Famiglia Cristiana?

Capitolo 1 - Il patrigno ingroppa la mamma e pure la figlia

Giovanna Esse
a month ago

Alla buonora si ritrovarono in cucina madre e figlia. La signora Amalia De Porconis era stata la prima a raggiungere la macchina da caffè. Ginevra si era annunciata poco dopo con uno sbadiglio fragoroso. “Buondì amore”, la madre le sorrise, azionò la macchina e le si accostò. Le loro labbra si unirono in un bacio viscoso. I capezzoli d’Amalia, nudi oltre la vestaglietta aperta, lambirono quelli di sua figlia, racchiusi in una delle canotte con cui era solita dormire. Le due figure, ferma la differenza d’età, si somigliavano molto, snelle e piene nei punti giusti, entrambe di quel castano tendente al rossiccio, entrambe dagli occhi nocciola. Stettero abbracciate, le mani della madre sulle natiche tonde della figlia, libere oltre le mutandine verdi, e le mani della figlia sulle natiche abbondanti della madre, completamente discinte, sotto la corta vestaglia di seta.

“Svegliata presto Ginevra?”.

“Dovrei studiare… farò una doccia… e mi metterò a…”.

La ragazza non completò la frase che un acidulo trillo di citofono fece precipitare sua madre alla porta. "Uff sarà il postino...", Amalia uscì dalla casa in pantofole, di quelle vellutate e pellicciose, chiudendosi alla meglio la vestaglietta.

“Oh Antonio. Sei tu… Buongiorno! C’è posta?”.

“Ecco a lei, signora Porcona”.

La donna, accostatasi al cancello, recuperò due lettere e guardò in cagnesco il giovane postino riaccendere il suo motorino e filare via ghignante. “Va bene, siamo stati insieme quella volta… ma chi ti dà il diritto di storpiare così il mio cognome? Manco mi ricordo più quando è successo figurati… forse prima del divorzio, no no, era dopo… no… mmm bho!... in ogni caso la prossima volta rimprovererò quel ragazzotto!”, si disse seccata, sbuffò e rincasò. La vestaglia tornò ad aprirsi.

“Ginevra era il postino… Ginevra?”, si guardò attorno ma non c’era più traccia della figlia. “Sarà a docciarsi”, pensò, mise da parte la corrispondenza senza prestarvi attenzione e tornò alla macchina del caffè. La tazzina era ponta. Lcalda miscela percorse la sua gola col suo aroma denso. Ora la sua giornata poteva iniziare. Salì le scale meditando sul da farsi e, dopo l’ultimo gradino, s’arrestò. Una visione abbacinante catturò la sua attenzione: Ginevra era nel corridoio, affacciata col capo oltre la porta del bagno, mentre con una mano si carezzava i seni e con l’altra scavava nelle mutandine verdi. In silenzio sua madre spinse lo sguardo oltre e scovò, riflesso nello specchio, il corpo di Pietro, nudo sotto la doccia. Bastò poco alla ragazza, si sfilò la canotta, poi le mutandine, ed entrò nel bagno. Amalia poté sentire tutto.

“Uh scusami Pietro, non mi ero accorta ci fossi tu…”.

“Ginevra, non preoccuparti…”.

“Dovrei docciarmi anche io…”.

“Pochi minuti e finisco, guarda”.

“E’ che oggi avrei tanto da studiare… ti spiace se… mi unisco a te?”.

“Oh va bene, vieni pure…”.

Amalia vide perfettamente allo specchio i seni freschi di sua figlia farsi avanti e sgusciare sotto la doccia, accolti con smania dalle mani del suo patrigno. Sì Pietro era il compagno di Amalia, un uomo di gran fascino, dai capelli brizzolati e gli occhi di ghiaccio, fresco di divorzio. Di cognome faceva Zozzi e quando in città s’era saputa di quella strana accoppiata “De Porconis Zozzi” tutti avevano riso, chi perché conosceva quella “porcona” della signora Amalia o la “porcellina” ventunenne di sua figlia, chi perché conosceva invece quello “zozzone” di Pietro… “Nomen omen” dicevano gli antichi. Ed avevano ragione! Ginevra, con una coscia levata al fianco di Pietro, si stava sfamando del suo cazzo, e gioiva e godeva sotto lo scroscio continuo d’acqua che le incollava i lunghi capelli mogano, ma quello che si stava compiendo davanti agli occhi di Amalia non era però un tradimento, o almeno non veniva concepito come tale. Certe cose erano consuetudine in quella casa. Se Amalia avesse dovuto spiegarne la ragione probabilmente non avrebbe filosofato di libertinismo, avrebbe più semplicemente detto che lo stress, le tensioni, le mille preoccupazioni, in qualche modo dovevano pur essere scaricate e quello era il migliore dei modi. Le avreste dato torto? L’importante, lo pensavano tutti in quella casa, era salvare le apparenze, fare tutto tra loro sì, ma sottovoce, senza quasi dirselo, mentendosi, dissimulando di non saperlo, fingendosi rispettosi delle convenzioni. Perché? Perché tutti capivano che quella piccola ipocrisia rendeva tutto più stuzzicante.

