Lasciati spaccare

Capitolo 2 - Mogli dal gioco pericoloso

Giovanna Esse
a day ago

- E questa nuova, te la fai sabato, alle diciassette... ecco qua. Settimana piena! – Marisa chiuse l’agenda e spense il PC; io mi occupavo di impiattare gli spaghetti tonno e olive, li avevo appena preparati, belli freschi.

- Nuova? In che senso? – chiesi mentre sedevamo a tavola.

- Nuova nel senso che è nuova... non la conosco: tutto qui. – però mentre si serviva un po’ di delicato Soave, scelto apposta per accompagnare il piatto estivo, un sorrisetto sardonico si dipinse sulle sue labbra.

- Uhm... tu mi nascondi qualcosa... – dissi tra lo scherzoso e il preoccupato.

- Ok! Questa “nuova” sarebbe una certa Messalina70 – aggiunse lei spiccia – e si definisce una Swich... insomma non si sa cosa desidera... paga bene e ha già comprato un sacco di cose... e adesso mangiamo! –

Avevo già la bocca piena ma non mi trattenni comunque:

- Ehi... ma non è che questa mena? – dissi preoccupato.

- E con questo? – si era già rabbuiata e io non volevo che la tensione aumentasse, aggiunse, – Cosa vuoi che sia? Caro mio, mio questo è un lavoro! Capito? E lo deve essere per tutti e due... ricordalo. Non è che io mi smazzo in casa e tu vai in giro a scopare, felice e contento! Se non ti conviene dillo, che faccio tutto da sola, capito? –

- Ma no, tesoro... e che è: non si può neppure parlare? – per evitare la lite mi concentrai sugli spaghetti.

Sapevo che lei aveva perfettamente ragione. Vendere i servigi a coppie o a donne sole era un operazione delicatissima, almeno all’inizio. Non era facile conquistare la fiducia, non era facile che una signora perbene, permettesse così facilmente a uno sconosciuto, di entrare in casa sua; nella sua esistenza. I timori erano mille...

Mentre lei, l’amore mio, riceveva proposte continue da parte dei maschi del sito, alcune molto allettanti davvero.

Si sa, il maschio è esibizionista. Una volta capito che Mater Obscura era una donna tremenda e irraggiungibile, gli uomini si erano scatenati: master, slave e paraculo. Le offerte erano così appetitose, a volte, che io stesso facevo fatica a consigliarle di rinunciare.

Il sabato si avvicinava. Ero sempre più imbarazzato e pensoso, anche le clienti se ne accorsero.

La cosa che mi preoccupava era l’armamentario che Messalina70 aveva richiesto, aldilà delle mie prestazioni: manette, corde, un frustino e altre, pericolose, “applicazioni”. Su una cosa Marisa era stata intransigente: avrei indossato sempre una maschera di gomma... questa non la capivo. Era da tempo che incontravo tante persone senza problemi di identità; Marisa era convinta che alle clienti non sarebbe certo convenuto ammettere di conoscermi. In realtà erano solo loro ad avere da perdere.


L’appuntamento era in un albergo fuori mano. Ci arrivai alle tre, con una valigia piena di attrezzi BDSM, nuovi di zecca.

Mi spogliai restando in mutande nere e aderenti e, meticolosamente, preparai il materiale sul divano della sala adiacente la camera, dotata un grande letto a due piazze.

Alle quattro in punto il telefono interno squillò, una voce contraffatta mi disse di essere la persona che aspettavo e che mi avrebbe raggiunto in pochi minuti.

Spensi la TV, mi sciacquai la bocca per lavare via il gusto della birra che avevo consumato e indossai la maschera di latex.

Quando mi guardai allo specchio sembravo un perfetto idiota! Ero in mutande, col mio fisico da quarantenne, né atletico, né troppo tonico: la testa, stretta nella gomma lucida sembrava più piccola. Assomigliavo a un cerino con la capocchia nera.

Il foro tondo, che copriva la bocca, mi faceva sembrare un eroe dei fumetti dall’espressione stupita; ero quasi tentato di togliermi quella ridicola mascheratura ma, all’ingresso di Messalina70, ringraziai il celo per non averlo fatto.

