, della quale aveva già avuto molte notizie confuse di comportamenti assai libertini; ma Francesca era emotivamente assai più scossa e sconvolta; non appena Lucio tornò a casa, nel primo pomeriggio, si precipitò da lui, gli mostrò il materiale registrato dal fratello e pianse sulla spalla di suo padre per l’offesa che sentiva arrecata alla sua ingenuità.

Suo padre fece ricorso all’aplomb che in quei casi metteva in campo; riversò sul computer di casa il materiale registrato, preparò un paio di valigie con le sue cose e chiuse in una borsa assai capace tutti i documenti che teneva in cassaforte; telefonò allo studio e parlò con Flora, la sua assistente che era con lui sin dall’università, quando fu accolta come stagista dal famoso archistar a cui si era rivolta per essere seguita da un Mentore che ammirava.

Quando colse il senso delle scelte di suo padre, Roby chiamò a sua volta la sua ragazza, la diciannovenne Barbara, le spiegò per sommi capi il crollo della sua famiglia e le chiese se fosse disposta ad accettarlo a casa sua e di vivere insieme, in attesa di formalizzare la vita a due; l’altra gli chiese di aspettare che parlasse con sua madre; lo richiamò dopo una decina di minuti e gli comunicò che sua madre era disposta ad accoglierlo in casa ad alcune condizioni.

Licia era una quarantenne separata da anni e che viveva con un uomo, Ettore, un quarantacinquenne titolare di una impresa edile piuttosto nota, che amava sia lei che la figlia nata dal matrimonio con Claudio; poiché il suo amore era ricambiato dalle due donne con altrettanta intensità, non aveva problemi ad accettare come ‘genero anomalo’ il ragazzo della ‘figlia affettiva’, se veramente era intenzionato a ‘fare sul serio’ e non cercava solo un’avventura giovanile.

Roby, che era veramente animato dalle migliori intenzioni nei confronti di Barbara e che a quel punto desiderava defilarsi da una situazione assurda di famiglia ridotta a macerie, la rassicurò, mise in uno zaino poche sue cose e attese che suo padre facesse la scelta definitiva; non dovette aspettare molto; dopo cena, suo padre raccolse il suo bagaglio e scomparve; lui raccomandò alla sorella di non aspettare alzata sua madre e l’avvertì che si sarebbero sentiti per telefono; uscì soffocando un magone.

Quando Elena rientrò era quasi l’alba; stentò molto a rendersi conto e, più ancora, ad accettare la realtà che solo Francesca dormisse nel suo letto; di suo figlio e di suo marito nemmeno l’ombra; la colpì il portatile adagiato sul tavolo di cucina con una grossa freccia che lo indicava; lo aprì e la cartella ‘Elena’ le balzò agli occhi; impiegò i pochissimi minuti della ripresa a capire quello che era successo; le mancava l’autore del video, ma era chiaro che tutta la famiglia era al corrente delle sue ‘gesta’.

Tentò inutilmente di contattare per telefono Lucio e Roberto; ambedue i cellulari risultavano spenti; evidentemente almeno i suoi erano riusciti a dormire; lei, per la prima volta nella vita, si trovò impotente a reagire e non riuscì a prendere sonno, persa nel calcolo delle ipotesi che da quella situazione potevano derivare; di Lucio, sapeva che da anni era perso d’amore per l’assistente Flora; quasi certamente si era rivolo a lei; ma per suo figlio proprio non sapeva formulare idee.

Quando Francesca si svegliò, seppe che i suoi figli l’avevano vista limonare in metropolitana con Paolo; la ragazza l’aveva spiattellato al padre, che aveva anche riconosciuto il suo amante; da lì era scaturita la decisione di abbandonare di colpo il suo posto; la scelta di Roby di seguire suo padre era coerente con la solidarietà che da sempre c’era tra padre e figli; a Francesca, ancora minorenne, era stato imposto di rimanere casa della madre, assicurandole assistenza in ogni momento e in ogni caso.

Ormai solo per curiosità, Elena chiese a sua figlia dove pensasse che fosse andato il fratello; lei rispose che lo aveva sentito parlare con la sua ragazza; da quello che si erano detti, lui era andato a stare con lei e con sua madre; ad Elena la notizia che suo figlio avesse una ragazza da cui era andato a vivere scoppiò come una nuova mazzata che le diede, se mai ce ne fosse stato bisogno, la misura della sua estraneità alla vita dei figli; sperò di poter definire con calma la rottura con Lucio.

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