Adolescenza da culattone

Capitolo 1 - Iniziazione da "troietta" tuttofare

Giovanna Esse
2 days ago

Ero un ragazzetto e andavo alle superiori.

Non ero sicuramente un gran figo: moro, occhiali, cicciottello.

Spesso vedevo dalla finestra della mia camera, attraverso quella di un appartamento nel palazzo di rimpetto al mio, un signore sulla cinquantina / sessantina, che si aggirava per le stanze della propria casa vestito solo della canottiera: flaccido, pene grinzoso, ventre gonfio e molle, orecchie leggermente a sventola, naso a punta e grosso, occhialuto e con un gran riporto di capelli grigi sulla fronte.

Un giorno di ottobre mentre lo guardavo, lui alzò lo sguardo e mi vide. Rimase fermo al suo posto e, fissandomi, con un sorriso laido, protese in avanti i fianchi, stringendo il suo pene alla base tra il pollice l’indice.

Imbarazzatissimo, tirai le tende della mia finestra.

Tutto sembrava essere morto lì. Smisi di guardare verso il suo appartamento.

Dopo qualche giorno, finite le lezioni a scuola, mentre aspettavo il bus per tornare a casa, con la mia cartella a tracolla, me lo trovai alla fermata.

Mi sorrise e io finsi di non vederlo.

Arrivò l’autobus, pienissimo come al solito: era di quelli vecchi, senza posti a sedere in coda.

La folla di studenti, entrando a forza, mi spinse in uno degli angoli della porta posteriore: era talmente affollato che rimasi quasi schiacciato col naso sul finestrino.

Ad un certo punto sentii una mano sul mio sedere, che cominciò a palparmi.

Non riuscendomi a muovere, cercai di passare la cartella dietro ma era inutile.

La mano continuava a muoversi sulle mie chiappe risalendo i miei pantaloni per cercare di entrare.

Il cuore mi batteva fortissimo a causa dell’imbarazzo e della paura.

Riuscii a muovere la testa e lo vidi dietro di me: il mio dirimpettaio, sorridente con la lingua tra le labbra per la concentrazione di trovare l’entrata per mettermi la mano dentro i pantaloni.

Cercai di strattonarlo ma fu inutile. Allora con la destra cercai di farlo smettere ma me la afferrò e se la mise sul pacco.

Cominciò a guidarmi la mano su e giù. Sentivo il suo cazzo duro attraverso la patta.

Il cuore a 1000 per la vergogna, la mia mano che accarezzava quel gonfiore sempre più grosso, non sapevo cosa fare e il tempo sembrava non finire mai.

“Vedo che ti piace…- Mi sussurrò – Sei un porcellino. Stai facendo tutto tu… So che ti piace il mio cazzo: ho visto come lo guardavi dalla finestra…”

Spalancai gli occhi per la sorpresa: era vero.

Aveva smesso di guidarmi la mano: la sua era dentro i miei pantaloni a palparmi il culo. Stavo facendo davvero tutto da solo. Continuavo a segarlo da sopra le braghe e quella sensazione aveva smesso di farmi paura, anzi ero eccitato da morire.

Finalmente il bus arrivò in centro storico e lui mi disse con tono autoritario “Adesso scendi con me.”

Mi spinse violentemente verso le porte e, una volta arrivati alla fermata, scendemmo nella piazza del teatro cittadino.

“Vieni.” Mi ordinò.

Mi prese per un polso e, tirandomi, mi fece attraversare la strada verso uno dei portici laterali del teatro.

Non protestai, non mi divincolai, non mi preoccupai: nessuno mi avrebbe cercato, i miei erano a lavorare e sarebbero tornati tardi.

Ero preda dell’eccitazione col mio piccolo cazzetto duro, duro, che si sfregava sulle mie mutande.

Mi fece entrare attraverso una porta sgangherata nei cessi pubblici.

Un odore di urina e di feci mi investì.

Varcato l’antibagno, entrammo nella stanza dei gabinetti: da una parte gli orinatoi con un barbone intento a pisciarci dentro, dall’altra i bagni con le porte.

Il senzatetto ci guardò, ghignando.

Il mio molestatore mi spinse in uno dei bagni e accostò la porticina rotta, senza chiavistello.

Si abbassò la lampo e tirò fuori il cazzo: duro, dritto, osceno, con la cappella lucida di voglia.