Per fortuna mi ero appena seduto sul divano, probabilmente fu questo che mi impedì di stramazzare al suolo privo di sensi: Messalina70, bella signora, elegante, oltremodo piacente...
e IO la conoscevo perfettamente, e non riuscivo a capire a che razza di gioco stavano giocando: che razza di tiro mancino mi aveva mai tirato Marisa? La donna, entrata con fare sbrigativo e autoritario che, ferma e decisa, si era piazzata tra le due camere della suite, cominciando a studiarmi da testa a piedi come una cavia da laboratorio, era Annalisa: la mia ex-moglie!

E io non sapevo cosa sapeva.

La situazione era oltremodo imbarazzante, temevo Marisa, temevo Annalisa: ero completamente spiazzato.

- A terra... a cuccia! – disse la mia ex autoritaria, senza dar segno di avermi riconosciuto – Stai là, a quattro zampe! Zitto e buono. –

Obbedii, cercavo di prendere tempo per raccapezzarmi. Ricordai Annalisa come amante; non posso negare che non era niente male ma, nei cinque anni in cui ce l’eravamo spassata, non aveva mai dato segni troppo evidenti di essere BDSM.

E’ vero, avevamo fatto di tutto e di più ma adesso non era il momento per lasciarmi andare ai ricordi.

Annalisa mi ignorò; si tolse la camicetta di seta rossa, mettendosi a suo agio e iniziò a studiare l’armamentario che avevo portato con me.

- Ah, ah... questo mi piace! – rise di gusto e prese in mano un collare borchiato, lo studiò, poi me lo lanciò con indifferenza – Metti questo, cagnolino! –

Mentre eseguivo la vidi avanzare verso di me: era proprio una bella donna. Magra, asciutta, le gambe nervose erano fasciate da calze nere che lanciavano riflessi setosi.

Aveva le scarpe coi tacchi, nere, ma ero abituato alle sue “mise”.

In realtà, tolta l’incompatibilità di carattere e di mentalità, tra di noi, dal punto di vista fisico mi era sempre piaciuta.

Avevo amato anche la sua sensuale femminilità, sempre ostentata accuratamente per abbagliare, per primeggiare... a pensarci bene, sì: Annalisa aveva un carattere dominante, nonostante con me, come moglie, in piena confidenza, non mi incutesse alcuna soggezione.

Adesso, che la vedevo come un estranea, mi rendevo conto che era molto sexy e si abbigliava s di conseguenza, sempre. Insomma, non era una di quelle signore che vestono da operaio metalmeccanico trecentocinquanta giorni all’anno e poi, all’improvviso, una sera si presentano abbigliate come “Cicciolina”, tutte pizzi e merletti.

Onestamente lo trovavo poco eccitante, e la loro incapacità a indossare con stile la lingerie più seducente mi ricordava il periodo del carnevale...

Annalisa invece era una di quelle ragazze, forse un po’ all’antica, che indossavano i tacchi anche in montagna, che portavano, sempre, gonne, di ogni foggia e taglio, e il segno impercettibile sotto la stoffa lieve, permetteva, a un occhio attento, di intuire un reggicalze nascosto alla giusta altezza, e di eccitare la fantasia anche oggi che il nudo femminile viene ostentato come la lattuga al mercato.

Sentii il click metallico del gancio della catena che veniva assicurata al collare di pelle, poi una dolora pressione mi colpì al collo: era Annalisa che mi schiacciava la nuca col tacco appuntito delle sue scarpe nere. Premette fino a costringermi a mettere la facci per terra.

-Bravo il mio bastardino, stai giù, odora la polvere... tra poco la leccherai. Mi piacciono i cani puliti! – rise. Poi mi strattonò verso l’alto e, tirandomi per il collo, mi costrinse a seguirla, sempre a quattro zampe, verso la stanza da bagno.

Ero dietro il suo sedere. Nonostante l’imbarazzo trovai eccitante il suo ancheggiare. Il culetto che sgusciava, a ogni passo, dalla stoffa grigia di una gonna castigata e lunga fin sotto il ginocchio ma con uno spacco laterale, che faceva venire in testa la voglia precisa di strapparla per godersi lo spettacolo che nascondeva, sotto di essa.

Ero talmente vicino da sentire l’odore caldo del suo deodorante intimo e delicato.

Annalisa mi legò alla colonna del lavandino, poi mi fece mettere seduto, “a cuccia” come disse lei, canzonandomi. Non aveva ancora finito con me.