Fece qualche passo e fu davanti alla porta del bagno. Senza disturbare l’idillio di sua figlia e del suo patrigno, raccolse mutandine e canotta e proseguì oltre entrando nella lavanderia. Accese la luce. Si chinò sulla cesta dei panni sporchi ed iniziò a preparare tutto per fare la lavatrice. Mentre selezionava i panni, percepì il suono d’una porta scorrevole, si raddrizzò e davanti ai suoi occhi apparve Daniel, il figlio di Pietro.

“Amalia ciao…”, Daniel perquisì con gli occhi la matrigna nuda oltre la vestaglietta di seta nera, soffermandosi sul candore della pelle nel suo punto più intimo e ripeté: “Ciao…”.

Gli occhi della donna s’illuminarono sul corpo giovane e ben fatto di quel ventenne dagli occhi cerulei ed i capelli ciuffolosi che ostentava un alzabandiera da capogiro: “Hey tesoro, t’ho svegliato io?”.

“Ma no, no. Ci tenevo a darti questa…”. Il ragazzo le porse una felpa azzurra, la sua preferita. Amalia la guardò e sorrise: “Solo questa?”.

“Hai ragione, scusa…”, il ragazzo abbracciò la donna rimediando al primo freddo saluto. Lei lo tenne stretta a sé sondando con le mani la robustezza delle sue spalle poi contrasse il suo stomaco contro la sua verga. Slanciata e vigorosa, non poteva che trovarla magnifica. Ci si strusciò sopra un po’ e la cappella spuntò al di là dell’elastico, la sentì calda e prepotente, se ne rallegrò e mise fine all’abbraccio per dare una sbirciata. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e, fissando la punta diamantina del cazzo di Daniel, fece la sua proposta: “E… le mutandine non vuoi… lavarle?”.

Lui sorrise, agganciando l’indice all’elastico, poi si sentì dire: “Aspetta, ti aiuto…”. Amalia tornò a chinarsi, stavolta però non sulla cesta. La gola che aveva provato poco prima l’aroma di caffè ora si apriva ad un bel cazzone.

Qualche minuto dopo, la lavatrice entrò in azione, ma coi due sopra. La giornata di Amalia era davvero iniziata.

Se Amalia si metteva in testa una cosa, presto o tardi la faceva. Era sempre stato così e, di fatti, non tardò ad arrivare il giorno in cui attuò il suo proposito di rimproverare il giovane portalettere. Attese che citofonasse e poi via, si precipitò all'ingresso del villino principiando la sua bella ramanzina fatta di invocazioni al rispetto per le donne e minacce di inoltrare reclami al direttore dell'ufficio postale se avesse osato ancora una volta chiamarla “Signora Porcona”. Sebbene così piccola al cospetto della sagoma imponente di Antonio, Amalia sembrava furibonda, s’agitava, gesticolava con le mani che, più volte, salirono verso il cielo e riscesero sui suoi fianchi, strette in pugni, tra la camicetta e la cintura dei jeans. La donna non formulò parolacce, non era nel suo stile farlo, ma quel rimprovero le era riuscito egualmente così severo che la figura muscolosa ed alta di Antonio s'era fatto piccola piccola ed una tenera aria di innocenza ombreggiava il faccione del giovanotto.

"Mi perdoni, ascolti, mi perdoni. Il mio voleva essere un complimento, mi scusi signora De Porconis, sul serio. Non sbaglierò più il suo cognome. Ho bisogno di questo lavoro e poi lei... lei è così bella che mi sono lasciato andare, mi perdoni...".

Si palesò un lato caratteriale del portalettere sconosciuto sino ad allora ad Amalia. La signora De Porconis, quelle implorazioni così dolci, da uno come Antonio, non se le sarebbe mai aspettate. Capì che forse aveva esagerato, che, del resto, quello del postino era stato solo un apprezzamento e si dispiacque ora di vederlo svilito e demoralizzato. Pensò quindi di scusarsi come solo lei poteva fare: "Antonio sei dolce e sei un bravo ragazzo. Forse ho… esagerato…”, disfece i pugni, prese le sue mani tra le dita e lo portò con sé, distante appena qualche metro dall’ingresso, in un’area scurita dall’ombra di un olivo del giardino: “Che ne dici se… ti tiro un po’ su?”. Sorrise maliziosa lasciando le mani del postino e conquistando la patta della sua tuta da lavoro.

Nessuno dei due si accorse della figura bronzea che assistette al fatto dall’alto. Pietro, richiamato dal tono della ramanzina al balcone della camera matrimoniale che s'affacciava direttamente sull'ingresso al villino, guardò sua moglie baciare il postino e masturbarlo prima di finire in ginocchio a sbocchinarlo. L’uomo si ritrovò trasportato in un vortice naturale di schifo e rabbia davanti all’adulterio spudorato della sua consorte. Quella scena così lasciva gli aveva scolpito sul viso lo sguardo torvo di chi avrebbe voluto esplodere in una lunga serie di imprecazioni. E l’avrebbe fatto, l’avrebbe certamente fatto se una mano sbarazzina non sarebbe comparsa dal nulla attorno al suo cazzo, conducendolo in una furiosa masturbazione.