Prendendomi per le spalle, mi spinse verso il basso: “In ginocchio!” Mentre lui si sedeva sulla tavoletta del water.

Incapace di reagire, appoggiata la cartella sulla cassetta della cartaigienica, mi inginocchiai tra le pozze di piscio, che spandevano un odore fortissimo, in mezzo alle sue gambe.

“Ora comincia a leccarlo.”

Gli afferrai il cazzo in mano e con la lingua cominciai a percorrere tutta l’asta, su e giù, su e giù. Lui mi guidava la testa con le mani e quando arrivai per l’ennesima volta sul filetto della cappella, mi cacciò il pene in bocca fino in gola.

“Brava la mia troietta… Succhia! Ciuccialo tutto… Così! Da bravo…”

Ormai con la mente ero andato: mentre mi stantuffava la gola, scopandomi la testa mi accarezzavo il cazzetto e neanche mi ero accorto del barbone, che, aperta la porta, si stava segando mentre ci guardava.

Andavo su e giù preso dal parossismo gustandomi quel cazzo gonfio e pulsante nella mia bocca, ciucciando avidamente ogni goccia di siero.

Ad un tratto mi afferrò più forte la testa e mi spinse la sua nerchia profondamente in gola: schizzò tanto. Stavo soffocando, il suo sperma mi andava di traverso. In parte ingoiavo e in parte mi veniva da sputarlo.

Mi lasciò andare e, tossendo come un disperato, sputavo il suo seme, che mi colava sul mento e sui vestiti.

“Non sputare! Ingoia!” Mi ordinò.

Mentre ancora ero preda dei colpi di tosse, sentii degli altri schizzi caldi e appiccicosi arrivarmi sui capelli e la guancia.

Mi voltai di scatto alla mia destra per vedere da dove arrivassero: il barbone mi spruzzò un altro fiotto di sborra maleodorante in piena faccia, continuandosi a segare forsennatamente.

“Adesso puliscimelo!” Esclamò il mio dirimpettaio.

Non curante di tutto lo sperma che mi colava da ogni parte, ripresi il suo cazzo tra le mani e cominciai a leccare ogni grumo di sborra dal suo cazzo, sulla cappella e sull’asta.

Dopo poco, improvvisamente, mi riprese la testa tra le mani e, ricacciandomi il pene in bocca mi disse: “Bevi, puttana!”.

Io, convinto, che dovesse venire di nuovo, non opposi resistenza, già pronto a bere ogni sua goccia ma rimasi di stucco quando invece di sborrare cominciò a pisciarmi in bocca.

Mi divincolai e riuscii a liberarmi dalla sua presa.

Nonostante ciò, continuò a pisciarmi addosso.

“Fi’! Che troia schifosa!” Esclamò il barbone, che mi sputò in faccia, centrandomi su parte degli occhiali e la guancia.

Quest’ultimo si rimise il cazzo nei pantaloni e, presi i suoi quattro stracci, se ne andò.

Il mio molestatore, mi guardò compiaciuto, si alzò, si ricompose e spingendomi di lato, uscì dal bagno e, dicendomi solo un “Alla prossima!”, mi lasciò solo.

Rimasi per un po’ in ginocchio in mezzo alle pozze di piscio, come stordito. Poi mi alzai, presi la mia cartella e andai verso i lavandini per pulirmi dal più grosso.

Mi guardai nello specchio lercio: gli occhiali sbilenchi, ero spettinato e il mio viso era una maschera di bava, sperma e urina.

Lo spettacolo della mia abiezione mi accese ancora più di eccitazione: mi tirai fuori il cazzetto e, non preoccupandomi neppure di eventuali fruitori del cesso pubblico, iniziai a segarmi, sborrando quasi subito.

Mi pulii alla bell’e meglio: prendere un altro autobus in quello stato era fuori discussione.

Mi incamminai e tornai a casa a piedi, tranquillo del fatto che i miei sarebbero tornati a sera.

Arrivato cercai di lavare i miei vestiti e io mi misi sotto la doccia.

Il pensiero di quello che mi era capitato continuava a occuparmi la mente e ad eccitarmi da morire.

Chiusi gli occhi e, ripercorrendo tutto ciò che avevo fatto, mi masturbai di nuovo.

Per qualche giorno, ogni volta che i miei genitori dovevano lavorare fino a tardi, scrutavo assiduamente la finestra del mio dirimpettaio con un misto di paura e voglia fottuta di essere nuovamente usato come la peggiore delle troie. Alla fermata non lo trovai più.