Mi ammanetto assicurandomi che fossi comodo ma soprattutto che fossi ben posizionato rispetto alla grande porta del gabinetto.

Dalla mia posizione ero di fronte al letto e, allo stesso modo, ben esposto per chi mi avesse volute vedere, legato nel cesso, umiliato e in manette.

La mia ex iniziò, allora, tutto un suo percorso attraverso le stanze; osservava la scena da varie angolature; sistemava attrezzi sadici in punti strategici e, a volte, mi controllava, come se mi valutasse, mettendomi in imbarazzo.

Il tempo passava ma era chiaro che lei non avesse nessuna fretta, mentre io iniziavo a capire quanto ero scomodo, costipato e bloccato, nello spazio angusto sotto il lavabo.

Quando tutta al scena sembrava averla soddisfatta, Annalisa, facendo come se io non ci fossi, venne in bagno e si posizionò davanti al cesso. Fece scivolare la gonna di cotone verso l’alto, scoprendosi abbastanza lentamente.

Lo spettacolo era intenso ed eccitante: le sue gambe vennero liberate lentamente, poi la gonna sparì anche dalle cosce. Indossava un reggicalze semplice, nero, di taglio moderno, senza merletti né fronzoli e delle culottes nere, talmente trasparenti che formavano solo un velo grigio sulle sue parti intime. Deglutii, incapace di sostenere quello spettacolo meraviglioso. Notai, mentre la mia temperatura corporea superava le soglie consentite, che la sua figa era totalmente depilata, cosa che non era mai successa in sette anni di frequentazione e di scopate...

Annalisa fingeva solo di non accorgersi di me, ne fui certo quando si voltò per farmi vedere quanta magia sapesse sprigionare quel piccolo triangolo di seta: le sue culottes coprivano solo a metà il suo culo generoso e tonico, a metà delle due natiche, il leggero merletto nero, si trasformava in perizoma e il filo sottile si perdeva poi tra le chiappe, facendo esplodere il desiderio di seguire quel segnale, per andare ad assaggiare il suo culo, ancora alto... invitante.

Fu più forte di me. Non riuscii a restare indifferente, la visione era paradisiaca e mi riportò con la mente a quanti giochi quel suo culo speciale aveva subito da parte mia.

Ad Annalisa piaceva molto prenderlo dietro e per me quella era una vera manna dal cielo, approfittandone a più non posso.

Ricordai che l’attrazione tra noi era sempre stata notevole, a lei piaceva il mio modo di scoparla, me lo diceva sempre.

Ricordai, mentre il cazzo mi cresceva, nei boxer, come un fungo dalla enorme cappella scura e minacciosa che, grazie al suo ano accogliente, avevamo risolto molti problemi pratici... ad esempio non c’era bisogno di profilattici ne di altre precauzioni: controllavo perfettamente l’eiaculazione. Non dovevo far altro che trattenermi fino al momento opportuno, per poi scaricarmi, completamente nel fondo del suo sfintere. Restavo così, sfinito, abbandonato su di lei, col cazzo affogato nei nostri liquidi; sempre duro e che palpitava regolarmente in maniera del tutto indipendente dalla mi volontà. Lo stesso valeva per quei giorni in cui non era concesso scoparla in maniera tradizionale; allora il suo culo subiva ancora di più i miei assalti.

Ormai, ero talmente arrapato, che cominciavo a chiedermi per quale motivo avessi rinunciato a quella donna meravigliosa, l’eccitazione mi faceva sragionare!

Lei, continuando a fingersi indifferente, tirò giù le mutande e senza preamboli si mise ad orinare nel w.c., col tipico rumore di cascata, che, al maschio, ricorda la forma stessa della fregna: un’accogliente, larga, calda e deliziosa alcova, dove il desiderio porterebbe di corsa l’uccello, assetato.

Un colpo di scena mi riscosse dallo stato di grazia e mi ricordò in che strana e pericolosa situazione mi trovassi.

Mentre le ultime gocce di pipì, scorrevano dalle grandi labbra di Annalisa, lei prese il cellulare, poggiato su uno sgabello, e inviò una chiamata.

Un attimo dopo, il mio cazzo, deluso e sconcertato, si sgonfiò fino a sparire, terrorizzato dagli avvenimenti che si susseguirono.

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