Scacco col cavallo

Capitolo 1 - La ragazza sotto casa

Giovanna Esse
a day ago

Passi per le scale: era l’ora!

Adesso avrei dovuto tenere tutto a memoria nel modo più preciso possibile, non era facile. Non potevo usare il quadernone davanti a lui, già era tanto che me lo lasciasse tenere. Lo adoperavo scrivendoci sopra fitto fitto, quando potevo, perché non sapevo se ne avrei mai ottenuto un altro… in realtà non sapevo niente; non sapevo nemmeno se il giorno dopo sarei stata viva.

Poi, in genere, quando si arrabbiava gettava via tutto il mondo, insomma... il “mio” mondo. Il mio pianeta piccolo, piccolo. Quant'era grande? Non saprei... diciamo che se io sono alta normale, il mio pianeta sarebbe risultato alto quanto una me più metà, largo due me e lungo quattro.

Lui lo vedevo tutti i giorni, due volte al giorno: quando scendeva per portarmi il mangiare e apriva gli scuri di legno per lasciar entrare la luce del sole. Per circa un'ora o poco più. Credo di ricordare che, in una delle sue elucubrazioni da matto, avesse detto qualcosa riguardo all'aria, alla luce, alla salute della pelle... boh?

Poi ritornava la sera e quasi sempre abusava di me, fisicamente intendo. Per fortuna era grasso e credo anche che fosse vecchio, così quando si sfogava con me, dopo non mi faceva più niente di male.

Andava a dormire presto.

Da un po’ di tempo le cose erano cambiate.

Ricordo la prima volta che portò giù il computer. Doveva usarlo già da un po’, perché non era nuovo e lui subito sapeva su quali siti andare. Era da sempre che lui si accoppiava con me, ma io non provavo quasi niente oppure, addirittura, un senso di rassegnato disgusto. Ma le cose che mi faceva vedere sullo schermo non le avevo mai guardate prima… e mi affascinarono. Cominciai persino a provare piacere...toccandomi, dopo… da sola.

Quando cominciai a scriverle, la cosa lo ispirò… però era guardingo.

Gli dissi che se non potevo avere il PC tutto per me, almeno scrivevo storie per sfogare la mia solitudine. Visto che il gioco diveniva eccitante per lui, non mi ostacolava. La mia fantasia “perversa”, come la definiva, lo arrapava come diceva a volte con gli occhi che brillavano di libidine. Ma io credo anche che gli facesse piacere per giustificare il suo comportamento; forse pensava che se scrivevo quelle cose così “belle”, probabilmente ero anche felice…

Dopo alcuni mesi iniziò a usarmi per il web.

Il maiale, come sempre, aveva saputo trovare il suo tornaconto. Grazie ai miei calcoli sgangherati era ora di tentare di trovare il mio!


La Filastrocca

Non è la terza, non è la quarta la misura del reggipetto

e sono livide e dilatate anche le natiche della ragazza.

Porta la quinta per le mutande... Celato non teme assalto virile.

Seguendo il passo del Cavallo, ci si avvicini in tempo di Luna.

Erika Bells, diede uno sguardo distratto all'ultimo post comparso sullo schermo del controllo, a sinistra della sua postazione. Lesse distrattamente, poi lasciò perdere:

- Uffa... questa, oltre che troia, è pure matta. – sussurrò indossando il soprabito.

Si era fatto tardi, come al solito e Adam avrebbe rotto le palle… come al solito. Che ci poteva fare? Aveva un lavoro di merda ma era pur sempre un lavoro.

Quando uscì comprese che, per fortuna, anche lui era arrivato da poco e non era di cattivo umore, nonostante la pioggia che veniva giù a raffiche, incessante e fastidiosa.

- Che ne dici, andiamo dai “napoletani”? – Erika rise.

- Cazzo ma ti sei proprio innamorato della pizza... eh?

Adam ridacchiò. Era vero, da quando avevano aperto una vera pizzeria napoletana nel cuore di Londra, lui sbavava solo al pensiero di quella bontà. Forse, quei profumi mediterranei gli ricordavano le vacanze che amava fare nel sud Italia. Il mare, Erika lo sapeva, lo affascinava e lo attraeva; lo rendeva felice come un bambino.

Al ragazzo chiese anche lei una birra, chiara e leggera. Mentre sgranocchiava delle patatine caldissime, Adam si godeva la sua “Margherita”.

– Mi stai diventando pure libidinosa, adesso?

- Lasciamo perdere, – disse lei amareggiata – se questa tipa la smettesse di inserire parole “sensibili” nei suoi racconti schifosi, potrei evitare di leggere tanto lerciume... mi tocca, lo sai.