Passò così quasi una settimana, poi, finalmente, lo vidi alla finestra: mi stava aspettando. Mi sorrise e scostandosi appena dal davanzale mi fece vedere il suo pene eretto. Lo indicò col dito e poi mi fece cenno con la mano di raggiungerlo.

Accennai di sì col capo e in un batter d’occhio ero già fuori casa…

Mi aspettava affacciato alla finestra.

Come fui davanti al cancello, sparì nell’appartamento.

Uno scatto e l’entrata del suo condominio si aprì.

Salii al piano. La sua testa faceva capolino da dietro la porta. Entrai, chiedendo permesso. Lui sorrise, sempre con quel suo viso laido e chiuse l’uscio alle mie spalle.

Era in accappatoio e ciabatte.

Mi fece accomodare in salotto e dopo i convenevoli e una breve presentazione mi disse: “Ci avrei giurato che ci avresti preso gusto… Va’ in bagno; datti una lavata lì sotto e torna qui nudo.”

Già il mio cuore batteva fortissimo e alla parola “nudo” ebbi un sussulto.

“Che c’è? Non ti va? Ci dovevi pensare prima… Cosa credi di essere venuto a fare qui?”

Dopo qualche minuto ero in piedi davanti a lui, senza vestiti e con le mani a coprirmi il cazzetto già duro.

Mi squadrò con aria di compiacimento da capo a piedi per un po’. Allargando le gambe fece aprire l’accappatoio, mostrando le sue grosse palle pelose e il pene in semierezione.

Ridendo disse: “Togli le mani e fammelo vedere… Piccolino – rise - Guarda… Hai anche le tettine come una fighetta… Vieni a sederti qui sul divano vicino a me…”

Ubbidii. Mi mise un braccio attorno e alle spalle e con la mano cominciò a palparmi un seno.

“Mmmhmm… Bello sodo e morbido per essere un maschietto… Uh!, guarda… Hai i capezzoli introflessi…”

E, avvicinando il viso al mio petto, cominciò a leccarmi e succhiarmi i capezzoli, che diventarono duri e dritti in men che non si dica.

Mugolai e lui, senza smettere, sorrise soddisfatto.

Vedevo nel frattempo il suo cazzo inturgidirsi.

Dopo qualche minuto smise e passò la mano dal mio seno alla mia testa.

Mi prese per i capelli e mi spinse il capo tra le sue gambe.

Sapevo già cosa fare.

Senza neanche che me lo dicesse, avevo già afferrato il cazzo duro con una mano e avevo cominciato a lavorarlo con la lingua, alternando alle leccate delle belle ciucciate.

Mi piaceva sentirlo crescere e pulsare nella mia bocca. Lo succhiavo avidamente come se fosse stato un bel cannolo ripieno di crema calda ed io, quella crema, volevo berla fino all’ultima goccia.

Ad un tratto, bruscamente, tenendomi per i capelli, mi tolse la bocca dal suo pene.

“Sei proprio una troia! Ma non ti ho fatto venire qui per un pompino! Ciuccia e insaliva bene questo!” E mi cacciò il suo dito medio in gola.

Lo leccai e succhiai cospargendolo ben bene di saliva poi, dopo poco, me lo tolse di bocca e mi rispinse la testa verso il suo cazzone, che mi risparì in gola.

Mentre succhiavo il suo pene, cominciò a passarmi il dito bagnato sul mio buchetto, cercando di spingermelo dentro.

Il mio ano cedette senza troppa resistenza e lui iniziò a frugarmi dentro.

Con stupore mi chiese se fossi vergine. Io, smettendo per un attimo di lavorare di lingua, risposi che dopo quella volta nei cessi pubblici, avevo provato ogni tanto ad infilarmi un pennarello nel mio culetto.

Mentre mi rispingeva il suo pene in bocca, scoppiò a ridere alla mia risposta, dicendo: “E brava la mia puttanella!”

Continuai a succhiaglielo per un po’ poi, tirandomi per i capelli, mi staccò dal suo cazzo.

Mi portò in camera e mi fece mettere a quattro zampe sul bordo del letto, dandogli le spalle.

Si inginocchiò dietro di me e mentre mi segava mi lavorava l’ano con la lingua.

Avevo i brividi per il piacere.