“E’ una porcona vero? Ma lo sono anche io… e sono tua… la tua porcellina… ti consolo io… la tua svuotacoglioni… mmm che bel cazzone…”

Era Ginevra. Anche lei aveva ascoltato la ramanzina di Amalia ad Antonio ed era rimasta a guardare la scena dalla finestra del corridoio del secondo piano perché qualcosa le diceva che il finale sarebbe stato esplosivo, conosceva troppo bene sua madre! Da quella stessa finestra aveva potuto vedere che anche Pietro assisteva a quello spettacolo ed era dunque potuta accorrere in soccorso di Amalia. Alle spalle del patrigno, gli baciava il collo, gli insaponava di saliva l’orecchio e gli sussurrava porcherie pastose e oscene. L’uomo era finito immobile, intontito in quella folle perversione. La figliastra gli aveva tirato fuori dalla tuta il cazzo ed ora glielo menava di brutto mentre lui fissava sua moglie tutta impegnata nel lavoro di bocca al postino.

“Schizza zozzone… fammi vedere quanta ne fai su… quanta ne hai in questo cannone mmmm… schizza nella mano della tua figliastra troia…”.

Era tutto così turpe.

Il postino riversò le sue ansie nella laringe della donna. Ogni fraintendimento ora era stato risolto ed i due già si avviavano al commiato. Di sorpresa, furono colpiti da strani schizzi che insozzarono la camicetta della donna e la divisa da lavoro del ragazzo.

"Uh a quanto pare il tempo sta cambiando...", fece lei.

"Ma che strano… c'è un cielo limpido ed un sole accecante...", le fece eco il postino mentre la donna, levato il capo al cielo, incontrò il balconcino della sua camera e rifletté tra sé coi suoi lungimiranti sospetti. Con due dita toccò le strane gocce piovute giù sulla sua camicetta, ne sondò la consistenza ed intuì l’arcano: sì, era sborra, probabilmente il marito l’aveva vista e, a quanto poteva ben vedere, certamente s’era masturbato, ma questo non le avrebbe evitato una scenata di gelosia. Sbuffò impensierita. A sollevarle l’umore, in quel momento, comparve al balconcino la chioma castano vermiglia di Ginevra che mostrò alla madre un “OK” con le dita e scandì muta: “A Pietro ci ho pensato io”. La madre si sorrise, guardò rasserenata Antonio che non aveva capito nulla e poi tagliò corto: "Sarà stata una nuvola passeggera… Dunque ci sono lettere per me?". "Una". Amalia prese la lettera e tornò in casa, sfilandosi la camicetta insozzata di sborra. Entrò in reggiseno davanti a Pietro che, tutto rasserenato, faceva zapping sul divano abbracciato a Ginevra. Si disse che davvero era un tesoro di ragazza, adorabile e giudiziosa. Le si accostò curvandosi a darle un bacetto sulle labbra e poi sussurrò: “Grazie”.

Risalì le scale, fermandosi sul ballatoio. Daniel le ostacolò il passo e le acciuffò rozzamente il polso strattonandola. “Ti ho vista!”, ringhiò sottovoce.

“Che hai visto?”, mormorò Amalia.

“Col postino!”.

“Scusa come hai fatto a vedermi?”.

“Guarda che ci sono le telecamere di sorveglianza!”.

“Ma che è la festa dei ficcanaso oggi?”.

“Come scusa? Non vorrai mica che lo dica a papà…”.

“Senti Daniel, ho tante cose da fare oggi e poi… uhm…”, la donna si interruppe perché il figliastro con una nuova presa ora le era finito alle spalle e la costringeva ad angolo retto, proiettata col viso al piano inferiore, contro il divano su cui c’erano Ginevra e Pietro a guardare la televisione. La camicetta sporca di sborra era finita ai suoi piedi e si sentì slacciare i jeans. Daniel glieli abbassò quanto bastava per poterla inculare. “Che porco che sei…. mmm…”, fece senza riluttanza ammaliata come sempre dall’irresistibile irruenza giovanile. “Liberati in fretta… c’è tuo padre proprio…”, mentre parlava sterzò lo sguardo dagli occhi eccitati di Daniel al divano e si zittì di botto: sua figlia saltellava concitata a cavalcioni sul patrigno. Amalia la guardò, non se l’aspettava ma non la sorprendeva di certo. Stette muta a fissare la scopata di Ginevra e Pietro. Quando il cazzo di Daniel le spappolò l’ano e le percorse l’intero canale, le sue idee erano un po’ mutate. Rigirò lo sguardo sul figliastro e disse sospirando: “Tesoro fa con comodo… da qui non ci vede nessuno…”.