Si erano conosciuti a Informatica; dopo si erano persi di vista, poi il destino li aveva ricombinati, dopo quasi 5 anni. Anche Adam lavorava nel settore ma in attività del tutto diverse. Lei aveva ricuperato per “vecchiaia” un lavoro da consulente per l'Intelligence, la Polizia in poche parole. Passava le ore ad ascoltare, a osservare, ad analizzare tutto ciò che era di sua competenza, che richiamava l’attenzione dei Sistemi Informatici automaticamente. Parole, immagini, formule strane; tutto ciò che Internet le passava, lei doveva leggerlo e valutarne la “pericolosità”.

Chiaramente, dopo 2 anni noiosi e inutili non credeva più nel suo lavoro.

I Servizi sapevano in quali acque navigare per controllare i loro pericolosi “pesciolini”, a lei che non era nessuno, lasciavano le operazioni di routine, gli sfigati e i depravati… era noioso ma almeno le rendeva uno stipendio e un minimo di indipendenza.


Il controllo

- William Caan? – chiese l’operaio con la tuta troppo pulita per essere usata.

- Sì? – rispose l’anziano professore.

– Solo una brevissima intervista, siamo dei telefoni... - l’uomo continuò, rivolgendogli alcune domande banali e poi concluse con:

- Vive da solo qui, professor Caan?

Lui stava per rispondere in modo sarcastico, ma preferì fingersi ingenuo:

- Sì, perché?

- Semplice curiosità… ha una bella casa, grande…

Il controllo di routine terminò. L’uomo rientrò in auto e la squadra di falsi operai si allontanò, senza fermarsi a nessun’altra casa del viale. L’uomo aveva chiesto notizie sulla sua soddisfazione rispetto all’ADSL, se conosceva il nuovo sistema… la trasmissione via fibra… eccetera: tutte cose che il Gestore avrebbe potuto chiedere per telefono.

E Willy mangiò la foglia.

La verità era che gli era andato tutto fin troppo liscio, per anni. Non era mai stato sotto pressione.

Dopo le prime settimane in città tutto si era normalizzato, nessuno aveva sospettato di lui.

Era stato in gamba a scegliere una ragazza a caso, alla prima occasione, senza premeditazione.

Le loro esistenze si erano incrociate per caso, davanti al bagno di un Centro Commerciale.

L’addetto alle pulizie aveva lasciata aperta la porta di sicurezza, il tempo di fumarsi una sigaretta fuori, in attesa che il pavimento si asciugasse. La Rover di Willy, fortuitamente, era parcheggiata a due passi, proprio sul retro.

Era quasi Natale, c'era tanta gente in giro. Nessuno fece caso al distinto signore che si allontanava con la “figlia” problematica. Non aveva esercitato particolare violenza sulla ragazzina… Nonostante la mole, appena gli si era presentata l’occasione lui si era infilato nel bagno: una scusa banale per avvicinarsi poi, tenendole la mano sulla bocca, le aveva infilato l’ago nel collo.

La ragazza era un tipo lento… l’effetto sorpresa e il terrore la bloccarono. Non scalciò quasi per niente; alcune accettabili gomitate affondarono nella pancia molle del professore in pensione.

Ubbidiente e intontita, camminando a scatti mentre lui la guidava per le spalle, si lasciò infilare in auto, poi s’immobilizzò completamente. Caan la scrutò prima di partire; controllò le pupille e le sentì il polso. Dosaggio perfetto, non aveva dubbi, dopotutto la sua specialità era l’Anestesia, conosceva perfettamente gli effetti di droghe e veleni.

Partì lentamente, con circospezione, controllando se ci fossero capannelli o allarmi a segnalare che qualcuno stesse già cercando la ragazza, ma gli era andata bene e la sua fuga continuò, liscia come l’olio.

Aveva sempre agito così. Anche le altre due gli erano capitate a tiro fortuitamente. Solo questa era durata tanto tempo, però.

Prima c’era stata una prostituta neppure tanto giovane, poi una piccola, quasi una bambina. Non gli avevano dato grandi soddisfazioni. Erano morte da tempo. I loro pezzi, ciò che rimaneva di loro, li aveva sciolti nell’acido, senza fretta.

Come le altre l’aveva presa, raccattata come un giocattolo trovato per strada. Adesso era ora di disfarsene.

Quando scese da me, quella sera, era arrabbiato. Mi sentii in colpa come una bambina che non ha saputo fermarsi in tempo; adesso che capivo che lui sapeva, ero pentita. A pranzo non avevo avuto nulla, ma a cena non volli mangiare lo stesso.

Finse di prendersela, doveva essere arrabbiato e aveva bisogno di sfogarsi. Prima mi picchiò e poi mi prese da dietro, in ginocchio sulla poltrona. Non usò nessuna precauzione e venne dentro senza interesse: non era mai successo. Capii che era la fine!

Solamente non sapevo quando sarebbe tornato...