Sentivo il mio buchino dilatarsi ad ogni suo tocco e pulsare di voglia.

Poi, improvvisamente, smise.

Prese dal comodino del lubrificante ed un preservativo, lo indossò e tornò dietro di me.

“Alza di più il culo e rilassati.”

Eseguii pieno di lussuria, eccitazione e paura. Mi unse per bene il culetto e il suo cazzo.

Appoggiò la cappella gonfia e paonazza al mio ano e spinse.

Una fitta di dolore mi pervase. Un lamento strozzato uscì dalla mia bocca e istintivamente scattai in avanti ma lui, prendendomi per le spalle, mi bloccò e mi tirò verso di sé.

“Beh? Cos’è? Non penserai mica di cavartela con una pompa, eh?”

Spinse di nuovo e il mio buchino cedette, facendomi male.

“La cappella è dentro. Ora abituati che poi arriva il resto.”

Rimanemmo fermi così per un po’ poi mi premette il cazzo più in profondità.

Un’altra fitta. Iniziai a piangere in silenzio.

“Siamo appena all’inizio… Abituati.”

Ci rifermammo così per almeno un minuto.

Poi me lo cacciò tutto dentro con un gemito, ribloccandosi subito dopo.

Come fu passato qualche altro minuto mi chiese se era tutto ok.

Accennai un timido “sì” tra le lacrime e lui allora cominciò a muoversi avanti e indietro, tenendomi con la destra i fianchi e segandomi con la sinistra.

Il culo mi bruciava e ogni spinta mi faceva provare dolore. Continuavo a piangere mentre lui, il mio padrone, mi stantuffava a dovere.

Poco tempo dopo smise di segarmi e mi brancò i fianchi con entrambe le mani, aumentando il ritmo di inculata.

Ogni volta che osavo lamentarmi mi rispondeva con risate di scherno e insulti.

Poi, a mano a mano che continuava a fottermi, una strana sensazione si impadronì di me. Al dolore si sostituì l’eccitazione e il piacere. Il mio cazzetto era tornato durissimo senza neanche toccarlo.

Cominciai ad accompagnare i suoi movimenti con i fianchi ed il mio godimento aumentò.

“Bravo il mio XY!” Esclamò, chiamandomi per nome.

“Muoviti così! Ti piace, eh? Dillo che ti piace al tuo padrone!”

“Mi piace! Sì! Inculami!” Risposi senza ritegno.

Mi tirò una sberla su una natica poi mise le ginocchia sul letto e continuò ad inchiappettarmi coprendomi.

Con le mani cercò e strinse le mie tettine, strizzandomi i capezzoli.

Sborrai senza neanche rendermene conto e senza toccarmi sul suo copriletto.

Con una mano mi voltò verso il suo viso e mi leccò le labbra. Tirai allora fuori la mia lingua cercando la sua.

Dopo avermi chiavato per un tempo indefinito si staccò da me, mi fece voltare verso di lui e sedere per terra.

Si tolse il preservativo sporco della mia merda e mi disse di aprire la bocca.

Mi cacciò il cazzo in bocca e dopo poco mi sborrò in gola.

Bevvi tutto senza che lui me lo dicesse.

“Bravo! Adesso lecca via dal letto anche la tua.”

Eseguii. Il mio sperma aveva un buon sapore in confronto al suo.

Quand’ebbi finito, mi accarezzò il viso e sparì in bagno.

Poi mi invitò a farmi una doccia.

Entrai nella vasca e iniziai a lavarmi.

Ad un certo punto entrò.

“Inginocchiati che ti aiuto.”

Ubbidii.

Si prese il cazzo in mano e cominciò a pisciarmi in faccia mentre mi ordinava di aprire la bocca.

Io la presi addosso tutta.

Poi mi fece alzare, si insaponò le mani e cominciò a passarmele dovunque, facendomi eccitare immediatamente di nuovo.

Con un dito insaponato mi penetrò nuovamente e mentre lo cavalcavo mi segai davanti a lui fino a sborrare ancora una volta.

Mi lasciò poi lavarmi.

Alla fine, come fui rivestito e in ordine, mi diede il suo numero di telefono con l’accordo di rivederci il prima possibile e spesso.

Da quel giorno, almeno tre volte a settimana, ogni volta che i miei genitori sarebbero tornati tardi dal lavoro, andavo da lui a farmi scopare come una troietta ma, a detta sua, ero la “sua troietta”!